La maniera di Albéniz e Falla in un concerto per Benedetto XVI
Tra colto e popolare «more hispano»
Ramón Avello
Sabato 26 novembre nell’Aula Paolo VI in Vaticano l’Orchestra sinfonica del Principato delle Asturie terrà un concerto in onore di Papa Benedetto XVI . Il concerto — offerto dal Governo del Principato delle Asturie e dalla Fundación María Cristina Masaveu Peterson — sarà diretto dal maestro Maximiano Valdés e prevede l’esecuzione, nell’ordine, della Danza rituale del fuoco di Manuel de Falla, dei poemi d’amore Triana e Lavapiés di Isaac Albéniz, la Suite n. 2 da Il cappello a tre punte, il Don Giovanni di Richard Strauss e il Capriccio spagnolo di Nikolai Rimsky-Korsakov. Pubblichiamo uno stralcio dal libretto di sala.
In alcune partiture di Tomás Luis de Victoria e di altri polifonisti spagnoli dei secoli XVI e XVII — il cosiddetto Secolo d’Oro spagnolo — s’incontra l’espressione more hispano. Vari commentatori e musicologi credettero di vedere nella parola more una componente razziale con la quale s’indicava il “sangue moresco” che presumibilmente scorre nelle vene di ogni spagnolo. Il more però non si riferiva al “moro”, bensì al “modo”, ossia alla maniera di essere e alla maniera di interpretare un’opera. Un mottetto, un inno, un salmo, un Pange lingua come quello che immagina Manuel de Falla nel suo Concerto per clavicembalo, o una canzone more hispano, comportavano, oltre ad alcuni elementi formali, come intervalli aumentati o cadenze precise, alcuni tratti di natura espressiva propri della musica spagnola.
Al di là di un periodo stilistico concreto, ci possiamo domandare se esiste un more, un modo o una maniera di essere propria della musica spagnola che trascenda tendenze, epoche e scuole. In campo letterario, Menéndez Pidal pensava che nella letteratura spagnola esistesse un insieme di caratteristiche ricorrenti, comuni a tutte le generazioni. La sobrietà come semplicità psicologica e austerità espressiva; il pragmatismo, nel senso di un’arte e una letteratura per la vita e non di un’arte per l’arte; infine il realismo, una tendenza che da una parte limita il meraviglioso, il fantastico nella creazione, e dall’altra concepisce l’ideale poetico come vicino alla realtà: sono questi alcuni dei tratti ricorrenti della cultura spagnola. A questi tratti si aggiungeva, come una invariante atemporale, l’assimilazione di influenze varie, con il peso specifico delle tre culture: araba, ebrea e cristiana.
Anche nel linguaggio musicale troviamo, al di là dei pittoreschi luoghi comuni, una serie di qualità inveterate della musica spagnola. Questi tratti li possiamo riconoscere nella musica ispanica più genuina, dal medioevo fino praticamente ai giorni nostri. Lasciando da parte gli elementi formali, come il senso della variazione, elemento molto particolare della musica spagnola, citiamo di seguito tre di questi tratti che sono come parti di uno sfondo comune per una ricca varietà di opere.
Il primo è un’espressività radicale, concepita non come un «espressionismo simbolico», ma come un bisogno di emozionare, di commuovere e di comunicare.
Questo carattere espressivo dà alla musica spagnola un tono vitale proprio, che molte volte si manifesta in una evidente gioia di vivere. In secondo luogo, la musica spagnola tende all’austerità e alla concretezza. Non rifugge il senso descrittivo, ma rifiuta il superfluo.
Il terzo elemento è il senso popolare. Le linee che separano il popolare dal colto, il folclorico dall’artistico, sono sfumate. Nel medioevo, i Cantigos de Santa María di Alfonso x il Saggio; nel Rinascimento le “variazioni” e “differenze” su canzoni come El canto del caballero o Guárdame las vacas; il purismo goyesco e del XVIII secolo che pervade la musica di Soler, Boccherini o Domenico Scarlatti; o la scuola musicale nazionale spagnola, incarnata da Isaac Albérniz e da Manuel de Falla: sono alcuni degli esempi della «permeabilità» fra colto e popolare.
Applicata alla Spagna risulta un po’ ridondante la definizione che simboleggia l’ideale del nazionalismo musicale e che Pedrell attribuisce al gesuita Antonio Eximeno: «sulla musica del canto popolare ogni popolo deve costruire il suo sistema musicale». Da mille anni, in un modo intuitivo e diretto, i musicisti spagnoli si ricreano nel canto popolare e, all’inverso, il canto popolare s’impregna di tratti propri della musica colta.
Come in altri aspetti della vita, nel rapporto del compositore con il canto popolare, inteso come ciò che Bartok chiamava il «dato folclorico diretto», è più importante «lo spirito delle parole». Al di là del documento severo, della canzone specifica, ci sono il ritmo, la modalità, gli intervalli e le ondulazioni melodiche e il colore o timbro che costituiscono la radice, l’essenza, e in definitiva lo spirito del popolo, che con tanto amore, intuizione, ispirazione e saggezza, seppero esprimere Isaac Albéniz e Manuel de Falla.
(©L'Osservatore Romano 26 novembre 2011)
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