Basta buonismi ogni religione prega il suo Dio
di Luca Doninelli
Dopo venticinque anni ad Assisi si invitano i non credenti e si abolisce la preghiera comune. Perchè?
Quello interreligioso di Assisi non è mai stato un incontro allegro. Importante, importantissimo, questo sì: sia per il dialogo tra le diverse religioni sia per il mondo, che non può permettersi di immaginare il proprio futuro a prescindere da ogni dimensione spirituale. Ma allegro no.
La sfida globale è passata in questi anni dal modello dello scontro di civiltà a quello di una vita senza più alcun riferimento alla dimensione spirituale dell'uomo. È quello che Benedetto XVI chiama relativismo o ateismo pratico: la religione è, semplicemente, qualcosa per cui l'uomo di oggi non ha tempo.
In altre parole: siamo arrivati al fascino dell'inciviltà, alla seduzione della pura barbarie.
Quanto all'ateismo teorico, è ormai diventato anch'esso quello che in fondo è sempre stato, e cioè una teologia, quasi una religione. Naturale, perciò, che quest'anno anche i non credenti (categoria rara) per la prima volta siano stati invitati ad Assisi.
Ci vuole infatti un bell'impegno col problema religioso per essere atei convinti. Ricordo una vecchia battuta del comico Francesco Salvi: «Sono ateo per motivi religiosi». Ancora meglio quella di un vecchio comunista: «Io un mangiapreti? Niente affatto: mai mangiata una simile porcheria».
Ma non è questa la sfida del presente. Nessuno dice più «Dio non esiste». Non c'è uno stile di vita estremo, trasgressivo, da contrapporre a una certa prudenza cristiana.
Il nemico della fede non è il Grande Peccatore, il Grande Bestemmiatore: il nemico della fede è una vita in cui, oltre al mangiare, bere, lavorare, fare figli e divertirsi il sabato sera non esiste niente.
Uno stile di vita che, al limite, comprende anche l'andare in chiesa, e occasionalmente pregare (che so, a un matrimonio, alla cresima del figlio, a un funerale). È brutto, se non sei credente, stare di fronte alla tomba di tuo padre e non avere niente da dire o da pensare. Ma se, una volta lì, dici una bella avemaria, tutto sommato te la puoi cavare.
Che gli organizzatori di Assisi abbiano letto questa situazione, modificando la struttura dell'incontro invitando i non credenti e soprassedendo sulla preghiera comune, è ben comprensibile.
Che senso ha elevare una preghiera comune? Cosa c'è di comune in una preghiera tra religioni diverse? È questo l'aspetto triste della giornata di Assisi: tanto più triste quanto più vissuta in buonafede.
Forse in altri tempi (per esempio al tempo dello scontro di civiltà) questo gesto - più coreografico che sostanziale - poteva parlare ancora agli uomini. Oggi no, non più.
È giusto, perciò, che in quel contesto sia stata sottolineata la dimensione personale e non (fintamente) comunitaria della preghiera. La preghiera è un gesto della persona, della persona concreta, con la sua storia i suoi dolori e le sue idee. Non si può prescindere dalle differenze per elevare una preghiera, perch´ sarà una preghiera vuota. Noi siamo fatti di differenze. Le differenze sono la nostra sostanza, il nostro sangue, la nostra carne.
Solo partendo da qui si può capire qual è l'aspetto veramente comunitario di un incontro come questo: esso sta tutto nel fatto di essere uomini, di riconoscerci come uomini non «al di là» bensì «dentro» le differenze.
Lo diceva già S. Tommaso D'Aquino: se conversi con un cristiano, la comune fede fornirà una base adeguata: ma se il tuo interlocutore appartiene a un'altra religione, allora la base sarà costituita dalla comune umanità.
Il genio di Tommaso sapeva esprimere concetti abissali con parole semplicissime. Per affermare la comune umanità, infatti, occorre ammettere che esser uomini implica una struttura, una consistenza: uomo non è tutto ciò che chiamiamo con questo nome, bensì una cosa precisa, un complesso di domande, bisogni, esigenze che ci muovono nel mondo, e prendono il nome di conoscenza, giustizia, verità, amore, autocoscienza.
Questa radice è la vera preghiera comune a tutti gli uomini: la comune povertà, la comune mendicanza, il comune bisogno. Il Papa l'ha chiamato «il nostro comune cammino umano».
Questa è la suprema chiarezza di Assisi. Oserei dire: non Dio, bensì l'uomo. Senza l'affermazione che l'uomo è qualcosa - oltre la sua filosofia, oltre il potere, oltre le sue congetture - l'incontro di Assisi sarebbe una fatto triste: una riunione di uomini buoni, ciascuno con la sua teologia, le sue preghiere, i suoi abiti, i suoi paramenti, le sue idee sull'aldilà, ciascuno irrimediabilmente prigioniero di se stesso.
© Copyright Il Giornale, 28 ottobre 2011 consultabile online anche qui.
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