La proposta interpretativa di Benedetto XVI nel libro «Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione»
Ratzinger nell'arena
Pubblichiamo alcuni stralci della relazione tenuta dal titolare della cattedra di Sacra Scrittura alla Facoltà di teologia San Dámaso di Madrid in un incontro organizzato dalla facoltà per presentare il libro di Benedetto XVI Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione.
di Ignacio Carbajosa
Il libro di cui ci occupiamo si potrebbe presentare, in un certo senso, come un'opera che si colloca alla fine di una lunga e singolare parabola storica.
La parabola che va dalla Vita critica di Gesù del protestante Reimarus al Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger -- Benedetto XVI. Una parabola che comprende più di due secoli di ricerca esegetica su Gesù, che è andata di pari passo con la storia delle idee e ha esercitato un'evidente influenza sull'immagine che il popolo cristiano ha dei Vangeli. In effetti «nella coscienza comune della cristianità -- dice il Papa -- hanno comunque lasciato dietro di sé, come denominatore comune, l'impressione che noi sappiamo ben poco di certo su Gesù» (i, 8).
Infatti, afferma Ratzinger nella stessa premessa, «che significato può avere la fede in Gesù Cristo, in Gesù Figlio del Dio vivente, se poi l'uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come lo annuncia la Chiesa a partire dai Vangeli?» (i, 7).
Fu questo gravissimo problema, posto dall'intellectus fidei, che indusse il teologo Ratzinger a intraprendere il lavoro di cui stiamo parlando. Egli stesso considerava questo compito urgente, come risulta evidente dal fatto che un simile progetto non ha dormito il sonno dei giusti dopo l'elezione di Ratzinger alla cattedra di Pietro.
A questo punto ci dobbiamo domandare: che novità rappresenta quest'opera nell'ambito dell'esegesi moderna, dato che un Papa ha voluto scendere nell'«arena» della discussione scientifica?
Rispondere alla domanda sulla novità del libro di cui trattiamo ci costringe a presentare i due assi su cui si regge la sua originalità. Il primo sarebbe il fondamento metodologico; il secondo l'esercizio pratico dell'esegesi, come illustrazione paradigmatica di quel fondamento. Procediamo per ordine.
La preoccupazione per l'aspetto metodologico dell'esegesi non è nuova in Ratzinger. La conferenza tenuta dall'allora cardinale a New York nel 1988, e in seguito pubblicata come L'interpretazione biblica in conflitto. Problemi del fondamento ed orientamento dell'esegesi contemporanea (Casale Monferrato, Piemme, 1991), ben presto è diventata una delle pietre miliari del dibattito ermeneutico che da allora è cresciuto enormemente.
In quella conferenza, il cardinale illustrava le premesse filosofiche che hanno messo in moto gran parte dell'esegesi dominante, ponendo in dubbio la sua pretesa di essere una disciplina scientifica, con risultati comparabili, come esattezza, a quelli del mondo scientifico. Inoltre sottolineava un'altra questione che, con il tempo, sarebbe diventata centrale in qualsiasi dibattito: come unire in modo equilibrato i due principi metodologici dell'esegesi presentati dalla costituzione dogmatica Dei Verbum al numero 12: un'esegesi storica e al contempo teologica. È questo il punto su cui Papa Ratzinger è stato maggiormente incisivo negli ultimi anni.
Nella seconda parte di Gesù di Nazaret, che oggi presentiamo, egli insiste nuovamente sulla duplice dimensione metodologica dell'esegesi: «Con gratitudine prendo anche atto del fatto che la discussione sul metodo e sull'ermeneutica dell'esegesi, come pure sull'esegesi quale disciplina storica e al contempo teologica, sta diventando più vivace, nonostante non poche resistenze nei confronti di nuovi passi» (6).
Questa insistenza metodologica non è gratuita. Se l'esegesi ha fatto grandi passi in avanti come disciplina storica, lo stesso non si può dire come disciplina teologica, ossia come aiuto per la totale comprensione della Parola di Dio.
