Verso il Congresso eucaristico italiano
È allora che avviene la Chiesa
di Inos Biffi
Se nel Corpo dato di Gesù e nel Sangue sparso si ritrova il compimento della «grazia», si comprende che, «alla vigilia della sua passione» (Anafora i) egli non abbia affidato agli uomini -- e ora, quale Signore risorto, non continui ad affidare -- altro, se non se stesso nell'atto del suo sacrificio pasquale. Tutti gli uomini, senza eccezione, ne abbisognano, per essere conformi al progetto divino. In riferimento al suo Corpo e al suo Sangue Gesù dice agli apostoli: «Prendete e mangiate»; «Prendete e bevete» (Matteo, 26, 26-28).
Ma che significa: «mangiare» il Corpo di Cristo dato e «bere» il suo Sangue sparso? Significa assumere e iscrivere realmente in sé la sorte di Gesù Cristo. Vuol dire diventarne consorti.
In tal modo la predestinazione eterna dell'uomo nel Figlio risorto da morte si avvera nella storia singolare. L'uomo che «mangia la carne» e «beve il sangue» di Cristo (Giovanni, 6, 53-57) diviene solidale con lui nell'evento del suo sacrificio e quindi nell'oggettiva speranza della risurrezione. Nell'Eucaristia, scrive Tommaso d'Aquino, «è portata a compimento l'unione tra l'uomo e il Cristo della passione» o il «Cristo che ha patito» (Summa Theologiae, III, 73, 3, 3m).
Più analiticamente. Mediante la «comunione con il corpo di Cristo» e la «comunione al sangue di Cristo» (1 Corinzi, 11, 16), l'uomo riceve in sé l'amore con cui il Padre lo ha mirabilmente amato donandogli il Figlio crocifisso, divenendo «figlio nel Figlio»: l'Eucaristia -- dichiara san Tommaso attingendo alla teologia greca -- è «un cibo capace di rendere divino l'uomo e di inebriarlo della divinità» (Super Evangelium sancti Ioannis lectura, n. 972). Ancora, nella comunione l'uomo accoglie l'amore con cui lo ama Gesù Cristo, che si consegna a lui e lo serve nell'intensità della carità della croce; si fa partecipe dell'adorazione e della carità filiale di Gesù, lasciandosi offrire in sacrificio con lui e offrendo al Padre l'immolazione stessa del Signore: l'Eucaristia è il vertice del culto cristiano, «il sacrificio della Chiesa» (Summa Theologiae, III, 63, 6, c); entra a far parte della carità fraterna di Gesù Cristo, che ha donato la sua vita per la moltitudine e diventa a sua volta capace di amore vero.
Così, in virtù della comunione alla «mensa del Signore», l'uomo, il credente, ottiene tutto l'inesauribile valore del sacrificio della croce. Come osserva Tommaso d'Aquino: «Ciò che è rappresentato attraverso questo sacramento è la passione di Cristo; per ciò esso produce nell'uomo l'effetto che la passione di Cristo ha prodotto nel mondo. È il motivo per cui, a commento del passo di Giovanni 19, 34: “Subito uscì sangue e acqua”, il Crisostomo dice: “Poiché da qui hanno avuto inizio i sacri misteri, quando ti accosti al tremendo calice, accostati esattamente come per bere dallo stesso costato di Cristo”» (Ibidem, III, 79, 1, c).
A quella mensa è, dunque, elargita all'uomo -- al credente -- «la redenzione mediante il sangue [di Cristo], la remissione dei peccati, secondo la ricchezza della sua grazia» (Efesini, 1, 7), in modo tale da risultare in Cristo a sua volta uomo nuovo e riscattato, ossia un Adamo conforme a Cristo. In questa comunione è rivissuto il mistero della passione e della morte del Signore, che è condizione e pegno di risurrezione.
