Il celibato sacerdotale nell'insegnamento dei Pontefici. A cura del card. Piacenza per l'Osservatore Romano
Il celibato sacerdotale nell'insegnamento dei Pontefici
Pio XI e l'"Ad catholici sacerdotii"
Si è concluso mercoledì 26 ad Ars, in Francia, il colloquio sul tema "Il celibato sacerdotale, fondamenti, gioie, sfide". Nella giornata inaugurale, lunedì 24, l'intervento del cardinale prefetto della Congregazione per il Clero su "Gli insegnamenti del Papa sull'argomento: da Pio XI a Benedetto xvi". Pubblichiamo oggi la parte dedicata al magistero di Pio XI.
di Mauro Piacenza
È storicamente acclarata la vera e propria passione del Santo Padre Pio XI per le vocazioni sacerdotali e la sua indefessa opera per l'edificazione di seminari, in tutto l'orbe cattolico, nei quali potessero ricevere adeguata formazione i giovani che si preparavano al ministero sacerdotale.
All'interno di questa cornice deve essere adeguatamente compresa l'enciclica Ad catholici sacerdotii del 20 dicembre 1935, promulgata in occasione del 56° anniversario di ordinazione sacerdotale di quel Pontefice. L'enciclica si compone di quattro parti, le prime due dedicate più specificatamente ai fondamenti - dal titolo 1. "La sublime dignità: Alter Christus" e 2. "Fulgido ornamento" - mentre la terza e la quarta sono di carattere più normativo-disciplinare e concentrano la propria attenzione sulla preparazione dei giovani al sacerdozio e su alcune caratteristiche della spiritualità.
Di particolare interesse per il nostro argomento è la seconda parte dell'enciclica, che dedica un intero paragrafo alla castità. Esso tuttavia si colloca, nella seconda parte, dopo il paragrafo che parla del sacerdote come "imitatore di Cristo" e quello dedicato a "la pietà sacerdotale", mostrando, in tal modo, come la concezione del sacerdozio di Pio XI fosse - come la Chiesa sempre ritiene - quella di carattere ontologico-sacramentale. Da essa deriva l'esigenza dell'imitazione di Cristo e della eccellenza della vita sacerdotale, soprattutto in ordine alla santità. Afferma infatti l'enciclica: "Il Sacrificio eucaristico, in cui si immola la Vittima immacolata che toglie i peccati del mondo, in modo particolare esige che il sacerdote, con una vita santa e intemerata, si renda il meno indegno possibile di Dio, a cui ogni giorno offre quella Vittima adorabile, che è lo stesso Verbo di Dio incarnato per nostro amore". E ancora: "Siccome il Sacerdote è "ambasciatore di Cristo" (cfr. 2 Corinzi, 5, 20), egli deve vivere in modo da potere, con verità, far sue le parole dell'Apostolo: "siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo" (cfr. 1 Corinzi, 4, 16; 11, 1), deve vivere come un altro Cristo, che, col fulgore delle Sue virtù, illuminava e illumina il mondo".
Immediatamente prima di parlare della castità, quasi a sottolinearne l'inseparabile legame, Pio XI pone in evidenza l'importanza della pietà sacerdotale, affermando: "Noi intendiamo la pietà soda, la quale, non soggetta alle incessanti fluttuazioni del sentimento, si fonda sui principi della dottrina più sicura, ed è quindi formata di convinzioni salde, che resistono agli assalti e alle lusinghe della tentazione". Da tali affermazioni emerge con chiarezza, come la comprensione stessa del sacro celibato sia in stretta e profonda relazione con una buona formazione dottrinale, fedele alla sacra Scrittura, alla tradizione e all'ininterrotto magistero ecclesiale, e a un esercizio autentico della pietà, che oggi chiamiamo "intensa vita spirituale", al riparo sia dalle derive sentimentalistiche, le quali spesso degenerano nel soggettivismo, sia da quelle razionalistiche, altrettanto diffuse, le quali producono un criticismo scettico, ben lontano da un senso critico intelligente e costruttivo.
La castità, nell'enciclica Ad catholici sacerdotii, è definita come "intimamente congiunta con la pietà, da cui deve ricevere consistenza e splendore". Di essa c'è un tentativo di giustificazione razionale, secondo il diritto naturale, nell'affermazione: "Un certo nesso tra questa virtù [la castità] ed il Ministero sacerdotale, si scorge anche solo col lume della ragione: essendo Dio Spirito, appare conveniente che chi si dedica e si consacra al servizio di Lui, in qualche modo "si spogli del corpo"". A questa prima affermazione, che ai nostri occhi risulta oggi piuttosto fragile, e che, in ogni caso lega la castità alla purezza rituale e, conseguentemente, ne escluderebbe la permanenza, legandola ai tempi dei riti del culto, fa seguito il riconoscimento della superiorità del sacerdozio cristiano rispetto sia al sacerdozio dell'Antico Testamento, sia all'istituto sacerdotale naturale proprio di ogni tradizione religiosa.
L'enciclica, a questo punto, pone al centro della riflessione l'esperienza stessa del Signore Gesù, intesa come prototipica per ogni sacerdote. Afferma infatti: "L'alta stima in cui il Divino Maestro mostrò di avere la castità, esaltandola come cosa superiore alla comune capacità, (...) doveva quasi necessariamente far sì che i sacerdoti della Nuova Alleanza sentissero il fascino celestiale di questa eletta virtù, cercando di essere nel numero di quelli "ai quali è stato concesso di comprendere questa parola" (cfr. Matteo, 19, 11)".
È possibile, in queste affermazioni dell'enciclica, ravvisare una certa complementarietà tra l'intenzione di fondare la castità sacerdotale su esigenza di purezza cultuale, e la ben più ampia, e oggi maggiormente compresa, esigenza di presentarla come imitatio Christi, via privilegiata per imitare il Maestro, che visse esemplarmente in maniera povera, casta e obbediente.
Pio XI non tralascia, altresì, di citare i pronunciamenti dogmatici riguardanti l'obbligo della castità, e in particolare il concilio di Elvira e il secondo concilio di Cartagine, che, sebbene del iv secolo, testimoniano con ovvietà una prassi ben precedente, consolidata e che, pertanto, può essere tradotta in legge.
Con accento straordinariamente moderno, nel senso di immediatamente accessibile alla nostra mentalità, l'enciclica parla della libertà, con la quale si accoglie il dono della castità, affermando: "Diciamo "liberamente", poiché, se dopo l'Ordinazione non saranno più liberi di contrarre nozze terrene, all'Ordinazione stessa però accedono non costretti da alcuna legge o persona, ma di propria spontanea volontà". Potremmo dedurre, in risposta a talune obiezioni contemporanee, circa una presunta ostinazione della Chiesa nell'imporre ai giovani il celibato, che, il magistero autorevole di Pio XI, lo indicava quale esito della libera accoglienza di un carisma soprannaturale, che nessuno impone, né potrebbe imporre. Piuttosto la norma ecclesiastica va intesa come la scelta della Chiesa di ammettere al sacerdozio solo coloro che hanno ricevuto il carisma del celibato e che, liberamente, lo hanno accolto. Se è legittimo sostenere che, secondo il clima dell'epoca, il fondamento del celibato ecclesiastico nell'enciclica Ad catholici sacerdotii di Pio XI è posto piuttosto in ragioni, comunque valide, di purità rituale, nondimeno è possibile riconoscere nel medesimo testo un'importante dimensione esemplare sia del celibato di Cristo, sia della Sua libertà, che è la medesima a cui i sacerdoti sono chiamati.
(©L'Osservatore Romano - 27 gennaio 2011)
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