lunedì 10 gennaio 2011

Benedetto XVI e l’ “uomo planetario” tra “ipercorpo digitale” e “società cross-mediale”. Riflessione del prof. Nicola Di Bianco

Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

Benedetto XVI e l’ “uomo planetario” tra “ipercorpo digitale” e “società cross-mediale”

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Si fa sempre più urgente la necessità di orientare l’ “uomo planetario” della civiltà elettronico-digitale verso uno sviluppo integrale. Le domande più urgenti che incalzano l’uomo del nostro tempo si concentrano per lo più sulle possibili prospettive verso cui indirizzare il futuro della tecnologia e conseguentemente il futuro dell’uomo. Un rinnovato allineamento tra antropologia e teologia sembra imporsi come unica garanzia del futuro dell’umanità. Partiamo da un interrogativo: Dove va l’uomo tecnocefalo della civiltà tecnologica? E qual è il fine verso cui procede lo sviluppo dell’antropologia tecnologica?
Le moderne tecnologie esercitano un’azione sempre più performante sull’uomo e sulla società. Il mondo della comunicazione può avvalersi dell’uso di strumenti sempre più sofisticati, miniaturizzati e dotati di tecnologie in grado di agevolare l’accesso alle informazioni e la comunicazione audiovisiva. Nel mondo pre-digitale la “conoscenza creava la tecnologia”, nell’era digitale accade il contrario “la tecnologia crea la conoscenza”. La tecnologia elettronico-digitale, infatti, ha un potere eccedente che determina nuovi scenari e opera decisi mutamenti sociali. L’integrazione tra architetture elettromeccaniche e intelligenza artificiale è sempre più spinta e surroga le funzioni umane. Grazie alle tecnologie elettronico-digitali il mondo della comunicazione è entrato in una nuova era: le voci, le immagini, le parole, … degli uomini possono raggiungere istantaneamente e senza l’uso di fili (wireless) tutti gli angoli del pianeta tecnologicamente avanzati.
Nasce l’ “uomo-planetario” capace di disporre di informazioni, immagini, musica, di consultare biblioteche virtuali, di viaggiare con l’ausilio della navigazione satellitare, di commerciare con la moneta elettronica, di partecipare ai socials networks,… La tecnologia elettronico-digitale attraverso le sue numerose realizzazioni offre protesi sempre più potenti ai nostri organi di senso. L’integrazione della comunicazione audiovisiva con la rete Internet e lo sviluppo dei socials networks ha creato l’uomo iper-vedente e iper-udente. La nuova tecnologia messa in campo da Steve Jobs con l’i-Phone e l’i-Pad ha accresciuto i nostri arti superiori di un potenziale “tattile”, che consente con la digitopressione di investigare gli archivi della conoscenza e di avere, in un certo qual senso, il mondo a portata di “mano”. L’uomo iper-vedente e iper-udente diventa anche iper-tattile. Il processo di conoscenza poggia sempre più, e in qualche modo dipende, dalla sintesi cognitiva che l’ipercorpo umano compie a partire dalle informazioni elaborate dai tre organi di senso (occhi, orecchie, mani), resi toti-potenti dalla tecnologia elettronico-digitale. Le protesi tecnologiche di cui l’uomo tecnocefalo dispone determinano la nascita della società cross-mediale, dove i media si “incrociano” tra loro, in un confronto che genera competizione, alleanze, conflitti,. . . Le notizie si rincorrono in un frenetico girotondo mediatico che circuisce gli ipercorpi degli umani tecnofili. L’euforia per il raggiungimento di un così alto grado tecnologico è a mio giudizio forse eccessiva e il fenomeno merita un’analisi critica. I nuovi media non sono solo a servizio dell’uomo, ma esercitano inevitabilmente un’azione manipolativa sull’uomo stesso, perché abusano dei suoi organi esterni più ingannevoli (gli occhi, le orecchie, le mani) e emarginano i suoi organi interni (intelletto, volontà, memoria). La conoscenza non è un processo riducibile all’esplorazione digitale, originata da spinte cognitive, dirette dal desiderio trisensoriale umano, ma necessita successivamente di una rielaborazione dell’intelletto, mosso dalla volontà e sostenuto dalla memoria dell’esperienza percepita dai sensi esterni. Nel mondo dei media digitali il processo cognitivo rischia di risolversi nell’esecuzione di un veloce algoritmo di ricerca (motore di ricerca “Google”), eseguito su un insieme di dati - acquisiti e condivisi - che impropriamente definiamo conoscenza e di esaurirsi nella scelta ideologicamente orientata della soluzione più veloce e socialmente più preferita. Sicché l’uomo ipervedente, iperudente e ipertattile, ipnoticamente connesso all’intelligenza collettiva, cade vittima del potere ideologico della tecnica.

