lunedì 28 marzo 2011

Il manifesto del Papa contro il male. Il commento di Angelo Scelzo

La visita alle Fosse Ardeatine: «L’eccidio gravissima offesa a Dio»

Il manifesto del Papa contro il male

Angelo Scelzo

Tutto nel giro di una mattinata: dagli orrori per le barbarie del passato alle trepidazioni dell’oggi per una pace ancora sopraffatta dal tragico frastuono delle armi. Papa Ratzinger ha espresso ieri, in due luoghi altamente simbolici - il sacrario delle Fosse Ardeatine e la finestra che da piazza San Pietro si affaccia al mondo -, le inquietudini e le apprensioni della Chiesa di fronte a uno sfregio non rimarginabile, qual è stato quello della follia nazista, e alle urgenze di togliere alle armi l’ultima parola nel conflitto libico, punto estremo di una crisi che continua a estendersi al Medioriente.
Tragedie non comparabili, almeno sul piano storico, da nessun lato, ma di fronte alle quali il tema della pace ritorna a essere drammaticamente centrale nella vita della Chiesa e nel magistero di un Papa che, davanti alle tombe dei 345 martiri della rappresaglia delle SS del Polizeiregiment Bozen, ha arricchito di un umanissimo timbro di personale emozione, il tono implacabile delle parole di condanna. Veniva in mente, in quegli attimi, la visita ad Auschwitz, e quella sua sconvolgente interpretazione – forse la più estrema delle condanne – secondo cui con la distruzione di Israele i nazisti volevano strappare la radice stessa delle fede cristiana. «Annientando quel popolo - affermò Papa Benedetto, nel corso del viaggio in Polonia di cinque anni fa sulle orme di Giovanni Paolo II - gli autori dello sterminio intendevano uccidere Dio». Non diversi sono stati gli accenti del discorso al sacrario romano, poiché anche quella tragedia, nel suo orribile svolgimento, ha avuto come motivazione «l’offesa gravissima a Dio»: tale è infatti, nella visione di papa Benedetto, «l’effetto più esecrabile della guerra, di ogni guerra». Ancora di più le Fosse Ardeatine hanno fatto evocare il campo di concentramento di Auschwitz, nel momento in cui papa Ratzinger ha voluto iniziare il suo discorso utilizzando le parole incise da un prigioniero nella cella di tortura di via Tasso: «Credo in Dio e nell’Italia». Un piccolo-grande manifesto di fede che ha mosso il Papa ad esternare, anche da un luogo così solenne e drammatico, il suo atto di omaggio all’Unità d’Italia. E a parlare di patria, un valore che sempre più sta recuperando una non indebita vicinanza proprio a quello della pace. È in questo senso che il legame con l’altro importante atto della giornata, l’appello al dialogo per il conflitto in Libia, lanciato all’Angelus, non è stato solo evidente, ma, pur nella diversità delle situazioni, totalmente complementare. L’invito a non lasciar cadere ogni pur minimo spiraglio per l’apertura di un negoziato che porti al cessate il fuoco, non è frutto, nella visione del Papa, di nessun calcolo politico o strategico, ma nasce da quel «ripudio della guerra», mai ripudiato, almeno nella sua essenza. In questa prospettiva ha poco senso valutare le parole di papa Benedetto all’Angelus di ieri, come un salto in avanti rispetto a un atteggiamento ritenuto più morbido all’avvio dell’operazione Odissea all’alba. L’attacco ora è in corso - il Papa parla di «momenti di maggiore tensione» - e una sua ulteriore escalation è sempre da temere, mentre il numero delle vittime e le sofferenze delle persone – a cominciare dai civili - danno un quadro realistico e crudo della situazione. Formalmente non si tratta di una guerra dichiarata; ma se questo può avere peso nelle valutazioni delle cancellerie, le motivazioni umanitarie spingono innanzitutto a salvaguardare la sicurezza e l’incolumità delle persone. Non a caso è stata questa la prima preoccupazione espressa da papa Benedetto. La pace come «dono di Dio» è stata uno dei grandi temi della predicazione di Giovanni Paolo II, ma occorre ricordare che proprio l’accezione di «dono» portava papa Wojtyla ad allontanare da sé la sbrigativa definizione di pacifista: per i cattolici la vera «arma» capace di creare concordia non può che essere la preghiera. Dunque si tratta di un cantiere aperto, di una conquista che riguarda non solo i tavoli dei negoziati, ma il comportamento di tutti; una consapevolezza che continua a crescere in tutto il mondo cattolico. Forse il suo punto di maggiore unità, di fronte a sensibilità che sul tema della pace sono particolarmente variegate e diverse. Ma la mattinata di ieri, tra le Fosse Ardeatine e la finestra del Papa, dovrebbe aver chiarito molte cose.

© Copyright Il Mattino, 28 marzo 2011

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