«Fosse Ardeatine, qui è stato offeso Dio»
Il Papa in ginocchio sulle tombe: «Violenza deliberata dell’uomo sull’uomo»
di FRANCA GIANSOLDATI
ROMA - Ad un tratto è arrivato il silenzio e gli unici rumori percettibili al sacrario delle Fosse Ardeatine sono stati la scarica meccanica dei flash dei fotografi e il cinguettio degli uccellini sui cipressi.
Tutti gli occhi erano fissi sul Papa tedesco che parlava dell’eccidio nazista del 24 marzo di 67 anni fa. La gente assiepata a grappoli dietro le transenne non fiatava. I membri della delegazione sembravano immobili, il rabbino di Segni assorto, alcuni dei familiari delle vittime avevano il volto rigato. Persino la vivacità dei bambini per un momento ha lasciato il passo alla consapevolezza di assistere ad un momento solenne. Unico.
«Ciò che è avvenuto qui è una offesa gravissima a Dio, perchè è la violenza deliberata dell’uomo sull’uomo». Anche Paolo VI nel 1965 e Giovanni Paolo II nel marzo del 1982 vollero recarsi a pregare davanti alle tombe delle 335 persone uccise in rappresaglia all’attentato di Via Rasella dove 33 soldati tedeschi persero la vita.
Papa Ratzinger, volto afflitto e sguardo assorto, fa subito sua la frase di un graffito ritrovato su una parete di Via Tasso, il famigerato palazzo delle torture delle Ss. «Credo in Dio e nell’Italia, credo nella resurrezione, dei martiri e degli eroi, credo nella rinascita, della patria e nella libertà del popolo: queste parole - ha detto - sono il testamento spirituale di una persona ignota che in quella cella fu imprigionata e dimostrano che lo spirito umano rimane libero anche nelle condizioni più dure». Il percorso dal Vaticano alla via Ardeatina, nei pressi delle catacombe, sul luogo dell’eccidio, per il Papa tedesco per certi versi sarà sembrato lunghissimo, carico di significati anche personali in virtù della sua nazionalità di appartenenza, del senso di colpa collettivo che portano dentro coloro che hanno vissuto quegli anni terribili in Germania e perchè da ragazzino, come tutti i coetanei, ha dovuto indossare la divisa bruna della Hitlerjugend.
«Come i miei predecessori sono venuto qui a pregare e rinnovare la memoria». Sguardo assorto e volto afflitto, una volta sceso dalla limousine blindata, Benedetto XVI ha prima deposto un enorme mazzo di rose rosse davanti alla lapide nel piazzale antistante il sacrario e poi, arrivato dentro, ha sostato in silenzio per qualche minuto su un inginocchiatoio. Il rabbino di Segni ha intonato il Kaddish, la preghiera funebre. Poco più in là hanno trovato posto la presidente dell’Anfim Rosina Stame, il rabbino Alberto Funaro e il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo che ha raccontato per filo e per segno al pontefice cosa accadde nel marzo del 1944. Aveva 18 anni e fu testimone diretto di momenti terribili, come quando dovette procedere all’esumazione del cadavere di suo padre e al suo riconoscimento. La signora Stame, invece, aveva solo 6 anni quando suo padre Nicola Ugo, dopo due mesi di prigionia in via Tasso, fu trucidato nelle cave di pozzolana. Tutte storie di strazio e di dolore. Alle Ardeatine il rabbino Funaro perse uno zio che portava il suo stesso nome e un altro familiare. Il cardinale Montezemolo ha evocato il perdono, raccondando che una delle sue sorelle ha scritto alcune lettere a Priebke, il capitano delle Ss agli arresti domiciliari per la strage. L’insegnamento che ne trae Benedetto XVI è solo uno: «In questo doloroso memoriale del male più orrendo, la risposta più vera è quella di prendersi per mano, come fratelli»
© Copyright Il Messaggero, 28 marzo 2011
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