7 MILIARDI: PER IL PAPA CRESCITA DEMOGRAFICA E' FATTORE DI SVILUPPO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 31 ott.
Nell'enciclica "Caritas in veritate" Benedetto XVI esorta a non aver paura della crescita demografica.
"Si tratta - spiega - di un aspetto molto importante del vero sviluppo,
perche' concerne i valori irrinunciabili della vita e della famiglia".
Secondo il Papa, "considerare l'aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo e' scorretto, anche dal punto di vista economico: basti pensare, da una parte, all'importante diminuzione della mortalita' infantile e il prolungamento della vita media che si registrano nei Paesi economicamente sviluppati; dall'altra, ai segni di crisi rilevabili nelle societa' in cui si registra un preoccupante calo della natalita'".
Anche se "resta ovviamente doveroso prestare la debita attenzione ad una procreazione responsabile, che costituisce, tra l'altro, un fattivo contributo allo sviluppo umano integrale", per Papa Ratzinger "l'apertura moralmente responsabile alla vita e' una ricchezza sociale ed economica".
"Grandi Nazioni - rileva - hanno potuto uscire dalla miseria anche grazie al grande numero e alle capacita' dei loro abitanti", mentre "al contrario, Nazioni un tempo floride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalita', problema cruciale per le societa' di avanzato benessere".
Secondo il Papa teologo, del resto, "la diminuzione delle nascite, talvolta al di sotto del cosiddetto 'indice di sostituzione', mette in crisi anche i sistemi di assistenza sociale, ne aumenta i costi, contrae l'accantonamento di risparmio e di conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la disponibilita' di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei 'cervelli' a cui attingere per le necessita' della Nazione".
Inoltre, "le famiglie di piccola, e talvolta piccolissima, dimensione corrono il rischio di impoverire le relazioni sociali, e di non garantire forme efficaci di solidarieta'". "Sono situazioni - scrive - che presentano sintomi di scarsa fiducia nel futuro come pure di stanchezza morale".
"Diventa cosi' una necessita' sociale, e perfino economica - afferma Benedetto XVI nella sua ultima enciclica - proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio, la rispondenza di tali istituzioni alle esigenze piu' profonde del cuore e della dignita' della persona".
In questa prospettiva, proclama il Pontefice, "gli Stati sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralita' e l'integrita' della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della societa', facendosi carico anche dei suoi problemi economici e fiscali, nel rispetto della sua natura relazionale".
Al contrario, Papa Ratzinger definisce lesive dei diritti umani le politiche nazionali o sovranazionali che impongono o tendono a imporre di contenere le nascite.
I Governi e gli Organismi internazionali non possono dimenticare, continua l'enciclica, "l'oggettivita' e l'indisponibilita' dei diritti" e "quando cio' avviene, il vero sviluppo dei popoli e' messo in pericolo. "Comportamenti simili compromettono - osserva il Papa - l'autorevolezza degli Organismi internazionali, soprattutto agli occhi dei Paesi maggiormente bisognosi di sviluppo. Questi, infatti, richiedono che la comunita' internazionale assuma come un dovere l'aiutarli a essere artefici del loro destino".
Le politiche di "forzata pianificazione delle nascite" nascono invece da "concezioni materialistiche, nelle quali le persone finiscono per subire varie forme di violenza".
"A tutto cio' - conclude - si deve opporre la competenza primaria delle famiglie in questo campo, rispetto allo Stato e alle sue politiche restrittive, nonche' un'appropriata educazione dei genitori".
© Copyright (AGI)
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lunedì 31 ottobre 2011
Il Papa ad Assisi (Gennari)
Clicca qui per leggere il commento segnalatoci da Alessia.
Riporto il link perche' la nostra Alessia ha ragione: Gennari ha fatto un bruttissimo scivolone nel 2009 (in occasione della revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani) ma purtroppo in questi due-tre anni ne abbiamo lette di tutti i colori contro Papa Benedetto.
Di possibilita' ne abbiamo date molte e quindi non sarebbe giusto continuare a fare ostruzionismo solo contro una persona, in questo caso Gennari. Una cosa pero' mi preme ribadire.
Ritengo che le offese piu' gravi al Papa siano venute proprio dal mondo cattolico e mi dispiace moltissimo. Non vi nascondo che sei anni fa ero molto piu' fiduciosa ed ottimista. Ora mi fido ancora piu' del Papa e molto meno di altri. Ci sono le critiche e ci sono le offese. Su queste ultime sono sempre meno propensa a transigere. Grazie, Alessia, per il tuo post :-)
Riporto il link perche' la nostra Alessia ha ragione: Gennari ha fatto un bruttissimo scivolone nel 2009 (in occasione della revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani) ma purtroppo in questi due-tre anni ne abbiamo lette di tutti i colori contro Papa Benedetto.
Di possibilita' ne abbiamo date molte e quindi non sarebbe giusto continuare a fare ostruzionismo solo contro una persona, in questo caso Gennari. Una cosa pero' mi preme ribadire.
Ritengo che le offese piu' gravi al Papa siano venute proprio dal mondo cattolico e mi dispiace moltissimo. Non vi nascondo che sei anni fa ero molto piu' fiduciosa ed ottimista. Ora mi fido ancora piu' del Papa e molto meno di altri. Ci sono le critiche e ci sono le offese. Su queste ultime sono sempre meno propensa a transigere. Grazie, Alessia, per il tuo post :-)
L’insegnamento della religione non ferisce la laicità dello Stato. Nel discorso al nuovo ambasciatore del Brasile Benedetto XVI volge il pensiero alla Gmg che si terrà nel 2013 a Rio de Janeiro (O.R.)
Nel discorso al nuovo ambasciatore del Brasile Benedetto XVI volge il pensiero alla Gmg che si terrà nel 2013 a Rio de Janeiro
L’insegnamento della religione non ferisce la laicità dello Stato
«L’insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche, oltre a non ferire la laicità dello Stato, garantisce il diritto dei Paesi a scegliere l’educazione dei propri figli, contribuendo in tal modo alla promozione del bene comune». Lo ha sottolineato Benedetto XVI nel discorso rivolto ad Almir Franco de Sá Barbuda, nuovo ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede, ricevuto in udienza, nella mattina di lunedì 31 ottobre, per la presentazione delle lettere credenziali.
Il Papa ha evidenziato che è opportuno riaffermare che l’insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche, lungi dal significare che lo Stato assume o impone un determinato credo religioso, indica il riconoscimento della religione come un valore necessario per la formazione integrale della persona.
E l’insegnamento in questione, ha rilevato il Pontefice, non si può ridurre a una generica sociologia delle religioni, poiché non esiste una religione generica, aconfessionale. Benedetto XVI, riferendosi poi al campo della giustizia sociale, ha affermato che il Governo brasiliano sa di poter contare sulla Chiesa come partner privilegiato in tutte le iniziative che mirano allo sradicamento della fame e della miseria.
Il Papa ha quindi ribadito che il contributo della Chiesa non si limita a concrete iniziative assistenziali, umanitarie, educative, ma tiene presente, in modo particolare, la crescita etica della società, promossa dalle molteplici manifestazioni di apertura al trascendente e per mezzo della formazione di coscienze sensibili al compimento dei doveri di solidarietà. L’Accordo firmato fra la Santa Sede e il Governo brasiliano nel 2008 — lungi dall’essere una fonte di privilegi per la Chiesa o dal presupporre un affronto alla laicità dello Stato — è la garanzia che permette alla comunità ecclesiale di sviluppare tutte le sue potenzialità a beneficio di ogni persona umana e di tutta la società brasiliana.
Benedetto XVI ha inoltre rivolto un pensiero all’organizzazione della prossima Giornata mondiale della gioventù, che si terrà nel 2013 a Rio de Janeiro.
Il Papa ha sottolineato «con vivo apprezzamento e profonda riconoscenza» la disponibilità manifestata dalle diverse autorità dello Stato brasiliano «come pure dalla sua Rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede» in vista dell’importante appuntamento.
(©L'Osservatore Romano 31 ottobre - 1° novembre 2011)
L’insegnamento della religione non ferisce la laicità dello Stato
«L’insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche, oltre a non ferire la laicità dello Stato, garantisce il diritto dei Paesi a scegliere l’educazione dei propri figli, contribuendo in tal modo alla promozione del bene comune». Lo ha sottolineato Benedetto XVI nel discorso rivolto ad Almir Franco de Sá Barbuda, nuovo ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede, ricevuto in udienza, nella mattina di lunedì 31 ottobre, per la presentazione delle lettere credenziali.
Il Papa ha evidenziato che è opportuno riaffermare che l’insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche, lungi dal significare che lo Stato assume o impone un determinato credo religioso, indica il riconoscimento della religione come un valore necessario per la formazione integrale della persona.
E l’insegnamento in questione, ha rilevato il Pontefice, non si può ridurre a una generica sociologia delle religioni, poiché non esiste una religione generica, aconfessionale. Benedetto XVI, riferendosi poi al campo della giustizia sociale, ha affermato che il Governo brasiliano sa di poter contare sulla Chiesa come partner privilegiato in tutte le iniziative che mirano allo sradicamento della fame e della miseria.
Il Papa ha quindi ribadito che il contributo della Chiesa non si limita a concrete iniziative assistenziali, umanitarie, educative, ma tiene presente, in modo particolare, la crescita etica della società, promossa dalle molteplici manifestazioni di apertura al trascendente e per mezzo della formazione di coscienze sensibili al compimento dei doveri di solidarietà. L’Accordo firmato fra la Santa Sede e il Governo brasiliano nel 2008 — lungi dall’essere una fonte di privilegi per la Chiesa o dal presupporre un affronto alla laicità dello Stato — è la garanzia che permette alla comunità ecclesiale di sviluppare tutte le sue potenzialità a beneficio di ogni persona umana e di tutta la società brasiliana.
Benedetto XVI ha inoltre rivolto un pensiero all’organizzazione della prossima Giornata mondiale della gioventù, che si terrà nel 2013 a Rio de Janeiro.
Il Papa ha sottolineato «con vivo apprezzamento e profonda riconoscenza» la disponibilità manifestata dalle diverse autorità dello Stato brasiliano «come pure dalla sua Rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede» in vista dell’importante appuntamento.
(©L'Osservatore Romano 31 ottobre - 1° novembre 2011)
Il Papa: una sana laicità non relega la fede nel privato (Izzo)
PAPA: UNA SANA LAICITA' NON RELEGA LA FEDE NEL PRIVATO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 31 ott.
"Una sana laicita'" non porta lo Stato a considerare la religione come "un semplice sentimento individuale" da relegare nell'ambito privato. Pur nel rispetto degli ambiti diversi, spinge invece a considerarla come una realta' che "deve veder riconosciuta la sua presenza comunitaria pubblica".
Lo ha ricordato Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede, Almir Franco de Sa' Barbuda, ricevuto stamani in Vaticano per la presentazione delle Lettere credenziali. Papa Benedetto si e' soffermato sul tema della "sana laicita'" per sottolineare il valore dell'insegnamento della religione a scuola, ha definto "indimenticabile" la sua visita in terra brasiliana nel 2007 ed ha ringraziato le autorita' civili per il sostegno alla prossima Gmg, in programma a Rio de Janeiro nel 2013.
Al Governo del Brasile, il Papa ha chiesto dunque che "lo Stato rispetti la dimensione pubblica della religione" e ricorda il contributo fecondo del cristianesimo alla storia del Paese: la Chiesa, sottolinea, "ha aiutato a forgiare lo spirito brasiliano, caratterizzato dalla generosita', laboriosita' e attenzione per i valori familiari e la difesa della vita umana in tutte le sue fasi".
In questo contesto, si colloca, ha detto il Pontefice, l'Accordo firmato nel 2008 tra Santa Sede e Brasile, che "non e' una fonte di privilegi per la Chiesa" ma che invece consente alla comunita' ecclesiale di "sviluppare tutte le sue potenzialita' a beneficio di ogni persona umana e di tutta la societa' brasiliana".
Per il Pontefice, lo Stato deve garantire ad ogni confessione religiosa "la possibilita' del libero esercizio del culto", cosi' come la realizzazione di "attivita' culturali, educative e caritative” sempre che cio' non sia in contrasto con l'ordine morale. Tuttavia, ha tenuto a sottolineare, il contributo della Chiesa "non si limita alle iniziative concrete" umanitarie ed assistenziali, ma mira soprattutto "alla crescita etica della societa', stimolata da molteplici manifestazioni di apertura al trascendente".
All'interno di questo campo di collaborazione, ha rilevato il Papa teologo, e' particolarmente significativo quello dell’educazione a cui la Chiesa contribuisce con numerose istituzioni, "il cui prestigio e' riconosciuto da tutta la societa'". L'istruzione, ha constatato, "non puo' essere ridotta alla mera trasmissione delle nozioni" in vista di una formazione professionale. Deve, piuttosto, "abbracciare tutti gli aspetti della persona" e in particolare l'anelito al trascendente. Per questo, "va riaffermata l'importanza dell'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche". "Non si tratta - ha chiarito - di imporre un determinato credo religioso, ma del riconoscimento della religione come valore necessario per la formazione integrale della persona".
Per il Papa, dunque, "l'insegnamento della religione non ferisce la laicita' dello Stato", ma garantisce "il diritto dei padri di scegliere un'educazione per i propri figli", che contribuisce "alla promozione del bene comune" e "non puo' ridursi ad una generica sociologia delle religioni, giacche' non esiste una religione generica aconfessionale".
Al Governo brasiliano, infine, Papa Ratzinger ha assicurato che potra' sempre contare sull'impegno della Chiesa per lo "sradicamento della fame e della miseria". La Chiesa, infatti, "sara' sempre felice" di assistere i piu' bisognosi, "aiutandoli a liberarsi dalla loro situazione di indigenza, poverta' ed esclusione".
© Copyright (AGI)
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 31 ott.
"Una sana laicita'" non porta lo Stato a considerare la religione come "un semplice sentimento individuale" da relegare nell'ambito privato. Pur nel rispetto degli ambiti diversi, spinge invece a considerarla come una realta' che "deve veder riconosciuta la sua presenza comunitaria pubblica".
Lo ha ricordato Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede, Almir Franco de Sa' Barbuda, ricevuto stamani in Vaticano per la presentazione delle Lettere credenziali. Papa Benedetto si e' soffermato sul tema della "sana laicita'" per sottolineare il valore dell'insegnamento della religione a scuola, ha definto "indimenticabile" la sua visita in terra brasiliana nel 2007 ed ha ringraziato le autorita' civili per il sostegno alla prossima Gmg, in programma a Rio de Janeiro nel 2013.
Al Governo del Brasile, il Papa ha chiesto dunque che "lo Stato rispetti la dimensione pubblica della religione" e ricorda il contributo fecondo del cristianesimo alla storia del Paese: la Chiesa, sottolinea, "ha aiutato a forgiare lo spirito brasiliano, caratterizzato dalla generosita', laboriosita' e attenzione per i valori familiari e la difesa della vita umana in tutte le sue fasi".
In questo contesto, si colloca, ha detto il Pontefice, l'Accordo firmato nel 2008 tra Santa Sede e Brasile, che "non e' una fonte di privilegi per la Chiesa" ma che invece consente alla comunita' ecclesiale di "sviluppare tutte le sue potenzialita' a beneficio di ogni persona umana e di tutta la societa' brasiliana".
Per il Pontefice, lo Stato deve garantire ad ogni confessione religiosa "la possibilita' del libero esercizio del culto", cosi' come la realizzazione di "attivita' culturali, educative e caritative” sempre che cio' non sia in contrasto con l'ordine morale. Tuttavia, ha tenuto a sottolineare, il contributo della Chiesa "non si limita alle iniziative concrete" umanitarie ed assistenziali, ma mira soprattutto "alla crescita etica della societa', stimolata da molteplici manifestazioni di apertura al trascendente".
All'interno di questo campo di collaborazione, ha rilevato il Papa teologo, e' particolarmente significativo quello dell’educazione a cui la Chiesa contribuisce con numerose istituzioni, "il cui prestigio e' riconosciuto da tutta la societa'". L'istruzione, ha constatato, "non puo' essere ridotta alla mera trasmissione delle nozioni" in vista di una formazione professionale. Deve, piuttosto, "abbracciare tutti gli aspetti della persona" e in particolare l'anelito al trascendente. Per questo, "va riaffermata l'importanza dell'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche". "Non si tratta - ha chiarito - di imporre un determinato credo religioso, ma del riconoscimento della religione come valore necessario per la formazione integrale della persona".
Per il Papa, dunque, "l'insegnamento della religione non ferisce la laicita' dello Stato", ma garantisce "il diritto dei padri di scegliere un'educazione per i propri figli", che contribuisce "alla promozione del bene comune" e "non puo' ridursi ad una generica sociologia delle religioni, giacche' non esiste una religione generica aconfessionale".
Al Governo brasiliano, infine, Papa Ratzinger ha assicurato che potra' sempre contare sull'impegno della Chiesa per lo "sradicamento della fame e della miseria". La Chiesa, infatti, "sara' sempre felice" di assistere i piu' bisognosi, "aiutandoli a liberarsi dalla loro situazione di indigenza, poverta' ed esclusione".
© Copyright (AGI)
Domani si celebra la Solennità di Tutti i Santi. Il Papa: la santità non è compiere opere straordinarie, ma seguire Gesù con fiducia
Domani si celebra la Solennità di Tutti i Santi. Il Papa: la santità non è compiere opere straordinarie, ma seguire Gesù con fiducia
Domani la Chiesa celebra la Solennità di Tutti i Santi. Benedetto XVI, come di consueto, si affaccerà a mezzogiorno dalla finestra del suo studio privato per recitare con i fedeli radunati in Piazza San Pietro la preghiera dell’Angelus. Il servizio di Sergio Centofanti.
La Solennità di Tutti i Santi ci invita ad innalzare lo sguardo al Cielo e a meditare sulla pienezza della vita divina che ci attende. Benedetto XVI, in questi anni, ha sottolineato più volte che nella fretta del vivere quotidiano spesso ci dimentichiamo che la meta della nostra esistenza è “l’incontro faccia a faccia con Dio”. Una meta che si raggiunge attraverso la santità, che perciò non è “una condizione di privilegio riservata a pochi eletti”, ma il compito di ogni uomo. Ma in che consiste la santità?
“All’interrogativo si può rispondere anzitutto in negativo: per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali. Viene poi la risposta in positivo: è necessario semplicemente ‘servire’ Gesù, ascoltarlo e seguirlo senza perdersi d’animo di fronte alle difficoltà (…) La santità esige uno sforzo costante, ma è possibile a tutti perché, più che opera dell’uomo, è anzitutto dono di Dio”. (Omelia, 1 novembre 2006)
In questo cammino non siamo soli, ma siamo accompagnati dai santi di tutti i tempi. Per questo il Papa ricorda quanto sia “bella e consolante la comunione dei santi”, “una realtà che infonde una dimensione diversa a tutta la nostra vita”:
“Non siamo mai soli! Facciamo parte di una 'compagnia' spirituale in cui regna una profonda solidarietà: il bene di ciascuno va a vantaggio di tutti e, viceversa, la felicità comune si irradia sui singoli. E’ un mistero che, in qualche misura, possiamo già sperimentare in questo mondo, nella famiglia, nell’amicizia, specialmente nella comunità spirituale della Chiesa. (Angelus, 1 novembre 2009)
Legata a questa solennità è la commemorazione dei fedeli defunti, il 2 novembre, che il Papa invita a vivere “secondo l’autentico spirito cristiano, cioè nella luce che proviene dal Mistero pasquale. Cristo è morto e risorto e ci ha aperto il passaggio alla casa del Padre, il Regno della vita e della pace. Chi segue Gesù in questa vita è accolto dove Lui ci ha preceduto”:
“Mentre dunque facciamo visita ai cimiteri, ricordiamoci che lì, nelle tombe, riposano solo le spoglie mortali dei nostri cari in attesa della risurrezione finale. Le loro anime – come dice la Scrittura – già ‘sono nelle mani di Dio’ (Sap 3,1). Pertanto, il modo più proprio ed efficace di onorarli è pregare per loro, offrendo atti di fede, di speranza e di carità. In unione al Sacrificio eucaristico, possiamo intercedere per la loro salvezza eterna, e sperimentare la più profonda comunione, in attesa di ritrovarci insieme, a godere per sempre dell’Amore che ci ha creati e redenti”. (Angelus, 1 novembre 2009)
© Copyright Radio Vaticana
Domani la Chiesa celebra la Solennità di Tutti i Santi. Benedetto XVI, come di consueto, si affaccerà a mezzogiorno dalla finestra del suo studio privato per recitare con i fedeli radunati in Piazza San Pietro la preghiera dell’Angelus. Il servizio di Sergio Centofanti.
La Solennità di Tutti i Santi ci invita ad innalzare lo sguardo al Cielo e a meditare sulla pienezza della vita divina che ci attende. Benedetto XVI, in questi anni, ha sottolineato più volte che nella fretta del vivere quotidiano spesso ci dimentichiamo che la meta della nostra esistenza è “l’incontro faccia a faccia con Dio”. Una meta che si raggiunge attraverso la santità, che perciò non è “una condizione di privilegio riservata a pochi eletti”, ma il compito di ogni uomo. Ma in che consiste la santità?
