Il Papa all'udienza generale: l'uomo vinca la tentazione di costruirsi un "dio" secondo i propri schemi
L’episodio del “vitello d’oro” raccontato nel Libro dell’Esodo è stato il filo conduttore dell’udienza generale di questa mattina, presieduta da Benedetto XVI in Piazza San Pietro davanti a 20 mila persone. Il Papa ha riflettuto ancora una volta sulla forza della preghiera di intercessione, in particolare sul modo in cui Mosè ha convinto Dio a non punire il popolo ebreo, che gli aveva preferito un idolo. Al termine dell’udienza, Benedetto XVI ha chiesto preghiere per il suo imminente viaggio apostolico in Croazia. Il servizio di Alessandro De Carolis:
È indubbio che il popolo ebreo in marcia verso la Terra promessa debba a Mosè il fatto di essere stato protetto da Dio nei mille pericoli che hanno costellato la sua lunghissima impresa. Dalla libertà iniziale implorata e ottenuta dal Faraone, alle continue preghiere levate via via perché lebbra, fuoco, serpenti, ma anche paura e ribellione, non infrangessero l’Alleanza tra Dio e il popolo eletto, in ogni circostanza – ha affermato Benedetto XVI – Mosè brilla “come mediatore di salvezza per Israele”. Un episodio più degli altri è emblematico, quello del “vitello d’oro”. La storia è nota: mentre sulla cima del Sinai Dio consegna a Mosè le Tavole della Legge, a valle gli ebrei rumoreggiano. “Stanco di un cammino con un Dio invisibile”, ora che anche “Mosè, il mediatore, è sparito”, il popolo, ricorda il Papa, chiede “una presenza tangibile”, un 'dio' “accessibile, manovrabile, alla portata dell’uomo”:
“È questa una tentazione costante nel cammino di fede: eludere il mistero divino costruendo un dio comprensibile, corrispondente ai propri schemi, ai propri progetti. Quanto avviene al Sinai mostra tutta la stoltezza e l’illusoria vanità di questa pretesa perché, come ironicamente afferma il Salmo 106, ‘scambiarono la loro gloria con la figura di un toro che mangia erba’”.
Dio comunica di voler punire gli israeliti che hanno tradito la sua benevolenza; Mosè reagisce invocando clemenza in un gioco che ricorda quello tra Dio e Abramo quando si tratta della salvezza di Sodoma e Gomorra. Un gioco nel quale – spiega Benedetto XVI - è il Creatore a volere in realtà che sia la creatura a rivelare, attraverso la sua supplica, che il perdono è l’unico “desiderio di Dio”:
“Questa è la salvezza di Dio, che implica misericordia, ma insieme anche denuncia della verità del peccato, del male che esiste, così che il peccatore, riconosciuto e rifiutato il proprio male, possa lasciarsi perdonare e trasformare da Dio. La preghiera di intercessione rende così operante, dentro la realtà corrotta dell’uomo peccatore, la misericordia divina, che trova voce nella supplica dell’orante e si fa presente attraverso di lui lì dove c’è bisogno di salvezza”.
Benedetto XVI si sofferma sugli argomenti che Mosè porta per convincere Dio. Ad esempio, che l’aver liberato Israele dagli egiziani, per poi farlo morire nel deserto, potrebbe indurre il popolo a ritenere Dio “incapace di vincere il peccato e di mostrarsi più forte del male:
“L’opera di salvezza iniziata deve essere completata; se Dio facesse perire il suo popolo, ciò potrebbe essere interpretato come il segno di un’incapacità divina di portare a compimento il progetto di salvezza. Dio non può permettere questo: Egli è il Signore buono che salva, il garante della vita, è il Dio di misericordia e perdono, di liberazione dal peccato che uccide. E così Mosè fa appello a Dio, alla vita interiore di Dio contro la sentenza esteriore”.
Mosè, prosegue il Papa, non è dunque preoccupato solamente della salvezza del suo popolo, bensì del “nome” di Dio, che cioè la sua promessa si riveli in tutta la sua “verità”:
“L’intercessore infatti vuole che il popolo di Israele sia salvo, perché è il gregge che gli è stato affidato, ma anche perché in quella salvezza si manifesti la vera realtà di Dio. Amore dei fratelli e amore di Dio si compenetrano nella preghiera di intercessione, sono inscindibili. Mosè, l’intercessore, è l’uomo teso tra due amori, che nella preghiera si sovrappongono in un unico desiderio di bene”.
Nel chiedere di perdonare Israele, Mosè – afferma Benedetto XVI – “si appella alla fedeltà di Dio”, senza minimamente di preoccuparsi di se stesso. Mosè, dice, è “mediatore di vita”, l’intercessore “che solidarizza con il suo popolo”:
“L’intercessore non accampa scuse per il peccato della sua gente, non elenca presunti meriti né del popolo né suoi, ma si appella alla gratuità di Dio: un Dio libero, totalmente amore, che non cessa di cercare chi si è allontanato, che resta sempre fedele a se stesso e offre al peccatore la possibilità di tornare a Lui e di diventare, con il perdono, giusto e capace di fedeltà”.
In un intenso finale pronunciato a braccio, il Papa conclude la catechesi rammentando come anche questa pagina dell’Antico Testamento riporti al Nuovo, alla figura del vero mediatore inviato da Dio una volta per tutte per salvare l’umanità di tutti i tempi, non con l’imposizione di una legge, ma con l’offerta della propria vita:
“In Mosè, che sta sulla cima del monte faccia a faccia con Dio e si fa intercessore per il suo popolo e offre se stesso (…) i Padri della Chiesa hanno visto una prefigurazione di Cristo, che sull'alta cima della croce realmente sta davanti a Dio, non solo come amico ma come Figlio (…) la sua intercessione è non solo solidarietà, ma identificazione con noi: porta tutti noi nel suo corpo. E così tutta la sua esistenza di uomo e di Figlio è grido al cuore di Dio, è perdono, ma perdono che trasforma e rinnova”.
Di rilievo, fra i saluti nelle varie lingue, quello in lingua polacca nel quale Benedetto XVI è tornato a parlare della Beatificazione di Giovanni Paolo II, indicandolo ai giovani come loro “padre”, “guida” e “amico” e ricordando la sua perseveranza nella preghiera e la sua apertura verso ogni uomo.
Poi, in lingua croata, il Papa ha fatto cenno all’imminente viaggio apostolico a Zagabria del 4 e 5 giugno prossimi per la Giornata delle famiglie cattoliche croate:
“Dok s radošću iščekujem taj susret...
Mentre attendo con gioia questo incontro, vi invito a pregare affinché il mio viaggio in quella cara terra porti molti frutti spirituali e le famiglie cristiane siano sale della terra e luce del mondo”.
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