venerdì 11 marzo 2011

Gesù separò religione e politica. «La risurrezione è un fatto storicamente credibile: è vita nuova» (Chirri)

Gesù separò religione e politica

«La risurrezione è un fatto storicamente credibile: è vita nuova»

Giovanna Chirri

Gesù risorto «non è un cadavere rianimato» ma «vita nuova», la sua risurrezione è una «possibilità che interessa tutti e apre un nuovo genere di futuro».
«La fede cristiana sta o cade con la verità della testimonianza secondo cui Cristo è risorto dai morti», le mani di Gesù «restano distese sul mondo, come un tetto che ci protegge». Questo l'approdo della ricerca di papa Ratzinger che, insoddisfatto del Gesù storico – tanto perduto nel passato da sembrare una nebulosa – s'è incamminato alla ricerca di uno «sguardo» e di un «ascolto» del Gesù dei Vangeli per poterlo presentare come «persona» con la quale è possibile un «incontro», un vero «rapporto personale».
Una ricerca continuata con determinazione anche una volta eletto Papa, concretizzata nel "Gesù di Nazaret", della quale è stato presentato ieri il secondo volume, "Dall'ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione". Scritto rigorosamente a mano (anzi, a matita), edito dalla Lev in sette lingue, un milione e 200 mila copie di tiratura iniziale, 300 mila in italiano, già esaurite, con altre 400 mila già prenotate, le circa 350 pagine sono uno sforzo intelligentemente ostinato di conciliare fede e ragione, di scovare il «Gesù reale» attingendo sì alla ricerca storica e critica, ma soprattutto tentando una «introspezione» di Cristo-persona attraverso gli episodi storici della sua vita: «Ci sarà un motivo per cui Dio ha scelto per papa un professore», aveva osservato Benedetto XVI nel libro-intervista con Peter Seewald.
Ed ecco il "Gesù di Nazaret". Tanti i compagni di questo viaggio, tra cui l'amatissimo Romano Guardini, il connazionale Walter Kasper, l'ex allievo Christoph Schoenborn, il francese Albert Vanhoye, esegeta della "Lettera agli Ebrei", i protestanti Pannenberg e Ringleben, ovviamente Rudolf Bultmann, il "demitizzatore" dei racconti evangelici.
La ricostruzione del Papa acquisisce i risultati della ricerca storico-critica. In particolare è scrupolosissima per quanto riguarda le testimonianze della risurrezione. Benedetto XVI muove dalla domanda se «in quanto persone moderne possiamo dare credito» alle testimonianze della risurrezione, anche se «il pensiero "illuminato" dice di no». La sua risposta è invece affermativa: «Nella sua audacia e novità l'annuncio apostolico prende vita dalla forza impetuosa di un avvenimento che nessuno aveva ideato e che andava al di là di ogni immaginazione».
I racconti, tra cui quelli sul sepolcro vuoto e la apparizione di Emmaus, sono anche «poco abili», ulteriore prova questa della loro affidabilità: se avessero inventato, i testimoni avrebbero fatto meglio, in particolare circa la «corporeità» e il modo di relazionarsi a loro di Gesù dopo la risurrezione.
Tra i tentativi più riusciti di compiere una vera e propria introspezione sul Gesù dei Vangeli c'è senz'altro il capitolo sulla preghiera nel Gestsemani. Immedesimandosi nel Gesù reale Benedetto XVI cerca di cogliere l'angoscia di Cristo – che «ha sperimentato l'ultima solitudine, tutta la tribolazione dell'essere uomo» – e la lotta in lui tra la volontà personale e la volontà di Dio. Accettando la volontà di Dio, Cristo ha «capovolto la storia», per tutti gli uomini, e lo ha fatto «mettendosi dalla parte degli sconfitti della storia». I discepoli che si addormentano, invece, manifestano quell'«intorpidimento dell'anima» che neppure vede più «tutta l'ingiustizia e tutta la sofferenza che devastano la terra» e alla fine «conferisce al maligno un potere nel mondo». Anche per i cristiani di oggi, spiega, occorre «vigilanza» contro questo intorpidimento dell'anima. Nel comprendere invece «gli abissi dell'anima» di Gesù sulla croce, nel suo «grido di abbandono», per Benedetto XVI sono stati più bravi i padri della Chiesa che certa «teologia recente», che ha scelto un «approccio troppo limitato e individualistico»: il grido di Gesù è anche quello «di tutti i giusti che soffrono».
