Wojtyla ha ridato speranza ai cristiani
ANDREA TORNIELLI
«Giovanni Paolo II è beato per la sua fede, forte e generosa, apostolica», ha spiegato Benedetto XVI domenica mattina, quando, visibilmente lieto di poter elevare il predecessore sugli altari appena sei anni dopo la morte, ne ha rievocato la figura.
Ratzinger, nel tracciare in sintesi un bilancio del pontificato wojtyliano, lo ha presentato come fortemente radicato nel Concilio. Ha citato il testamento di Wojtyla, dove il Vaticano II viene definito un «grande dono» dal quale le nuove generazioni «ancora a lungo» potranno attingere «ricchezze». Un «grande patrimonio», una «grandissima causa» (son sempre parole tratte dal testamento) che Giovanni Paolo II era riconoscente a Dio di aver potuto servire.
La «grandissima causa», ha spiegato Benedetto XVI, è quella di aprire «a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile». Wojtyla, ha detto ancora il suo successore, «ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia di libertà».
Quando nell’ottobre 1978, a sorpresa, i cardinali elessero sul soglio di Pietro il giovane arcivescovo di Cracovia, la secolarizzazione appariva come un fenomeno inarrestabile, e le speranze erano ancora da molti riposte nel marxismo e nelle sorti progressive dell’umanità. La religione era considerata un fenomeno in via di estinzione. Giovanni Paolo II, ha spiegato Ratzinger nell’omelia della messa di beatificazione, ha «dato al cristianesimo un rinnovato orientamento al futuro, il futuro di Dio, trascendente rispetto alla storia, ma che pure incide sulla storia». E ha rivendicato alla fede cristiana «quella carica di speranza che era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all’ideologia del progresso».
Parole che prendono atto che marxismo e progressismo sono stati per intere generazioni termini reali di speranza, e affermano che la forza attrattiva esercitata dallo stesso marxismo nell’umanità sofferente era in un certo senso ricavata, in modo quasi parassitario, dal cristianesimo. Nella lettura di Ratzinger, una Chiesa che allora poteva sembrare quasi rassegnata a vivere una subalternità nei confronti delle correnti di pensiero moderne, ha trovato nel Papa venuto dall’Est un «gigante» che ha rivendicato al cristianesimo una spinta propulsiva in grado anche di abbracciare l’impeto di rivolta verso le ingiustizie e le violenze subite nella storia dai più deboli. In questa chiave, nobilitante rispetto a letture politiche di corto respiro, va interpretato, secondo il suo successore, il ruolo giocato da Wojtyla nei confronti del comunismo e poi, dopo la caduta del Muro di Berlino, nella denuncia degli effetti di un capitalismo senza più antagonisti.
© Copyright La Stampa, 3 maggio 2011 consultabile online anche qui.
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martedì 3 maggio 2011
3 commenti:
Ci siamo trasferiti ad altro indirizzo
:-)
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Ciao, Raffa!
RispondiEliminaCome ben immagini l'uccisione di Bin Laden ha contribuito a ridimensionare di molto lo spazio dato alla betificazione.
Accattoli sul corrierone evidenzia l'umiltà di Benedetto e il suo deliberato farsi piccolo per esaltare il predecessore.
Politi sul Fatto ridimensiona i numeri dell'evento. Nulla sulla "piccolezza" di Benedetto al punto che mi sorge il dubbio che pure lui volesse evidenziare il volersi far piccolo del nostro Benedetto.
Sempre sul Fatto Massimo Fini critica la Chiesa del Papa popstar e conclude lapidario che Wojtyla è stato popolare come oggi può esserlo una grande popstar, ma che, dal punto di vista spirituale, la sua parola ha avuto il peso di quella di una popstar, o poco più.
Alessia
Grazie, Alessia :-)
RispondiEliminaR.
massimo fini se non sbaglio è un grande ammiratore del mullah omar, su cui ha scritto un libro
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