Una nuova pastorale in Germania
Il cardinale Paul Josef Cordes racconta il viaggio di Benedetto XVI
di Gianluca Biccini
Entweltlichung. Per il cardinale Paul Josef Cordes, presidente emerito del Pontificio Consiglio Cor Unum, è la parola chiave del recente viaggio del Papa in Germania, al quale egli ha partecipato come membro del seguito. In italiano questa parola non ha un corrispettivo preciso. Si può tradurre con l'espressione «distacco dal mondo».
Nel messaggio del Papa ai cattolici tedeschi ha assunto, secondo il cardinale, un significato ancora più profondo: «tagliare coraggiosamente ciò che vi è di mondano nella Chiesa» dal coinvolgimento con la politica sino a un'ingiustificata attenzione al denaro. «Io credo -- dice il porporato in questa intervista al nostro giornale -- che indicando queste forme di inquinamento che danneggiano la limpidezza dell'evangelizzazione il Papa abbia voluto certamente fare riferimento alla struttura potente delle Chiese germaniche, ma sarebbe limitativo pensare che egli non avesse in mente analoghe situazioni che si manifestano anche oltre la Germania».
Berlino, Erfurt, Friburgo: quale delle tre diocesi visitate dal Papa ha riacceso in lei più ricordi del passato?
Senza dubbio è Berlino la città che nella mia storia personale ha avuto maggiore importanza. Mi vengono in mente alcuni episodi: Nell'agosto 1961 facevo parte di un gruppo di diaconi invitati dal vescovo a visitare quella diocesi proprio quando è iniziata la costruzione del Muro. Questo evento suscitava una certa preoccupazione, perché non si poteva sapere come avrebbero reagito gli Alleati a questa dimostrazione di ostilità. Ma noi siamo andati contro i consigli di famigliari e amici. Infatti, tutto il nostro gruppo, in veste talare, ha attraversato la frontiera tra ovest ed est per visitare un ospedale cattolico, provocando commenti molto pungenti tra i soldati delle garitte. Anni dopo, da giovane sacerdote, insieme a un piccolo gruppo di seminaristi abbiamo incontrato dei giovani di una parrocchia della Berlino comunista, scambiandoci le nostre esperienze e dimostrando la nostra vicinanza ecclesiale. Un ultimo ricordo: nella prima parte degli anni Settanta ho predicato un ritiro per confratelli sacerdoti a Berlino est. Ogni giorno, dovevo superare i controlli di frontiera, che sia di mattina sia di sera duravano almeno un'ora. Temevo anche di finire nelle liste delle persone sospette, perché facevano sempre segni sul mio passaporto con l'inchiostro simpatico. Ma malgrado tutti i tentativi del Governo di interrompere i contatti tra le due parti della patria, mi sembrava sempre che il contatto con i fratelli nella fede avesse un grande valore, soprattutto per loro che si sentivano praticamente in prigione.
Avrà certamente respirato aria nuova.
Effettivamente la recente visita del Papa mi ha dato la grande gioia di vedere che adesso sono tutti liberi, e non da ultimo grazie alla resistenza dei cristiani e alla dinamica rivoluzionaria di Giovanni Paolo II e del sindacato polacco di Solidarność.
Qual è stato l'avvenimento più significativo di questo viaggio?
Ritengo che il viaggio abbia avuto due momenti memorabili. Il primo la conferma nella nostra fede. In questo senso sottolineerei la celebrazione della messa nel famoso stadio Olimpico di Berlino, alla presenza di decine di migliaia di partecipanti. Il saluto così cordiale del nuovo arcivescovo Woelki ha allargato subito l'orizzonte di tutta l'assemblea verso la cattolicità e ha sottolineato il legame col vescovo di Roma. Mi ha riportato al tempo della mia formazione risalente agli anni Cinquanta del secolo scorso a Paderborn, accanto ai seminaristi di Berlino. Ho potuto così sperimentare il loro spirito riservato, per non dire da «ghetto», che ben si coglie conoscendo la loro storia. Altre impressioni forti hanno suscitato il discorso sul passo del vangelo della «vite e dei tralci» e poi i canti eseguiti con entusiasmo, la bellezza del palco su cui era collocato l'altare, il clima raccolto e di unità. Sono stati tutti elementi di un'esperienza commovente in una città che si può definire pagana, visto che solo un cittadino su cinque è cattolico. Il Papa è riuscito a far trasparire la realtà sperimentata alla luce della fede, seminando così nuova speranza grazie a Cristo, la vite.
Ha suscitato molta attenzione l'incontro del Papa con i cattolici impegnati tedeschi, Che esperienza ne ha tratto lei?
