Su segnalazione di Eufemia leggiamo:
Il tostissimo vescovo Dolan. Così negli Stati Uniti ha vinto il “conservatore” che non s’aspettavano
di Paolo Rodari
L’elezione “a sorpresa” di Timothy Dolan, arcivescovo di New York, a capo della Conferenza episcopale degli Stati Uniti conferma che “anche in America a vincere è la linea conservatrice della chiesa romano-cattolica”. Parole del New York Times del 16 novembre scorso. Era il giorno che i vescovi americani riuniti “in conclave” a Baltimore, nel Maryland, sceglievano Dolan quale loro nuova guida al posto del cardinale Francis George.
Diceva in quelle ore il reverendo Thomas J. Reese, senior fellow presso il Woodstock Theological Center alla Georgetown: “L’elezione di Dolan è un segnale che la Conferenza episcopale vuole agire da leader nella guerra fra le culture del paese”. E ancora: “Anche il fatto che i due finalisti per la vicepresidenza fossero due personalità tra le più conservatrici degli Stati Uniti dice qualcosa sulla direzione che l’episcopato ha deciso di prendere”.
Ha vinto davvero l’ala conservatrice? A guardare quanto accaduto a Baltimore sembrerebbe di sì. Dolan, sfatando la consuetudine che ogni tre anni (tanto dura il mandato) a essere eletto sia sempre il vicepresidente in carica (solo due furono in passato le eccezioni), ha inaspettatamente battuto dopo tre votazioni il vescovo di Tucson, Gerald Kicanas, che nel novembre del 2007 lo aveva a sua volta battuto nella corsa alla vicepresidenza. In 128 tra i vescovi americani hanno votato per Dolan, in 111 per Kicanas.
Alcuni voti Dolan li ha presi dal terzo candidato più votato: Charles Chaput, vescovo di Denver, tra i presuli americani ritenuti più conservatori, il quale fino all’ultimo ha lottato anche per la vicepresidenza con un altro conservatore, l’arcivescovo di Louisville Joseph Edward Kurtz. Dolan, dunque, forte anche del voto dei sostenitori di Chaput, ha vinto su Kicanas, secondo molti un vescovo su posizioni liberal tanto da godere del consenso dei movimenti gay del paese.
Visto così il quadro sembra chiaro. Dolan ha vinto su un liberal grazie all’appoggio delle forze conservatrici della chiesa. Forze che, è giusto ricordarlo, nei giorni precedenti l’elezione non erano state con le mani in mano. Tramite la rivista di proprietà dei Legionari, il National catholic register, avevano aperto il fuoco contro Kicanas reo, a loro dire, di aver favorito, quando era rettore a Chicago del seminario di Mundelein, il cammino verso il sacerdozio del pedofilo Daniel McCormack.
“C’è un antico detto negli Stati Uniti che dice che la gente vota l’uomo che ha il sole in faccia, insomma il candidato il cui volto splende di più degli altri, il più felice, il più contento”, spiega al Foglio Rocco Palmo, commentatore statunitense di cose religiose e curatore di uno dei blog più compulsati dalle gerarchie ecclesiastiche del paese, ovvero Whispers in the Loggia. Dice: “Ha vinto il candidato più convincente al di là delle sue idee ‘politiche’”. Ha detto Salvatore J. Cordileone, arcivescovo di Oakland: “Non molte persone, al pari di Dolan, possono combinare insieme profondità intellettuale con allegria ed estrosità”.
La tesi di Rocco Palmo, suffragata da Cordileone, è simile a quella di Michael Sean Winters, commentatore per il National catholic reporter e autore di “Left at the altar: how the democrats lost the catholics” e “How the catholics can save the democrats”. Per lui occorre uscire dalle logiche “candidato di destra-candidato di sinistra” e riconoscere che Dolan era più di Kicanas il presule che avrebbe potuto mantenere alto il profilo della conferenza episcopale dopo gli anni importanti in questo senso di George.
Dice: “Dolan, come il cardinale George, è una figura sui generis. Ha certamente ottenuto il sostegno dei vescovi conservatori, ma gode di una statura indipendente anche grazie agli anni trascorsi a Roma – è stato rettore del collegio Nordamericano, ndr –, grazie alla sua personalità vincente, al fatto di essere esperto dei media”.
Certo, anche secondo Winters la scelta di Dolan è stata dettata dal fatto che è stato ritenuto capace di dare continuità alla linea di George, un porporato conservatore seppure senza gli eccessi dei tradizionalisti più puri. E, infatti, questo è Dolan secondo molti: un cardinale prestigioso, energico e combattivo, di linea conservatrice ma senza eccessi. Come lo è il gruppo di cardinali e vescovi che anno dopo anno si sta imponendo sempre più come leader nel panorama ecclesiale della chiesa di Ratzinger.