“All’interrogativo si può rispondere anzitutto in negativo: per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali. Viene poi la risposta in positivo: è necessario semplicemente ‘servire’ Gesù, ascoltarlo e seguirlo senza perdersi d’animo di fronte alle difficoltà (…) La santità esige uno sforzo costante, ma è possibile a tutti perché, più che opera dell’uomo, è anzitutto dono di Dio”. (Omelia, 1 novembre 2006)
In questo cammino non siamo soli, ma siamo accompagnati dai santi di tutti i tempi. Per questo il Papa ricorda quanto sia “bella e consolante la comunione dei santi”, “una realtà che infonde una dimensione diversa a tutta la nostra vita”:
“Non siamo mai soli! Facciamo parte di una 'compagnia' spirituale in cui regna una profonda solidarietà: il bene di ciascuno va a vantaggio di tutti e, viceversa, la felicità comune si irradia sui singoli. E’ un mistero che, in qualche misura, possiamo già sperimentare in questo mondo, nella famiglia, nell’amicizia, specialmente nella comunità spirituale della Chiesa. (Angelus, 1 novembre 2009)
Legata a questa solennità è la commemorazione dei fedeli defunti, il 2 novembre, che il Papa invita a vivere “secondo l’autentico spirito cristiano, cioè nella luce che proviene dal Mistero pasquale. Cristo è morto e risorto e ci ha aperto il passaggio alla casa del Padre, il Regno della vita e della pace. Chi segue Gesù in questa vita è accolto dove Lui ci ha preceduto”:
“Mentre dunque facciamo visita ai cimiteri, ricordiamoci che lì, nelle tombe, riposano solo le spoglie mortali dei nostri cari in attesa della risurrezione finale. Le loro anime – come dice la Scrittura – già ‘sono nelle mani di Dio’ (Sap 3,1). Pertanto, il modo più proprio ed efficace di onorarli è pregare per loro, offrendo atti di fede, di speranza e di carità. In unione al Sacrificio eucaristico, possiamo intercedere per la loro salvezza eterna, e sperimentare la più profonda comunione, in attesa di ritrovarci insieme, a godere per sempre dell’Amore che ci ha creati e redenti”. (Angelus, 1 novembre 2009)
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Il Papa all’ambasciatore del Brasile: la sana laicità protegga la dimensione pubblica della fede
Il Papa all’ambasciatore del Brasile: la sana laicità protegga la dimensione pubblica della fede
Lo Stato rispetti la dimensione pubblica della religione: così, Benedetto XVI nell’udienza al nuovo ambasciatore del Brasile, Almir Franco de Sá Barbuda, ricevuto stamani in Vaticano per la presentazione delle Lettere credenziali. L’intervento del Papa si è incentrato sul tema della “sana laicità” e in particolare sull’insegnamento della religione a scuola. Benedetto ha ricordato l’“indimenticabile” visita in terra brasiliana nel 2007 ed ha ringraziato le autorità civili per il sostegno alla prossima Gmg, in programma a Rio de Janeiro nel 2013. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Benedetto XVI ha sottolineato che una “sana laicità” non deve considerare la religione come un “semplice sentimento individuale” da relegare “nell’ambito privato”, ma come una realtà che “deve veder riconosciuta la sua presenza comunitaria pubblica”. Quindi, ricordando il contributo fecondo del cristianesimo alla storia del Paese, ha sottolineato che la Chiesa “ha aiutato a forgiare lo spirito brasiliano, caratterizzato dalla generosità, laboriosità e attenzione per i valori familiari e la difesa della vita umana in tutte le sue fasi”. Il Papa ha ricordato, con il nuovo ambasciatore, l’Accordo firmato nel 2008 tra Santa Sede e Brasile. Un accordo, ha osservato, che “non è una fonte di privilegi per la Chiesa” ma che invece assicura alla comunità ecclesiale di “sviluppare tutte le sue potenzialità a beneficio di ogni persona umana e di tutta la società brasiliana”. Uno Stato, è stata la riflessione del Pontefice, deve garantire ad ogni confessione religiosa “la possibilità del libero esercizio del culto”, così come la realizzazione di “attività culturali, educative e caritative” sempre che ciò non sia in contrasto con l’ordine morale. Tuttavia, ha soggiunto, il contributo della Chiesa “non si limita alle iniziative concrete” umanitarie ed assistenziali, ma mira soprattutto “alla crescita etica della società, stimolata da molteplici manifestazioni di apertura al trascendente”.
All’interno di questo campo di collaborazione, ha rilevato il Papa, è particolarmente significativo quello dell’educazione a cui la Chiesa contribuisce con numerose istituzioni, “il cui prestigio è riconosciuto da tutta la società”. L’istruzione, ha constatato, “non può essere ridotta alla mera trasmissione delle nozioni” in vista di una formazione professionale. Deve, piuttosto, “abbracciare tutti gli aspetti della persona” e in particolare l’anelito al trascendente. Ecco perché, ha soggiunto, va riaffermata l’importanza dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche. Non si tratta di imporre “un determinato credo religioso”, ma del riconoscimento “della religione come valore necessario per la formazione integrale della persona”. Questo insegnamento, ha avvertito, “non può dunque ridursi ad una generica sociologia delle religioni, giacché non esiste una religione generica aconfessionale”. L’insegnamento della religione, quindi, “non ferisce la laicità dello Stato”, ma – ha proseguito il Papa - garantisce “il diritto dei padri di scegliere un’educazione per i propri figli”, che contribuisca “alla promozione del bene comune”. Infine, nel campo della giustizia sociale, il Papa ha ribadito che il governo brasiliano può contare sull’impegno della Chiesa per lo “sradicamento della fame e della miseria”. La Chiesa, ha concluso, “sarà sempre felice” di assistere i più bisognosi, “aiutandoli a liberarsi dalla loro situazione di indigenza, povertà ed esclusione”.
© Copyright Radio Vaticana
Lo Stato rispetti la dimensione pubblica della religione: così, Benedetto XVI nell’udienza al nuovo ambasciatore del Brasile, Almir Franco de Sá Barbuda, ricevuto stamani in Vaticano per la presentazione delle Lettere credenziali. L’intervento del Papa si è incentrato sul tema della “sana laicità” e in particolare sull’insegnamento della religione a scuola. Benedetto ha ricordato l’“indimenticabile” visita in terra brasiliana nel 2007 ed ha ringraziato le autorità civili per il sostegno alla prossima Gmg, in programma a Rio de Janeiro nel 2013. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Benedetto XVI ha sottolineato che una “sana laicità” non deve considerare la religione come un “semplice sentimento individuale” da relegare “nell’ambito privato”, ma come una realtà che “deve veder riconosciuta la sua presenza comunitaria pubblica”. Quindi, ricordando il contributo fecondo del cristianesimo alla storia del Paese, ha sottolineato che la Chiesa “ha aiutato a forgiare lo spirito brasiliano, caratterizzato dalla generosità, laboriosità e attenzione per i valori familiari e la difesa della vita umana in tutte le sue fasi”. Il Papa ha ricordato, con il nuovo ambasciatore, l’Accordo firmato nel 2008 tra Santa Sede e Brasile. Un accordo, ha osservato, che “non è una fonte di privilegi per la Chiesa” ma che invece assicura alla comunità ecclesiale di “sviluppare tutte le sue potenzialità a beneficio di ogni persona umana e di tutta la società brasiliana”. Uno Stato, è stata la riflessione del Pontefice, deve garantire ad ogni confessione religiosa “la possibilità del libero esercizio del culto”, così come la realizzazione di “attività culturali, educative e caritative” sempre che ciò non sia in contrasto con l’ordine morale. Tuttavia, ha soggiunto, il contributo della Chiesa “non si limita alle iniziative concrete” umanitarie ed assistenziali, ma mira soprattutto “alla crescita etica della società, stimolata da molteplici manifestazioni di apertura al trascendente”.
All’interno di questo campo di collaborazione, ha rilevato il Papa, è particolarmente significativo quello dell’educazione a cui la Chiesa contribuisce con numerose istituzioni, “il cui prestigio è riconosciuto da tutta la società”. L’istruzione, ha constatato, “non può essere ridotta alla mera trasmissione delle nozioni” in vista di una formazione professionale. Deve, piuttosto, “abbracciare tutti gli aspetti della persona” e in particolare l’anelito al trascendente. Ecco perché, ha soggiunto, va riaffermata l’importanza dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche. Non si tratta di imporre “un determinato credo religioso”, ma del riconoscimento “della religione come valore necessario per la formazione integrale della persona”. Questo insegnamento, ha avvertito, “non può dunque ridursi ad una generica sociologia delle religioni, giacché non esiste una religione generica aconfessionale”. L’insegnamento della religione, quindi, “non ferisce la laicità dello Stato”, ma – ha proseguito il Papa - garantisce “il diritto dei padri di scegliere un’educazione per i propri figli”, che contribuisca “alla promozione del bene comune”. Infine, nel campo della giustizia sociale, il Papa ha ribadito che il governo brasiliano può contare sull’impegno della Chiesa per lo “sradicamento della fame e della miseria”. La Chiesa, ha concluso, “sarà sempre felice” di assistere i più bisognosi, “aiutandoli a liberarsi dalla loro situazione di indigenza, povertà ed esclusione”.
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Il Papa: Il Vangelo condanna fermamente la vanagloria e osserva che operare per essere ammirati dalla gente pone in balìa dell'approvazione umana (Chirri)
Il Papa: «I veri maestri mai autoritari né vogliono suscitare ammirazione»
Giovanna Chirri
Roma
Il Vangelo «condanna fermamente la vanagloria e osserva che operare per essere ammirati dalla gente pone in balìa dell'approvazione umana, insidiando i valori che fondano l'autenticità della persona».
Dal Papa, ieri, un identikit del "vero maestro": non si comporta in contrasto con ciò che predica, non impone per autorità fardelli troppo gravi sulle coscienze, non insegue l'ammirazione delle persone.
Ratzinger ha richiamato l'insegnamento di Gesù su scribi e farisei, e le considerazioni sul tema di san Bonaventura e del pensatore cattolico Antonio Rosmini. Gesù – ha ricordato Benedetto XVI durante l'Angelus domenicale recitato davanti a circa diecimila persone dal suo studio su in piazza San Pietro – rimproverava gli scribi e i farisei, «che avevano nella comunità il ruolo di maestri, perché la loro condotta era apertamente in contrasto con l'insegnamento che proponevano agli altri con rigore». Cristo ha condannato i «fardelli troppo pesanti e difficili da portare» che i farisei mettevano «sulle spalle della gente», il Papa ammonisce che «la buona dottrina va accolta ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente» e che il comandamento di amore che Gesù ha cura di insegnare a tutti «è un peso leggero, soave, proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui».
Per chiarire ulteriormente Benedetto XVI ricorre a san Bonaventura che ha criticato quei maestri «che opprimono la libertà altrui in nome della propria autorità», e alle riflessioni di Rosmini su Gesù primo maestro. «Gesù – spiega il Papa – condanna fermamente anche la vanagloria e osserva che operare 'per essere ammirati dalla gentè pone in balia dell'approvazione umana, insidiando i valori che fondano l'autenticità della persona».
La lezione di Cristo di «umiltà e amore», è dunque un esempio dal quale «scaturisce la proposta di vita». Benedetto XVI ha concluso la sua riflessione sui maestri, l'autorità e la libertà pregando «in particolare per quanti nella comunità cristiana sono chiamati al ministero dell'insegnamento, affinché possano sempre testimoniare con le opere le verità che trasmettono con la parola».
«Uno solo è il Padre vostro, quello celeste e uno solo è il vostro Maestro, il Cristo», ha poi detto il Pontefice – salutando dopo l'Angelus i pellegrini polacchi presenti ieri nell'immensa folla di piazza San Pietro – ricordando queste parole del Vangelo di Matteo per riaffermare che «per questo i princìpi morali provenienti dal Padre non possono essere oggetto di dubbio, di contrattazione, di discussione. Il Vangelo – ha esortato il santo Padre – conduca alle opere concrete, nelle quali si manifesta l'amore che proviene da Dio Padre».
Infine un pensiero e una preghiera del Papa per le vittime delle alluvioni in Liguria e Toscana e delle inondazioni in Thailandia.
© Copyright Gazzetta del sud, 31 ottobre 2011
Giovanna Chirri
Roma
Il Vangelo «condanna fermamente la vanagloria e osserva che operare per essere ammirati dalla gente pone in balìa dell'approvazione umana, insidiando i valori che fondano l'autenticità della persona».
Dal Papa, ieri, un identikit del "vero maestro": non si comporta in contrasto con ciò che predica, non impone per autorità fardelli troppo gravi sulle coscienze, non insegue l'ammirazione delle persone.
Ratzinger ha richiamato l'insegnamento di Gesù su scribi e farisei, e le considerazioni sul tema di san Bonaventura e del pensatore cattolico Antonio Rosmini. Gesù – ha ricordato Benedetto XVI durante l'Angelus domenicale recitato davanti a circa diecimila persone dal suo studio su in piazza San Pietro – rimproverava gli scribi e i farisei, «che avevano nella comunità il ruolo di maestri, perché la loro condotta era apertamente in contrasto con l'insegnamento che proponevano agli altri con rigore». Cristo ha condannato i «fardelli troppo pesanti e difficili da portare» che i farisei mettevano «sulle spalle della gente», il Papa ammonisce che «la buona dottrina va accolta ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente» e che il comandamento di amore che Gesù ha cura di insegnare a tutti «è un peso leggero, soave, proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui».
Per chiarire ulteriormente Benedetto XVI ricorre a san Bonaventura che ha criticato quei maestri «che opprimono la libertà altrui in nome della propria autorità», e alle riflessioni di Rosmini su Gesù primo maestro. «Gesù – spiega il Papa – condanna fermamente anche la vanagloria e osserva che operare 'per essere ammirati dalla gentè pone in balia dell'approvazione umana, insidiando i valori che fondano l'autenticità della persona».
La lezione di Cristo di «umiltà e amore», è dunque un esempio dal quale «scaturisce la proposta di vita». Benedetto XVI ha concluso la sua riflessione sui maestri, l'autorità e la libertà pregando «in particolare per quanti nella comunità cristiana sono chiamati al ministero dell'insegnamento, affinché possano sempre testimoniare con le opere le verità che trasmettono con la parola».
«Uno solo è il Padre vostro, quello celeste e uno solo è il vostro Maestro, il Cristo», ha poi detto il Pontefice – salutando dopo l'Angelus i pellegrini polacchi presenti ieri nell'immensa folla di piazza San Pietro – ricordando queste parole del Vangelo di Matteo per riaffermare che «per questo i princìpi morali provenienti dal Padre non possono essere oggetto di dubbio, di contrattazione, di discussione. Il Vangelo – ha esortato il santo Padre – conduca alle opere concrete, nelle quali si manifesta l'amore che proviene da Dio Padre».
Infine un pensiero e una preghiera del Papa per le vittime delle alluvioni in Liguria e Toscana e delle inondazioni in Thailandia.
© Copyright Gazzetta del sud, 31 ottobre 2011
Il tesoro di Assisi. Alcuni affreschi giotteschi della basilica superiore ispirati dalla narrazione di san Bonaventura (Verdon)
Non è il patrimonio artistico ma è il «corpo del Poverello»
Il tesoro di Assisi
Alcuni affreschi giotteschi della basilica superiore ispirati dalla narrazione di san Bonaventura
Timothy Verdon
Il ciclo di affreschi commissionato dall’ordine francescano ad Assisi nella chiesa che accoglie i resti mortali del suo fondatore illustra un testo, similmente commissionato dall’ordine: la narrazione di san Bonaventura della Vita Francisci, nota come la Legenda maior, «Leggenda maggiore».
Il testo di Bonaventura è composto di quindici capitoli biografici con altri dieci narranti i miracoli di Francesco, fu accettato ufficialmente al capitolo generale dell’ordine a Pisa nel 1263; gli affreschi verranno comandati per le pareti della basilica superiore nei primi anni 1290.
Sono vere e proprie illustrazioni, e sotto ventisette dei ventotto episodi sono ancora leggibili delle parafrasi dei relativi passi. Del testo bonaventuriano. Legenda maior va ricordato che nel latino medievale il termine legenda non aveva il senso che questo vocabolo ha assunto nelle lingue moderne ma conservava il significato letterale del verbo «leggere», implicando — nella forma gerundiale — una necessità, quasi un obbligo: «qualcosa che si deve assolutamente leggere».
Nello stesso modo anche il ciclo d’affreschi nella basilica superiore si presenta come «qualcosa che si deve assolutamente vedere» per conoscere san Francesco.
Qui ne vedremo alcuni.
Nella terza campata (per chi viene dall’ingresso della basilica, posto a est), il primo dei tre affreschi dipinti sulla parete sud raffigura la Morte di Francesco. È il ventesimo episodio del ciclo, e segue immediatamente a quello — nella campata più a est — della stigmatizzazione del santo. La didascalia rimanda al capitolo XIV, 6 della Legenda Maior: «Come nell’ora del transito del beato Francesco un frate vide l’anima di lui ascendere al cielo sotto forma di stella fulgidissima».
Dopo l’immagine del corpo che, animato d’amore, accoglieva le stimmate, l’autore del ciclo — il pittore Giotto, assistito da collaboratori sia romani che fiorentini — ora fa vedere la salma del santo deceduto alla Porziuncola la sera del 3 ottobre 1226. Questo è il primo di tre affreschi che, con più o meno la stessa formula, focalizzano l’attenzione sulla salma di Francesco, e va ricordato che il vero tesoro del santuario assisiate non consiste nell’arte di cui esso abbonda, bensì nel «corpo del Poverello» conservato — all’epoca di Giotto — sotto l’altare della basilica inferiore. La ripetizione visiva del corpo sdraiato nella morte ha cioè la funzione di preparare i pellegrini a scendere nella cripta per venerare i resti mortali del santo.
Altri temi reiterati qui e nelle scene seguenti sono: l’indiscutibile santità del Poverello, l’autenticità delle sue stimmate, e il ruolo dell’Ordine nella gestione del culto del fondatore.
In questo affresco, ad esempio, un frate inginocchiato in basso a sinistra, guardando su dal cadavere di Francesco, ne vede (al centro della parte alta dell’affresco) «l’anima beata, in forma di stella fulgentissima, sollevarsi su una candida nuvoletta e penetrare diritta in cielo» (come recita il testo di Bonaventura). Al centro del primo piano in basso, poi, Giotto pone la mano piagata del santo, tenuta teneramente da un frate visto da tergo; un po’ più a sinistra si vede, attraverso uno strappo nel saio, la ferita nel costato, mentre, a destra, un primo frate contempla uno dei piedi di Francesco, un secondo ne bacia l’altro. Sopra questo «compianto» dei confratelli, Giotto fa vedere infine un gran numero di frati intorno al sacerdote che benedice la salma. Questa fitta calca serve a coinvolgere i pellegrini, che da sempre arrivano a Assisi in gruppi: l’artista rassicura la folla presente in basilica che la venerazione del corpo di Francesco è sempre stata un’esperienza condivisa con molti altri. L’affresco seguente, poi — il ventunesimo del ciclo, La visione di frate Agostino e del vescovo di Assisi, completa questo racconto, narrando di due visioni avute al momento stesso della morte del santo, che non viene raffigurato. È nella scena che segue, muovendosi verso l’altare a ovest, che si torna all’immagine del corpo di Francesco. Il tema è come, «Giacendo alla Porziuncola il beato Francesco morto, messer Girolamo, celebre dottore e letterato, muoveva i chiodi, e, con le proprie mani, frugava le mani e i piedi e il costato del Santo» (Legenda Maior XV, 4). Dice Bonaventura che dopo la morte di Francesco, il suo corpo «mediante un miracolo mai visto anticipava l’immagine della risurrezione». Il «miracolo» consisteva nel fatto che i segni nelle mani e nei piedi del santo apparivano come «chiodi connaturati con la carne stessa» e «da qualunque parte si premessero, subito si sollevavano, come dei nervi tutti uniti e durià [erano] neri, come di ferro, mentre la ferita del fianco era rossa e aveva l’aspetto di una rosa bellissima».
Diffusasi la notizia di questo fenomeno, «una marea di popolo accorse sul luogo: volevano vedere con i propri occhi il prodigio, per scacciare ogni dubbio della ragione e accrescere l’emozione con la gioia».
Nella folla c’era anche «un cavaliere dotto e prudente, di nome Girolamo, molto noto fra il popolo», il quale, «siccome aveva dubitato di questi sacri segni ed era incredulo come Tommaso, con maggior impegno e audacia muoveva i chiodi e le mani del santo, alla presenza dei frati e degli altri cittadini, tastava con le proprie mani i piedi e il fianco per recidere dal proprio cuore e dal cuore di tutti la piaga del dubbio». Ecco, questo affresco narrante la verifica, da parte di uno scettico, dell’autenticità delle stimmate serve a «recidere» dalla mente dei pellegrini «la piaga del dubbio».
