Storia di un antico simbolo del buon odore di Cristo
La rosa d'oro del Papa
di Stefano Sanchirico
Benedetto XVI, visitando alcuni insigni santuari mariani, ha donato una rosa d'oro quale segno di pietà e devozione. Si tratta di un gesto antico, riservato al Papa e mai caduto in disuso: Paolo vi donò la rosa d'oro al santuario di Fátima nel 1965 e a quello della Vergine di Guadalupe nel 1966, mentre Giovanni Paolo ii la inviò alla Madonna nera di Jasna Góra nel 1982.
L'accento posto, nel corso dei secoli, sul dono pontificio ha messo in ombra l'originario significato del gesto, che si inquadrava nella liturgia stazionale romana. Analogamente ad altri riti e tradizioni papali, anche per la rosa d'oro, possiamo distinguere due periodi: prima di Avignone e dopo il rientro dei Papi a Roma.
Nel primo periodo, la rosa d'oro veniva benedetta durante la statio della domenica di Quaresima, che si teneva a Santa Croce in Gerusalemme. Nel corso della liturgia della domenica Laetare, il Papa portava nella mano sinistra, dopo averla benedetta, la rosa d'oro, che deponeva poi sull'altare della basilica sessoriana. Al termine della celebrazione eucaristica, il Pontefice la riprendeva e la portava fino al rientro nel patriarchio lateranense, donandola, infine, al prefetto dell'Urbe, che aveva partecipato al rito a nome della città.
L'Ordo xi descrive la celebrazione nei dettagli. Il Papa si recava con solenne cavalcata, dal palazzo lateranense alla basilica di Santa Croce, dove cantava la messa, predicava tenendo in mano la rosa d'oro benedetta e, dopo essersi soffermato sulla liturgia del giorno, la mostrava al popolo, istruendolo sul suo mistico significato. Al termine della celebrazione ritornava al Laterano in cavalcata con la rosa in mano. Al portico della basilica, vestito di porpora con calze color oro, il prefetto di Roma - che lo aveva accompagnato a piedi, fungendo da palafreniere - lo aiutava a scendere da cavallo sostenendogli la staffa. Smontato dalla cavalcatura, il Papa gli donava la rosa, che egli riceveva genuflesso, baciando subito dopo il piede del Pontefice.
Al rientro da Avignone si cominciò a benedire la rosa d'oro nel palazzo lateranense. A partire dalla metà del Quattrocento si destinò a tale scopo la sala dei Paramenti. Il cerimoniale di Patrizi Piccolomini e del Burcardo, pubblicato poi da Cristoforo Marcello, descrive la sequenza rituale, rimasta, con qualche piccola variazione, immutata fino al secolo scorso. Il testo ricorda che è consuetudine per il Papa nella quarta domenica di Quaresima, nella quale si canta Laetare Hierusalem, benedire la rosa d'oro. Destinata poi a essere donata dallo stesso Pontefice, immediatamente dopo la celebrazione della messa, a un principe, se presente al sacro rito, o a essere inviata a qualche personalità o istituzione dopo aver consultato i cardinali "in circolo nella sua camera o dove ad egli più piacerà".
All'inizio del rito la rosa d'oro veniva posta su un piccolo altare, appositamente allestito nella sala dei Paramenti, con due candelieri accesi.
Il Papa, dopo aver indossato il camice, la stola, il manto e la mitra, si avvicinava all'altare dove era collocata la rosa. E deposta la mitra, iniziava il rito con il versetto Adiutorium nostrum in nomine Domini, il saluto liturgico e l'orazione di benedizione. Terminata la quale, un chierico di camera, in cotta e rocchetto, reggeva la rosa dinanzi al Pontefice, che la ungeva con il balsamo e introduceva una piccola parte di unguento, misto a muschio tritato, nel bocciolo più grande, dov'era stato ricavato un piccolo serbatoio. Balsamo e muschio gli venivano presentati dal sacrista pontificio.
Subito dopo, infuso l'incenso portogli dal cardinale primo dei preti, il Papa aspergeva con l'acqua benedetta la rosa e la incensava. Il chierico di camera la consegnava quindi al cardinale diacono che a sua volta la dava al Papa, il quale si recava ad assistere alla cappella con la rosa nella mano sinistra e la destra benedicente. Giunto al faldistorio davanti all'altare, prima di inginocchiarsi per un breve momento di adorazione, il Papa porgeva nuovamente al cardinale diacono la rosa, che veniva consegnata al chierico di camera, il quale la poneva sull'altare, nel mezzo, su un velo rosaceo ricamato in oro.