Nel capitolo sul processo c'è l'esame di come la parola «"ochlos", che significa innanzitutto semplicemente una quantità di gente, la "massa"» sia potuta diventare, passando dal racconto di Marco a quello di Matteo, «tutto il popolo», con una «amplificazione fatale nelle sue conseguenze». Molto antigiudaismo nei secoli si è fondato su questa maledizione di Matteo, 27,25: «Il suo sangue cada su noi e i nostri figli». «Il sangue di Gesù – ricorda papa Ratzinger – non viene versato "contro" qualcuno, ma è sangue versato per "molti", per tutti». Così la frase che ha aizzato l'odio contro il popolo ebraico «non è maledizione», ma significa che «tutti abbiamo bisogno della forza purificatrice dell'amore».
Forse questa frase – più che le affermazioni sulla non responsabilità degli ebrei nella crocifissione, già acquisita dalla Chiesa con la dichiarazione conciliare "Nostra Aetate" – ha fruttato più di altre a papa Ratzinger il plauso del mondo ebraico internazionale, politico e religioso, fino al messaggio personale che gli ha inviato il premier israeliano Benyamin Netanyahu.
Dal racconto del processo a Gesù una riflessione per l'oggi: «Pilato accantona la domanda sulla verità», come succede «quando il potere dei forti diventa dio di questo mondo». Infine una raccomandazione: «Il mistero dell'espiazione non deve essere sacrificato a nessun razionalismo saccente». Cristo ha ottenuto «l'espiazione per il mondo», con lui «il rapporto di Dio con il mondo si è rinnovato», si è «realizzata la riconciliazione».
Con il suo annuncio «Gesù ha realizzato un distacco della dimensione religiosa da quella politica», un distacco «che ha cambiato il mondo». Allo stesso tempo egli non va dipinto come un rivoluzionario, come fece negli anni sessanta «un'onda di teologie politiche e della rivoluzione»: e questo perché la violenza «non instaura il regno di Dio», ma, «al contrario», è lo «strumento preferito dell'anticristo».
Nel libro, riscrivendo gli eventi della Settimana Santa Benedetto XVI affronta temi cruciali della fede cristiana e non manca di gettare lo sguardo su questioni legate all'attualità più stringente. La Passione, morte e risurrezione di Gesù sono per il Papa lo spunto per una riflessione ad ampio raggio punteggiata da citazioni di filosofi da Platone a Marx, di padri della Chiesa, esegeti, teologi anche protestanti.
Il suo intento è quello di «trovare il Gesù reale, a partire dal quale, soltanto – sottolinea Ratzinger – diventa possibile qualcosa come una "cristologia dal basso"». La risurrezione, questa «nuova possibilità di essere uomo», «interessa tutti e apre un futuro, un nuovo genere di futuro per gli uomini», mentre la presenza di Gesù continua nel mondo.
«Anche oggi la barca della Chiesa, col vento contrario della storia, naviga attraverso l'oceano agitato del tempo. Spesso si ha l'impressione che debba affondare. Ma il Signore è presente e viene nel momento opportuno», è uno degli esempi tracciati da Ratzinger.
Non manca, da parte del Papa-teologo, l'invito a che, «dopo secoli di contrapposizione», la lettura «cristiana» e quella «giudaica» degli scritti biblici «entrino in dialogo» tra loro, al fine di «comprendere rettamente la volontà e la parola di Dio». Sul fronte del rapporto con gli ebrei, oltre alla negazione esplicita dell'accusa di "deicidio" che per duemila anni è stato motivo di divisione, Benedetto XVI fa un'ulteriore annotazione: «Il processo della consacrazione, della "santificazione"», scrive, comprende da una parte «una segregazione» , cioè una separazione dal mondo, e dall'altra «una missione» per il mondo. Due aspetti che «formano un'unica realtà completa». Questa «connessione si rende molto evidente, se pensiamo alla vocazione particolare di Israele». E «questo è ciò che s'intende con la qualifica di Israele come "popolo santo"».

© Copyright Gazzetta del sud, 11 marzo 2011

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