A mio avviso, è stato uno dei momenti centrali dell'intera visita. Era il giorno della partenza del Pontefice. Dunque aveva avuto modo di incontrare già tutti gli altri rappresentanti delle religioni in Germania. Per i cattolici egli ha avuto parole da maestro, proprio per quanti vogliono iniziare un «dialogo» in favore di una nuova primavera pastorale in Germania. Ha messo in guardia da una tendenza volta a rafforzare «il pensiero del mondo» nella Chiesa. Per colpire la nostra sensibilità ha utilizzato una parola poco usata in tedesco -- inventata tra l'altro dall'esegeta protestante, famoso ma molto contestato, Rudolf Bultmann e quasi intraducibile in italiano -- Entweltlichung, reso nel testo italiano con l'espressione «distacco dal mondo», «tagliare coraggiosamente ciò che vi è di mondano nella Chiesa». Indicando questo inquinamento che danneggia la limpidezza dell'evangelizzazione il Santo Padre certamente faceva riferimento alla struttura potente delle Chiese germaniche, ma non solo a quella propria della Germania.
Lei è stato per quindici anni presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum. Può parlarci del ruolo delle Caritas tedesche e delle altre associazioni caritative del Paese?
La Caritas di Germania ha una tradizione impressionante; la rete nazionale è stata fondata già più di cento anni fa ed era la prima istituzione di questo genere al mondo. Il Papa lo ha ricordato nella città della sua sede nazionale, a Friburgo. Poi sono sorte nella Chiesa altre istituzioni di aiuto ben conosciute dalla cattolicità universale: Misereor, Adveniat, Renovabis, Aiuto alla Chiesa che soffre eccetera.
Quanto incide questa lunga tradizione sulle attività caritative di oggi?
Attualmente sembra che le istituzioni potenti debbano muoversi all'interno di una mentalità moderna e mondana, essendo fortemente tentate di adattarsi ai criteri e alle categorie ad esempio della Croce Rossa o dell'Unicef. Questo cosmo impressionante di aiuto ecclesiale corre un pericolo: a motivo del grande numero di impiegati a tempo pieno -- la Caritas per esempio ha oltre mezzo milione di collaboratori stipendiati -- dentro e fuori dell'opera si tende sempre più erroneamente a credere che la persona di riferimento non sia tanto il vescovo, quanto invece il direttore.
Invece quali sono i i rapporti tra le istituzioni e i loro pastori?
Il legame delle istituzioni con i Pastori ordinati, così come la vitalità spirituale dei loro collaboratori, necessitano di un continuo rafforzamento della loro fede. Per questo il Pontefice, nel discorso già citato, ha chiesto anche per loro la Entweltlichung, ha relativizzato la loro forza economica e strutturale e ha consigliato anche a loro il «distacco dal mondo per evitare che, di fronte ad un crescente allontanamento dalla Chiesa le loro radici inaridiscano». Per il Pontificio Consiglio Cor Unum l'enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est costituisce la Magna charta di un lavoro che abbiamo tentato di tradurre in pratica, non da ultimo mediante occasioni di ritiri spirituali per i responsabili della Caritas nei diversi continenti. Siamo stati lieti di vedere la grande risposta riservata a questa proposta.
Nel 1972 il cardinale Döpfner, allora presidente della Conferenza episcopale tedesca, la nominò segretario della commissione pastorale. In quello stesso anno iniziava il sinodo delle diocesi della Repubblica Federale di Germania per concludersi nel 1975 probabilmente senza un risultato condiviso. Ritiene che oggi l'episcopato tedesco sia maggiormente coeso?
La decisione dei vescovi al Sinodo delle diocesi tedesche a Würzburg (1972-1975) accoglieva la pressione dell'opinione pubblica cattolica e dei media in seguito alla pubblicazione dell'enciclica di Paolo VI Humanae vitae. I pastori pensavano di offrire una valvola di sfogo. Nel 1968 ho partecipato al Katholikentag di Essen, in cui le forze contestatarie si riunivano con alcuni responsabili del Zentralkomintee der deutschen Katholiken (ZdK). Il grande evento di una tale giornata -- istituita nel 1848 per mostrare la presenza attiva dei cattolici in una società prevalentemente protestante -- finiva quasi in una rivolta contro il Papa e con una spaccatura. Sin dall'inizio, il Sinodo era segnato da molte tensioni. La pressione sui vescovi rimaneva forte. Il Cardinale Döpfner faceva del suo meglio: ci avrebbe rimesso la salute. I decreti conclusivi formulavano dei compromessi. Come per le tesi del concilio Vaticano II la loro interpretazione dipende molto dalla prospettiva di chi la fa.
In termini pratici cosa significa?
A mio parere, non si possono distinguere nell'episcopato delle fazioni come in un parlamento. Ci sono ovviamente membri più centripeti e membri più centrifughi; alcuni si concentrano maggiormente sulla Chiesa locale, altri si sentono più legati al vescovo di Roma. La vicinanza locale ed emozionale delle comunità protestanti in Germania suggerisce naturalmente ai cattolici l'elemento della diversità dalla Chiesa universale. Per questo la visita di Benedetto XVI è stata una grande grazia e un appello all'unità.
(©L'Osservatore Romano 29 settembre 2011)
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