lunedì 6 giugno 2011

Il Papa in Croazia. L'unione del continente viene dalle radici dei suoi popoli (Cardia)

L'unione del continente viene dalle radici dei suoi popoli

Un tesoro da spendere

Carlo Cardia

Il primo saluto che Benedetto XVI ha ri­volto nel suo viaggio in Croazia è stato un messaggio di speranza, di incoraggia­mento, per la nazione di antica fede cri­stiana, e per il suo prossimo ingresso nel­l’Unione Europea. Il Papa l’ha sviluppato, nello spirito del suo magistero, a livello an­tropologico e universale, e a livello stori­co e culturale che coinvolge le nazioni che si costituiscono attorno a valori comuni, formando un’identità che progredisce e fa progredire. Il Pontefice ha ringraziato i musicisti che l’hanno accolto «con il lin­guaggio universale della musica», perché la dimensione dell’universalità è conge­niale al cristianesimo, Cristo parla agli uo­mini di tutto il mondo, e tutto ciò che è u­mano trova nella sua parola pienezza di vita e di significato. Ed ha proposto il gran­de tema di oggi, quello della coscienza, la cui crescita è alla base del progresso spi­rituale e civile dell’umanità, è fondamen­to di una «società libera e giusta, sia a li­vello nazionale e internazionale».
La coscienza libera e ricca di valori dà u­nità al sapere umano e collega scienza e fe­de, come testimonia l’opera del grande u­manista e gesuita croato del ’700 Ruder Josip Boškovic, ma oggi corre il rischio di essere abbandonata al soggettivismo as­soluto, per il quale ciascuno interpreta co­me meglio crede i bisogni propri e quelli degli altri, fa ciò che vuole di se stesso e de­gli altri. Se in passato si fosse agito su que­sta base, non sarebbero maturate le con­quiste dell’età moderna, «il riconosci­mento e la garanzia della libertà di co­scienza, dei diritti umani, della libertà del­la scienza, e di una società libera». Esse si sono sviluppate dentro una coscienza vol­ta al bene, attratta dai principi etici, dal­l’amore da donare e non solo da ricevere, che agisce in base al 'grande codice' del­l’umanità costituito dalle Sacre Scritture. Se la diversità tra bene e male si perde, se il Sinai è cancellato, l’uomo cade in un vuo­to che annienta, in un dolore che non si colma, perché si afferma l’indifferenza al dolore altrui.
L’Europa e le sue nazioni si sono costrui­te quando nelle sue terre si è radicata la legge che vale per tutti gli uomini, che par­la dell’amore come «la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni per­sona e dell’umanità intera». La coscienza di ciascuno di noi assimila il significato del dono gratuito per gli altri «nell’infanzia e nell’adolescenza», può viverlo «nel gioco e nello sport, nelle relazioni interperso­nali, nell’arte, nel servizio volontario ai po­veri e ai sofferenti» e può declinarlo negli ambiti della politica e dell’economia, per una polis che sia accogliente e ospitale, non vuota, non neutra, ma ricca di conte­nuti umani, e di forte spessore etico.
Questo messaggio universale del Papa si è unito ai riconoscimenti per la Croazia, il suo legame con la Chiesa, le sue preoccu­pazioni per l’ingresso in una Europa che resta la casa comune, è meta di tutte le na­zioni del continente, ma deve tutelare l’i­dentità di ciascuno e le radici cristiane che sono parte essenziale della loro crescita nei secoli.
Benedetto XVI ha affrontato questo tema nel saluto iniziale ai rappresentanti della società civile, e nel colloquio che ha avu­to in aereo con i giornalisti. Non bisogna avere paura del nuovo, e la Croazia atten­de con gioia l’appuntamento con le altre nazioni europee, ma è giusto registrare un’inquietudine che si va diffondendo con qualche ragione. L’Europa può tradire le attese dei popoli se li accoglie in un oriz­zonte razionalista ed economicista che guarda ai suoi membri nella loro morfo­logia numerica, territoriale, produttiva, mentre deve sentirli per ciò che sono, co­munità unite da tradizioni, culture, senti­menti, che costituiscono patrimonio pre­zioso per tutti. In questo modo il messag­gio di Benedetto XVI è diretto alla Croazia e insieme all’Europa. Alla Croazia ricorda la sua fede, coltivata con gioia e nel «cuo­re, dove il soprannaturale diventa natura­le e il naturale è illuminato dal sopranna­turale »', ed evoca la grande figura del bea­to cardinale Stepinac che ha combattuto contro due regimi, hitleriano e comuni­sta, che negavano entrambi l’umanesimo e le leggi di Dio. All’Europa dice che l’u­nione del continente non deve essere fat­ta in modo freddo e burocratico, ma inve­stendo sul tesoro di cultura, di spiritua­lità, di dedizione agli altri, che viene dalle radici dei suoi popoli.

© Copyright Avvenire, 6 giugno 2011

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