Ratzinger dà lezioni di Facebook al mondo
di VITTORIO MACIOCE
In principio era il Verbo. Era il 22 novembre 2001. Karol Wojtyla fece click sul tasto invio del suo pc portatile. Per la prima volta un documento pontificio, l’esortazione apostolica Ecclesia in Oceania, fu promulgato via e-mail alle diocesi del mondo. Quel giorno la parola viaggia verso il virtuale. Sono passati quasi dieci anni e ieri il suo successore, Benedetto XVI, alla giornata mondiale delle comunicazioni sociali, ha fatto i conti con la rivoluzione della grande rete.
Non è strano che il Papa parli di «social network». Il Cristianesimo è parola, racconto, parabola, piazza, incontro. La sua forza, nei secoli, è la capacità di narrare la storia, unica e necessaria, di un Dio che si fa uomo. E questo è un discorso che va al di là della fede. Il web è un mezzo straordinario per raccontare. La parola all’inizio si è accontentata del frammento, delle frasi spezzate, di un linguaggio spot e telegrafico, un discorso interrotto e spezzato ma di massa.
Non è stato facile orientarsi in questo mare. Non è semplice distinguere il vero dal falso. Le informazioni sono quasi infinite, i controlli random. L’ultima rivoluzione è la piazza virtuale. Non una piazza grande come il globo, ma tante piccole piazzette che si incrociano, si spostano, si rimandano l’una all’altra come un gioco di specchi esponenziali. Qui la parola è tutto. È carne. È identità. Benedetto XVI riconosce che questa rivoluzione sta cambiando il nostro modo di pensare, di percepirci, la nostra weltanschauung, la visione del mondo. «Le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa, per cui si può affermare che si è di fronte a una vasta trasformazione culturale. Con tale modo di diffondere informazioni e conoscere sta nascendo un nuovo modo di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione».
La piazza è comunione. È dialogo. È parola. Solo che qui, sul web, la faccia è indefinita. È appunto un avatar, una proiezione, qualcosa di meno artefatto di una maschera, ma che comunque resta rarefatta. È carne e anima. Ma in questa ambiguità rischia di superare il limite tra vero e falso. È verità e bugia. La domanda che i filosofi si pongono è quanto questa nuova dimensione sia umana. Lo è perché è un espressione dell’uomo, ma in qualche modo va oltre l’uomo. Il Papa entra in questa dimensione e fissa dei punti per orientarsi. Non è il Vangelo nell’era di internet. Non è una questione di fede. È qualcosa con cui l’uomo si sta confrontando.
Cosa dice Ratzinger? Non mascheratevi. Non rinnegate il vostro avatar. Non create falsi profili. «Nella ricerca di condivisione, di amicizie, ci si trova di fronte alla sfida dell’essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all’illusione di costruire artificialmente il proprio profilo pubblico». È Mefistofele in fondo che invita Faust a mascherarsi. È la perdita di se stessi il prezzo da pagare. Anche se poi tra i due quello più chiaro, quello che finge di meno, è proprio il povero diavolo. Mefistofele svela le sue intenzioni. Offre una merce e fissa il prezzo: l’anima. Quello che alla fine cambia le carte in tavola, l’ingannatore, è il furbo Faust. La tentazione di Facebook o di Second Life è diventare altro da sé. È il sogno, o la maledizione, di vivere sotto un’altra identità. Il peccato non è la menzogna. Non è l’inganno, ma l’alienazione.
È il rischio di vivere un’altra vita, di rinunciare a tutto, di sacrificare la carne per realizzarsi completamente come avatar. Qualcuno dirà che queste cose le persone «sane» non le fanno. Non è mica poi così scontato. Ci stiamo abituando all’idea del verosimile. L’importante non è che la storia sia vera o falsa, ma che sia razionale o ben raccontata. Una storia è vera quando il narratore è bravo, quando ha successo, quando è un simbolo. Il Papa è più cauto: «Dobbiamo essere consapevoli che la verità che cerchiamo di condividere non trae il suo valore dalla popolarità». Il Verbo sul web non va alla ricerca di contatti. Non si maschera. La storia più vera non è quella più condivisa.
© Copyright Il Giornale, 25 gennaio 2011 consultabile online anche qui.
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