L'inno di vespro per il Battesimo del Signore
Acque di morte per tuffarci nella vita
di Inos Biffi
Il battesimo nel Giordano è tra i misteri principali della vita di Cristo. Perciò non sorprende che vi sia dedicata tutta una festività, a chiusura del tempo natalizio, anche se il motivo battesimale non manca di toccare già l'Epifania. Quel mistero tocca il Signore e riguarda noi tutti.
L'inno di vespro - di fattura modesta e di autore ignoto del secolo x, in dimetri giambici acatalettici e ritmici - si apre cantando l'Unigenito di Dio che viene a noi dal Padre "per consacrarci con l'acqua del battesimo e rigenerarci nella fede". Disceso dall'alto dei cieli, egli immerge nel Giordano la nostra umanità carica di peccato, prosciogliendola dalla morte, adombrata dalle onde del fiume spettatore di tante "meraviglie divine". Riceviamo, così, come dono un'esistenza nuova e gioiosa, a sua volta essa stessa prelusa dal risalire di Gesù dal sepolcro delle acque. Proseguiamo nell'inno: "Tu prendi la forma dell'uomo e, riscattando la creatura dalla morte, le infondi le gioie della vita". Già quel lavacro è inizio e figura della passione e della risurrezione del Signore, sul quale, appena battezzato, si aprono i cieli, mentre discende come una colomba lo Spirito, e il Padre lo proclama suo Figlio, "l'amato", in cui ogni sua compiacenza è riposta.
Nel Giordano - scrive sant'Ambrogio - "Cristo istituì la forma del lavacro salutare (In Iordane baptizatus est Christus, quando formam lavacri salutaris instituit)" (De interpellatione Iob et David, 4, 4).
D'altra parte, evocava tanti eventi di salvezza. A cominciare dal passaggio per il nuovo esodo con Giosuè: Gesù discende in quelle acque di morte e di vita come un nuovo Giosuè, che guida il nuovo Popolo di Dio verso la terra definitiva della libertà.
Permaneva poi su quel fiume il ricordo del suo attraversamento a piedi asciutti, da parte dei profeti Elia ed Eliseo; e quello della prodigiosa immersione nelle sue acque di Naaman siro, risanato dalla lebbra.
Sono grazie che supplichiamo a conclusione dell'inno: "Vieni benevolo in noi, o Redentore, e infondi nei nostri cuori la chiara luce divina"; "Resta con noi; allontana la notte oscura, detergici ogni colpa, e donaci la tua pietosa medicina".
La vita di Gesù è iscritta indissolubilmente nella memoria e nel cuore della Chiesa, che, nelle ricorrenti festività dell'anno liturgico, la riprende e la rimedita con rinnovato rendimento di grazie e non mai esaurito stupore. Essa, infatti, non tanto mira ad accrescerne la conoscenza esteriore dell'esistenza di Gesù, quanto a riviverla o, secondo l'esortazione di Bernardo ai suoi monaci di Clairvaux, a nutrirsene e a gustarne la soavità (Sermoni d'Avvento, 3, 2).
Rievocando il battesimo di Cristo, siamo più intimamente, e quasi sperimentalmente, iniziati al mistero della sua figliolanza divina, apparsa e ascoltata nell'epifania trinitaria che accompagna l'umile sottoporsi al ministero dell'allibito Precursore che esita a seppellire nelle acque chi è più grande di lui.
Scoprendo in quel gesto di abbassamento il preavviso della croce e della risurrezione sentiamo la solidarietà di Cristo con la nostra umanità peccatrice, mentre il pensiero si porta al nostro battesimo, quando, resi conformi a Gesù Primogenito di molti fratelli, anche sopra di noi il cielo si apre, riceviamo lo Spirito e siamo, a nostra volta, dal Padre chiamati suoi figli nel Figlio.
E così la vita si rinnova nella Chiesa: è il fine e il frutto delle celebrazioni liturgiche.
(©L'Osservatore Romano - 9 gennaio 2011)
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