Nella premessa a questa seconda parte si dimostra particolarmente incisivo: «Se la esegesi biblica scientifica non vuole esaurirsi in sempre nuove ipotesi diventando teologicamente insignificante, deve fare un passo metodologicamente nuovo e riconoscersi nuovamente come disciplina teologica, senza rinunciare al suo carattere storico». (6).
L'esegesi dominante non soffre per mancanza di strumenti o di perizia nell'uso degli stessi, ma per il problema dell'uso inadeguato della ragione che, evidentemente, impedisce un'adeguata comprensione della Scrittura. È ciò che il Papa ha definito nel famoso discorso di Ratisbona «l'autolimitazione moderna della ragione», a causa della quale si afferma che «soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali», e quindi il divino rimane escluso «dall'universalità della ragione».
Anche rispetto a questo punto Papa Ratzinger si ritrova alla fine di un'altra parabola storica, nella fattispecie in quella che ha percorso la ragione moderna negli ultimi tre secoli in occidente. Non a caso entrambe le parabole storiche, quella della ragione e quella dell'esegesi, vanno di pari passo: comprendere questo stretto legame è ciò che ha permesso a Ratzinger di avere uno sguardo lucido sul problema dell'esegesi. Infatti l'Illuminismo era partito con un'esaltazione della ragione autonoma che, con il tempo, ha relegato il credere e il fatto religioso nell'ambito dell'irrazionale o, almeno, dell'a-razionale. Fede e ragione non avevano nessun rapporto.
Paradossalmente il percorso storico dell'«autolimitazione moderna della ragione» ha condotto al «pensiero debole» che nella postmodernità ha, in pratica, abbandonato la ragione.
È paradossale che all'inizio del XXI secolo sia stato proprio un Papa, il Papa che dialoga con Habermas, a richiamare l'occidente, dicendogli di «avere il coraggio» di recuperare la ragione, di «un allargamento del nostro concetto di ragione e dell'uso di essa» (discorso di Ratisbona).
L'oggetto dell'esegesi, la Scrittura, è testimone di un fenomeno religioso che ha una particolare espressività storica. Soltanto una ragione in grado di avvicinarsi all'oggetto adottando questa doppia dimensione sarà capace di comprenderlo veramente. Da qui l'insistenza di Ratzinger sul fatto che l'esegesi si debba riconoscere come disciplina teologica senza rinunciare al suo carattere storico. Solo così si arriverà a quello che Benedetto XVI chiama nel presente libro «una totalità metodologica».
Indubbiamente è necessario un fondamento teologico che mostri l'unità articolata dell'esegesi, critica e insieme teologica. Ma è altresì evidente che l'esercizio di un'esegesi che, nella pratica, mostri la modalità con cui entrambe le dimensioni concorrono fecondamente allo studio dell'unico oggetto, la Scrittura, risulta decisivo allo scopo di persuaderci della bontà di questo approccio unitario. È precisamente quello che Benedetto XVI ha voluto fare nel presente libro.
Non era possibile compiere un'impresa di questo calibro senza correre il rischio di scendere «nell'arena» dell'interpretazione dei testi, entrando nei problemi e nelle questioni discusse. Un rischio che Ratzinger ha corso, cosciente di quale fosse la posta in gioco.
Scendere nell'arena esegetica significa lottare con i migliori spadaccini dell'interpretazione biblica. Perciò non stupisce che nelle pagine di questo libro sfilino le figure più prestigiose o più dibattute della scienza neotestamentaria del secolo passato: Barret, Bultmann, Dodd, Conzelmann, Gnilka, Grelot, Harnack, Hengel, Jeremias, Meier, Pesch, Schnackenburg, Vanhoye, Wilckens e tanti altri.
Il Papa è ben cosciente del rischio che sta correndo e per questo mette bene in chiaro che non ci troviamo di fronte a un documento magisteriale. Qualsiasi esegesi è limitata e, per questo, soggetta a correzione. Identificare nel presente libro questioni affrontate in modo insufficiente o sentire la mancanza di dati di cui non si è tenuto conto non deve scandalizzare. Fa parte della natura di un libro come questo.
