sabato 19 novembre 2011

La preghiera del Papa sulla tomba del cardinale Gantin. Una folla incredibile ha accompagnato il Papa lungo i circa 40 km del percorso

La preghiera del Papa sulla tomba del cardinale Gantin

Dopo l’incontro privato con il presidente del Benin, il Papa si è recato a Ouidah, sede del Seminario di San Gall. Una folla incredibile ha accompagnato il Papa lungo i circa 40 km del percorso manifestando tutto l’affetto e l’entusiasmo dell’Africa per Benedetto XVI. Nel seminario il Pontefice ha pregato davanti alla tomba del cardinale Bernardin Gantin, una delle figure più importanti della Chiesa del beninese e di tutta l’Africa, scomparso nel 2008 all’età di 86 anni. Il cardinale Gantin è stato decano del Collegio Cardinalizio, prefetto della Congregazione per i Vescovi, presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina. Il nostro inviato Massimiliano Menichetti ha intervistato padre Giulio Cerchietti, che per venti anni è stato segretario del cardinale Gantin:

R. – Il cardinale Gantin è stato veramente un uomo di Dio. Ci si arricchiva, stando con lui, e di giorno in giorno il cuore si allargava per la sua dimensione di amore al Papa, alla Chiesa, alle missioni, per la sua semplicità e la sua grande umiltà. Un esempio molto semplice che può farci capire: quando venivamo in ufficio, dopo aver celebrato la Messa, lui salutava anche chi non conosceva, chi incontrava in ascensore o in portineria … E diceva: “Giulio, il saluto è degli angeli! Come mai le persone fanno tanta fatica a salutare? La più bella cosa tra gli uomini è salutarsi, dirsi ‘buon giorno’” … La prima domanda era: “Come vanno le cose? Come va la vita spirituale? Come va la vita familiare? Come stanno a casa?”. Il tuo mondo diventava il suo. Tutti sono sempre rimasti colpiti …

D. – Lei fu ordinato sacerdote proprio dal cardinale Gantin …

R. – La prima cosa che fece fu parlare con i miei superiori, conoscere la mia comunità e la mia famiglia, dicendo: “Le mani non si impongono solo perché ho il colore rosso!”. Lui scherzava dicendo: “Mettiamo un po’ di sugo sulla pasta”. Lui entrava in un rapporto di famiglia. Ha voluto conoscere i miei genitori, è voluto venire nella mia povera casa, perché io sono di famiglia molto modesta ed i miei erano veramente preoccupati perché non avevano mai ricevuto un cardinale a casa! Lui voleva soltanto stare lì con loro, parlare, dialogare, ascoltare la mamma e il papà, che sarebbero diventati anche la sua mamma e il suo papà. Questo ti fa capire la dimensione del cardinale.

D. – Solo un anno dopo, diventerà il suo segretario, per vent’anni

R. – Nel 1984 fu nominato prefetto della Congregazione per i Vescovi, in quella che allora fu ritenuta una rivoluzione da parte di Giovanni Paolo II: cioè, un cardinale africano in questo dicastero. Fui sorpreso quando il mio provinciale mi disse: “Il cardinale ti vuole parlare”, e in quell’occasione mi chiamò, dicendo: “Ho pensato a te come segretario”. Ma io ero ordinato da un anno: ero impaurito … Il provinciale mi disse: “Bisogna obbedire! Qualsiasi cosa il cardinale ti chieda e la Chiesa ci chieda, noi dobbiamo obbedire: tu lo sai!”. Dissi subito: “Eminenza, ma lei mi ha ordinato per la missione”, e lui rispose: “Ma questa è la tua missione. Il Signore ti chiama qui”. Ora, a distanza di 28 anni dalla mia ordinazione, tutto questo mi è più chiaro e lo sento ancora più forte. Da lì, poi, è incominciata la mia vicinanza e la mia crescita insieme a lui.

D. – L’aeroporto di Cotonou porta il nome del cardinale Gantin; molte vie portano il suo nome. Per il Benin, chi è il cardinale Gantin?

R. – Il Benin è Gantin: senza di lui non avrebbe avuto il risalto spirituale che ha e anche sociale. Questo piccolo Paese si ritrova con due ambasciate a Roma – una presso la Santa Sede (che era un desiderio del cardinale), e una presso lo Stato italiano: questi li consideriamo dati scontati, ma sono frutto di lavoro, di rapporti tessuti con pazienza e amore … Tutto il Paese è cresciuto grazie al cardinale Gantin. Ora ci sono dieci diocesi, siamo alla quarta-quinta generazione di vescovi… Ma lui si è occupato dei bambini, delle scuole, delle missioni, ha incoraggiato la vita religiosa, la formazione … Il Benin è cresciuto con lui. Noi non dobbiamo dimenticare che Gantin fu nominato mentre era ancora studente, e fu inviato come ausiliare del suo vescovo Louis Parisot, vicino al quale ha voluto essere sepolto – e non a caso. Aveva 34 anni, e quanto è andato nel Benin c’era solo mons. Parisot: il Benin era tutto qua, insieme ai missionari …

D. – A Ouidah, l’omaggio del Papa sulla tomba del cardinale Gantin che riposa proprio accanto al suo vescovo, mons. Parisot, e accanto ai primi missionari …

R. – Il cardinale Gantin ha ricordato che doveva tutto ai primi missionari che gli avevano portato Cristo. Dove è sepolto lui, ci sono le loro tombe, morti giovanissimi, che hanno lasciato la loro case e la loro famiglia per andare in un Paese sconosciuto, si sono avventurati per amore del Vangelo. Hanno preso la malaria a 22, a 18 anni, giovanissimi: per amore di Cristo. E questo, per lui, era stato l’esempio più grande e anche la sua forza interiore. In questo viaggio del Santo Padre, i 150 anni dalla prima evangelizzazione hanno un significato per questo.

D. – Una particolarità del cardinale era anche nel suo nome …

R. – Il suo nome non è casuale. Lui soffriva un po’, quando – educatamente – lo chiamavano “Ganten”, alla francese. Ma non era lui. “Gan” vuol dire “albero” – “tin” –“ferro”, e in Benin, nella sua tradizione ha un significato. I suoi antenati erano stati mandati a custodire il confine e dovevano essere come “l’albero di ferro”, con radici molto profonde e molto forti per poter far fronte ad ogni avversità. Spiritualmente, questo lui l’ha vissuto intensamente.

D. – Lui era africano completamente, e fedele alla cattedra di Pietro completamente …

R. – La sua prima preghiera con la comunità, al mattino, era di ringraziamento per il privilegio di essere accanto al Papa, e la preghiera era la richiesta di non disperdere il significato di questo dono, di non abituarci ad esso. Al contempo non dimenticò mai la sua identità. Le sue prime omelie da arcivescovo di Cotonou parlano della bandiera come identità nazionale, richiamandola come simbolo alla nazione, naturalmente, alla terra e al popolo proiettandola nella visione della Divina Provvidenza. Era rimasto africano. Non a caso, a sottolineare la sua sensibilità, si ricorda una delle famose espressioni della mamma: quando venne a Roma, vide tutte le bellezze di Roma e tante cose che naturalmente in Benin non ci sono; e lei, saggiamente, disse al cardinale: “Qui è tutto bello; è grande, è grande, è bello! Ma tu, figlio mio, non dimenticare la tua capanna!”. E lui diceva: “Io non ho mai dimenticato la mia capanna!”.

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