«Portiamo il Vangelo nella cultura digitale»
L’appello del Papa: «Nel mondo dei media i credenti sono chiamati ad aprire orizzonti di senso e di valore»
DI MATTEO LIUT
La cultura digitale «pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza ». E «non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo ».
È un appello ben preciso quello lanciato ieri da Benedetto XVI durante l’udienza con i partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, riunita a Roma fino a giovedì sul tema «Linguaggio e comunicazione».
Un discorso che il Pontefice ha aperto ricordando il suo Messaggio per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, nel quale nota che «le nuove tecnologie non solamente cambiano il modo di comunicare, ma stanno operando una vasta trasformazione culturale. Si va sviluppando un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e costruire comunione». I nuovi media, però, non modificano solo alcuni aspetti superficiali della comunicazione ma incidono sul «contesto vivente e pulsante nel quale i pensieri, le inquietudini e i progetti degli uomini nascono alla coscienza e vengono plasmati in gesti, simboli e parole», il linguaggio. Ecco perché essi «stanno trasformando l’ambiente culturale».
Internet, i social network, le nuove tecnologie, insomma, non offrono solo nuove opportunità a chi ne fa uso, ma influiscono anche sulla vita di chi non conosce o non è presente su questi strumenti. Certo, anche se la comunicazione digitale determina nuovi linguaggi e nuove modalità relazionali, non mancano i rischi: «la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità », ricorda il Papa. Ma questi rischi non sono intrinseci ai mezzi della comunicazione, quanto piuttosto «la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni ». Ecco perché «la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente», secondo la «metodologia» insegnata dalla Rivelazione. Dio, infatti, «ha comunicato le sue meraviglie proprio nel linguaggio e nell’esperienza reale degli uomini».
Il compito di gettare un ponte tra cultura, società e vita spirituale spetta anche alla teologia, che non può essere «estranea ai cambiamenti culturali in atto». «Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo – ha sottolineato Ratzinger –: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo ». Per quanto riguarda il rapporto con le macchine, poi, citando un discorso del 1964 di Paolo VI, Benedetto XVI ha ricordato «il legame profondo con lo spirito a cui la tecnologia è chiamata per vocazione». L’invito, infine, è quello di evitare «facili entusiasmi o scetticismi». Perché lo sforzo più autentico per promuovere una «comunicazione veramente umana» deve essere «l’appello ai valori spirituali». E ancora una volta il modello, anche nel mondo della comunicazione, può essere trovato nelle Sacre Scritture: «La comunicazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità – ha detto il Papa –, come testimoniano le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzione linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino».
Il contributo dei credenti allora, conclude il Papa indicando in Matteo Ricci un esempio per tutti i «comunicatori», «potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare».
© Copyright Avvenire, 1° marzo 2011
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