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Come ci ricorda Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in Veritate (n. 70): «Il processo di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica, divenuta essa stessa un potere ideologico, che esporrebbe l’umanità al rischio di trovarsi rinchiusa dentro un a priori dal quale non potrebbe uscire per incontrare l’essere e la verità. In tal caso, noi tutti conosceremmo, valuteremmo e decideremmo le situazioni della nostra vita dall’interno di un orizzonte culturale tecnocratico, a cui apparterremmo strutturalmente, senza mai poter trovare un senso che non sia da noi prodotto. Questa visione rende oggi così forte la mentalità tecnicistica da far coincidere il vero con il fattibile. Ma quando l’unico criterio della verità è l’efficienza e l’utilità, lo sviluppo viene automaticamente negato». Inoltre, nella società cross-mediale, vittima del potere ideologico della tecnica è sempre più difficile trovare chi sappia raccontare “storie vere”, fotogrammi di vita quotidiana dello scenario nazionale ed internazionale, con passione, desiderio, stupore, poesia,… L’universo mediatico offre per lo più informazione liofilizzata, o notizie precotte, congelate, riscaldate, e servite con l’ingannevole condimento della “cronaca in diretta”. La stessa chiesa italiana sembra essere stata folgorata dall’illusione digitale al punto da promuovere convegni di studio dal tema “Testimoni digitali”, generando il pericoloso equivoco che sia possibile creare una “chiesa comunicazionale”. Occorre perciò con urgenza passare dalla stagione dell’illusione digitale di una “chiesa comunicazionale”, al varo di un’etica della comunicazione, che sappia educare all’uso dei media e della tecnologia digitale per evitare la minaccia del tecnocratismo della società cross-mediale.

L’informazione religiosa è, inoltre, evocata dai media con forti accenti scandalistici e spesso orientata ad attaccare la credibilità dei ministri di culto, fatti oggetto di dileggio e aspre critiche. I deplorevoli casi di condotta immorale di ministri di culto vengono trattati con accanimento mediatico, allo scopo di insinuare la falsa convinzione che ci sia coincidenza tra responsabilità individuale e responsabilità collettiva. Spesso trovano facili agevolazioni mediatiche prelati che desiderano rendere pubbliche e legittimare socialmente i comportamenti che violano gli obblighi che discendono dallo status giuridico-teologico sacerdotale. Il fenomeno, tra le altre, ha una motivazione economica. Il sistema mediatico, infatti, tratta l’informazione come una vera e propria “merce”. Il marketing informativo obbliga il sistema mediatico a trattare la “notizia” come un “prodotto” da creare, confezionare, mettere in vetrina e vendere. E poiché secondo un noto principio della “teoria delle comunicazioni” la negoziabilità di un evento è inversamente proporzionale alla probabilità dell’evento stesso e direttamente proporzionale alla notorietà del suo artefice, le vittime preferite del sistema mediatico sono coloro che massimizzano i due parametri, perché sono noti e perché attuano o sono accusati di aver attuato condotte socialmente esecrabili (prelati, politici, attori, sportivi,…). Se un personaggio pubblico è molto noto e ha un’alta visibilità è gioco facile prenderlo di mira e alla prima occasione buona gettarlo in pasto alla canea del sistema mediatico.

Salerno, 3.1.2011

prof. Nicola Di Bianco

Istituto Teologico Salernitano

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