Giotto inserisce la verifica compiuta dal cavaliere Girolamo (che vediamo in ginocchio accanto alla salma) nel contesto della solenne liturgia funebre del santo, facendo vedere anche il sacerdote in piviale nero che legge il rito affiancato da accoliti e circondato da ceri. L’evento è ambientato nella chiesa della Porziuncola, di cui si vede il catino absidale sullo sfondo; il catafalco di Francesco, ricoperto di un tessuto prezioso, è sistemato appena davanti alla trave divisorio tra la navata e il presbiterio, presumibilmente uguale a quella che all’epoca ancora divideva gli spazi della basilica superiore. Nell’affresco la trave fa anche da iconostasi, così che la salma di Francesco è vista sotto immagini della Madonna col Bambino, della Croce di Cristo e di san Michele Arcangelo, a cui il santo era specialmente devoto; queste icone sono inclinate in avanti, verso il popolo, con meccanismi di sostegno analoghi a quello visibile nel Presepe di Greccio. Davanti alle immagini pendono due vasi eucaristici coperti di veli e una armatura metallica a paniere con sette lampade.
Nella folla che Giotto rappresenta, oltre ai francescani vi sono anche molti laici. Bonaventura afferma infatti che «i cittadini assisiani, nel più gran numero possibile, furono ammessi a contemplare e a baciare quelle stimmate sacre». Giotto, le quattro scene rimanenti hanno in effetti il carattere di un’appendice: narrano alcuni miracoli del santo per dimostrare la legittimità — anzi, la «necessità» — della sua canonizzazione.
(©L'Osservatore Romano 28 ottobre 2011)
Il tesoro di Assisi
Alcuni affreschi giotteschi della basilica superiore ispirati dalla narrazione di san Bonaventura
Timothy Verdon
Il ciclo di affreschi commissionato dall’ordine francescano ad Assisi nella chiesa che accoglie i resti mortali del suo fondatore illustra un testo, similmente commissionato dall’ordine: la narrazione di san Bonaventura della Vita Francisci, nota come la Legenda maior, «Leggenda maggiore».
Il testo di Bonaventura è composto di quindici capitoli biografici con altri dieci narranti i miracoli di Francesco, fu accettato ufficialmente al capitolo generale dell’ordine a Pisa nel 1263; gli affreschi verranno comandati per le pareti della basilica superiore nei primi anni 1290.
Sono vere e proprie illustrazioni, e sotto ventisette dei ventotto episodi sono ancora leggibili delle parafrasi dei relativi passi. Del testo bonaventuriano. Legenda maior va ricordato che nel latino medievale il termine legenda non aveva il senso che questo vocabolo ha assunto nelle lingue moderne ma conservava il significato letterale del verbo «leggere», implicando — nella forma gerundiale — una necessità, quasi un obbligo: «qualcosa che si deve assolutamente leggere».
Nello stesso modo anche il ciclo d’affreschi nella basilica superiore si presenta come «qualcosa che si deve assolutamente vedere» per conoscere san Francesco.
Qui ne vedremo alcuni.
Nella terza campata (per chi viene dall’ingresso della basilica, posto a est), il primo dei tre affreschi dipinti sulla parete sud raffigura la Morte di Francesco. È il ventesimo episodio del ciclo, e segue immediatamente a quello — nella campata più a est — della stigmatizzazione del santo. La didascalia rimanda al capitolo XIV, 6 della Legenda Maior: «Come nell’ora del transito del beato Francesco un frate vide l’anima di lui ascendere al cielo sotto forma di stella fulgidissima».
Dopo l’immagine del corpo che, animato d’amore, accoglieva le stimmate, l’autore del ciclo — il pittore Giotto, assistito da collaboratori sia romani che fiorentini — ora fa vedere la salma del santo deceduto alla Porziuncola la sera del 3 ottobre 1226. Questo è il primo di tre affreschi che, con più o meno la stessa formula, focalizzano l’attenzione sulla salma di Francesco, e va ricordato che il vero tesoro del santuario assisiate non consiste nell’arte di cui esso abbonda, bensì nel «corpo del Poverello» conservato — all’epoca di Giotto — sotto l’altare della basilica inferiore. La ripetizione visiva del corpo sdraiato nella morte ha cioè la funzione di preparare i pellegrini a scendere nella cripta per venerare i resti mortali del santo.
Altri temi reiterati qui e nelle scene seguenti sono: l’indiscutibile santità del Poverello, l’autenticità delle sue stimmate, e il ruolo dell’Ordine nella gestione del culto del fondatore.
In questo affresco, ad esempio, un frate inginocchiato in basso a sinistra, guardando su dal cadavere di Francesco, ne vede (al centro della parte alta dell’affresco) «l’anima beata, in forma di stella fulgentissima, sollevarsi su una candida nuvoletta e penetrare diritta in cielo» (come recita il testo di Bonaventura). Al centro del primo piano in basso, poi, Giotto pone la mano piagata del santo, tenuta teneramente da un frate visto da tergo; un po’ più a sinistra si vede, attraverso uno strappo nel saio, la ferita nel costato, mentre, a destra, un primo frate contempla uno dei piedi di Francesco, un secondo ne bacia l’altro. Sopra questo «compianto» dei confratelli, Giotto fa vedere infine un gran numero di frati intorno al sacerdote che benedice la salma. Questa fitta calca serve a coinvolgere i pellegrini, che da sempre arrivano a Assisi in gruppi: l’artista rassicura la folla presente in basilica che la venerazione del corpo di Francesco è sempre stata un’esperienza condivisa con molti altri. L’affresco seguente, poi — il ventunesimo del ciclo, La visione di frate Agostino e del vescovo di Assisi, completa questo racconto, narrando di due visioni avute al momento stesso della morte del santo, che non viene raffigurato. È nella scena che segue, muovendosi verso l’altare a ovest, che si torna all’immagine del corpo di Francesco. Il tema è come, «Giacendo alla Porziuncola il beato Francesco morto, messer Girolamo, celebre dottore e letterato, muoveva i chiodi, e, con le proprie mani, frugava le mani e i piedi e il costato del Santo» (Legenda Maior XV, 4). Dice Bonaventura che dopo la morte di Francesco, il suo corpo «mediante un miracolo mai visto anticipava l’immagine della risurrezione». Il «miracolo» consisteva nel fatto che i segni nelle mani e nei piedi del santo apparivano come «chiodi connaturati con la carne stessa» e «da qualunque parte si premessero, subito si sollevavano, come dei nervi tutti uniti e durià [erano] neri, come di ferro, mentre la ferita del fianco era rossa e aveva l’aspetto di una rosa bellissima».
Diffusasi la notizia di questo fenomeno, «una marea di popolo accorse sul luogo: volevano vedere con i propri occhi il prodigio, per scacciare ogni dubbio della ragione e accrescere l’emozione con la gioia».
Nella folla c’era anche «un cavaliere dotto e prudente, di nome Girolamo, molto noto fra il popolo», il quale, «siccome aveva dubitato di questi sacri segni ed era incredulo come Tommaso, con maggior impegno e audacia muoveva i chiodi e le mani del santo, alla presenza dei frati e degli altri cittadini, tastava con le proprie mani i piedi e il fianco per recidere dal proprio cuore e dal cuore di tutti la piaga del dubbio». Ecco, questo affresco narrante la verifica, da parte di uno scettico, dell’autenticità delle stimmate serve a «recidere» dalla mente dei pellegrini «la piaga del dubbio».
Giotto inserisce la verifica compiuta dal cavaliere Girolamo (che vediamo in ginocchio accanto alla salma) nel contesto della solenne liturgia funebre del santo, facendo vedere anche il sacerdote in piviale nero che legge il rito affiancato da accoliti e circondato da ceri. L’evento è ambientato nella chiesa della Porziuncola, di cui si vede il catino absidale sullo sfondo; il catafalco di Francesco, ricoperto di un tessuto prezioso, è sistemato appena davanti alla trave divisorio tra la navata e il presbiterio, presumibilmente uguale a quella che all’epoca ancora divideva gli spazi della basilica superiore. Nell’affresco la trave fa anche da iconostasi, così che la salma di Francesco è vista sotto immagini della Madonna col Bambino, della Croce di Cristo e di san Michele Arcangelo, a cui il santo era specialmente devoto; queste icone sono inclinate in avanti, verso il popolo, con meccanismi di sostegno analoghi a quello visibile nel Presepe di Greccio. Davanti alle immagini pendono due vasi eucaristici coperti di veli e una armatura metallica a paniere con sette lampade.
Nella folla che Giotto rappresenta, oltre ai francescani vi sono anche molti laici. Bonaventura afferma infatti che «i cittadini assisiani, nel più gran numero possibile, furono ammessi a contemplare e a baciare quelle stimmate sacre». Giotto, le quattro scene rimanenti hanno in effetti il carattere di un’appendice: narrano alcuni miracoli del santo per dimostrare la legittimità — anzi, la «necessità» — della sua canonizzazione.
(©L'Osservatore Romano 28 ottobre 2011)
Benedetto XVI: oggi l' unico e vero Maestro è Gesù Cristo (Giannino)
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Eid: ora i Cristiani lascino Assad e seguano il Papa (Sussidiario)
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Il Papa: i veri maestri non sono autoritari e non cercano ammirazione (Ansa)
Papa: veri maestri non sono autoritari ne'cercano ammirazione
(ANSA) - CITTA' DEL VATICANO, 30 OTT
Identikit del vero maestro: non si comporta in contrasto con cio' che predica, non impone per autorita' fardelli troppo gravi sulle coscienze, non insegue l'ammirazione delle persone.
Lo ha tracciato il Papa, richiamando l'insegnamento di Gesu' su scribi e farisei, e le considerazioni sul tema di san Bonaventura e del pensatore cattolico Antonio Rosmini.
Gesu', ha ricordato il Papa durante l'Angelus domenicale rimproverava gli scribi e i farisei, ''che avevano nella comunita' il ruolo di maestri, perche' la loro condotta era apertamente in contrasto con l'insegnamento che proponevano agli altri con rigore''.
Cristo ha condannato i ''fardelli troppo pesanti e difficili da portare'' che i farisei mettevano ''sulle spalle della gente'', il Papa ammonisce che ''la buona dottrina va accolta ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente'' e che il comandamento di amore che Gesu' insegna a tutti ''e' un peso leggero, soave, proprio perche' ci aiuta a portarlo insieme con Lui''.
© Copyright Ansa
(ANSA) - CITTA' DEL VATICANO, 30 OTT
Identikit del vero maestro: non si comporta in contrasto con cio' che predica, non impone per autorita' fardelli troppo gravi sulle coscienze, non insegue l'ammirazione delle persone.
Lo ha tracciato il Papa, richiamando l'insegnamento di Gesu' su scribi e farisei, e le considerazioni sul tema di san Bonaventura e del pensatore cattolico Antonio Rosmini.
Gesu', ha ricordato il Papa durante l'Angelus domenicale rimproverava gli scribi e i farisei, ''che avevano nella comunita' il ruolo di maestri, perche' la loro condotta era apertamente in contrasto con l'insegnamento che proponevano agli altri con rigore''.
Cristo ha condannato i ''fardelli troppo pesanti e difficili da portare'' che i farisei mettevano ''sulle spalle della gente'', il Papa ammonisce che ''la buona dottrina va accolta ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente'' e che il comandamento di amore che Gesu' insegna a tutti ''e' un peso leggero, soave, proprio perche' ci aiuta a portarlo insieme con Lui''.
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La denuncia del Papa: in Africa la stregoneria uccide i bambini (Giansoldati). Il Messaggero è l'unico giornale ad occuparsi del discorso di Benedetto XVI ai vescovi angolani
Clicca qui per leggere l'articolo.
Il Messaggero (correggetemi se sbaglio) e' l'unico giornale cartaceo, oltre all'Osservatore Romano, ad essersi occupato del discorso del Papa ai vescovi dell'Angola. Non c'era alcun articolo nemmeno su Avvenire.
Il Messaggero (correggetemi se sbaglio) e' l'unico giornale cartaceo, oltre all'Osservatore Romano, ad essersi occupato del discorso del Papa ai vescovi dell'Angola. Non c'era alcun articolo nemmeno su Avvenire.
domenica 30 ottobre 2011
Giornata di Assisi: le parole del Santo Padre, di Bartolomeo I e dei cardinali Tauran e Koch (O.R.)
PELLEGRINAGGIO DEL SANTO PADRE AD ASSISI (27 OTTOBRE 2011): LO SPECIALE DEL BLOG
Le parole di Benedetto XVI
Mai più violenza e guerra
Mai più violenza!
Mai più guerra!
Mai più terrorismo!
In nome di Dio ogni religioneporti sulla terra Giustizia e Pace, Perdono e Vita, Amore!
La monizione del cardinale Tauran
Ad aprire l'incontro è stato il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che ha pronunciato la monizione introduttiva. Ne diamo di seguito una nostra traduzione italiana.
«Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12, 17-18).
Nel silenzio che si è fatto preghiera, col digiuno, espressione del nostro desiderio di purificazione e vicinanza a chi soffre, e nel pellegrinaggio che ci ha visto viandanti in cammino verso la Verità, siamo giunti all'ultima parte della nostra celebrazione.
La speranza della pace si è ravvivata nella preghiera personale e nell'ascolto delle testimonianze. Ciascuno di noi, ritornando a casa sua, abbia a cuore di esserne testimone e messaggero: la pace è possibile, ancora oggi!
Tra qualche istante rinnoveremo il comune impegno di non rassegnarci mai alle guerre e alle separazioni. Sappiamo, avendone fatto nuovamente esperienza oggi, che, con l'aiuto di Dio, la fede può vincere il dubbio, la fiducia superare l'angoscia, la speranza può avere la meglio sulla paura.
Pace sia benedizione per tutti!
L'introduzione del Patriarca ecumenico Bartolomeo
Dopo il cardinale Tauran, ha preso la parola il Patriarca ecumenico Bartolomeo i. Questa una traduzione delle sue parole.
Raccolti qui, ad Assisi, abbiamo insieme riflettuto sulla pace, dono di Dio e bene comune dell'intera umanità. Pur appartenendo a tradizioni religiose diverse, affermiamo che per costruire la pace è necessario amare il prossimo rispettando la Regola d'oro: Fa' agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te.
Con questa convinzione, non ci stancheremo di lavorare nel grande cantiere della pace e per questo.
Le parole del cardinale Koch
Al momento dello scambio della pace, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, ha pronunciato le parole che pubblichiamo in una nostra traduzione italiana.
«Gloria, onore e pace per chi opera il bene».
Diventiamo strumenti della pace che viene dall'alto. Ricordiamo che non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono. Sigilliamo con un gesto di pace tra noi l'impegno per la pace proclamato a più voci. Rechiamo pace ai vicini e ai lontani, alle creature e al creato.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Le parole di Benedetto XVI
Mai più violenza e guerra
Mai più violenza!
Mai più guerra!
Mai più terrorismo!
In nome di Dio ogni religioneporti sulla terra Giustizia e Pace, Perdono e Vita, Amore!
La monizione del cardinale Tauran
Ad aprire l'incontro è stato il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che ha pronunciato la monizione introduttiva. Ne diamo di seguito una nostra traduzione italiana.
«Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12, 17-18).
Nel silenzio che si è fatto preghiera, col digiuno, espressione del nostro desiderio di purificazione e vicinanza a chi soffre, e nel pellegrinaggio che ci ha visto viandanti in cammino verso la Verità, siamo giunti all'ultima parte della nostra celebrazione.
La speranza della pace si è ravvivata nella preghiera personale e nell'ascolto delle testimonianze. Ciascuno di noi, ritornando a casa sua, abbia a cuore di esserne testimone e messaggero: la pace è possibile, ancora oggi!
Tra qualche istante rinnoveremo il comune impegno di non rassegnarci mai alle guerre e alle separazioni. Sappiamo, avendone fatto nuovamente esperienza oggi, che, con l'aiuto di Dio, la fede può vincere il dubbio, la fiducia superare l'angoscia, la speranza può avere la meglio sulla paura.
Pace sia benedizione per tutti!
L'introduzione del Patriarca ecumenico Bartolomeo
Dopo il cardinale Tauran, ha preso la parola il Patriarca ecumenico Bartolomeo i. Questa una traduzione delle sue parole.
Raccolti qui, ad Assisi, abbiamo insieme riflettuto sulla pace, dono di Dio e bene comune dell'intera umanità. Pur appartenendo a tradizioni religiose diverse, affermiamo che per costruire la pace è necessario amare il prossimo rispettando la Regola d'oro: Fa' agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te.
Con questa convinzione, non ci stancheremo di lavorare nel grande cantiere della pace e per questo.
Le parole del cardinale Koch
Al momento dello scambio della pace, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, ha pronunciato le parole che pubblichiamo in una nostra traduzione italiana.
«Gloria, onore e pace per chi opera il bene».
Diventiamo strumenti della pace che viene dall'alto. Ricordiamo che non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono. Sigilliamo con un gesto di pace tra noi l'impegno per la pace proclamato a più voci. Rechiamo pace ai vicini e ai lontani, alle creature e al creato.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Nella basilica di Santa Maria degli Angeli l'incontro con i membri delle diverse religioni e con i non credenti. Le testimonianze dei leader religiosi e della Professoressa Julia Kristeva (Osservatore Romano)
Il Papa: "La critica della religione, a partire dall’illuminismo, ha ripetutamente sostenuto che la religione fosse causa di violenza e con ciò ha fomentato l’ostilità contro le religioni. Che qui la religione motivi di fatto la violenza è cosa che, in quanto persone religiose, ci deve preoccupare profondamente. In un modo più sottile, ma sempre crudele, vediamo la religione come causa di violenza anche là dove la violenza viene esercitata da difensori di una religione contro gli altri. I rappresentanti delle religioni convenuti nel 1986 ad Assisi intendevano dire – e noi lo ripetiamo con forza e grande fermezza: questa non è la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione" (Intervento del Santo Padre in occasione della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, Assisi, 27 ottobre 2011)
Nella basilica di Santa Maria degli Angeli l'incontro con i membri delle diverse religioni e con i non credenti
Testimonianze per la pace
I rappresentanti delle diverse religioni e un gruppo di non credenti si sono riuniti con Benedetto XVI giovedì 27 ottobre ad Assisi per la giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, a venticinque anni dallo storico incontro convocato da Giovanni Paolo II nella città di san Francesco. Di seguito pubblichiamo una nostra traduzione italiana delle dieci testimonianze di pace presentate nel corso della mattinata nella basilica di Santa Maria degli Angeli. Quella di Kyai Haji Hasyim Muzadi, che all'ultimo momento non ha potuto essere presente, è stata letta da un suo rappresentante.
Il conflitto nasce dall'indifferenza
Sua Santità Bartolomeo i
Patriarca Ecumenico
Santità, Eminenze, Eccellenze,
Rappresentanti delle diverse religioni del mondo,
Signori e signore, cari amici,
ogni dialogo autentico porta in sé i germi di una metamorfosi da realizzare. La natura di tale trasformazione costituisce una conversione che ci fa uscire dai nostri particolarismi per considerare l'altro come soggetto di relazione e non più come oggetto d'indifferenza.
Perché, è dall'indifferenza che nasce l'odio,
è dall'indifferenza che nasce il conflitto,
è dall'indifferenza che nasce la violenza.
Contro questi mali, solo il dialogo è una soluzione percorribile e a lungo termine. In quanto capi religiosi, il nostro ruolo è soprattutto quello di promuoverlo e di mostrare attraverso il nostro esempio quotidiano che noi non viviamo unicamente gli uni contro gli altri, o gli uni accanto agli altri, ma piuttosto gli uni insieme agli altri, in uno spirito di pace, di solidarietà e di fraternità. Ma per raggiungere tale scopo, il dialogo richiede un completo rovesciamento del nostro modo di essere al mondo. Sentiamo bene le voci di coloro che esaltano il protezionismo, poiché la mondializzazione porta nella propria scia una corrente relativista che genera, per opposizione, dei ripiegamenti comunitaristi e identitari, dentro ai quali si nasconde l'inimicizia. È per questo che il nostro impegno non deve limitarsi unicamente a un lavoro all'esterno delle nostre comunità, ma è opportuno che capisca anche le logiche ad intra. La nostra responsabilità risulta essere allora tanto più grande e l'organizzazione di questo incontro per la pace ad Assisi assume tutta la sua importanza. Non si tratta, come alcuni insinuano, di fare del dialogo interreligioso, un dialogo ecumenico, in una prospettiva sincretista. Al contrario, la visione che noi lodiamo nel dialogo interreligioso possiede un senso tutto particolare, che deriva dalla capacità stessa delle religioni di impegnarsi nel campo della società per promuovervi la pace. Questo è lo spirito di Assisi, questa è anche la via sulla quale il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli si è impegnato da molti anni.
Ancora oggi, venticinque anni dopo il primo incontro convocato dal beato Giovanni Paolo II proprio qui ad Assisi, dieci anni dopo i drammatici eventi dell'11 settembre e nel momento in cui le «primavere arabe» non hanno messo fine alle tensioni intercomunitarie, il posto delle religioni tra i fermenti in atto nel mondo resta ambiguo. Noi continuiamo, in effetti, a temere l'accresciuta marginalizzazione delle comunità cristiane del Medio Oriente. Dobbiamo opporci alla deformazione del messaggio delle religioni e dei loro simboli da parte degli autori di violenza. Sviluppare il religioso mediante il religioso stesso, questa è l'esigenza necessaria per promuovere la dimensione umanitaria di una figura del divino che si vuole misericordioso, giusto e caritatevole.