Al termine della messa, ripetuta l'orazione al faldistorio davanti all'altare, il Papa riprendeva la rosa con le stesse modalità e ritornava nella sala dei Paramenti, o nei suoi appartamenti, dove veniva ammesso il principe o il personaggio a cui la rosa era destinata. Questi genuflesso ai piedi del Pontefice riceveva il dono con queste parole: Accipe rosam de manibus nostris, qui licet immeriti locum Dei in terris tenemus, per quam designatur gaudium utriusque Hierusalem, triumphantis scilicet et militantis Ecclesiae, per quam omnibus Christi fidelibus manifestatur flos ipse speciosissimus, qui est gaudium, et coronam sanctorum omnium suscipe hanc tu dilectissime fili, qui secundum saeculum nobilis, potens ac multa virtute praeditus es, ut amplius omni virtute in Christo Domino nobiliteris tamquam rosa plantata super rivos aquarum multarum, quam gratiam ex sua ubertati clementia tibi concedere dignetur, qui es trinus et unus in saecula saeculorum. Amen. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti ("Ricevi dalle nostre mani, quale immeritato vicario di Cristo in terra, la rosa, con la quale è reso manifesto il gaudio delle due Gerusalemme, della Chiesa trionfante come di quella militante, e per la quale a tutti i fedeli di Cristo è significato Egli stesso, il fiore più splendente, che è la gioia e la corona di tutti i santi: accettala, Tu, o dilettissimo figlio, che in terra sei nobile, potente e ricco di virtù, affinché, come la rosa piantata lungo copiosi corsi d'acqua, così tutte le tue virtù siano in Cristo Signore nobilitate. A te, dalla sua infinita clemenza, si degni di concedere tale grazia, Colui che è uno e Trino nei secoli dei secoli. Amen. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo").
Qualora il destinatario non fosse presente, la rosa veniva fatta pervenire per mezzo di un'apposita legazione, della quale facevano parte anche i latori della rosa d'oro, membri del patriziato romano, la cui carica era prevista sino alla riforma della cappella e della famiglia pontificia compiuta da Paolo vi. La consegna della rosa era accompagnata da una lettera apostolica che ne illustrava il significato e da un'apposita istruzione dei maestri di cerimonia apostolici sui riti da osservare.
La benedizione della rosa era riservata sempre e solo al Papa. Infatti, quando egli era fuori Roma - come accadde nel corso della visita di Pio vi a Vienna nel 1782 - la rosa non veniva benedetta, ma si esponeva nella cappella papale quella benedetta l'anno precedente. Qualora nel corso dell'anno non fosse stata donata, si benediceva nuovamente la stessa rosa. Nel caso, invece, di impedimento del Pontefice, per malattia o per l'età avanzata, la rosa veniva benedetta nella cappella privata. Alcune volte, in ragione del calendario che faceva coincidere la quarta domenica di Quaresima con la solennità dell'Annunciazione, la rosa si benediceva nella sagrestia della basilica di Santa Maria sopra Minerva, dove si teneva la cappella papale.
Originariamente la rosa d'oro indicava principalmente gioia e allegrezza per la Pasqua imminente, e aveva un profondo significato cristologico, in quanto - come recitava la preghiera di benedizione - essa rappresentava il giglio delle valli, il fiore di campo: cioè Cristo. All'unico Signore si chiedeva che la Chiesa, per mezzo delle buone opere, potesse associarsi alla fragranza di quel fiore e spandere il buon profumo di Cristo nel mondo. Così, a chi la riceveva in dono, veniva riconosciuto il compito di portare il buon odore di Cristo, con la vita e le opere al servizio della Chiesa. Anche il dono a una chiesa o a un santuario mariano riconduceva allo stesso significato: portare Cristo al mondo.
Circa l'origine del rito sappiamo che Leone ix (1049-1054) chiese ai monasteri da lui fondati in Alsazia di far giungere ogni anno a Roma una rosa d'oro già fusa, o il quantitativo d'oro sufficiente a confezionarla. La rosa doveva arrivare in città in tempo per la statio quaresimale della domenica Laetare. Dunque, durante il pontificato di Leone ix la cerimonia della rosa d'oro era data già in uso. Un erudito del Settecento, Francesco Annivitti, riprodusse il testo di un manoscritto conservato nel monastero di Santa Croce in Gerusalemme, contenente l'omelia di Onorio iii in occasione della domenica Laetare del 1217, che attribuiva ad un beato Gregorio Papa l'introduzione del rito. Chi fosse questo beato è difficile dire.
A Benedetto xiv - sulla cui opera anche in campo liturgico non si è forse scritto e investigato abbastanza - dobbiamo molte notizie utili sull'argomento. Nella sua lettera Quarta vertentis, del 24 marzo 1751, troviamo un piccolo trattato sulla rosa d'oro, che egli mandava alla metropolitana di Bologna, sua antica sede episcopale. Papa Lambertini, infatti, fece studiare a fondo il significato e l'origine della rosa, promuovendo anche alcune accademie, svoltesi alla sua presenza. Molti scrittori sono concordi nel narrare che l'alsaziano Leone ix, volle sottoporre immediatamente alla Sede romana, esentandolo dalla giurisdizione del vescovo locale, il monastero di Santa Croce nella diocesi di Tulle. E a ricordo di questa libertà, impose di mandare al Papa, ogni anno, otto giorni prima della quarta domenica di Quaresima, una rosa d'oro o due oncie romane dello stesso metallo. Il pagamento di tale quantità di oro verrà puntualmente registrata nel Liber censuum di Cencio Camerario.
