Laiche ragioni della libertà religiosa
di Ubaldo Casotto
«Il ventunesimo secolo o sarà religioso, o non sarà per nulla».
Non so se l’agnostico André Malraux volesse fare una profezia e con che spirito pronunciò questa frase, ma credo che oggi Benedetto XVI ne sottoscriverebbe la lettera. Soprattutto dopo l’escalation degli attacchi omicidi contro i cristiani in varie parti del mondo, l’ultimo contro una chiesa copta ad Alessandria d’Egitto.
Il Papa il suo nome sotto quell’affermazione l’ha di fatto già messo firmando il suo messaggio per la giornata mondiale della pace che si è celebrata ieri. Il titolo è inequivocabile: “Libertà religiosa, via per la pace”.
L’alternativa, per Joseph Ratzinger, è secca: o una vera libertà religiosa o una «minaccia alla sicurezza, alla pace» che comporta la rinuncia a «un autentico sviluppo umano integrale».
Il Papa lo dice sin dall’inizio del suo pontificato: l’alternativa alla libertà religiosa - che implica l’espressione pubblica della fede e il riconoscimento del ruolo della religione nell’agorà culturale, civile e politica - è una sottomissione sempre più grave dell’uomo al potere; una «visione riduttiva della persona umana» che genera «una società ingiusta perché non proporzionata alla vera natura della persona».
Se la vita di ogni singola persona non ha senso, non ha senso neanche la condanna della sua uccisione. Se non esiste una verità che dia significato all’esistenza singola e sociale, non ha verità la condanna degli attentati contro la libertà di ricercare questa verità. E infatti queste condanne, soprattutto quando si tratta di violenze contro i cristiani - «attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede» (Benedetto XVI) -, giungono sempre meno, hanno spesso il sapore del dovuto, quando la particolare efferatezza o le dimensioni dell’attacco non permettono l’indifferenza, ormai il triste tratto distintivo delle coscienze occidentali verso i loro progenitori spirituali e culturali.
Iraq, Cina, Pakistan, Egitto, Indonesia, Sudan, Nigeria, Turchia, India, Vietnam... l’elenco delle «regioni del mondo in cui non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertà personale» sta diventando tragicamente lungo. Ed è laicamente insopportabile che dei credenti - come ha detto Papa Ratzinger nel suo discorso all’Assemblea generale dell’Onu il 18 aprile 2008 - «debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti».
Sento già l’obiezione: la mano assassina contro i cristiani è armata da un altro Dio. È l’alibi di chi si professa campione del dialogo e non si accorge quando il dialogo avviene davvero. Sono frutto anche degli incontri di Assisi queste parole di Giovanni Paolo II per la Giornala mondiale della pace del 2002: «Il fanatismo fondamentalista è un atteggiamento radicalmente contrario alla fede in Dio. A ben guardare il terrorismo strumentalizza non solo l’uomo, ma anche Dio, finendo per farne un idolo di cui si serve per i propri scopi... Nessun responsabile delle religioni, pertanto, può avere indulgenza verso il terrorismo e, ancor meno, lo può predicare. È profanazione della religione proclamarsi terroristi in nome di Dio, far violenza all’uomo in nome di Dio». Non è nell’atteggiamento religioso la radice della volontà dell’eliminazione dell’altro (anche se per questa consapevolezza è stata necessaria la purificazione della storia), semmai nell’ideologia, come il secolo scorso ci ha drammaticamente documentato.
Ora, torna a ripetere Benedetto XVI, l’idolo contemporaneo si presenta con «due tendenze opposte, due estremi entrambi negativi: da una parte il laicismo, che, in modo spesso subdolo, emargina la religione per confinarla nella sfera privata; dall’altra il fondamentalismo, che invece vorrebbe imporla a tutti con la forza. In realtà, “Dio chiama a sé l’umanità con un disegno di amore che, mentre coinvolge tutta la persona nella sua dimensione naturale e spirituale, richiede di corrispondervi in termini di libertà e di responsabilità, con tutto il cuore e con tutto il proprio essere, individuale e comunitario”. Là dove si riconosce effettivamente la libertà religiosa, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice e, attraverso una sincera ricerca del vero e del bene, si consolida la coscienza morale e si rafforzano le stesse istituzioni e la convivenza civile. Per questo la libertà religiosa è via privilegiata per costruire la pace» (Angelus del 1° gennaio 2011). Capisco che queste parole suonino ostiche a molte orecchie occidentali, ma - per tornare a Malraux - non è e non sarà il relativismo culturale e morale o l’indifferenza verso la dimensione trascendente dell’uomo ciò che può fermare il fondamentalismo.
La dignità e la libertà della persona possono trovare fondamento solo nella sua dimensione trascendente. Se il singolo è totalmente determinato dai suoi antecedenti biologici, sociali o culturali, diventa di proprietà di chi possiede o sa determinare questi fattori: in ultima istanza il potere. Sia quello dei genitori, o della biotecnologia, o della politica. E non ha ragioni ultime per opporsi. Non ha dalla sua un diritto inalienabile da contrapporre all’allora inevitabile legge del più forte. C’è solo un caso in cui l’essere umano può invocare la sua insopprimibile libertà: il suo essere direttamente in rapporto con un fattore esterno al mondo, alla situazione storica, alle condizioni sociali. Il Papa parla di «apertura al Mistero», l’essenza di ogni religione. Non è casuale che ogni totalitarismo, più o meno esplicito, abbia sempre perseguitato la religione, incominciando col censurare la sua espressione pubblica.
Allora, la politica e la diplomazia, dice in sintesi il Papa, non possono essere indifferenti alla verità morale, anzi, debbono «promuoverla». Che cosa questo voglia dire viene ben declinato nel suo messaggio: «Vuol dire agire in maniera responsabile sulla base della conoscenza oggettiva e integrale dei fatti; vuol dire destrutturare ideologie politiche che finiscono per soppiantare la verità e la dignità umana e intendono promuovere pseudo-valori con il pretesto della pace, dello sviluppo e dei diritti umani; vuol dire favorire un impegno costante per fondare la legge positiva sui principi della legge naturale. Tutto ciò è necessario e coerente con il rispetto della dignità e del valore della persona umana, sancito nella Carta delle Nazioni Unite del 1945».
© Copyright Il Riformista, 2 gennaio 2011 consultabile online anche qui.
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