È per questo che i responsabili delle religioni devono farsi carico del processo di ristabilimento della pace. Poiché il solo modo di levarci contro la strumentalizzazione bellicista delle religioni è di condannare fermamente la guerra e i conflitti, e di porci come mediatori di pace e di riconciliazione.
Santità,
questi sono alcuni elementi che intendiamo portare alla riflessione generale nel quadro di questo nuovo incontro di Assisi, al convergere in favore di una riconciliazione globale dell'uomo con Dio, dell'uomo con se stesso, ma anche dell'uomo con l'ambiente. Poiché l'altruismo non può limitarsi alle sole relazioni all'interno dell'umanità. Chi dice «essere in relazione», fa riferimento anche all'esperienza estesa dell'alterità, fino alla natura stessa in quanto creazione di Dio.
Il nostro dialogo è dunque riconciliazione. Tutti noi ci riconosciamo in questa espressione delle Beatitudini: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Matteo 5, 9). Questa responsabilità non è semplicemente verbale, essa attende da noi che siamo fedeli alla nostra fede, fedeli al disegno di Dio sul mondo, rispondendo a ciò che egli chiede. Che noi possiamo essere i segni di questo impegno! Solo allora la pace di cui siamo alla ricerca, questo tesoro tanto caro da acquistare e purtroppo tanto facile da perdere, risplenderà nel mondo.
Preghiamo Dio Nostro Signore che accordi al mondo la sua grazia e che ci ispiri ad essere pellegrini di verità e di pace.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Un'unica radice sotto tutti i rami
Sua Grazia Dottor Rowan Douglas Williams
Arcivescovo di Canterbury
Vostra Santità, Santità, Beatitudini,
Fratelli e sorelle in Cristo, cari amici,
È un grande onore essere con voi a celebrare l'anniversario della prima giornata di preghiera per la pace tenutasi in questo luogo sotto la guida del beato Giovanni Paolo II. Il defunto Pontefice credeva fermamente che la cura degli esseri umani per la giustizia e la stabilità nella nostra epoca richiedeva una testimonianza comune da parte delle persone religiose, escludendo ogni compromesso circa le proprie particolari convinzioni e tradizioni. Gli anni trascorsi da quel primo raduno hanno confermato questa convinzione nel modo più deciso possibile. Le sfide del nostro tempo sono tali che nessun gruppo religioso può pretendere di avere tutte le risorse pratiche di cui ha bisogno per affrontarle, anche se siamo convinti di avere tutto ciò di cui necessitiamo nel campo spirituale e dottrinale. Di tal maniera, noi non siamo qui per affermare un minimo comune denominatore di ciò che crediamo, ma per levare la voce dal profondo delle nostre tradizioni, in tutta la loro singolarità, in modo che la famiglia umana possa essere più pienamente consapevole di quanta sapienza vi sia da attingere nella lotta contro la follia di un mondo ancora ossessionato da paura e sospetti, ancora innamorato dell'idea di una sicurezza basata su di una ostilità difensiva, e ancora in grado di tollerare o ignorare le enormi perdite di vite tra i più poveri a causa di guerre e malattie.
Tutti questi fallimenti dello spirito hanno la loro radice in larga misura nell'incapacità di riconoscere gli estranei come persone che condividono con noi l'unica e medesima natura, l'unica e medesima dignità della persona. Una pace duratura inizia là dove noi vediamo il nostro prossimo come un altro noi stessi -- e dunque iniziamo a comprendere perché e come dobbiamo amare il prossimo come noi stessi.
Per i cristiani, il cuore di tutto ciò è la convinzione che in Gesù di Nazareth Dio stesso si identifica con la natura umana, e quindi con ogni singola persona umana. Ogni volto, ora, appare in maniera diversa, per il fatto che Dio ha preso un volto umano. Nel nostro prossimo riconosciamo non solo qualcuno che ha in sé l'immagine di Dio in virtù della creazione, ma qualcuno che ha in sé anche la possibilità di portare la somiglianza di Gesù Cristo in virtù della nuova creazione. E se così è, non possiamo più, in ultima analisi, essere degli estranei. Ciò che interessa la vita di qualunque persona o comunità, interessa la vita di tutti.
Tutti gli uomini religiosi hanno in comune la convinzione che noi, in ultima analisi, non siamo estranei gli uni agli altri. E se non siamo estranei, dobbiamo prima o poi trovare il modo di concretizzare tale reciproco riconoscimento in relazioni di amicizia vere e durature. Siamo qui oggi per dichiarare la nostra volontà -- o piuttosto la nostra appassionata determinazione -- a persuadere il nostro mondo che gli esseri umani non devono essere degli estranei, e che il riconoscimento è tanto possibile quanto necessario a motivo della nostra universale relazione con Dio.
Termino citando alcuni versi di un grande poeta cristiano della mia terra del Galles, Waldo Williams, maestro, uomo di profonda preghiera ed attivista per la pace nella sua vita adulta.
Egli ha scritto un poema intitolato «Cos'è l'uomo?», e questi sono i versi iniziali:
Cosa significa essere vivi?
Dimorare in una grande sala
tra strette mura
Cosa significa riconoscere?
Trovare un'unica radice
al di sotto di tutti i rami.
Cosa significa avere fede?
Rimanere quieti al focolare
finché siamo pronti a ricevere
il nostro ospite.
Cosa significa perdonare?
Trovare una via tra le spine
per stare accanto
al nostro vecchio nemico.
Possa Dio aiutarci a rispondere a queste domande in questa maniera, con le nostre parole e con la nostra testimonianza.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Per una nuova visione del mondo
Sua Eminenza Norvan Zakarian
Primate della diocesi della Chiesa apostolica armena di FranciaDelegato per l'Europa Occidentale del Catolicossato di tutti gli Armeni
A nome del Capo spirituale della Chiesa Armena, Sua Santità Karekin ii, Catholicos di tutti gli Armeni, siamo lieti di esprimere la nostra più viva gratitudine per questa eccellente iniziativa di invitare i differenti capi religiosi ad Assisi, in questa giornata del 27 ottobre, 25 anni dopo lo storico primo appello per la pace del beato Giovanni Paolo II, per riflettere nuovamente sull'importanza cruciale del dialogo e della preghiera per la pace e per la giustizia nel mondo.
Così la promozione della pace nel mondo costituisce parte integrante della missione secondo la quale la Chiesa continua l'opera redentrice del Cristo sulla terra. La Chiesa eleva gli uomini al di sopra della loro semplice condizione umana, per condurli verso l'assoluto. Essa li allontana dall'odio e dagli egoismi per radunarli insieme nel seno di una comunità aperta e generosa. Di fatto, la Chiesa è in Cristo e può costituire un «sacramento», vale a dire un segno e strumento di pace nel mondo e per il mondo. La promozione di un'autentica pace rappresenta un'espressione della fede cristiana nell'amore che Dio nutre per ciascun essere umano. Dalla fede liberatrice nell'amore di Dio deriva una nuova visione del mondo, e un nuovo modo di rapportarsi all'altro, che si tratti di un individuo o di un intero popolo. Si tratta di una fede che cambia e rinnova la vita, ispirata dalla pace che il Cristo ha lasciato ai suoi discepoli. Sotto il potente impulso di questa fede, la Chiesa desidera promuovere l'unità dei cristiani e al tempo stesso una collaborazione fruttuosa con i credenti delle altre religioni e, più al di là, con tutti gli uomini in generale. Le differenze religiose non possono e non devono costituire una causa di conflitto. Piuttosto, la ricerca comune della pace da parte di tutti i credenti è un profondo fattore di unità tra i popoli. La Chiesa esorta gli individui, i popoli, le nazioni e gli Stati a condividere la sua preoccupazione per ristabilire e consolidare la pace, insistendo particolarmente sul ruolo centrale del diritto delle genti.
Il perdono reciproco non deve sopprimere le esigenze della giustizia né, meno ancora, impedire il cammino che conduce alla verità; al contrario, giustizia e verità rappresentano le condizioni concrete per la riconciliazione. Le iniziative tendenti ad istituire organismi giudiziari internazionali si rivelano opportune. Organismi simili, traendo profitto dal principio della giurisdizione universale e sostenuti da procedure adeguate, rispettose dei diritti degli accusati e delle vittime, possono stabilire la verità sui crimini perpetrati durante i conflitti armati e particolarmente sul crimine più grave di tutti: il genocidio. Tuttavia, è necessario andare al di là dell'identificazione dei comportamenti criminali, causati sia da azione che da omissione, e al di là delle decisioni circa le necessarie misure di riparazione, per pervenire al ristabilimento di relazioni di accoglienza reciproca tra popoli divisi, nel segno della riconciliazione. È infine necessario promuovere il rispetto del diritto alla pace, al fine di favorire la costruzione di una società all'interno della quale i rapporti di forza siano rimpiazzati da rapporti di collaborazione in vista del bene comune.
Allora, con un cuore solo e una voce sola, possiamo dire con il salmista: «Misericordia e verità si sono incontrate; giustizia e pace si sono abbracciate. La verità si è levata dalla terra, e la giustizia si è affacciata dal cielo» (Salmo 84).
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Gerusalemme è una sfida per tutti
Reverendo Dottor Olav Fykse Tveit
Segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese
Santità,
Eminenze, Eccellenze,
distinti leaders religiosi,
San Francesco ci offre l'ispirazione su come la fede in Dio, il dialogo aperto e l'incontro sincero possano portare a contributi significativi per una pace giusta.
Il mondo ha bisogno di costruttori di pace a partire dalla fede. Le comunità di fede, come le 349 Chiese del Consiglio ecumenico delle Chiese, hanno bisogno di giovani «portatori di cambiamento» del mondo. Francesco era un giovane quando si arrese a Dio. La sua passione per la bontà della creazione e l'esempio di radicale audacia per la pace mostrano l'importanza della fede e il coraggio dei giovani. Ciò che Francesco ha compiuto da giovane, nei suoi vent'anni, è per noi un richiamo salutare all'importanza del ruolo che i giovani devono e possono svolgere sia nelle comunità di fede sia nel più ampio contesto sociale. Senza questo, non saremmo qui oggi.
Anche oggi, la pace nel mondo richiede le idee e il contributo dei giovani. Un grande ostacolo a una pace giusta è oggi rappresentato dall'alto livello di disoccupazione tra i giovani in tutto il mondo. Si ha la sensazione che stiamo mettendo in gioco il benessere e la felicità di una generazione. Abbiamo bisogno della visione e del coraggio dei giovani per i cambiamenti necessari. Vediamo come i giovani guidino oggi i processi di democratizzazione e di pace in molti Paesi. Anche quando essi diventano vittime della violenza e del terrore, com'è accaduto nel mio Paese, la Norvegia, quest'anno. Dobbiamo riconoscere che non siamo sempre stati capaci nel dare il giusto tributo e nel sostenere l'apporto che i giovani possono offrire nelle nostre comunità. Noi anziani qui presenti abbiamo bisogno di lavorare insieme per la pace tra generazioni e di dare ai giovani in tutto il mondo una reale speranza per il futuro.
Il mondo ha bisogno di incontri tra i capi delle comunità religiose. Nel mezzo di una guerra di cui Gerusalemme era la meta finale, Francesco venne per condividere esperienze di fede con il sultano in Egitto. Come molti crociati, egli venne per convertire l'altro. Si trovò invece cambiato, convertito, lui stesso.
Siamo qui per lasciare che la conversione di Francesco ci parli e per fare sì che la conversazione tra di noi divenga una sorgente di giustizia e di pace. C'è da guadagnare di più mediante il rispetto per l'altro. Una pace sostenibile richiede che vi sia uno spazio, uno spazio sicuro e senza pericoli, non solo per me, ma anche per l'altro. I cristiani devono ricordarsi che la croce non è per le crociate, ma è un segno di come l'amore di Dio abbracci tutti, anche l'altro.
Per il Consiglio ecumenico delle Chiese un preciso impegno per i prossimi anni sarà quello di lavorare per una pace giusta a Gerusalemme e per tutti i popoli che vivono in Gerusalemme e attorno a quella città che ha Shalom - Salaam nel suo nome. È la città che per il suo nome è chiamata ad essere una visione di pace, ma che nel corso della storia è divenuta così spesso un luogo di conflitto. Mentre visitavo il Pakistan qualche giorno fa, mi sono reso conto di come altri popoli stiano soffrendo a motivo di scontri tra interessi diversi, come conseguenza del fatto che i conflitti attorno a Gerusalemme non sono ancora risolti. Questa città, santa per ebrei, cristiani e musulmani, è un simbolo visibile del nostro anelito, dei nostri migliori e più alti desideri, del nostro amore per la bellezza e del nostro desiderio di servire Dio. Ma è anche un potente richiamo a come le cose migliori possano anche volgersi al peggio. Nel corso della storia, gli esseri umani hanno trovato così difficile amare senza cercare al tempo stesso di possedere in maniera esclusiva.
Preghiamo, come leaders religiosi, per la giustizia e la pace per Gerusalemme e per tutti coloro che là vivono. In un modo misterioso, Gerusalemme non si limita a svelarci queste realtà circa la condizione umana, ci sfida anche a confrontarci con esse. I cristiani credono che ogni essere umano sia creato a immagine di Dio, affermando di conseguenza l'inalienabile dignità umana di ogni persona e l'unità dell'umanità. Siamo chiamati a partecipare al ri-stabilimento della pace per Gerusalemme per ri-creare e riparare il mondo di Dio. Siamo responsabili davanti a Dio e gli uni davanti agli altri della pace nel nostro tempo e di ciò che diciamo o che non diciamo per raggiungerla. Seguiamo insieme l'esempio di san Francesco e di altri, giovani e vecchi, uomini e donne, per suscitare fra noi il coraggio di costruire una pace giusta.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
L'arca di Noè e la visione di Isaia
Rabbi David Rosen, ksg, cbe
Direttore internazionale per gli affari interreligiosi, ajc
Un pellegrinaggio è, per definizione, molto più che un viaggio. Le parole ebraiche per pellegrinaggio sono aliyah la'regel, espressione che significa «salita a piedi».
Il concetto biblico di ascesa aveva un significato al tempo stesso letterale e spirituale. Letterale, poiché si salivano i monti della Giudea sino a Gerusalemme, al santo Tempio. In ogni caso, il simbolismo fisico cercava di instillare nella coscienza del pellegrino una consapevolezza interiore di ascesa spirituale, di essere sempre più vicino a Dio e, di conseguenza, un accordo con il volere divino e con i comandamenti.
Questo concetto di pellegrinaggio, di ascesa, è centrale alla visione profetica dello stabilimento del Regno dei Cieli sulla terra -- la visione messianica di pace universale.
Nelle parole del profeta Isaia: «Verranno molti popoli e diranno: “Andiamo e saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe, affinché egli ci insegni le sue vie e noi possiamo camminare nei suoi sentieri; poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore”. Egli sarà giudice tra le nazioni e arbitro fra molti popoli; spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri e delle loro lance faranno falci. Una nazione non alzerà più la spada contro un'altra e non impareranno più l'arte della guerra» (Isaia 2, 3-4). E continua il profeta: «Il lupo dimorerà insieme con l'agnello; il leopardo si sdraierà con il bambino; il vitello e il leone pascoleranno insieme, e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l'orsa pascoleranno insieme, i loro piccoli si sdraieranno insieme; il leone si ciberà di paglia, come il bue. Un lattante giocherà sulla buca di un serpente e un bambino metterà la sua mano nel covo di una vipera. Non faranno del male né distruggeranno in tutto il mio santo monte, poiché la terra sarà piena della conoscenza del Signore, come le acque ricoprono il mare» (11, 6-9).
C'è un famoso commento del grande rabbino Meir Simcha di Dwinsk, vissuto un secolo fa. Egli osservava che questa visione di pace si era già realizzata una volta nella storia religiosa dell'umanità, all'interno dell'arca di Noè. Una storia che gli ebrei di tutto il mondo ripeteranno nelle sinagoghe il prossimo Sabbath. Lì i predatori dovettero vivere da vegetariani e le loro potenziali prede poterono vivere in pace. Tuttavia, notava il rabbino, la profonda differenza tra la situazione dell'arca di Noè e la visione di Isaia è che nell'arca di Noè non vi era possibilità di scelta. Quella era l'unica opzione disponibile per gli animali, al fine di sopravvivere al diluvio. La visione di Isaia invece nasce dalla «conoscenza del Signore»: è una visione che sgorga dalla più intima comprensione spirituale e dalla libera volontà.
Per molti, nel mondo, la pace è una necessità pragmatica -- e in effetti ciò è vero, non dobbiamo in alcun modo sminuire la benedizione che rappresenta per il nostro mondo un tale pragmatismo. Tuttavia, ciò che gli uomini e le donne di fede cercano e ciò a cui anelano, «salire alla montagna del Signore», è un'idea di pace quale espressione sublime della volontà divina e dell'immagine divina nella quale ogni essere umano è creato.
Per aver dimostrato questa aspirazione in una maniera così visibilmente meravigliosa, qui in Assisi, 25 anni fa, noi abbiamo un debito di gratitudine alla memoria del beato Giovanni Paolo II e dobbiamo essere profondamente grati al suo successore, Papa Benedetto XVI, per aver continuato questo cammino.
I saggi del Talmud ci insegnano che pace non solo è il nome di Dio (Shabbat 10b, cfr. Giudici 6, 24), ma è anche il prerequisito indispensabile per la redenzione, come sta scritto (Isaia 52, 7): «Egli annuncia la pace... egli annuncia la salvezza» (Deuteronomio Rabbah 20, 10). Inoltre, i nostri saggi sottolineano che non vi è altro valore per cercare il quale siamo obbligati ad uscire dalla nostra strada, come accade per la pace, come sta scritto (Sal 34, 15): «Cerca la pace e perseguila».
Possa l'incontro di oggi rinvigorire tutti gli uomini e donne di fede e di buona volontà per moltiplicare i nostri sforzi e fare di questo obiettivo una realtà, la realtà che porti vera benedizione e guarigione all'umanità, come sta scritto: «Pace, pace ai lontani e ai vicini e io li guarirò» (Isaia 57, 19).
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Un più profondo rispetto per la natura
Professor Wande Abimbola, Awise Agbaye
Portavoce della religione Ifu e Yoruba nel mondo
Permettetemi anzitutto di esprimere la mia profonda riconoscenza al Santo Padre, Papa Benedetto XVI, per avermi invitato a partecipare alla giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la giustizia e la pace nel mondo. Sono sicuro di parlare anche a nome dei capi e dei seguaci delle religioni indigene d'Africa, e più in generale del mondo, nel dire che sono molto lieto di essere incluso in un momento così importante e storico. Possa il Santo Padre crescere sempre più in forza, compiere la sua missione e il suo destino verso i popoli del mondo. In secondo luogo, porto l'omaggio e il saluto da parte dei popoli d'Africa e dei membri della religione yoruba nel mondo, di cui sono portavoce.
Ríran le rán mi wá o o ò
Èmi kí mo ránrà mi
Àsé dowó enì tó rán mi wá.
Sono un portavoce di coloro che mi hanno inviato
Non sto parlando da me stesso
L'autorità spirituale con cui parlo appartiene a coloro che mi hanno mandato.
È venuto il tempo per i leaders di tutte le religioni del mondo di avere un nuovo quadro concettuale in cui alle religioni indigene venga dato lo stesso rispetto e considerazione delle altre religioni. Non possiamo avere pace nel mondo quando non rispettiamo, abusiamo, o disprezziamo i nostri vicini. Una condizione fondamentale per la pace, perciò, è che tutte le persone di fede abbiano rispetto e amore le une per le altre. Relazioniamoci alle persone per il carattere che hanno, non sulla base della religione che praticano o della denominazione cui appartengono.
Lavoriamo tutti insieme per un maggiore rispetto, amore e giustizia, mentre al tempo stesso ci manteniamo fedeli alle dottrine delle religioni che abbracciamo. Dobbiamo sempre ricordarci che la nostra propria religione, così come le religioni praticate da altra gente, sono valide e preziose agli occhi dell'Onnipotente, che ha creato tutti noi con questa diversità e pluralità di vie di vita e di sistemi di credenza.
Non è sufficiente rispettare il nostro prossimo, uomini e donne. Abbiamo bisogno di sviluppare anche un profondo rispetto per la natura. Sino a quando alla natura, nostra Madre, non verrà dato il giusto rispetto e onore nei nostri pensieri e azioni, gli esseri umani non potranno trovare la vera pace e la tranquillità che noi tutti andiamo cercando. Non solo, se continuiamo sullo stesso sentiero di non rispetto e distruzione della natura sul quale abbiamo camminato per secoli, quel sentiero può portarci solo al disastro.