«L'effetto proprio di questo sacramento -- dichiara san Tommaso -- è la conversione dell'uomo in Cristo, in modo che dica con l'Apostolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”» (In quartum sententiarum, 12, 2, 1, sol. 1). «Il corpo di Cristo non viene mutato in colui che lo mangia, ma lo muta in se stesso spiritualmente» (In quartum sententiarum, 12, 1, 2, sol. v). La comunione eucaristica fonda così l'imitazione reale imprescindibile, la concreta sequela di Cristo, il prosieguo nella vita del destino di Gesù Cristo, che è identicamente il destino di ogni uomo.
Gesù ha istituito l'Eucaristia perché ogni uomo muoia con lui per risorgere con lui. Certo, deve trattarsi di una comunione «spirituale»: ossia di una comunione che, mediante l'assunzione del sacramento, ne raggiunge la «realtà». Ci sono, infatti, due modi -- secondo Tommaso d'Aquino -- di ricevere il corpo e il sangue di Cristo: l'uno puramente sacramentale, l'altro anche spirituale.
Col primo si riceve «solo il sacramento, senza il suo effetto»; col secondo si assume il sacramento e la sua efficacia profonda, la sua res: allora abbiamo la «manducazione spirituale nella quale si percepisce l'effetto di questo sacramento, consistente nell'unione con Cristo attraverso la fede e la carità» (Summa Theologiae, III, 80, 1, c).
«Mangiare Cristo spiritualmente significa essere incorporati a lui, il che avviene mediante la fede e la carità» (In quartum sententiarum, 9, 1, 2, sol. iv).
E «tutti sono tenuti a mangiare almeno spiritualmente, dal momento che questo significa essere incorporati a Cristo. Senza il desiderio di ricevere questo sacramento non ci può essere salvezza per l'uomo» (Summa Theologiae, III, 80, 11, c). D'altra parte, «chi mangia e beve spiritualmente, diviene partecipe dello Spirito Santo, per mezzo del quale siamo uniti a Cristo con l'unione della fede e della carità e diventiamo membra della Chiesa» (Super Evangelium sancti Ioannis lectura, n. 973).
Siamo partiti dal luogo e dal momento dell'Ultima Cena, profezia reale del sacrificio della croce. Ci siamo quindi portati a questo sacrificio, dal quale siamo stati rimandati alla sua attuale presenza, o al suo sacramento, quando il Corpo dato e il Sangue sparso, ossia il destino di Cristo, sono assunti e condivisi.
Esattamente allora avviene la Chiesa, e, avvenendo la Chiesa, l'Eucaristia raggiunge il suo fine e appare riuscita. Ora, la Chiesa è esattamente l'umanità che, ricevendo il Corpo e il Sangue del Signore, muore con lui e nella condivisione della sua morte inizia la risurrezione. O anche: la Chiesa è l'umanità in cui, grazie all'Eucaristia, convive tutto il mistero di carità di cui il Crocifisso è «simbolo». O ancora: è l'umanità riscattata, che si offre con Cristo al Padre e con lui lo adora; l'umanità dove opera la fraternità e il servizio della croce.
In questo senso si deve dire che la Chiesa nasce dall'Eucaristia -- sacramento del sacrificio pasquale -- e insieme ne è il fine e il frutto. Sempre secondo Tommaso: «Effetto di questo sacramento è l'unione del popolo cristiano a Cristo»; o «popolo congiunto con Cristo» (Summa Theologiae, III, 74, 6, c); il suo significato quanto al presente è «l'unità ecclesiastica, alla quale gli uomini sono associati grazie a questo sacramento, per cui viene denominato comunione o sinassi» (Ibidem, III, 73, 4, c); nell'Eucaristia «il popolo viene incorporato a Cristo» (Ibidem, III¸74, 8, 2m). L'Eucaristia «riesce» nella Chiesa. E la Chiesa è la memoria viva di Gesù. È, quindi, a sua volta, il Corpo dato e il Sangue sparso, e quindi la continuità e l'evidenza reale della tradizione di Gesù, simboleggiata nella sua lavanda dei piedi all'Ultima Cena (Giovanni, 13, 2.17). Per questo la Chiesa è la «novità» di ogni Eucaristia.
