La cacciata degli infedeli
VITTORIO EMANUELE PARSI
Sono almeno due i piani di lettura che si possono scegliere per spiegare i gravissimi attentati anticristiani di Alessandria d’Egitto: il primo concentrato sulle peculiarità proprie del più importante dei Paesi arabi, il secondo più attento alle dinamiche complessive del Medio Oriente e al peggioramento generale delle condizioni di sicurezza (ma dovremmo dire di sopravvivenza) dei cristiani in tutto il mondo arabo e islamico.
Il mio punto di vista è che essi sono talmente intrecciati che devono essere tenuti contemporaneamente presenti se si vuole capire davvero la portata degli eventi cui stiamo assistendo.
Quello che appare essere in atto in tutto il Medio Oriente è una vera e propria spinta a omogeneizzare il tessuto sociale dal punto di vista religioso. Per lungo tempo il mondo musulmano ha conosciuto la piaga della rivolta contro i propri leader ritenuti corrotti e (intimamente) apostati da parte di movimenti che si autoproclamavano i soli interpreti autentici del messaggio del Profeta. Pensando all’Egitto, il pensiero corre immediatamente a Anwar el Sadat, il coraggioso presidente del viaggio a Gerusalemme che venne assassinato da appartenenti ai Fratelli Musulmani pochi anni dopo aver stipulato i primi accordi di pace con Israele. In campo sciita, con tutti i necessari distinguo, impossibile non ricordare la rivoluzione khomeinista, che portò alla caduta dello scià Reza Pahlavi e all’instaurazione della Repubblica islamica.
In realtà, quella della rivolta violenta e del tirannicidio è una pratica antichissima, risalente addirittura alla caduta del califfato ommayade nell’VIII secolo e al movimento dei kharigiti, che fin dalle origini della tradizione arabo-islamica (si ricordi che Maometto compì la sua predicazione nel VII secolo) ha contribuito a fornire piena legittimità alla violenza come strumento di lotta politica. Il «paradiso dei martiri» è sempre aperto: anche perché, nulla, o non molto, è cambiato nello stile di conduzione dei regimi politici della regione nel corso degli ultimi 1200 anni.
Poco importa che si richiamino a sempre più lontane e confuse rivoluzioni socialiste (l’Egitto), all’oscurantismo religioso (l’Arabia Saudita), o a un qualche pasticcio concettuale frutto della caduta violenta e per mano straniera del precedente tiranno (l’Iraq): resta il fatto che gli spazi effettivi di tolleranza e rispetto per la diversità e la sovranità individuale che tali regimi contemplano sono talmente irrisori da finire col contribuire a legittimare essi stessi la violenza di cui sono oggetto.
In quella che agli occhi dei fondamentalisti violenti è una fitna (una lotta interna al mondo musulmano contro gli apostati e gli eretici), da oltre un decennio è però divampata una vera e propria jihad il cui scopo è purificare la società dalla presenza cristiana. In parte questo è dovuto alla semplicistica sovrapposizione tra cristianesimo e Occidente, che ha accompagnato la progressiva marginalizzazione politica del primo e l’ascesa del secondo nel corso soprattutto del Novecento. Ma in parte è anche legata all’obiettivo di rendere religiosamente uniformi le società arabe, così che il messaggio che associa in maniera esclusiva la rivolta politica e la sua declinazione islamista radicale non trovi più alcun ostacolo.
D’altra parte, nei tanti regimi illiberali che da sempre costellano la regione, i cristiani avevano trovato protezione (e non diritti) in quanto comunità politicamente sottomessa al potere costituito, e non come individui, come del resto la stessa tradizione coranica e la lunga consuetudine della dominazione prima araba poi ottomana avevano loro insegnato. Ecco allora che è sempre stato particolarmente facile e odioso additarne i loro esponenti come «manutengoli» del tiranno, legati a lui ma estranei al corpo di una società beceramente immaginata e violentemente modellata come monolitica.
L’Egitto è tradizionalmente il Paese più importante del mondo arabo, il solo vero alleato (e non cliente) americano in quel mondo. Al Cairo Obama scelse di tenere il suo importante e infruttuoso discorso ai musulmani del mondo. A distanza di circa due anni da allora, il regime è sempre più avviluppato in una crisi di transizione di cui non vede un’uscita che possa essere auspicabile, dove l’introduzione di elezioni fantoccio ha contribuito a esasperare la tensione politica e sociale, e dove il futuro di una minoranza cristiana che risale a quasi duemila anni orsono appare sempre più nero.
© Copyright La Stampa, 2 gennaio 2011 consultabile online anche qui.
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