Adéerí lawo Aláràán
Adétutú lawo Ajífòràngbogbolà
A dífá fún Òrúnmìlà
Ifá n lo lèé gbólómí tútú níyàwó
Ayé Ifá tutù jomi lo
Baraà mi Èrìgì Álò
Ifá ló gbólómí tútù níyàwó
Ayé Ifá tutù jomi lo
Adeyeri, Ifa, sacerdote di Alaraan
Adetutu, Ifa, sacerdote di Ajiforangbogbola
Questi sono i sacerdoti che divinano per Orunmila
Il giorno in cui egli stava per sposare Colei-che-si-bagna-nell'acqua-fredda
Come risultato, la vita di Ifa divenne più fredda dell'acqua
Mio grande Signore, Erigi Alo,
Ifa ha sposato Colei-che-si-bagna-con-l'acqua fredda
La vita di Ifa divenne più fredda dell'acqua.
I versi appena citati si riferiscono a Olokun, l'ultima e la più amata moglie di Ifa. Possano le fredde acque di Olokun, dalle profondità degli oceani, portare freschezza, amore, tranquillità e pace a tutti noi e al nostro mondo colpito da lotte, odio, guerra e intolleranza.
Lavoriamo insieme per costruire e mantenere un mondo migliore.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Con la forza della non violenza
Acharya Shri Shrivatsa Goswami
Sri Radharamana Temple, Vrindavan, India
Rappresentante della religione Hindu
«O infinito Dio fatto corpo! Io vedo te in ogni mano e piede, in ogni occhio e testa, in ogni nome ed essere. Mi inchino a te in ognuno di essi».
L'induismo è un pellegrinaggio dall'ignoranza alla verità, dalla morte all'immortalità. Questo pellegrinaggio ha due aspetti. Partendo dall'esterno, noi siamo in cerca della verità che può essere manifesta nel mondo fisico. Cerchiamo di rafforzare i sistemi ecologico, sociale ed economico. L'equa distribuzione di cibo e di altre risorse materiali è una grandissima virtù e pratica religiosa.
Ma poi c'è il secondo aspetto: il pellegrinaggio interiore. Non potremmo sostenere il cammino esteriore se non fossimo in viaggio all'interno del mondo dei valori e dei principi che sostiene il comportamento umano. Verità e pace sono in cima alla lista di questi valori universalmente applicabili -- chiamati dharma. Per il Mahatma Gandhi, la verità era Dio.
Quanto alla pace, c'è una caratteristica preghiera hindu proprio per questo dono. È una preghiera per la pace nella terra e nel cielo, nella vegetazione e nelle piante, nell'acqua e nell'aria -- ma questo non è tutto. La persona che prega questa preghiera, prega per la pace che viene nel processo stesso della pace. La pace non può mai essere raggiunta con mezzi violenti. Da Krishna a Buddha, dal Mahatma Gandhi a Martin Luther King, al vescovo Tutu -- tutti questi pellegrini di pace affermano che non c'è una via per la pace. La pace stessa è la via. Il nostro comune obiettivo di pace può essere raggiunto mediante il nostro impegno per la verità -- satyagraha. Questo impegno, anche se ostacolato e impedito, trova ugualmente la propria via mediante la non-violenta non-cooperazione. La storia rende testimonianza alla sua forza.
Venticinque anni fa, qui in Assisi, il Papa Giovanni Paolo II ci fece iniziare il pellegrinaggio odierno. Adesso pertanto dobbiamo riflettere sul nostro progresso su questa strada. Perché non siamo arrivati più vicini a dove egli voleva essere? Siamo mancanti nella parte interiore del viaggio? Il dialogo sarà un esercizio futile se non lo intraprendiamo con umiltà, pazienza e il desiderio di rispettare l'«altro» -- e ciò senza pretendere lo stesso in cambio. Questo ci renderà capaci di dire «no» all'ingiustizia di ogni tipo.
Ciò richiede molto coraggio, e quel coraggio verrà solo dalla preghiera. Uniamoci perciò alla preghiera di Sri Caitanya Mahaprabhu, grande maestro spirituale del XVI secolo: «Non desidero ricchezza o piaceri mondani; nemmeno cerco fama, o un nome. Prego solo che possa servire gli altri con amore». Questo è un compito arduo. Esige da noi di vedere nuovamente ciò che l'antico Veda dichiara: che la verità è una -- e allo stesso tempo, che è professata in molti modi differenti. Om Shantih, Shantih Shantih.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Come fiori che sbocciano e appassiscono
Ja-Seung
Presidente dello Jogye Order, Buddismo coreano
Desidero innanzitutto ringraziare Sua Santità Papa Benedetto XVI perché mi dà l'opportunità di parlare in questa fortunata circostanza. Sono onorato di offrire le mie felicitazioni all'assemblea di leaders religiosi del mondo riuniti qui in Assisi, un luogo molto santo, colmo di pace e riconciliazione.
Cari leaders religiosi,
nei 25 anni trascorsi dall'incontro di leaders religiosi qui in Assisi, il nostro mondo è drasticamente cambiato. Una nuova epoca sta rapidamente avvicinandosi. Lo sviluppo della tecnologia informatica più avanzata e dei social networks ci ha dato la possibilità di connetterci e comunicare con qualsiasi altra persona nel mondo, in modo istantaneo. Come sappiamo dall'esperienza, anche le ramificazioni di questa iper-connessione sono istantanee. Tutto è interconnesso. Voi ed io non esistiamo come individui separati, al contrario, noi tutti siamo inestricabilmente connessi gli uni agli altri. Il buddismo ci offre una possibilità di comprensione di questa verità mediante la dottrina della Origine Dipendente.
Come esiste una varietà di fiori che fioriscono e appassiscono, così anche voi ed io fioriamo e appassiamo. Ma ciascuna delle nostre vite è preziosa, un fiore bellissimo che fa del mondo un unico fiore e lo rende un luogo glorioso e magnifico. Proprio come questi fiori, ogni essere senziente è bellissimo e deve essere rispettato. Non c'è posto per la violenza o il terrorismo nella religione, che sottolinea come ogni vita è preziosa e deve essere amata.
Per questa ragione, vorrei proporre una «Fraternità in favore della vita», il radunarsi insieme di persone di fede per eliminare le radici della violenza e della guerra condotta in nome della religione o dell'ideologia. Vorrei anche che vi uniste a me in una «Fraternità in favore della pace», così che la coesistenza armoniosa e il mutuo rispetto siano resi possibili in questo mondo, indipendentemente dalla religione, dalla razza e dalla cultura. Per di più, dobbiamo accettare le nostre differenze culturali e superare i conflitti culturali mediante la mutua comprensione e la crescita spirituale. Dobbiamo convenire insieme in una «Fraternità in favore della cultura». Dobbiamo anche realizzare una «Fraternità in favore del condividere», per aiutare quelle persone che ancora soffrono per la povertà, la fame e l'ingiustizia. In ultima analisi, ogni cosa è già perfetta e noi tutti siamo già collegati come delicati petali di fiore. Infine, vorrei proporre una «Fraternità in favore dell'azione», affinché tutti possiamo sperimentare questa verità personalmente e aiutare a rendere questo mondo puro e profumato come un fiore.
Cari leaders religiosi,
la Dichiarazione per la pace religiosa dello Jogye Order del buddismo coreano promuove il mutuo rispetto tra fedi diverse. Facciamo voti perché, guidati dall'amore, dalla benevolenza e da una grande compassione, sappiamo operare con le persone di ogni credo per aiutare coloro che soffrono a raggiungere felicità e pace. Insieme, possiamo diminuire la povertà e le malattie, prevenire la violenza e la guerra, e porre fine alla distruzione ambientale causata da uno sviluppo indiscriminato. Attraverso l'unione della nostra fede, possiamo far camminare l'umanità in direzione della pace e dell'armonia.
Possano essere felici tutti gli esseri!
La religione al di sopra degli interessi
Dottor Kyai Haji Hasyim Muzadi
Segretario generale della Conferenza internazionale degli studiosi islamici (Icis) e già presidente di Nabdlatul Ulama (Nu)
In teoria, l'essenza e la finalità della presenza di religioni su questa terra è quella di rafforzare i valori e la dignità dell'umanità, la pace e il progresso del mondo, dal momento che una tale presenza è intesa non ad altro che a illuminare l'umanità.
Tuttavia, la realtà dimostra che molti problemi tra gli uomini su questa terra derivano proprio da coloro che seguono una religione, sebbene ciò non significhi che i problemi che sorgono dagli uomini appartenenti a una religione siano originati dalla religione stessa. Ciò accade semplicemente per il fatto che religioni autentiche, con i propri salutari insegnamenti, possono avere seguaci che non sono in grado di comprenderne il carattere salutare in maniera piena e completa.
Una mancanza di comprensione piena e completa degli insegnamenti delle religioni si verifica quando i rispettivi seguaci ne possiedono una comprensione solo parziale e non comprendono le relazioni tra religioni.
Non vi è dubbio che l'errore nella conoscenza religiosa abbia portato alla distorsione della religione stessa.
Per esempio, se una comunità religiosa comprende male i propri riti o i propri concetti teologici, tale errore avrà conseguenze unicamente sui propri seguaci.
Quando invece essi sbagliano nel comprendere gli aspetti sociali della religione, allora l'errore finisce per avere conseguenze non solo sui propri seguaci, ma anche sull'intera società, nella forma di tensioni sociali o perfino di conflitti sociali. E tali conflitti sociali possono scivolare persino in forme di conflitto tra Stati nel mondo.
Ogni religione possiede la propria identità. Tra religioni vi sono somiglianze e differenze. Un carattere comune a ogni religione è la speranza per la creazione di armonia tra gli uomini, pace, giustizia, prosperità e un migliore livello di vita.
Ciò su cui le religioni si differenziano sono le questioni di teologia e di riti. Per questo, al fine di ottenere una durevole armonia e coesistenza tra religioni, non si dovrebbe e non si deve forzare a cambiare ciò che è diverso, e non si devono imporre quei punti di vista che non sono condivisi. In questo modo può essere garantito il mantenimento di una coesistenza tra religioni, in accordo con ciascuna singola fede religiosa.
Oltre al fattore della mancanza di comprensione adeguata delle religioni, vi sono altri fattori alla base dei conflitti che sorgono tra credenti; fattori che sono basati su interessi non religiosi, che si ammantano di insegnamenti religiosi e strumentalizzano la religione per obiettivi non religiosi. Interessi al di là degli scopi religiosi possono essere di natura politica, economica, culturale, o altri interessi non religiosi che sono presentati in modo da sembrare religiosi.
Tali interessi possono nascere da gruppi specifici che dichiarano di essere animati da motivazioni religiose e si rifanno a temi religiosi.
Il nostro dovere, come comunità religiose, è di portare a tutti i credenti la libertà di comprendere veramente il proprio destino e di correggere le comprensioni errate della religione che portano a conflitti sociali tra l'umanità.
Inoltre, dobbiamo essere saggi per discernere quei problemi che possono essere definiti come religiosi, da quelli che si presentano indebitamente come problemi religiosi.
Molte volte, gli interessi delle autorità politiche sono etichettati come questioni religiose, mentre in realtà sono ben lontani dall'essere tali. A questo riguardo, dobbiamo identificare la religione come ciò che è al di sopra di tutti gli interessi. Se la religione sarà posta al di sopra degli interessi, allora servirà come un faro di speranza ricevuto dai nostri antenati.
Al contrario, se le religioni sono poste al servizio di tali interessi, allora le comunità religiose saranno sempre in guerra tra di loro.
Per questo motivo, l'armonia tra i seguaci delle religioni deve iniziare dal cuore di ogni religione, presentato secondo un quadro pacifico, con l'obiettivo di ridurre i conflitti in questo mondo.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Dall'età del sospetto all'età della scommessa
Professoressa Julia Kristeva
Cos'è l'umanesimo? Un grande punto di domanda sulla questione più seria? L'uomo e Dio. È nella tradizione europea, greco-giudaico-cristiana, che si produce questa realtà, che continua al tempo stesso a promettere, ma anche a deludere, a rifondarsi. Le parole di Giovanni Paolo II, «Non abbiate paura!», non sono indirizzate unicamente ai credenti, perché esse incoraggiavano a resistere al totalitarismo. L'appello di quel Papa, apostolo dei diritti umani, ci spinge anche a non temere la cultura europea, ma, al contrario, a osare l'umanesimo: nel costruire delle complicità tra l'umanesimo cristiano e quello che, scaturito dal rinascimento e dall'illuminismo, ha l'ambizione di aprire le strade rischiose della libertà. Grazie oggi al Papa Benedetto XVI per avere invitato per la prima volta in questi luoghi degli umanisti tra voi. È un avvenimento.
L'umanesimo del XXI secolo non è un teomorfismo. Né «valore», né «fine» superiore, l'Uomo con la maiuscola non esiste. Dopo la Shoah e il gulag, l'umanesimo ha il dovere di ricordare a uomini e donne che se, per un verso, noi ci riteniamo gli unici legislatori, è unicamente attraverso la continua messa in questione della nostra situazione personale, storica e sociale che noi possiamo decidere della società e della storia. Oggi lungi dalla demondializzazione, è necessario inventare nuove norme internazionali per regolamentare e controllare il mondo della finanza e dell'economia globalizzate e creare infine un'autorità mondiale etica universale e solidale.
L'umanesimo è un processo di rifondazione permanente, che si sviluppa unicamente grazie a delle rotture che sono delle innovazioni. La memoria non riguarda il passato: la Bibbia, i Vangeli, il Corano, il Rigveda, il Tao, ci abitano al presente. Affinché l'umanesimo possa svilupparsi e rifondarsi, è giunto il momento di prendere sul serio i codici morali costruiti nel corso della storia: senza indebolirli, per problematizzarli, rinnovandoli di fronte a nuove singolarità di uomini e di donne. Perché l'umanesimo è un femminismo. La liberazione dei desideri doveva condurre all'emancipazione delle donne. Le battaglie per una parità economica, giuridica e politica necessitano di una nuova riflessione sulla scelta e la responsabilità della maternità. La secolarizzazione è a tutt'oggi la sola civilizzazione che manchi di un discorso sulla realtà della maternità. Questo legame passionale tra la madre e il bambino, attraverso il quale la biologia diviene senso, alterità e parola, è una reliance che, differente dalla funzione paterna e dalla religiosità, le completa, partecipando a pieno titolo all'etica umanista.
Poiché risveglia i desideri di libertà di uomini e donne, l'umanesimo ci insegna a prenderci cura di essi. La cura amorosa per l'altro, la cura della terra, dei giovani, dei malati, degli handicappati, degli anziani non autosufficienti, costituiscono delle esperienze interiori che creano delle nuove prossimità e delle solidarietà inattese. Non abbiamo un altro modo che l'esperienza interiore per accompagnare la rivoluzione antropologica, già annunciata dalla corsa in avanti delle scienze, dai procedimenti incontrollabili della tecnica e della finanza, e dall'incapacità del modello democratico piramidale a canalizzare le novità.
L'uomo non fa la storia, noi siamo la storia. Per la prima volta, l'homo sapiens è in grado di distruggere la terra e se stesso in nome delle proprie credenze, religioni o ideologie, ma anche in nome della scienza e della tecnica. Ugualmente per la prima volta gli uomini e le donne sono in grado di rivalutare in completa trasparenza la religiosità costitutiva dell'essere umano. L'incontro delle nostre diversità qui, ad Assisi, testimonia che l'ipotesi della distruzione non è l'unica possibile. Nessuno può sapere quali esseri umani succederanno a noi che siamo impegnati in questa transvalutazione antropologica e cosmica senza precedenti. La rifondazione dell'umanesimo non è un dogma provvidenziale né un gioco dello spirito, è una scommessa.
Signore e Signori,
l'età del sospetto tra le religioni e tra credenti e non credenti non è più sufficiente. Di fronte alle crisi e alle minacce che si aggravano, è giunta l'età della scommessa. Osiamo scommettere sul rinnovamento continuo delle capacità di uomini e donne a credere e a conoscere insieme. Affinché, nel «multiverso» bordato di vuoto, l'umanità possa perseguire ancora a lungo il proprio destino creativo.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Intervento del Dr. Kyai Haji Hasyim Muzadi, Segretario Generale della Conferenza Internazionale degli Studiosi Islamici (ICIS) e già Presidente di Nabdlatul Ulama (NU)
Nella basilica di Santa Maria degli Angeli l'incontro con i membri delle diverse religioni e con i non credenti
Testimonianze per la pace
I rappresentanti delle diverse religioni e un gruppo di non credenti si sono riuniti con Benedetto XVI giovedì 27 ottobre ad Assisi per la giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, a venticinque anni dallo storico incontro convocato da Giovanni Paolo II nella città di san Francesco. Di seguito pubblichiamo una nostra traduzione italiana delle dieci testimonianze di pace presentate nel corso della mattinata nella basilica di Santa Maria degli Angeli. Quella di Kyai Haji Hasyim Muzadi, che all'ultimo momento non ha potuto essere presente, è stata letta da un suo rappresentante.
Il conflitto nasce dall'indifferenza
Sua Santità Bartolomeo i
Patriarca Ecumenico
Santità, Eminenze, Eccellenze,
Rappresentanti delle diverse religioni del mondo,
Signori e signore, cari amici,
ogni dialogo autentico porta in sé i germi di una metamorfosi da realizzare. La natura di tale trasformazione costituisce una conversione che ci fa uscire dai nostri particolarismi per considerare l'altro come soggetto di relazione e non più come oggetto d'indifferenza.
Perché, è dall'indifferenza che nasce l'odio,
è dall'indifferenza che nasce il conflitto,
è dall'indifferenza che nasce la violenza.
Contro questi mali, solo il dialogo è una soluzione percorribile e a lungo termine. In quanto capi religiosi, il nostro ruolo è soprattutto quello di promuoverlo e di mostrare attraverso il nostro esempio quotidiano che noi non viviamo unicamente gli uni contro gli altri, o gli uni accanto agli altri, ma piuttosto gli uni insieme agli altri, in uno spirito di pace, di solidarietà e di fraternità. Ma per raggiungere tale scopo, il dialogo richiede un completo rovesciamento del nostro modo di essere al mondo. Sentiamo bene le voci di coloro che esaltano il protezionismo, poiché la mondializzazione porta nella propria scia una corrente relativista che genera, per opposizione, dei ripiegamenti comunitaristi e identitari, dentro ai quali si nasconde l'inimicizia. È per questo che il nostro impegno non deve limitarsi unicamente a un lavoro all'esterno delle nostre comunità, ma è opportuno che capisca anche le logiche ad intra. La nostra responsabilità risulta essere allora tanto più grande e l'organizzazione di questo incontro per la pace ad Assisi assume tutta la sua importanza. Non si tratta, come alcuni insinuano, di fare del dialogo interreligioso, un dialogo ecumenico, in una prospettiva sincretista. Al contrario, la visione che noi lodiamo nel dialogo interreligioso possiede un senso tutto particolare, che deriva dalla capacità stessa delle religioni di impegnarsi nel campo della società per promuovervi la pace. Questo è lo spirito di Assisi, questa è anche la via sulla quale il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli si è impegnato da molti anni.
Ancora oggi, venticinque anni dopo il primo incontro convocato dal beato Giovanni Paolo II proprio qui ad Assisi, dieci anni dopo i drammatici eventi dell'11 settembre e nel momento in cui le «primavere arabe» non hanno messo fine alle tensioni intercomunitarie, il posto delle religioni tra i fermenti in atto nel mondo resta ambiguo. Noi continuiamo, in effetti, a temere l'accresciuta marginalizzazione delle comunità cristiane del Medio Oriente. Dobbiamo opporci alla deformazione del messaggio delle religioni e dei loro simboli da parte degli autori di violenza. Sviluppare il religioso mediante il religioso stesso, questa è l'esigenza necessaria per promuovere la dimensione umanitaria di una figura del divino che si vuole misericordioso, giusto e caritatevole.
È per questo che i responsabili delle religioni devono farsi carico del processo di ristabilimento della pace. Poiché il solo modo di levarci contro la strumentalizzazione bellicista delle religioni è di condannare fermamente la guerra e i conflitti, e di porci come mediatori di pace e di riconciliazione.
Santità,
questi sono alcuni elementi che intendiamo portare alla riflessione generale nel quadro di questo nuovo incontro di Assisi, al convergere in favore di una riconciliazione globale dell'uomo con Dio, dell'uomo con se stesso, ma anche dell'uomo con l'ambiente. Poiché l'altruismo non può limitarsi alle sole relazioni all'interno dell'umanità. Chi dice «essere in relazione», fa riferimento anche all'esperienza estesa dell'alterità, fino alla natura stessa in quanto creazione di Dio.
Il nostro dialogo è dunque riconciliazione. Tutti noi ci riconosciamo in questa espressione delle Beatitudini: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Matteo 5, 9). Questa responsabilità non è semplicemente verbale, essa attende da noi che siamo fedeli alla nostra fede, fedeli al disegno di Dio sul mondo, rispondendo a ciò che egli chiede. Che noi possiamo essere i segni di questo impegno! Solo allora la pace di cui siamo alla ricerca, questo tesoro tanto caro da acquistare e purtroppo tanto facile da perdere, risplenderà nel mondo.
