domenica 26 dicembre 2010

Il Papa, la luce e l'amore. Il commento di Angela Ambrogetti

Riceviamo e con grandissimo piacere e gratitudine pubblichiamo:

Il Papa, la luce e l'amore

Angela Ambrogetti

Come accade ogni anno a Natale sulla stampa internazionale delle parole del papa “passano”, come si dice in gergo, soprattutto quelle riferite alle vicende politiche.
La necessità della pace, la fine delle violenze, delle persecuzioni, l’appello per il bene comune e la preghiera per chi è colpito da sventura e calamità. Temi importantissimi e fondamentali certo, che però potrebbe ricordare un qualunque statista. Ma nessuno statista, benché illuminato, potrebbe spiegare il meraviglioso rapporto tra chiamata e risposta che c’è tra Dio e l’ uomo nella notte che vede il Figlio di Dio diventare uomo. Eppure è tutto lì. Se non ci fosse questo scambio d’amore e di sì, non sapremmo nemmeno che significa la parola pace. Rileggiamo le parole del papa nella omelia della Messa della notte di Natale.

Chi intravede Dio prova gioia, e in questa notte vediamo qualcosa della sua luce. Ma anche degli uomini parla il messaggio degli angeli nella Notte Santa: "Pace agli uomini che egli ama". La traduzione latina di tale parola, che usiamo nella liturgia e che risale a Girolamo, suona diversamente: "Pace agli uomini di buona volontà". L’espressione "gli uomini di buona volontà" proprio negli ultimi decenni è entrata in modo particolare nel vocabolario della Chiesa. Ma quale traduzione è giusta? Dobbiamo leggere ambedue i testi insieme; solo così comprendiamo la parola degli angeli in modo giusto. Sarebbe sbagliata un’interpretazione che riconoscesse soltanto l’operare esclusivo di Dio, come se Egli non avesse chiamato l’uomo ad una risposta libera di amore. Sarebbe sbagliata, però, anche un’interpretazione moralizzante, secondo cui l’uomo con la sua buona volontà potrebbe, per così dire, redimere se stesso. Ambedue le cose vanno insieme: grazia e libertà; l’amore di Dio, che ci previene e senza il quale non potremmo amarLo, e la nostra risposta, che Egli attende e per la quale, nella nascita del suo Figlio, addirittura ci prega. L’intreccio di grazia e libertà, l’intreccio di chiamata e risposta non lo possiamo scindere in parti separate l’una dall’altra. Ambedue sono inscindibilmente intessute tra loro. Così questa parola è insieme promessa e chiamata.

Un sì d’amore appunto che sfida ogni razionalismo, ma che è Ragione. Un sì che nel cure di chi non ha bisogno di analisi politiche o sociali, di scuole diplomatiche o di accordi internazionali per sapere che la Verità è fede, cioè fiducia. E non ci si può fidare di “formule” ed esperimenti ripetibili. Ecco le parole che Benedetto XVI ha rivolto al mondo la mattina del 25 dicembre. Forse però di questo passaggio in pochi si sono accorti.

Nella notte del mondo si accende una luce nuova, che si lascia vedere dagli occhi semplici della fede, dal cuore mite e umile di chi attende il Salvatore. Se la verità fosse solo una formula matematica, in un certo senso si imporrebbe da sé. Se invece la Verità è Amore, domanda la fede, il "sì" del nostro cuore.

La verità non si raggiunge per conoscenza umana. E così la pace, la fratellanza, la concordia tra i popoli non sono realtà per cui basta un po’ di buonismo natalizio.

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