Dice un monsignore della curia romana al Foglio: “Mi sembra si stia imponendo una nuova leadership nella chiesa. Ci sono nomi conosciuti e nomi nuovi, tutti accomunati dall’essere fedeli alla dottrina, conservatori, vicini al Pontefice. Sono i diocesani Angelo Scola, Carlo Caffarra, Peter Erdö, Willem Jacobus Eijk, Pietro Santoro, Malcolm Ranjith, André-Mutien Léonard, Antonio María Rouco Varela, José Horacio Gòmez, Javier Augusto Del Rio Alba, Chomali Garib. E i curiali Marc Ouellet, Mauro Piacenza, Raymond Leo Burke, Kurt Koch, Antonio Cañizares Llovera, Robert Sarah”.
John Allen, tra i più importanti vaticanisti americani, dice di non voler mettere in discussione la tesi di coloro che sostengono che con Dolan hanno vinto i conservatori. Tuttavia suggerisce tre chiavi di lettura della vicenda. Dice: “Scegliendo Dolan i vescovi hanno voluto indirizzarsi su un comunicatore naturale, un uomo capace di proiettare un’immagine positiva del cattolicesimo nella pubblica piazza”. In sostanza i vescovi hanno scelto il loro migliore “frontman”.
In secondo luogo: “Se è vero che Dolan è più conservatore di Kicanas, è anche vero che non è questo il suo tratto distintivo”. Egli non cerca “alcun compromesso sulle questioni legate all’identità cattolica, ma nello stesso tempo vuole esprimere questa identità nella chiave più positiva possibile”.
In terzo luogo, “Dolan diverrà senz’altro cardinale nel prossimo concistoro che potrebbe essere convocato prima che finisca il suo mandato nella Conferenza episcopale. Ciò significa che per due volte di seguito i vescovi americani hanno eletto un cardinale come presidente”. In passato non vennero eletti cardinali perché considerati dai vescovi “troppo uomini di Roma”. Eppure, in questo caso, come nel caso di George, “avere un cardinale a capo della Conferenza significa avere una personalità che può andare a parlare in curia romana da pari grado”. I vescovi vogliono uno che possa andare a Roma “a dare giudizi anche duri e questo Dolan lo sa fare”.
Di certo c’è che Dolan è un vescovo gradito in Vaticano. Gradito proprio per il suo attaccamento senza arroccamenti alla dottrina. Il suo, si potrebbe dire, è un conservatorismo moderno, dinamico, attuale. Il Vaticano non ha potuto giocare alcuna carta nella nomina. Seppure una lieve indicazione, mesi prima del mini conclave di Baltimore, ha voluto darla. Lo spiega il New York Times quando scrive che “inserendo Dolan nella commissione che indaga sugli abusi sessuali ai danni di minori in Irlanda il Vaticano ha voluto dire a tutti che di lui si fida”.
Di Dolan si fidano in molti, soprattutto coloro che ritengono che la politica dell’episcopato statunitense fortemente critica nei confronti del presidente Barack Obama sia corretta. Dolan, non a caso, appena eletto ha voluto puntualizzare che le battaglie di George sulla riforma sanitaria sono e saranno le sue. Ma Dolan le combatterà col suo tratto. Con Obama ci sono differenze di vedute, ma non ostilità. Quando Dolan passò da Milwaukee a New York ricevette una telefonata di congratulazioni da Obama. Dolan, che in un primo tempo aveva pensato a uno scherzo del fratello, invitò il presidente alla cerimonia d’ingresso.
Fermo sulla dottrina, Dolan sa aprire la porta di casa anche a coloro che sono lontani dalle sue vedute. Rigoroso anti abortista si dice che non rifiuti la comunione ai fedeli “pro choice”. In Italia, uno dei profili più positivi di Dolan lo scrisse Repubblica il giorno del suo arrivo a New York: “Dolan? Beve birra con i fedeli, fuma il sigaro con i seminaristi, parla volentieri con la stampa. Grazie a queste sue qualità molto umane negli ultimi sette anni è riuscito a risollevare le fortune della diocesi di Milwaukee, travolta dallo scandalo che aveva coinvolto il suo predecessore, l’arcivescovo Weakland, leader dei cattolici progressisti americani, che aveva messo a tacere (con 450 mila dollari) una vittima che lo ricattava a livello personale”. Insomma, è uno che piace e cattura attenzioni anche trasversalmente. Oggi ha soltanto 60 anni. Nel futuro della chiesa il suo nome sarà sempre più importante.
Pubblicato sul Foglio mercoledì 1 dicembre 2010
© Copyright Il Foglio, 1° dicembre 2010 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.
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