Preghiamo Dio Nostro Signore che accordi al mondo la sua grazia e che ci ispiri ad essere pellegrini di verità e di pace.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Un'unica radice sotto tutti i rami
Sua Grazia Dottor Rowan Douglas Williams
Arcivescovo di Canterbury
Vostra Santità, Santità, Beatitudini,
Fratelli e sorelle in Cristo, cari amici,
È un grande onore essere con voi a celebrare l'anniversario della prima giornata di preghiera per la pace tenutasi in questo luogo sotto la guida del beato Giovanni Paolo II. Il defunto Pontefice credeva fermamente che la cura degli esseri umani per la giustizia e la stabilità nella nostra epoca richiedeva una testimonianza comune da parte delle persone religiose, escludendo ogni compromesso circa le proprie particolari convinzioni e tradizioni. Gli anni trascorsi da quel primo raduno hanno confermato questa convinzione nel modo più deciso possibile. Le sfide del nostro tempo sono tali che nessun gruppo religioso può pretendere di avere tutte le risorse pratiche di cui ha bisogno per affrontarle, anche se siamo convinti di avere tutto ciò di cui necessitiamo nel campo spirituale e dottrinale. Di tal maniera, noi non siamo qui per affermare un minimo comune denominatore di ciò che crediamo, ma per levare la voce dal profondo delle nostre tradizioni, in tutta la loro singolarità, in modo che la famiglia umana possa essere più pienamente consapevole di quanta sapienza vi sia da attingere nella lotta contro la follia di un mondo ancora ossessionato da paura e sospetti, ancora innamorato dell'idea di una sicurezza basata su di una ostilità difensiva, e ancora in grado di tollerare o ignorare le enormi perdite di vite tra i più poveri a causa di guerre e malattie.
Tutti questi fallimenti dello spirito hanno la loro radice in larga misura nell'incapacità di riconoscere gli estranei come persone che condividono con noi l'unica e medesima natura, l'unica e medesima dignità della persona. Una pace duratura inizia là dove noi vediamo il nostro prossimo come un altro noi stessi -- e dunque iniziamo a comprendere perché e come dobbiamo amare il prossimo come noi stessi.
Per i cristiani, il cuore di tutto ciò è la convinzione che in Gesù di Nazareth Dio stesso si identifica con la natura umana, e quindi con ogni singola persona umana. Ogni volto, ora, appare in maniera diversa, per il fatto che Dio ha preso un volto umano. Nel nostro prossimo riconosciamo non solo qualcuno che ha in sé l'immagine di Dio in virtù della creazione, ma qualcuno che ha in sé anche la possibilità di portare la somiglianza di Gesù Cristo in virtù della nuova creazione. E se così è, non possiamo più, in ultima analisi, essere degli estranei. Ciò che interessa la vita di qualunque persona o comunità, interessa la vita di tutti.
Tutti gli uomini religiosi hanno in comune la convinzione che noi, in ultima analisi, non siamo estranei gli uni agli altri. E se non siamo estranei, dobbiamo prima o poi trovare il modo di concretizzare tale reciproco riconoscimento in relazioni di amicizia vere e durature. Siamo qui oggi per dichiarare la nostra volontà -- o piuttosto la nostra appassionata determinazione -- a persuadere il nostro mondo che gli esseri umani non devono essere degli estranei, e che il riconoscimento è tanto possibile quanto necessario a motivo della nostra universale relazione con Dio.
Termino citando alcuni versi di un grande poeta cristiano della mia terra del Galles, Waldo Williams, maestro, uomo di profonda preghiera ed attivista per la pace nella sua vita adulta.
Egli ha scritto un poema intitolato «Cos'è l'uomo?», e questi sono i versi iniziali:
Cosa significa essere vivi?
Dimorare in una grande sala
tra strette mura
Cosa significa riconoscere?
Trovare un'unica radice
al di sotto di tutti i rami.
Cosa significa avere fede?
Rimanere quieti al focolare
finché siamo pronti a ricevere
il nostro ospite.
Cosa significa perdonare?
Trovare una via tra le spine
per stare accanto
al nostro vecchio nemico.
Possa Dio aiutarci a rispondere a queste domande in questa maniera, con le nostre parole e con la nostra testimonianza.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Per una nuova visione del mondo
Sua Eminenza Norvan Zakarian
Primate della diocesi della Chiesa apostolica armena di FranciaDelegato per l'Europa Occidentale del Catolicossato di tutti gli Armeni
A nome del Capo spirituale della Chiesa Armena, Sua Santità Karekin ii, Catholicos di tutti gli Armeni, siamo lieti di esprimere la nostra più viva gratitudine per questa eccellente iniziativa di invitare i differenti capi religiosi ad Assisi, in questa giornata del 27 ottobre, 25 anni dopo lo storico primo appello per la pace del beato Giovanni Paolo II, per riflettere nuovamente sull'importanza cruciale del dialogo e della preghiera per la pace e per la giustizia nel mondo.
Così la promozione della pace nel mondo costituisce parte integrante della missione secondo la quale la Chiesa continua l'opera redentrice del Cristo sulla terra. La Chiesa eleva gli uomini al di sopra della loro semplice condizione umana, per condurli verso l'assoluto. Essa li allontana dall'odio e dagli egoismi per radunarli insieme nel seno di una comunità aperta e generosa. Di fatto, la Chiesa è in Cristo e può costituire un «sacramento», vale a dire un segno e strumento di pace nel mondo e per il mondo. La promozione di un'autentica pace rappresenta un'espressione della fede cristiana nell'amore che Dio nutre per ciascun essere umano. Dalla fede liberatrice nell'amore di Dio deriva una nuova visione del mondo, e un nuovo modo di rapportarsi all'altro, che si tratti di un individuo o di un intero popolo. Si tratta di una fede che cambia e rinnova la vita, ispirata dalla pace che il Cristo ha lasciato ai suoi discepoli. Sotto il potente impulso di questa fede, la Chiesa desidera promuovere l'unità dei cristiani e al tempo stesso una collaborazione fruttuosa con i credenti delle altre religioni e, più al di là, con tutti gli uomini in generale. Le differenze religiose non possono e non devono costituire una causa di conflitto. Piuttosto, la ricerca comune della pace da parte di tutti i credenti è un profondo fattore di unità tra i popoli. La Chiesa esorta gli individui, i popoli, le nazioni e gli Stati a condividere la sua preoccupazione per ristabilire e consolidare la pace, insistendo particolarmente sul ruolo centrale del diritto delle genti.
Il perdono reciproco non deve sopprimere le esigenze della giustizia né, meno ancora, impedire il cammino che conduce alla verità; al contrario, giustizia e verità rappresentano le condizioni concrete per la riconciliazione. Le iniziative tendenti ad istituire organismi giudiziari internazionali si rivelano opportune. Organismi simili, traendo profitto dal principio della giurisdizione universale e sostenuti da procedure adeguate, rispettose dei diritti degli accusati e delle vittime, possono stabilire la verità sui crimini perpetrati durante i conflitti armati e particolarmente sul crimine più grave di tutti: il genocidio. Tuttavia, è necessario andare al di là dell'identificazione dei comportamenti criminali, causati sia da azione che da omissione, e al di là delle decisioni circa le necessarie misure di riparazione, per pervenire al ristabilimento di relazioni di accoglienza reciproca tra popoli divisi, nel segno della riconciliazione. È infine necessario promuovere il rispetto del diritto alla pace, al fine di favorire la costruzione di una società all'interno della quale i rapporti di forza siano rimpiazzati da rapporti di collaborazione in vista del bene comune.
Allora, con un cuore solo e una voce sola, possiamo dire con il salmista: «Misericordia e verità si sono incontrate; giustizia e pace si sono abbracciate. La verità si è levata dalla terra, e la giustizia si è affacciata dal cielo» (Salmo 84).
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Gerusalemme è una sfida per tutti
Reverendo Dottor Olav Fykse Tveit
Segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese
Santità,
Eminenze, Eccellenze,
distinti leaders religiosi,
San Francesco ci offre l'ispirazione su come la fede in Dio, il dialogo aperto e l'incontro sincero possano portare a contributi significativi per una pace giusta.
Il mondo ha bisogno di costruttori di pace a partire dalla fede. Le comunità di fede, come le 349 Chiese del Consiglio ecumenico delle Chiese, hanno bisogno di giovani «portatori di cambiamento» del mondo. Francesco era un giovane quando si arrese a Dio. La sua passione per la bontà della creazione e l'esempio di radicale audacia per la pace mostrano l'importanza della fede e il coraggio dei giovani. Ciò che Francesco ha compiuto da giovane, nei suoi vent'anni, è per noi un richiamo salutare all'importanza del ruolo che i giovani devono e possono svolgere sia nelle comunità di fede sia nel più ampio contesto sociale. Senza questo, non saremmo qui oggi.
Anche oggi, la pace nel mondo richiede le idee e il contributo dei giovani. Un grande ostacolo a una pace giusta è oggi rappresentato dall'alto livello di disoccupazione tra i giovani in tutto il mondo. Si ha la sensazione che stiamo mettendo in gioco il benessere e la felicità di una generazione. Abbiamo bisogno della visione e del coraggio dei giovani per i cambiamenti necessari. Vediamo come i giovani guidino oggi i processi di democratizzazione e di pace in molti Paesi. Anche quando essi diventano vittime della violenza e del terrore, com'è accaduto nel mio Paese, la Norvegia, quest'anno. Dobbiamo riconoscere che non siamo sempre stati capaci nel dare il giusto tributo e nel sostenere l'apporto che i giovani possono offrire nelle nostre comunità. Noi anziani qui presenti abbiamo bisogno di lavorare insieme per la pace tra generazioni e di dare ai giovani in tutto il mondo una reale speranza per il futuro.
Il mondo ha bisogno di incontri tra i capi delle comunità religiose. Nel mezzo di una guerra di cui Gerusalemme era la meta finale, Francesco venne per condividere esperienze di fede con il sultano in Egitto. Come molti crociati, egli venne per convertire l'altro. Si trovò invece cambiato, convertito, lui stesso.
Siamo qui per lasciare che la conversione di Francesco ci parli e per fare sì che la conversazione tra di noi divenga una sorgente di giustizia e di pace. C'è da guadagnare di più mediante il rispetto per l'altro. Una pace sostenibile richiede che vi sia uno spazio, uno spazio sicuro e senza pericoli, non solo per me, ma anche per l'altro. I cristiani devono ricordarsi che la croce non è per le crociate, ma è un segno di come l'amore di Dio abbracci tutti, anche l'altro.
Per il Consiglio ecumenico delle Chiese un preciso impegno per i prossimi anni sarà quello di lavorare per una pace giusta a Gerusalemme e per tutti i popoli che vivono in Gerusalemme e attorno a quella città che ha Shalom - Salaam nel suo nome. È la città che per il suo nome è chiamata ad essere una visione di pace, ma che nel corso della storia è divenuta così spesso un luogo di conflitto. Mentre visitavo il Pakistan qualche giorno fa, mi sono reso conto di come altri popoli stiano soffrendo a motivo di scontri tra interessi diversi, come conseguenza del fatto che i conflitti attorno a Gerusalemme non sono ancora risolti. Questa città, santa per ebrei, cristiani e musulmani, è un simbolo visibile del nostro anelito, dei nostri migliori e più alti desideri, del nostro amore per la bellezza e del nostro desiderio di servire Dio. Ma è anche un potente richiamo a come le cose migliori possano anche volgersi al peggio. Nel corso della storia, gli esseri umani hanno trovato così difficile amare senza cercare al tempo stesso di possedere in maniera esclusiva.
Preghiamo, come leaders religiosi, per la giustizia e la pace per Gerusalemme e per tutti coloro che là vivono. In un modo misterioso, Gerusalemme non si limita a svelarci queste realtà circa la condizione umana, ci sfida anche a confrontarci con esse. I cristiani credono che ogni essere umano sia creato a immagine di Dio, affermando di conseguenza l'inalienabile dignità umana di ogni persona e l'unità dell'umanità. Siamo chiamati a partecipare al ri-stabilimento della pace per Gerusalemme per ri-creare e riparare il mondo di Dio. Siamo responsabili davanti a Dio e gli uni davanti agli altri della pace nel nostro tempo e di ciò che diciamo o che non diciamo per raggiungerla. Seguiamo insieme l'esempio di san Francesco e di altri, giovani e vecchi, uomini e donne, per suscitare fra noi il coraggio di costruire una pace giusta.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
L'arca di Noè e la visione di Isaia
Rabbi David Rosen, ksg, cbe
Direttore internazionale per gli affari interreligiosi, ajc
Un pellegrinaggio è, per definizione, molto più che un viaggio. Le parole ebraiche per pellegrinaggio sono aliyah la'regel, espressione che significa «salita a piedi».
Il concetto biblico di ascesa aveva un significato al tempo stesso letterale e spirituale. Letterale, poiché si salivano i monti della Giudea sino a Gerusalemme, al santo Tempio. In ogni caso, il simbolismo fisico cercava di instillare nella coscienza del pellegrino una consapevolezza interiore di ascesa spirituale, di essere sempre più vicino a Dio e, di conseguenza, un accordo con il volere divino e con i comandamenti.
Questo concetto di pellegrinaggio, di ascesa, è centrale alla visione profetica dello stabilimento del Regno dei Cieli sulla terra -- la visione messianica di pace universale.
Nelle parole del profeta Isaia: «Verranno molti popoli e diranno: “Andiamo e saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe, affinché egli ci insegni le sue vie e noi possiamo camminare nei suoi sentieri; poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore”. Egli sarà giudice tra le nazioni e arbitro fra molti popoli; spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri e delle loro lance faranno falci. Una nazione non alzerà più la spada contro un'altra e non impareranno più l'arte della guerra» (Isaia 2, 3-4). E continua il profeta: «Il lupo dimorerà insieme con l'agnello; il leopardo si sdraierà con il bambino; il vitello e il leone pascoleranno insieme, e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l'orsa pascoleranno insieme, i loro piccoli si sdraieranno insieme; il leone si ciberà di paglia, come il bue. Un lattante giocherà sulla buca di un serpente e un bambino metterà la sua mano nel covo di una vipera. Non faranno del male né distruggeranno in tutto il mio santo monte, poiché la terra sarà piena della conoscenza del Signore, come le acque ricoprono il mare» (11, 6-9).
C'è un famoso commento del grande rabbino Meir Simcha di Dwinsk, vissuto un secolo fa. Egli osservava che questa visione di pace si era già realizzata una volta nella storia religiosa dell'umanità, all'interno dell'arca di Noè. Una storia che gli ebrei di tutto il mondo ripeteranno nelle sinagoghe il prossimo Sabbath. Lì i predatori dovettero vivere da vegetariani e le loro potenziali prede poterono vivere in pace. Tuttavia, notava il rabbino, la profonda differenza tra la situazione dell'arca di Noè e la visione di Isaia è che nell'arca di Noè non vi era possibilità di scelta. Quella era l'unica opzione disponibile per gli animali, al fine di sopravvivere al diluvio. La visione di Isaia invece nasce dalla «conoscenza del Signore»: è una visione che sgorga dalla più intima comprensione spirituale e dalla libera volontà.
Per molti, nel mondo, la pace è una necessità pragmatica -- e in effetti ciò è vero, non dobbiamo in alcun modo sminuire la benedizione che rappresenta per il nostro mondo un tale pragmatismo. Tuttavia, ciò che gli uomini e le donne di fede cercano e ciò a cui anelano, «salire alla montagna del Signore», è un'idea di pace quale espressione sublime della volontà divina e dell'immagine divina nella quale ogni essere umano è creato.
Per aver dimostrato questa aspirazione in una maniera così visibilmente meravigliosa, qui in Assisi, 25 anni fa, noi abbiamo un debito di gratitudine alla memoria del beato Giovanni Paolo II e dobbiamo essere profondamente grati al suo successore, Papa Benedetto XVI, per aver continuato questo cammino.
I saggi del Talmud ci insegnano che pace non solo è il nome di Dio (Shabbat 10b, cfr. Giudici 6, 24), ma è anche il prerequisito indispensabile per la redenzione, come sta scritto (Isaia 52, 7): «Egli annuncia la pace... egli annuncia la salvezza» (Deuteronomio Rabbah 20, 10). Inoltre, i nostri saggi sottolineano che non vi è altro valore per cercare il quale siamo obbligati ad uscire dalla nostra strada, come accade per la pace, come sta scritto (Sal 34, 15): «Cerca la pace e perseguila».
Possa l'incontro di oggi rinvigorire tutti gli uomini e donne di fede e di buona volontà per moltiplicare i nostri sforzi e fare di questo obiettivo una realtà, la realtà che porti vera benedizione e guarigione all'umanità, come sta scritto: «Pace, pace ai lontani e ai vicini e io li guarirò» (Isaia 57, 19).
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Un più profondo rispetto per la natura
Professor Wande Abimbola, Awise Agbaye
Portavoce della religione Ifu e Yoruba nel mondo
Permettetemi anzitutto di esprimere la mia profonda riconoscenza al Santo Padre, Papa Benedetto XVI, per avermi invitato a partecipare alla giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la giustizia e la pace nel mondo. Sono sicuro di parlare anche a nome dei capi e dei seguaci delle religioni indigene d'Africa, e più in generale del mondo, nel dire che sono molto lieto di essere incluso in un momento così importante e storico. Possa il Santo Padre crescere sempre più in forza, compiere la sua missione e il suo destino verso i popoli del mondo. In secondo luogo, porto l'omaggio e il saluto da parte dei popoli d'Africa e dei membri della religione yoruba nel mondo, di cui sono portavoce.
Ríran le rán mi wá o o ò
Èmi kí mo ránrà mi
Àsé dowó enì tó rán mi wá.
Sono un portavoce di coloro che mi hanno inviato
Non sto parlando da me stesso
L'autorità spirituale con cui parlo appartiene a coloro che mi hanno mandato.
È venuto il tempo per i leaders di tutte le religioni del mondo di avere un nuovo quadro concettuale in cui alle religioni indigene venga dato lo stesso rispetto e considerazione delle altre religioni. Non possiamo avere pace nel mondo quando non rispettiamo, abusiamo, o disprezziamo i nostri vicini. Una condizione fondamentale per la pace, perciò, è che tutte le persone di fede abbiano rispetto e amore le une per le altre. Relazioniamoci alle persone per il carattere che hanno, non sulla base della religione che praticano o della denominazione cui appartengono.
Lavoriamo tutti insieme per un maggiore rispetto, amore e giustizia, mentre al tempo stesso ci manteniamo fedeli alle dottrine delle religioni che abbracciamo. Dobbiamo sempre ricordarci che la nostra propria religione, così come le religioni praticate da altra gente, sono valide e preziose agli occhi dell'Onnipotente, che ha creato tutti noi con questa diversità e pluralità di vie di vita e di sistemi di credenza.
Non è sufficiente rispettare il nostro prossimo, uomini e donne. Abbiamo bisogno di sviluppare anche un profondo rispetto per la natura. Sino a quando alla natura, nostra Madre, non verrà dato il giusto rispetto e onore nei nostri pensieri e azioni, gli esseri umani non potranno trovare la vera pace e la tranquillità che noi tutti andiamo cercando. Non solo, se continuiamo sullo stesso sentiero di non rispetto e distruzione della natura sul quale abbiamo camminato per secoli, quel sentiero può portarci solo al disastro.
Adéerí lawo Aláràán
Adétutú lawo Ajífòràngbogbolà
A dífá fún Òrúnmìlà
Ifá n lo lèé gbólómí tútú níyàwó
Ayé Ifá tutù jomi lo
Baraà mi Èrìgì Álò
Ifá ló gbólómí tútù níyàwó
Ayé Ifá tutù jomi lo
Adeyeri, Ifa, sacerdote di Alaraan
Adetutu, Ifa, sacerdote di Ajiforangbogbola
Questi sono i sacerdoti che divinano per Orunmila
Il giorno in cui egli stava per sposare Colei-che-si-bagna-nell'acqua-fredda
Come risultato, la vita di Ifa divenne più fredda dell'acqua
Mio grande Signore, Erigi Alo,
Ifa ha sposato Colei-che-si-bagna-con-l'acqua fredda
La vita di Ifa divenne più fredda dell'acqua.
I versi appena citati si riferiscono a Olokun, l'ultima e la più amata moglie di Ifa. Possano le fredde acque di Olokun, dalle profondità degli oceani, portare freschezza, amore, tranquillità e pace a tutti noi e al nostro mondo colpito da lotte, odio, guerra e intolleranza.
Lavoriamo insieme per costruire e mantenere un mondo migliore.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Con la forza della non violenza
Acharya Shri Shrivatsa Goswami
Sri Radharamana Temple, Vrindavan, India
Rappresentante della religione Hindu
«O infinito Dio fatto corpo! Io vedo te in ogni mano e piede, in ogni occhio e testa, in ogni nome ed essere. Mi inchino a te in ognuno di essi».
L'induismo è un pellegrinaggio dall'ignoranza alla verità, dalla morte all'immortalità. Questo pellegrinaggio ha due aspetti. Partendo dall'esterno, noi siamo in cerca della verità che può essere manifesta nel mondo fisico. Cerchiamo di rafforzare i sistemi ecologico, sociale ed economico. L'equa distribuzione di cibo e di altre risorse materiali è una grandissima virtù e pratica religiosa.