Monsignor Lonigio, maestro di cerimonie sotto Paolo v, narra invece che Leone ix avrebbe chiesto il pagamento della rosa d'oro alla badessa del monastero di Bamberga, a ricordo dell'esenzione dalla giurisdizione dell'ordinario. Il Besozzi, altro erudito che aveva scritto sull'argomento, osservava che se Leone ix obbligò le monache di Bamberga a mandare la rosa d'oro, la tradizione di benedire la rosa esisteva già da qualche tempo. Benedetto xiv sposò questa affermazione, non ritenendo Leone ix autore del rito, in quanto la rosa d'oro era già consuete portari nella quarta domenica di Quaresima: parole che dimostrerebbero come il rito fosse stato precedentemente introdotto e che il Pontefice alsaziano ne avesse solo addossato la spesa al suo monastero.
Possiamo, pertanto, convenire con Benedetto xiv che si tratta di un rito particolarmente antico, già in uso al tempo di Leone ix. Gaetano Moroni sembra accogliere l'ipotesi che "questo sagro donativo vuolsi dai Papi surrogato a quello delle chiavi d'oro e d'argento, che con la limatura delle catene di san Pietro solevano benedire e inviare in dono ai grandi personaggi".
Anche la forma della rosa mutò con il tempo. Originariamente era composta da un solo fiore, tinto di rosso nel bocciolo. Il rosso fu poi sostituito da un rubino e da altre pietre preziose. Successivamente la rosa assunse la forma di un ramo spinoso con più fronde, fiorito e con in cima una rosa più grande, in oro puro. Nel mezzo della principale era inserita una piccola coppa, con un coperchio o una sottile lamina forata, nella quale il Papa versava il balsamo e il muschio tritato, rito introdotto per imitare la fragranza soave della rosa e anche per sottolineare il profondo significato cristologico che le veniva attribuito. Infine, a partire dal XVI secolo, si cominciò a inserire il ramo di rose in un vaso e a sostituire l'oro con argento dorato. L'introduzione del vaso renderà scomodo al Papa reggerla nella mano sinistra e per questo il chierico di camera che presentava al Pontefice la rosa avrà il compito di portarla nel tragitto dalla sala dei Paramenti alla cappella, precedendo il Pontefice.
Scorrendo la lunga lista degli oltre 180 destinatari della rosa d'oro, possiamo leggere anche una singolare storia del papato, che si interseca con avvenimenti grandi e piccoli, oltre che con note di colore. La prima rosa consegnata fuori Roma toccò a Fulcone d'Angers, che aveva dato ospitalità a Urbano ii (1088-1099). Le rose date ai dogi di Venezia erano, invece, considerate non come dono alla persona, ma alla Repubblica. Quella che Benedetto xi inviò nel 1304 al convento dei domenicani di Perugia fu ben presto venduta per sopperire alla necessità dei poveri. Enrico viii d'Inghilterra ne ricevette ben due: la prima da Giulio ii, l'altra da Leone x. Quelle donate da Martino v alla basilica vaticana e da Clemente vii alla confraternita del Gonfalone saranno parte del bottino dei lanzichenecchi nel sacco di Roma del 1527.
Nel 1462 Pio ii la donò a Tommaso Paleologo, fratello di Costantino xi, ultimo imperatore di Costantinopoli, che il 29 maggio 1453 aveva trovato la morte sulle mura della città, ormai caduta in mano turca. Fu l'estremo omaggio del Papa umanista alla cultura di Bisanzio. Una certa eccentricità mostrò Sisto iv, che volle inviare alla sua città di Savona non una rosa d'oro, ma un ramo di rovere, allusivo al suo cognome e al suo stemma. Alessandro vi, invece, la concesse a Cesare Borgia.
Alcune rose d'oro segnarono il restauro o l'abbellimento delle grandi basiliche romane, come quella donata da Paolo v alla basilica vaticana per la traslazione dei Papi santi di nome Leone nel 1608. Molte furono, poi, inviate alle cattedrali dove i Pontefici erano stati precedentemente vescovi: Innocenzo xii a Napoli, Urbano viii a Spoleto, Benedetto xiv a Bologna, solo per citarne alcuni. Tra i santuari mariani, quello di Loreto ne ricevette il maggior numero. Pio ix la mandò a Maria Adelaide di Savoia, consorte di Vittorio Emanuele ii, mentre Leone xiii ne fece dono a Mary Caldwell, unica borghese ad averla ottenuta, per i meriti acquisiti nella fondazione dell'università cattolica di Washington. L'ultima sovrana italiana a riceverla sarà la regina Elena, sposa di Vittorio Emanuele iii di Savoia, nel 1937, da parte di Pio xi.
Infine, è significativo notare come, a partire dalla metà del Seicento, la rosa d'oro diventerà sempre più un dono destinato ai santuari mariani, alle regine o a personalità femminili, preferendosi per gli uomini altre distinzioni cavalleresche, in particolare lo stocco ed il berrettone, che si benedicevano a Natale: segno, anche questo, del mutare della percezione del valore simbolico del rito.
(©L'Osservatore Romano - 9 gennaio 2011)
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