La Chiesa in movimento
Per difendere i cattolici Benedetto XVI fa la voce grossa con la Cina e fa bene
di Stefano Fontana
Non ci sono molti dubbi: in materia di libertà religiosa con la Cina non conviene cercare l’accomodamento. La Chiesa cattolica ha deciso di rialzare la voce, dopo un lungo periodo di disponibilità al compromesso. Il 17 dicembre scorso una dura Nota della Sala Stampa della Santa Sede aveva protestato nei confronti della convocazione dell’Assemblea dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi che si è tenuta dal 7 al 9 dicembre a Pechino.
Come è noto in Cina esistono una chiesa “ufficiale” e una chiesa “clandestina”. La legge cinese impedisce alle religioni di avere qualche forma di rapporto o dipendenza con l’estero. In Cina esistono due enti preposti al controllo della chiesa cattolica “ufficiale”. L’Amministrazione statale per gli affari religiosi, meglio nota con la vecchia denominazione di Ufficio per gli affari religiosi, e L’Associazione patriottica dei cattolici cinesi. Roma non riconosce naturalmente alcun valore a tutto ciò e la recente Nota della Sala Stampa della Santa Sede del 17 dicembre lo ha ribadito. L’Assemblea nazionale dei Rappresentanti cattolici deve esser convocata ogni 7 anni. L’ultima riunione era avvenuta a Pechino nel luglio del 2004, quindi la nuova convocazione doveva avvenire nel 2009, ma è stata rimandata di un anno. Tra l’altro l’Assemblea nazionale avrebbe la funzione di eleggere il Presidente della Conferenza episcopale “ufficiale” ed anche il Presidente della Associazione patriottica dei cattolici cinesi. La Chiesa “ufficiale” è quindi controllata e formata dal potere politico, preti e vescovi hanno tra l’altro il dovere di partecipare alle conferenze di formazione all’ideologia del regime.
Il rinvio dell’ Assemblea sembrava dimostrare una volontà di moderazione e tolleranza. Inoltre dal 2006 il potere politico si asteneva dal nominare nuovi vescovi “ufficiali”, come contropartita dei vari passi fatti dalla Santa Sede per favorire l’avvicinamento tra le “due chiese”. Anche il Papa, infatti, non ha più nominato vescovi “clandestini”, mentre alcuni vescovi ufficiali sono stati riconosciuti e validati anche da Roma. Ma nei giorni scorsi è successo il fatto nuovo. Il 20 novembre scorso P. Giuseppe Guo Jincai è stato ordinato vescovo di Chengde (Hebei) senza mandato del Papa e, ciò che è più grave, all’ordinazione hanno partecipato otto vescovi in comunione con Roma. A ciò si è aggiunta la Convocazione dell’Assemblea dei cattolici cinesi ed a quel punto le speranze che le cose cambiassero si sono definitivamente involate.
Con le nuove ordinazioni in presenza anche di vescovi legittimi la situazione per i fedeli cinesi si complica ancora di più: in gioco c’è la validità dei sacramenti. La chiesa “clandestina” è costituita dai vescovi nominati dalla Santa Sede, dai sacerdoti da loro ordinati e dai fedeli che non accettano di dipendere dal potere politico cinese. Queste comunità rifiutano di farsi registrare dalle autorità locali, i loro vescovi e preti non sono stati omologati dalle autorità, spesso si riuniscono in luoghi privati perché in Cina le riunioni religiose possono avvenire solo in edifici approvati dallo Stato, rifiutano la presenza tra di loro dei rappresentanti della Associazione patriottica dei cattolici cinesi, perché il governo li utilizza per spiare, controllare e, spesso, per devitalizzare le attività religiose.
Nel 2009 era stato sostituito il direttore dell’Ufficio per gli affari religiosi. Il nuovo funzionario – Wang Zuo’an – era il vice del precedente, quindi le agenzie avevano parlato di cambiamento nella continuità. Del resto la politica religiosa del governo cinese non dipende dalle singole persone che la incarnano, come i fatti recenti hanno dimostrato.
I tentennamenti di parte cattolica non pagano in Cina e la Chiesa clandestina soffre di sindrome di abbandono. Per fortuna che la voce sonora del Cardinale Zen di Hongkong, sostituito alla guida della diocesi il 15 aprile 2009 per limiti di età da mons. John Tong Hon, continua a farsi sentire. Il 19 giugno 2009, davanti alla stampa riunita al Foreign Correspondents’ Club di Hongkong, aveva denunciato i numerosi fenomeni di intimidazione e di corruzione esercitati sui vescovi “ufficiali”. In occasione di ordinazioni illecite, il governo – ha dichiarato il cardinale Zen – ha elargito ingenti finanziamenti a favore delle loro diocesi ad alcuni vescovi “ufficiali” già convalidati anche dalla Santa Sede per indurli a partecipare alle ordinazioni. Il 16 luglio 2009, il cardinale Zen si era rivolto tramite il suo blog ai vescovi “ufficiali” della Cina, sostenendo che la convocazione dell’Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici era da ritenersi “inaccettabile”. Le modalità di elezioni sono “una farsa” – egli ha detto – e “una simile assemblea mina l’autorevolezza dei vescovi e si oppone alla Lettera del Papa”. Egli aggiungeva anche che i vescovi che erano in comunione con Roma avrebbero dovuto astenersi. A come si è visto non tutti hanno seguito queste indicazioni.
Il 19 novembre scorso, prima dell’ultimo Concistoro, il cardinale Zen ha fatto un aggiornamento sulla situazione cinese davanti ai suoi colleghi Cardinali sostenendo che il governo non ha cambiato la sua politica di controllo assoluto sulle religioni e sulla Chiesa cattolica, manipolando ordinazioni e corrompendo vescovi, anche quelli legittimati dal papa. Il vescovo emerito di Hong Kong ha detto che vi sono tentennamenti anche nella politica vaticana, che rischiano di dare un’errata interpretazione alle indicazioni di Benedetto XVI, contenute nella sua Lettera ai cattolici della Cina. Ma con la Cina i tentennamenti non pagano e le comunità clandestine chiedono di non essere abbandonate e sacrificate ad una nuova Ostpolitik.
© Copyright L'Occidentale, 28 dicembre 2010 consultabile online anche qui.
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