Ma poi c'è il secondo aspetto: il pellegrinaggio interiore. Non potremmo sostenere il cammino esteriore se non fossimo in viaggio all'interno del mondo dei valori e dei principi che sostiene il comportamento umano. Verità e pace sono in cima alla lista di questi valori universalmente applicabili -- chiamati dharma. Per il Mahatma Gandhi, la verità era Dio.
Quanto alla pace, c'è una caratteristica preghiera hindu proprio per questo dono. È una preghiera per la pace nella terra e nel cielo, nella vegetazione e nelle piante, nell'acqua e nell'aria -- ma questo non è tutto. La persona che prega questa preghiera, prega per la pace che viene nel processo stesso della pace. La pace non può mai essere raggiunta con mezzi violenti. Da Krishna a Buddha, dal Mahatma Gandhi a Martin Luther King, al vescovo Tutu -- tutti questi pellegrini di pace affermano che non c'è una via per la pace. La pace stessa è la via. Il nostro comune obiettivo di pace può essere raggiunto mediante il nostro impegno per la verità -- satyagraha. Questo impegno, anche se ostacolato e impedito, trova ugualmente la propria via mediante la non-violenta non-cooperazione. La storia rende testimonianza alla sua forza.
Venticinque anni fa, qui in Assisi, il Papa Giovanni Paolo II ci fece iniziare il pellegrinaggio odierno. Adesso pertanto dobbiamo riflettere sul nostro progresso su questa strada. Perché non siamo arrivati più vicini a dove egli voleva essere? Siamo mancanti nella parte interiore del viaggio? Il dialogo sarà un esercizio futile se non lo intraprendiamo con umiltà, pazienza e il desiderio di rispettare l'«altro» -- e ciò senza pretendere lo stesso in cambio. Questo ci renderà capaci di dire «no» all'ingiustizia di ogni tipo.
Ciò richiede molto coraggio, e quel coraggio verrà solo dalla preghiera. Uniamoci perciò alla preghiera di Sri Caitanya Mahaprabhu, grande maestro spirituale del XVI secolo: «Non desidero ricchezza o piaceri mondani; nemmeno cerco fama, o un nome. Prego solo che possa servire gli altri con amore». Questo è un compito arduo. Esige da noi di vedere nuovamente ciò che l'antico Veda dichiara: che la verità è una -- e allo stesso tempo, che è professata in molti modi differenti. Om Shantih, Shantih Shantih.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Come fiori che sbocciano e appassiscono
Ja-Seung
Presidente dello Jogye Order, Buddismo coreano
Desidero innanzitutto ringraziare Sua Santità Papa Benedetto XVI perché mi dà l'opportunità di parlare in questa fortunata circostanza. Sono onorato di offrire le mie felicitazioni all'assemblea di leaders religiosi del mondo riuniti qui in Assisi, un luogo molto santo, colmo di pace e riconciliazione.
Cari leaders religiosi,
nei 25 anni trascorsi dall'incontro di leaders religiosi qui in Assisi, il nostro mondo è drasticamente cambiato. Una nuova epoca sta rapidamente avvicinandosi. Lo sviluppo della tecnologia informatica più avanzata e dei social networks ci ha dato la possibilità di connetterci e comunicare con qualsiasi altra persona nel mondo, in modo istantaneo. Come sappiamo dall'esperienza, anche le ramificazioni di questa iper-connessione sono istantanee. Tutto è interconnesso. Voi ed io non esistiamo come individui separati, al contrario, noi tutti siamo inestricabilmente connessi gli uni agli altri. Il buddismo ci offre una possibilità di comprensione di questa verità mediante la dottrina della Origine Dipendente.
Come esiste una varietà di fiori che fioriscono e appassiscono, così anche voi ed io fioriamo e appassiamo. Ma ciascuna delle nostre vite è preziosa, un fiore bellissimo che fa del mondo un unico fiore e lo rende un luogo glorioso e magnifico. Proprio come questi fiori, ogni essere senziente è bellissimo e deve essere rispettato. Non c'è posto per la violenza o il terrorismo nella religione, che sottolinea come ogni vita è preziosa e deve essere amata.
Per questa ragione, vorrei proporre una «Fraternità in favore della vita», il radunarsi insieme di persone di fede per eliminare le radici della violenza e della guerra condotta in nome della religione o dell'ideologia. Vorrei anche che vi uniste a me in una «Fraternità in favore della pace», così che la coesistenza armoniosa e il mutuo rispetto siano resi possibili in questo mondo, indipendentemente dalla religione, dalla razza e dalla cultura. Per di più, dobbiamo accettare le nostre differenze culturali e superare i conflitti culturali mediante la mutua comprensione e la crescita spirituale. Dobbiamo convenire insieme in una «Fraternità in favore della cultura». Dobbiamo anche realizzare una «Fraternità in favore del condividere», per aiutare quelle persone che ancora soffrono per la povertà, la fame e l'ingiustizia. In ultima analisi, ogni cosa è già perfetta e noi tutti siamo già collegati come delicati petali di fiore. Infine, vorrei proporre una «Fraternità in favore dell'azione», affinché tutti possiamo sperimentare questa verità personalmente e aiutare a rendere questo mondo puro e profumato come un fiore.
Cari leaders religiosi,
la Dichiarazione per la pace religiosa dello Jogye Order del buddismo coreano promuove il mutuo rispetto tra fedi diverse. Facciamo voti perché, guidati dall'amore, dalla benevolenza e da una grande compassione, sappiamo operare con le persone di ogni credo per aiutare coloro che soffrono a raggiungere felicità e pace. Insieme, possiamo diminuire la povertà e le malattie, prevenire la violenza e la guerra, e porre fine alla distruzione ambientale causata da uno sviluppo indiscriminato. Attraverso l'unione della nostra fede, possiamo far camminare l'umanità in direzione della pace e dell'armonia.
Possano essere felici tutti gli esseri!
La religione al di sopra degli interessi
Dottor Kyai Haji Hasyim Muzadi
Segretario generale della Conferenza internazionale degli studiosi islamici (Icis) e già presidente di Nabdlatul Ulama (Nu)
In teoria, l'essenza e la finalità della presenza di religioni su questa terra è quella di rafforzare i valori e la dignità dell'umanità, la pace e il progresso del mondo, dal momento che una tale presenza è intesa non ad altro che a illuminare l'umanità.
Tuttavia, la realtà dimostra che molti problemi tra gli uomini su questa terra derivano proprio da coloro che seguono una religione, sebbene ciò non significhi che i problemi che sorgono dagli uomini appartenenti a una religione siano originati dalla religione stessa. Ciò accade semplicemente per il fatto che religioni autentiche, con i propri salutari insegnamenti, possono avere seguaci che non sono in grado di comprenderne il carattere salutare in maniera piena e completa.
Una mancanza di comprensione piena e completa degli insegnamenti delle religioni si verifica quando i rispettivi seguaci ne possiedono una comprensione solo parziale e non comprendono le relazioni tra religioni.
Non vi è dubbio che l'errore nella conoscenza religiosa abbia portato alla distorsione della religione stessa.
Per esempio, se una comunità religiosa comprende male i propri riti o i propri concetti teologici, tale errore avrà conseguenze unicamente sui propri seguaci.
Quando invece essi sbagliano nel comprendere gli aspetti sociali della religione, allora l'errore finisce per avere conseguenze non solo sui propri seguaci, ma anche sull'intera società, nella forma di tensioni sociali o perfino di conflitti sociali. E tali conflitti sociali possono scivolare persino in forme di conflitto tra Stati nel mondo.
Ogni religione possiede la propria identità. Tra religioni vi sono somiglianze e differenze. Un carattere comune a ogni religione è la speranza per la creazione di armonia tra gli uomini, pace, giustizia, prosperità e un migliore livello di vita.
Ciò su cui le religioni si differenziano sono le questioni di teologia e di riti. Per questo, al fine di ottenere una durevole armonia e coesistenza tra religioni, non si dovrebbe e non si deve forzare a cambiare ciò che è diverso, e non si devono imporre quei punti di vista che non sono condivisi. In questo modo può essere garantito il mantenimento di una coesistenza tra religioni, in accordo con ciascuna singola fede religiosa.
Oltre al fattore della mancanza di comprensione adeguata delle religioni, vi sono altri fattori alla base dei conflitti che sorgono tra credenti; fattori che sono basati su interessi non religiosi, che si ammantano di insegnamenti religiosi e strumentalizzano la religione per obiettivi non religiosi. Interessi al di là degli scopi religiosi possono essere di natura politica, economica, culturale, o altri interessi non religiosi che sono presentati in modo da sembrare religiosi.
Tali interessi possono nascere da gruppi specifici che dichiarano di essere animati da motivazioni religiose e si rifanno a temi religiosi.
Il nostro dovere, come comunità religiose, è di portare a tutti i credenti la libertà di comprendere veramente il proprio destino e di correggere le comprensioni errate della religione che portano a conflitti sociali tra l'umanità.
Inoltre, dobbiamo essere saggi per discernere quei problemi che possono essere definiti come religiosi, da quelli che si presentano indebitamente come problemi religiosi.
Molte volte, gli interessi delle autorità politiche sono etichettati come questioni religiose, mentre in realtà sono ben lontani dall'essere tali. A questo riguardo, dobbiamo identificare la religione come ciò che è al di sopra di tutti gli interessi. Se la religione sarà posta al di sopra degli interessi, allora servirà come un faro di speranza ricevuto dai nostri antenati.
Al contrario, se le religioni sono poste al servizio di tali interessi, allora le comunità religiose saranno sempre in guerra tra di loro.
Per questo motivo, l'armonia tra i seguaci delle religioni deve iniziare dal cuore di ogni religione, presentato secondo un quadro pacifico, con l'obiettivo di ridurre i conflitti in questo mondo.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Dall'età del sospetto all'età della scommessa
Professoressa Julia Kristeva
Cos'è l'umanesimo? Un grande punto di domanda sulla questione più seria? L'uomo e Dio. È nella tradizione europea, greco-giudaico-cristiana, che si produce questa realtà, che continua al tempo stesso a promettere, ma anche a deludere, a rifondarsi. Le parole di Giovanni Paolo II, «Non abbiate paura!», non sono indirizzate unicamente ai credenti, perché esse incoraggiavano a resistere al totalitarismo. L'appello di quel Papa, apostolo dei diritti umani, ci spinge anche a non temere la cultura europea, ma, al contrario, a osare l'umanesimo: nel costruire delle complicità tra l'umanesimo cristiano e quello che, scaturito dal rinascimento e dall'illuminismo, ha l'ambizione di aprire le strade rischiose della libertà. Grazie oggi al Papa Benedetto XVI per avere invitato per la prima volta in questi luoghi degli umanisti tra voi. È un avvenimento.
L'umanesimo del XXI secolo non è un teomorfismo. Né «valore», né «fine» superiore, l'Uomo con la maiuscola non esiste. Dopo la Shoah e il gulag, l'umanesimo ha il dovere di ricordare a uomini e donne che se, per un verso, noi ci riteniamo gli unici legislatori, è unicamente attraverso la continua messa in questione della nostra situazione personale, storica e sociale che noi possiamo decidere della società e della storia. Oggi lungi dalla demondializzazione, è necessario inventare nuove norme internazionali per regolamentare e controllare il mondo della finanza e dell'economia globalizzate e creare infine un'autorità mondiale etica universale e solidale.
L'umanesimo è un processo di rifondazione permanente, che si sviluppa unicamente grazie a delle rotture che sono delle innovazioni. La memoria non riguarda il passato: la Bibbia, i Vangeli, il Corano, il Rigveda, il Tao, ci abitano al presente. Affinché l'umanesimo possa svilupparsi e rifondarsi, è giunto il momento di prendere sul serio i codici morali costruiti nel corso della storia: senza indebolirli, per problematizzarli, rinnovandoli di fronte a nuove singolarità di uomini e di donne. Perché l'umanesimo è un femminismo. La liberazione dei desideri doveva condurre all'emancipazione delle donne. Le battaglie per una parità economica, giuridica e politica necessitano di una nuova riflessione sulla scelta e la responsabilità della maternità. La secolarizzazione è a tutt'oggi la sola civilizzazione che manchi di un discorso sulla realtà della maternità. Questo legame passionale tra la madre e il bambino, attraverso il quale la biologia diviene senso, alterità e parola, è una reliance che, differente dalla funzione paterna e dalla religiosità, le completa, partecipando a pieno titolo all'etica umanista.
Poiché risveglia i desideri di libertà di uomini e donne, l'umanesimo ci insegna a prenderci cura di essi. La cura amorosa per l'altro, la cura della terra, dei giovani, dei malati, degli handicappati, degli anziani non autosufficienti, costituiscono delle esperienze interiori che creano delle nuove prossimità e delle solidarietà inattese. Non abbiamo un altro modo che l'esperienza interiore per accompagnare la rivoluzione antropologica, già annunciata dalla corsa in avanti delle scienze, dai procedimenti incontrollabili della tecnica e della finanza, e dall'incapacità del modello democratico piramidale a canalizzare le novità.
L'uomo non fa la storia, noi siamo la storia. Per la prima volta, l'homo sapiens è in grado di distruggere la terra e se stesso in nome delle proprie credenze, religioni o ideologie, ma anche in nome della scienza e della tecnica. Ugualmente per la prima volta gli uomini e le donne sono in grado di rivalutare in completa trasparenza la religiosità costitutiva dell'essere umano. L'incontro delle nostre diversità qui, ad Assisi, testimonia che l'ipotesi della distruzione non è l'unica possibile. Nessuno può sapere quali esseri umani succederanno a noi che siamo impegnati in questa transvalutazione antropologica e cosmica senza precedenti. La rifondazione dell'umanesimo non è un dogma provvidenziale né un gioco dello spirito, è una scommessa.
Signore e Signori,
l'età del sospetto tra le religioni e tra credenti e non credenti non è più sufficiente. Di fronte alle crisi e alle minacce che si aggravano, è giunta l'età della scommessa. Osiamo scommettere sul rinnovamento continuo delle capacità di uomini e donne a credere e a conoscere insieme. Affinché, nel «multiverso» bordato di vuoto, l'umanità possa perseguire ancora a lungo il proprio destino creativo.
(©L'Osservatore Romano 29 ottobre 2011)
Intervento del Dr. Kyai Haji Hasyim Muzadi, Segretario Generale della Conferenza Internazionale degli Studiosi Islamici (ICIS) e già Presidente di Nabdlatul Ulama (NU)
La dottrina e la condotta. Invito alla coerenza nella preghiera dell’Angelus di oggi (Sir)
BENEDETTO XVI
La dottrina e la condotta
Invito alla coerenza nella preghiera dell’Angelus di oggi
Un appello a essere coerenti e un invito a praticare il comandamento dell’amore, avendo per modello Gesù, che si è presentato come “servo”. Lo ha rilanciato, stamattina Benedetto XVI, prima di guidare la recita dell’Angelus da piazza San Pietro. Dopo l’Angelus anche un pensiero alle popolazioni della Thailandia colpite da gravi inondazioni, e, in Italia, a quelle della Liguria e della Toscana, danneggiate dalle forti piogge.
Peso leggero e soave. “Nella liturgia di questa domenica – ha ricordato il Papa -, l’apostolo Paolo ci invita ad accostare il Vangelo ‘non come parola di uomini, ma come è veramente, quale Parola di Dio’. In questo modo possiamo accogliere con fede gli ammonimenti che Gesù rivolge alla nostra coscienza, per assumere un comportamento conforme ad essi”. Nel brano odierno, ha proseguito, “Egli rimprovera gli scribi e i farisei, che avevano nella comunità un ruolo di maestri, perché la loro condotta era apertamente in contrasto con l’insegnamento che proponevano agli altri con rigore”. Gesù sottolinea che costoro “dicono e non fanno”; anzi, “legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”. “La buona dottrina va accolta – ha spiegato il Pontefice -, ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente”. Per questo Gesù dice: “Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere”. “L’atteggiamento di Gesù – ha avvertito il Santo Padre - è esattamente l’opposto: Egli pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti, e può dire che esso è un peso leggero e soave proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui”.
Il vero Maestro. “Pensando ai maestri che opprimono la libertà altrui in nome della propria autorità – ha ricordato Benedetto XVI -, San Bonaventura indica chi è l’autentico Maestro, affermando: ‘Nessuno può insegnare e nemmeno operare, né raggiungere le verità conoscibili senza che sia presente il Figlio di Dio’”. In realtà, “Gesù siede sulla ‘cattedra’ come il Mosè più grande, che estende l’Alleanza a tutti i popoli”. È Lui “il nostro vero e unico Maestro! Siamo, pertanto, chiamati a seguire il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, che esprime la verità del suo insegnamento attraverso la fedeltà alla volontà del Padre, attraverso il dono di se stesso”. Il Papa ha quindi rammentato le parole del beato Antonio Rosmini: “Il primo maestro forma tutti gli altri maestri, come pure forma gli stessi discepoli, perché [sia gli uni che gli altri] esistono soltanto in virtù di quel primo tacito, ma potentissimo magistero”. “Gesù – ha continuato il Pontefice - condanna fermamente anche la vanagloria e osserva che operare ‘per essere ammirati dalla gente’ pone in balia dell’approvazione umana, insidiando i valori che fondano l’autenticità della persona”. Il Signore Gesù, ha sottolineato Benedetto XVI - si è presentato al mondo come servo, spogliando totalmente se stesso e abbassandosi fino a dare sulla croce la più eloquente lezione di umiltà e di amore”. Dal suo esempio scaturisce la proposta di vita: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo”. “Invochiamo l’intercessione di Maria Santissima e preghiamo, in particolare, per quanti nella comunità cristiana sono chiamati al ministero dell’insegnamento, affinché possano sempre testimoniare con le opere le verità che trasmettono con la parola”, ha detto.
Vicinanza alla Thailandia, alla Liguria e alla Toscana. Dopo l’Angelus, il Papa ha espresso “vicinanza alle popolazioni della Thailandia colpite da gravi inondazioni, come pure, in Italia, a quelle della Liguria e della Toscana, recentemente danneggiate dalle conseguenze di forti piogge. Assicuro per loro la mia preghiera”. Le parole del Papa sono state accolte da un grande applauso. Nei saluti in varie lingue, in francese ricordando la conclusione del mese del rosario, ha invitato a “rivolgersi con fiducia alla Vergine Maria. Alla sua scuola impariamo a conoscere Gesù”. In tedesco ha chiesto di pregare di “poter essere servitori di Dio e quindi servitori degli uomini”. In spagnolo ha ricordato che “il Signore ci chiama a comportarci con rettitudine” invitandoci “a servire i nostri fratelli come veri figli di Dio”. Perciò, occorre pregare Maria affinché “interceda a essere sempre più intimamente uniti a Cristo e dare così una testimonianza valida del suo amore”. In polacco ha ribadito: Cristo “è Lui che ci insegna come vivere l’amore del Padre. Per questo i principi morali provenienti dal Padre non possono essere oggetto di dubbio, di contrattazione, di discussione”. Il Vangelo, ha auspicato, “ci conduca alle opere concrete, nelle quali si manifesta l’amore che proviene da Dio Padre”. In italiano ha rivolto “un cordiale saluto alle Religiose Figlie di Cristo Re, insieme con i collaboratori laici che condividono il loro carisma e la loro missione”.
© Copyright Sir
La dottrina e la condotta
Invito alla coerenza nella preghiera dell’Angelus di oggi
Un appello a essere coerenti e un invito a praticare il comandamento dell’amore, avendo per modello Gesù, che si è presentato come “servo”. Lo ha rilanciato, stamattina Benedetto XVI, prima di guidare la recita dell’Angelus da piazza San Pietro. Dopo l’Angelus anche un pensiero alle popolazioni della Thailandia colpite da gravi inondazioni, e, in Italia, a quelle della Liguria e della Toscana, danneggiate dalle forti piogge.
Peso leggero e soave. “Nella liturgia di questa domenica – ha ricordato il Papa -, l’apostolo Paolo ci invita ad accostare il Vangelo ‘non come parola di uomini, ma come è veramente, quale Parola di Dio’. In questo modo possiamo accogliere con fede gli ammonimenti che Gesù rivolge alla nostra coscienza, per assumere un comportamento conforme ad essi”. Nel brano odierno, ha proseguito, “Egli rimprovera gli scribi e i farisei, che avevano nella comunità un ruolo di maestri, perché la loro condotta era apertamente in contrasto con l’insegnamento che proponevano agli altri con rigore”. Gesù sottolinea che costoro “dicono e non fanno”; anzi, “legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”. “La buona dottrina va accolta – ha spiegato il Pontefice -, ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente”. Per questo Gesù dice: “Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere”. “L’atteggiamento di Gesù – ha avvertito il Santo Padre - è esattamente l’opposto: Egli pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti, e può dire che esso è un peso leggero e soave proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui”.