Il sacrificio di Cristo non è rinnovato, perché è intramontabilmente nuovo; continuamente rinnovata da quel sacrificio è invece la Chiesa. Ogni Eucaristia è destinata a far emergere la Chiesa in sacrificio con lui; essa è la sua nuova offerta. Essa -- diceva sopra san Tommaso -- «è un cibo capace di rendere divino l'uomo e di inebriarlo della divinità». E aggiunge: «Lo stesso vale in rapporto al corpo mistico -- qui solo significato -- se chi si comunica diviene partecipe dell'unità della Chiesa» (Super Evangelium sancti Ioannis lectura, n. 972).
Ancora l'Angelico: «Chi mangia la carne di Cristo e beve il sangue spiritualmente diviene partecipe dell'unità ecclesiale, che si attua con la carità, secondo Romani, 12, 5: “Voi tutti siete un solo corpo in Cristo”. Chi invece non mangia in questo modo si trova fuori dalla Chiesa, e di conseguenza fuori dalla carità, per cui non ha la vita in se stesso, secondo 1 Giovanni, 3, 4: “Chi non ama rimane nella morte”» (Ibidem, n. 969).
D'altra parte, è anche vero che la Chiesa «fa» l'Eucaristia. Nell'Ultima Cena Cristo si è consegnato agli apostoli e alla loro fede. Si è «confidato» alla Chiesa come alla sua Sposa. In lei, mediante il ministero sacerdotale, è celebrata l'Eucaristia ed è sacramentalmente ripresentato e ricevuto il corpo e il sangue del Signore.
È la Chiesa -- immediatamente nella figura degli apostoli e dei loro successori -- che ha ricevuto il mandato della memoria e la grazia per poterla efficacemente attuare. Essa non acquista mai la signoria e la «proprietà» del Corpo e del Sangue del Signore: li potrà sempre e solo ricevere dal Padre e da Cristo in virtù dello Spirito. Questo Corpo e questo Sangue le saranno ogni volta donati nella misura della sua premurosa docilità al mandato, della sua fedeltà e del suo affetto sponsali. Lo stesso ministero, tutto esercitato in persona Christi -- nel nome di Cristo e per la presenza della sua grazia -- significherà questo fedele e memore amore della Chiesa, che riconosce nel corpo e nel sangue del convito eucaristico tutto il suo bene.
Annota Tommaso: «Nel sacramento dell'Eucaristia è sostanzialmente contenuto il bene comune spirituale di tutta la Chiesa» (Summa Theologiae, III, 65, 3, 1m) la quale lo riceve nell'attesa della venuta del Signore. È la ragione per la quale l'Eucaristia è il sacramento della speranza della Chiesa. Nella «frazione del pane», mentre commemora la passione del Signore e la condivide, la Chiesa ne attende la venuta (1 Corinzi, 11, 26) nella speranza di condividere con lui la risurrezione. La celebrazione eucaristica è in questo tempo l'intrattenimento più intimo e più gioioso della Chiesa col Risorto.
Per questo l'Eucaristia è il sacramento dell'obiettiva e sicura speranza della Chiesa. Al riguardo splendidamente di nuovo Tommaso osserva: «Cristo, durante il tempo di questo nostro pellegrinaggio, non ci ha privati della sua presenza corporale, ma in questo sacramento ci unisce a sé attraverso la verità del suo corpo e del suo sangue»; ora, «una così familiare unione di Cristo con noi, rende questo sacramento il segno del massimo amore e il sostegno della nostra speranza» (Ibidem, III, 75, 1, c). Mentre nell'Adoro te devote cantava: «O Gesù, che ora scorgo ancor velato, quando si avvererà quello di cui ho tanta sete? Cioè di contemplarti apertamente e quindi di essere beato nella visione della tua gloria».
(©L'Osservatore Romano 31 luglio 2011)
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