Su segnalazione di Eufemia leggiamo:
OLTRE LA SOLITUDINE DI RIMPIANTI CENSURATI E DOLORI NASCOSTI
Lo sguardo che davvero serve sull’oscura ferita dell’aborto
MARINA CORRADI
C’era qualcosa, nel discorso del Papa alla Pontificia accademia per la vita di sabato, che forse nei titoli dei giornali è sfuggito. Certo, Benedetto XVI ha parlato nei termini rigorosi del magistero della Chiesa: aborto come violazione della coscienza morale, aborto che «distrugge la donna» e «acceca a coscienza». E però Benedetto XVI non si è fermato alla condanna.
Un’ampia parte del discorso si incentra sul 'dopo', su ciò che accade a una donna quando ormai la scelta è fatta, e quel figlio perduto. E qui il rigore del magistero, e quindi della verità che la Chiesa ritiene di dovere annunciare, lascia il posto alla carità. In uno sguardo su molte in quei milioni di donne che hanno abortito, e si ritrovano addosso, anche dopo molti anni, una oscura ferita. Ferita diffusa eppure quasi segreta, di cui pubblicamente non si parla. Non ne parlano gli uomini, perché non sanno, o non vogliono sapere; non ne parlano le donne, che avvertendo quel dolore come rigorosamente privato; oppure troppo cresciute nell’idea di aborto come 'diritto', per poterlo oggi chiamare dolore; troppo educate nell’idea di essere padrone assolute di sé, per ammettere che c’è infine qualcuno a cui di quel 'no' chiedere perdono. Il Papa chino, dunque, su questa ferita, comune a madri e a figlie, aperta eppure nascosta sotto a tante case, come un’acqua carsica che non si vede in superficie. Non con le povere parole con cui ci si consola fra noi, come si può – «è andata così, non potevi fare altrimenti, ormai è tardi, non pensarci più».( Le consolazioni fasulle che non leniscono, e anzi lasciano più sole). Di fronte a quel dolore, per il Papa non basta niente di meno di Dio. Un Dio che «non abbandona mai», ma che tenacemente continua a cercare chi se ne è andato.
Un Dio che parla nella voce della coscienza. (Dio è in quel non poter dimenticare, nel non lasciarsi pacificare da ragionevoli considerazioni; preme in quel ricordo dolente, che ritorna magari improvviso, quando ormai si è vecchie, guardando un bambino in carrozzina, per strada).
A queste donne sole con il loro censurato rimpianto Benedetto si rivolge riportando un passo della Evangelium vitae, in cui Giovanni Paolo II esortava quelle stesse donne a non scoraggiarsi, e a non abbandonare la speranza: «Sappiate – diceva – comprendere piuttosto ciò che si è verificato, e interpretatelo nella sua verità». Invito a dire a se stesse ciò che quell’aborto è stato, ad ammainare le bandiere di diritti e ideologie, e ogni rivendicazione delle magari concrete ragioni per quel 'no'; a dirsi che quello, semplicemente, era un figlio, e che per un simile male occorre un perdono che solo Dio può dare. Per quella ferita non basta nulla di meno della misericordia di Dio – tanto più grande della nostra giustizia di uomini. La nostra giustizia che assolve o condanna, ma non restituisce mai ciò che è stato, non sana l’innocenza offesa di una vittima, né la disperazione di un condannato. Invece la misericordia – «amore di viscere materne», nella radice ebraica – è un’altra giustizia, una divina 'giustizia', che ricrea. E dunque fra le righe di quel documento lo sguardo si allarga su tante donne; che un giorno, da ragazze, sole, o spaventate, o convinte di esercitare ciò che un indottrinamento capillare ha chiamato 'diritto', hanno rifiutato un figlio.
Magari poi ne hanno avuto uno, e hanno capito cos’era, quell’altro negato; oppure di bambini, magari ansiosamente cercati, non ne sono più arrivati, e quel ricordo ora somiglia a una condanna. E «non pensarci più», sanno dire solo gli altri, come chiudendo quel dolore nel recinto del nulla. Solo in Dio quel rimpianto non è un povero pensiero annichilito, ma è abbracciato, e anzi, scrisse Giovanni Paolo II, «alla sua misericordia potete affidare il vostro bambino». Che dunque è, e non sta nel niente.
Benedetto XVI lo ridice con le parole del suo predecessore, tanto amato, e non solo dai credenti. Come avvalendosi della testimonianza di un fratello maggiore. Quasi usando quel volto così caro come quello di un forte testimone; nel chinarsi di nuovo su una ampia, taciuta ferita.
© Copyright Avvenire, 1° marzo 2011
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