Il vero Maestro. “Pensando ai maestri che opprimono la libertà altrui in nome della propria autorità – ha ricordato Benedetto XVI -, San Bonaventura indica chi è l’autentico Maestro, affermando: ‘Nessuno può insegnare e nemmeno operare, né raggiungere le verità conoscibili senza che sia presente il Figlio di Dio’”. In realtà, “Gesù siede sulla ‘cattedra’ come il Mosè più grande, che estende l’Alleanza a tutti i popoli”. È Lui “il nostro vero e unico Maestro! Siamo, pertanto, chiamati a seguire il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, che esprime la verità del suo insegnamento attraverso la fedeltà alla volontà del Padre, attraverso il dono di se stesso”. Il Papa ha quindi rammentato le parole del beato Antonio Rosmini: “Il primo maestro forma tutti gli altri maestri, come pure forma gli stessi discepoli, perché [sia gli uni che gli altri] esistono soltanto in virtù di quel primo tacito, ma potentissimo magistero”. “Gesù – ha continuato il Pontefice - condanna fermamente anche la vanagloria e osserva che operare ‘per essere ammirati dalla gente’ pone in balia dell’approvazione umana, insidiando i valori che fondano l’autenticità della persona”. Il Signore Gesù, ha sottolineato Benedetto XVI - si è presentato al mondo come servo, spogliando totalmente se stesso e abbassandosi fino a dare sulla croce la più eloquente lezione di umiltà e di amore”. Dal suo esempio scaturisce la proposta di vita: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo”. “Invochiamo l’intercessione di Maria Santissima e preghiamo, in particolare, per quanti nella comunità cristiana sono chiamati al ministero dell’insegnamento, affinché possano sempre testimoniare con le opere le verità che trasmettono con la parola”, ha detto.
Vicinanza alla Thailandia, alla Liguria e alla Toscana. Dopo l’Angelus, il Papa ha espresso “vicinanza alle popolazioni della Thailandia colpite da gravi inondazioni, come pure, in Italia, a quelle della Liguria e della Toscana, recentemente danneggiate dalle conseguenze di forti piogge. Assicuro per loro la mia preghiera”. Le parole del Papa sono state accolte da un grande applauso. Nei saluti in varie lingue, in francese ricordando la conclusione del mese del rosario, ha invitato a “rivolgersi con fiducia alla Vergine Maria. Alla sua scuola impariamo a conoscere Gesù”. In tedesco ha chiesto di pregare di “poter essere servitori di Dio e quindi servitori degli uomini”. In spagnolo ha ricordato che “il Signore ci chiama a comportarci con rettitudine” invitandoci “a servire i nostri fratelli come veri figli di Dio”. Perciò, occorre pregare Maria affinché “interceda a essere sempre più intimamente uniti a Cristo e dare così una testimonianza valida del suo amore”. In polacco ha ribadito: Cristo “è Lui che ci insegna come vivere l’amore del Padre. Per questo i principi morali provenienti dal Padre non possono essere oggetto di dubbio, di contrattazione, di discussione”. Il Vangelo, ha auspicato, “ci conduca alle opere concrete, nelle quali si manifesta l’amore che proviene da Dio Padre”. In italiano ha rivolto “un cordiale saluto alle Religiose Figlie di Cristo Re, insieme con i collaboratori laici che condividono il loro carisma e la loro missione”.
© Copyright Sir
Il Papa e gli atei non devoti di Assisi (Lucio Brunelli)
Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:
IL PAPA E GLI ATEI NON DEVOTI DI ASSISI
Lucio Brunelli
Una psicanalista franco-bulgara, Julia Kristeva, ex maoista, impegnata in battaglie per la difesa dei diritti delle donne. Un economista no-global, Walter Maier, membro del partito comunista austriaco. Un pensatore agnostico, Guillermo Hurtado, proveniente dal più massonico paese dell'America latina, il Messico. Un filosofo italiano fieramente laico, Remo Bodei, per il quale Berlusconi è “miscredente come nessuno”. Sono atei, ma non molto devoti i quattro intellettuali scelti dal papa per rappresentare idealmente, ad Assisi, quei “cercatori di verità” ai quali non è stato dato “il dono di poter credere”. La loro presenza, nella cittadella francescana, lo scorso 27 ottobre, è stata la vera novità della riedizione (rivista e corretta da Ratzinger) del meeting inter-religioso per la pace convocato da Wojtyla 25 anni fa.
Negli anni in cui Ruini teneva le redini dell'episcopato italiano gli 'atei' considerati interlocutori interessanti dalla Chiesa erano solo quelli che sposavano ideologicamente le battaglie etiche della gerarchia, ed anzi le avrebbero volute ancora più aspre. In questo tipo di dialogo la politica aveva un peso preminente.
Gli atei invitati ad Assisi non rientrano in questi parametri. Benedetto XVI si è fidato del cardinale Ravasi, non ha messo paletti politici. Il filo rosso che unisce i quattro invitati speciali è una apertura al dialogo, la ricerca non banale di una domanda di senso, il “tenere la porta aperta” come dice Bodei. Persone, ha spiegato il papa, che “pongono domande sia all'una che all'altra parte”. Agli atei fondamentalisti, che pensano di sapere già tutto sulla non esistenza di Dio. Ma anche ai credenti “perché non considerino Dio come una proprietà che gli appartiene”. E' il passaggio che più mi ha impressionato. Dio non è un qualcosa di cui qualcuno si può impossessare. Il tratto assolutamente gratuito, anarchico, della grazia è l'antitesi più radicale alla presunzione violenta di ogni integralismo religioso (anche quello clericale).
Ratzinger sembra quasi divertirsi, negli ultimi mesi, a rovesciare con colpi ad effetto l'immagine di cartapesta del pastore tedesco, asserragliato nel recinto delle sue certezze e sprezzante nei confronti degli altri, quelli che ne sono fuori, appunto.
Gli agnostici in ricerca, ha detto il 25 settembre a Friburgo, “sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli di routine, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l’apparato”. Non era una battuta per arruffianarsi qualcuno, anche se persino Eugenio Scalfari ne è rimasto scosso e comincia a rivedere i suoi giudizi sul pontificato. Ma ci sarà pure un motivo se i grandi preti del nostro tempo, da don Giussani a don Divo Barsotti, sentivano il dolore di Leopardi, Pavese e Pasolini più vicino alla loro sensibilità delle dissertazioni di tanti tiepidi autori cattolici.
E citavano proprio i versi di questi atei inquieti quando dovevano spiegare, ai giovani che li ascoltavano, cos'è l'uomo e il suo desiderio ferito di bellezza e di felicità.
© Copyright Vita
IL PAPA E GLI ATEI NON DEVOTI DI ASSISI
Lucio Brunelli
Una psicanalista franco-bulgara, Julia Kristeva, ex maoista, impegnata in battaglie per la difesa dei diritti delle donne. Un economista no-global, Walter Maier, membro del partito comunista austriaco. Un pensatore agnostico, Guillermo Hurtado, proveniente dal più massonico paese dell'America latina, il Messico. Un filosofo italiano fieramente laico, Remo Bodei, per il quale Berlusconi è “miscredente come nessuno”. Sono atei, ma non molto devoti i quattro intellettuali scelti dal papa per rappresentare idealmente, ad Assisi, quei “cercatori di verità” ai quali non è stato dato “il dono di poter credere”. La loro presenza, nella cittadella francescana, lo scorso 27 ottobre, è stata la vera novità della riedizione (rivista e corretta da Ratzinger) del meeting inter-religioso per la pace convocato da Wojtyla 25 anni fa.
Negli anni in cui Ruini teneva le redini dell'episcopato italiano gli 'atei' considerati interlocutori interessanti dalla Chiesa erano solo quelli che sposavano ideologicamente le battaglie etiche della gerarchia, ed anzi le avrebbero volute ancora più aspre. In questo tipo di dialogo la politica aveva un peso preminente.
Gli atei invitati ad Assisi non rientrano in questi parametri. Benedetto XVI si è fidato del cardinale Ravasi, non ha messo paletti politici. Il filo rosso che unisce i quattro invitati speciali è una apertura al dialogo, la ricerca non banale di una domanda di senso, il “tenere la porta aperta” come dice Bodei. Persone, ha spiegato il papa, che “pongono domande sia all'una che all'altra parte”. Agli atei fondamentalisti, che pensano di sapere già tutto sulla non esistenza di Dio. Ma anche ai credenti “perché non considerino Dio come una proprietà che gli appartiene”. E' il passaggio che più mi ha impressionato. Dio non è un qualcosa di cui qualcuno si può impossessare. Il tratto assolutamente gratuito, anarchico, della grazia è l'antitesi più radicale alla presunzione violenta di ogni integralismo religioso (anche quello clericale).
Ratzinger sembra quasi divertirsi, negli ultimi mesi, a rovesciare con colpi ad effetto l'immagine di cartapesta del pastore tedesco, asserragliato nel recinto delle sue certezze e sprezzante nei confronti degli altri, quelli che ne sono fuori, appunto.
Gli agnostici in ricerca, ha detto il 25 settembre a Friburgo, “sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli di routine, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l’apparato”. Non era una battuta per arruffianarsi qualcuno, anche se persino Eugenio Scalfari ne è rimasto scosso e comincia a rivedere i suoi giudizi sul pontificato. Ma ci sarà pure un motivo se i grandi preti del nostro tempo, da don Giussani a don Divo Barsotti, sentivano il dolore di Leopardi, Pavese e Pasolini più vicino alla loro sensibilità delle dissertazioni di tanti tiepidi autori cattolici.
E citavano proprio i versi di questi atei inquieti quando dovevano spiegare, ai giovani che li ascoltavano, cos'è l'uomo e il suo desiderio ferito di bellezza e di felicità.
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Alluvione, il Papa rilancia l'appello dei vescovi alla solidarietà (Izzo)
ALLUVIONE: PAPA RILANCIA APPELLO VESCOVI A SOLIDARIETA'
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 ott.
Benedetto XVI ha esortato oggi alla solidarieta' con le popolazioni alle popolazioni della Thailandia "colpite da gravi inondazioni" ed "a quelle della Liguria e della Toscana, recentemente danneggiate dalle conseguenze di forti piogge".
"Assicuro per loro la mia preghiera", ha detto assicurando la propria "vicinanza".
"E' sotto gli occhi di tutti - affermano da parte loro i vescovi della Liburia in una nota - l'impressionante disastro ambientale verificatosi nei giorni scorsi nel levante della Liguria e nel limitrofo territorio toscano, a causa delle eccezionali precipitazioni atmosferiche".
Il comunicato sottoscritto da tutti i vescovi liguri, a partire dal presidente della Conferenza Episcopale Italiana e arcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, esprime dolore per le vittime e invita tutti "specialmente i giovani, a gesti di solidarieta' e di sostegno nelle modalita' che eventualmente verranno sollecitate da chi coordina i soccorsi e le azioni di volontariato". I vescovi della Liguria hanno stabilito inoltre che "nel giorno di domenica 6 novembre si tenga una giornata di preghiera e di raccolta in denaro che verra' devoluta, tramite la Caritas, a beneficio delle comunita' colpite dall'alluvione".
© Copyright (AGI)
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 ott.
Benedetto XVI ha esortato oggi alla solidarieta' con le popolazioni alle popolazioni della Thailandia "colpite da gravi inondazioni" ed "a quelle della Liguria e della Toscana, recentemente danneggiate dalle conseguenze di forti piogge".
"Assicuro per loro la mia preghiera", ha detto assicurando la propria "vicinanza".
"E' sotto gli occhi di tutti - affermano da parte loro i vescovi della Liburia in una nota - l'impressionante disastro ambientale verificatosi nei giorni scorsi nel levante della Liguria e nel limitrofo territorio toscano, a causa delle eccezionali precipitazioni atmosferiche".
Il comunicato sottoscritto da tutti i vescovi liguri, a partire dal presidente della Conferenza Episcopale Italiana e arcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, esprime dolore per le vittime e invita tutti "specialmente i giovani, a gesti di solidarieta' e di sostegno nelle modalita' che eventualmente verranno sollecitate da chi coordina i soccorsi e le azioni di volontariato". I vescovi della Liguria hanno stabilito inoltre che "nel giorno di domenica 6 novembre si tenga una giornata di preghiera e di raccolta in denaro che verra' devoluta, tramite la Caritas, a beneficio delle comunita' colpite dall'alluvione".
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Il Papa: chi insegna non smentisca la dottrina con il comportamento (Angela Ambrogetti)
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Maltempo, il Papa: "Prego per le popolazioni di Liguria e Toscana" (Vatican Insider)
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Il Papa vicino alle popolazioni di Thailandia, Liguria, Toscana
Maltempo/ Papa: Vicino a popolazioni Thailandia, Liguria, Toscana
Roma, 30 ott. (TMNews) - "Vorrei esprimere la mia vicinanza alle popolazioni della Thailandia colpite da gravi inondazioni, come pure, in Italia, a quelle della Liguria e della Toscana, recentemente danneggiate dalle conseguenze di forti piogge. Assicuro per loro la mia preghiera". Lo ha detto Papa Benedetto XVI al termine dell'Angelus. (TMNews)
Roma, 30 ott. (TMNews) - "Vorrei esprimere la mia vicinanza alle popolazioni della Thailandia colpite da gravi inondazioni, come pure, in Italia, a quelle della Liguria e della Toscana, recentemente danneggiate dalle conseguenze di forti piogge. Assicuro per loro la mia preghiera". Lo ha detto Papa Benedetto XVI al termine dell'Angelus. (TMNews)
Coerenza tra insegnamenti e condotta: così il Papa, che esprime vicinanza alle popolazioni di Thailandia e Italia colpite da alluvioni (R.V.)
Su segnalazione di Laura leggiamo:
Coerenza tra insegnamenti e condotta: così il Papa, che esprime vicinanza alle popolazioni di Thailandia e Italia colpite da alluvioni
“La buona dottrina va accolta, ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente”: sono parole del Papa che all’Angelus ha parlato di coerenza e verità di insegnamenti ricordando che Cristo “pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti”. Benedetto XVI, ha rivolto un pensiero a quanti in Thailandia e in Italia sono stati colpiti in questi giorni dalle alluvioni e ha invitato tutti a confidare in Maria per seguire il cammino del Vangelo, ricordando che si conclude domani il mese del Rosario. Il servizio di Fausta Speranza
“Legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”: con queste parole di Gesù, Benedetto XVI, partendo dal Vangelo odierno, ricorda che Cristo ha rimproverato senza mezzi termini quanti “dicono ma non fanno”:
“Egli rimprovera gli scribi e i farisei, che avevano nella comunità un ruolo di maestri, perché la loro condotta era apertamente in contrasto con l’insegnamento che proponevano agli altri con rigore”
Non è in discussione l’insegnamento di “una buona condotta”, spiega il Papa ma c’è il rischio che venga smentita dall’incoerenza:
“Gesù dice: «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere» (Mt 23,3). L’atteggiamento di Gesù è esattamente l’opposto: Egli pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti, e può dire che esso è un peso leggero e soave proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui”.
Benedetto XVI parla di incoerenza e ricorda che Cristo è “il nostro vero e unico Maestro”: il Figlio di Dio, il Verbo incarnato – dice - esprime la verità del suo insegnamento attraverso la fedeltà alla volontà del Padre, attraverso il dono di se stesso”. Cita San Bonaventura ricordando che bisogna riconoscere “l’autentico Maestro” e che ci sono “maestri che opprimono la libertà altrui in nome della propria autorità”. Poi chiarisce il posto che l’umiltà negli insegnamenti di Cristo:
“Gesù condanna fermamente anche la vanagloria e osserva che operare «per essere ammirati dalla gente» (Mt 23,5) pone in balia dell’approvazione umana, insidiando i valori che fondano l’autenticità della persona.”
“Cari amici, - dice il Papa - il Signore Gesù si è presentato al mondo come servo, spogliando totalmente se stesso e abbassandosi fino a dare sulla croce la più eloquente lezione di umiltà e di amore.” Poi, dopo la preghiera mariana, il pensiero alle popolazioni colpite da forti piogge:
“Vorrei esprimere la mia vicinanza alle popolazioni della Thailandia colpite da gravi inondazioni, come pure, in Italia, a quelle della Liguria e della Toscana, recentemente danneggiate dalle conseguenze di forti piogge. Assicuro per loro la mia preghiera”.
Nei saluti in varie lingue, in francese l’invito a guardare a Maria per essere sostenuti nel cammino sulla via del Vangelo: sostenuti nel vivere gli insegnamenti di Cristo e confortati nelle sofferenze. In inglese, l’invito a saper “coniugare umiltà e servizio caritatevole ai fratelli”, ad imitare il perfetto esempio di Cristo nella vita di ogni giorno. In tedesco il Papa ribadisce che il Signore è venuto, non per essere servito ma per servire e che “la vera dimensione umana si combina con l'atteggiamento di servizio”. In lingua spagnola l’invito a comportarsi sempre “con rettitudine di spirito”; in polacco un’affermazione forte: uno solo è il Maestro, Cristo, “per questo i principi morali provenienti dal Padre non possono essere oggetto di dubbio, di contrattazione, di discussione”. Con un invito a farci condurre dal Vangelo “alle opere concrete, nelle quali si manifesta l’amore che proviene da Dio Padre”. In italiano “un cordiale saluto alle Religiose Figlie di Cristo Re, insieme con i collaboratori laici che condividono il loro carisma e la loro missione”. Un saluto “con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Commessaggio, i ragazzi dell’Oratorio di Petosino, il gruppo di anziani di Brunello e gli alunni della Scuola “Settanni” di Rutigliano”. A tutti l’augurio di una buona domenica.
© Copyright Radio Vaticana
Coerenza tra insegnamenti e condotta: così il Papa, che esprime vicinanza alle popolazioni di Thailandia e Italia colpite da alluvioni
“La buona dottrina va accolta, ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente”: sono parole del Papa che all’Angelus ha parlato di coerenza e verità di insegnamenti ricordando che Cristo “pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti”. Benedetto XVI, ha rivolto un pensiero a quanti in Thailandia e in Italia sono stati colpiti in questi giorni dalle alluvioni e ha invitato tutti a confidare in Maria per seguire il cammino del Vangelo, ricordando che si conclude domani il mese del Rosario. Il servizio di Fausta Speranza
“Legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”: con queste parole di Gesù, Benedetto XVI, partendo dal Vangelo odierno, ricorda che Cristo ha rimproverato senza mezzi termini quanti “dicono ma non fanno”:
“Egli rimprovera gli scribi e i farisei, che avevano nella comunità un ruolo di maestri, perché la loro condotta era apertamente in contrasto con l’insegnamento che proponevano agli altri con rigore”
Non è in discussione l’insegnamento di “una buona condotta”, spiega il Papa ma c’è il rischio che venga smentita dall’incoerenza:
“Gesù dice: «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere» (Mt 23,3). L’atteggiamento di Gesù è esattamente l’opposto: Egli pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti, e può dire che esso è un peso leggero e soave proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui”.
Benedetto XVI parla di incoerenza e ricorda che Cristo è “il nostro vero e unico Maestro”: il Figlio di Dio, il Verbo incarnato – dice - esprime la verità del suo insegnamento attraverso la fedeltà alla volontà del Padre, attraverso il dono di se stesso”. Cita San Bonaventura ricordando che bisogna riconoscere “l’autentico Maestro” e che ci sono “maestri che opprimono la libertà altrui in nome della propria autorità”. Poi chiarisce il posto che l’umiltà negli insegnamenti di Cristo:
“Gesù condanna fermamente anche la vanagloria e osserva che operare «per essere ammirati dalla gente» (Mt 23,5) pone in balia dell’approvazione umana, insidiando i valori che fondano l’autenticità della persona.”
“Cari amici, - dice il Papa - il Signore Gesù si è presentato al mondo come servo, spogliando totalmente se stesso e abbassandosi fino a dare sulla croce la più eloquente lezione di umiltà e di amore.” Poi, dopo la preghiera mariana, il pensiero alle popolazioni colpite da forti piogge:
“Vorrei esprimere la mia vicinanza alle popolazioni della Thailandia colpite da gravi inondazioni, come pure, in Italia, a quelle della Liguria e della Toscana, recentemente danneggiate dalle conseguenze di forti piogge. Assicuro per loro la mia preghiera”.
Nei saluti in varie lingue, in francese l’invito a guardare a Maria per essere sostenuti nel cammino sulla via del Vangelo: sostenuti nel vivere gli insegnamenti di Cristo e confortati nelle sofferenze. In inglese, l’invito a saper “coniugare umiltà e servizio caritatevole ai fratelli”, ad imitare il perfetto esempio di Cristo nella vita di ogni giorno. In tedesco il Papa ribadisce che il Signore è venuto, non per essere servito ma per servire e che “la vera dimensione umana si combina con l'atteggiamento di servizio”. In lingua spagnola l’invito a comportarsi sempre “con rettitudine di spirito”; in polacco un’affermazione forte: uno solo è il Maestro, Cristo, “per questo i principi morali provenienti dal Padre non possono essere oggetto di dubbio, di contrattazione, di discussione”. Con un invito a farci condurre dal Vangelo “alle opere concrete, nelle quali si manifesta l’amore che proviene da Dio Padre”. In italiano “un cordiale saluto alle Religiose Figlie di Cristo Re, insieme con i collaboratori laici che condividono il loro carisma e la loro missione”. Un saluto “con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Commessaggio, i ragazzi dell’Oratorio di Petosino, il gruppo di anziani di Brunello e gli alunni della Scuola “Settanni” di Rutigliano”. A tutti l’augurio di una buona domenica.
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