Ma sicuramente il rischio è valso la pena. Nella discussione sulle questioni esegetiche concrete Ratzinger ha dimostrato, in modo paradigmatico, un'esegesi critica e insieme teologica, svelando in tante occasioni le premesse filosofiche o culturali che limitano la ragione moderna applicata alla Scrittura. Facciamo un esempio.
Paradigmatica è la discussione sulla risurrezione di Gesù, in cui si gioca il fondamento della nostra fede. L'interprete della Scrittura non è alieno alla domanda che l'uomo moderno, figlio di una certa mentalità, rivolge ai racconti sul sepolcro vuoto e sulle apparizioni: «Ma può veramente essere stato così? Possiamo noi -- soprattutto in quanto persone moderne -- dar credito a testimonianze del genere? Il pensiero “illuminato” dice di no» (287). L'«immagine scientifica del mondo» sembrerebbe opporsi al contenuto di questi racconti.
Su tale questione intervengono soltanto i dati storici o letterari in nostro possesso. È in gioco un certo esercizio della ragione, come ragione aperta. Concretamente è in gioco se la ragione ammette la categoria di possibilità che le è connaturata, ossia se accetta la possibilità che il Mistero che ha fatto tutte le cose si possa rivelare e possa farlo in un punto storico.
Il dogma illuminista, per cui un avvenimento storico non può essere una verità necessaria e universale, pesa gravemente sull'interpretazione di questi testi. Così dice Ratzinger quando espone le difficoltà che si affrontano nel momento in cui si accetta la testimonianza apostolica su Gesù che, risuscitato, passa in una nuova dimensione: «Ci viene detto piuttosto: esiste un'ulteriore dimensione rispetto a quelle che finora conosciamo. Ciò sta forse in contrasto con la scienza? Può veramente esserci solo ciò che è esistito da sempre? Non può esserci la cosa inaspettata, inimmaginabile, la cosa nuova? Se Dio esiste, non può Egli creare anche una dimensione nuova della realtà umana? della realtà in generale?» (288).
Il risultato globale di quest'opera, lasciando da parte questioni scolastiche o discutibili, è più che soddisfacente, soprattutto perché centra l'obiettivo: mostrare un'esegesi in azione, critica e al contempo teologica, che raggiunge l'oggetto, il Gesù testimoniato dai Vangeli, presentato in modo ragionevole e plausibile come il Gesù «storico».
Possiamo dunque ben comprendere la curiosa parabola storica percorsa dall'esegesi nei due ultimi secoli e mezzo: da Reimarus, che partendo dalla ragione e rifiutando, in suo nome, il dogma, si avventura alla ricerca del Gesù storico a margine dei Vangeli, fino al Gesù di Nazaret di un Papa teologo che, rivendicando un uso adeguato della ragione, riconferma la verità storica e la ragionevolezza del Gesù dei Vangeli.
Ratzinger ha dimostrato così, in atto, che il contesto più adeguato per l'interpretazione dei Vangeli è proprio il luogo in cui nacquero: la vita della fede, la Chiesa. Non è inutile la contemporaneità con la narrazione, che ci garantisce lo Spirito Santo all'interno dell'esperienza ecclesiale, e che ci permette di capire e di entrare in sintonia con l'avvenimento di Cristo. Il Papa ha reso un grande servizio alla fede mostrando, nei suoi risultati, la verità di questo principio ermeneutico. In altre parole, è diventato un esempio di quello che egli stesso chiede ai cristiani affinché il suo contributo sia decisivo nel mondo di oggi: che «l'intelligenza della fede diventi intelligenza della realtà».
(©L'Osservatore Romano 29 aprile 2011)
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giovedì 28 aprile 2011
La proposta interpretativa di Benedetto XVI nel libro «Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione». Ratzinger nell'arena (Ignacio Carbajosa)
2 commenti:
Ci siamo trasferiti ad altro indirizzo
:-)
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Beh, se questo episodio è vero, se veramente Papa Wojtyla ha aiutato a guarire quello che oggi è il nostro Benedetto molto di ciò che pareva incomprensibile diventa comprensibilissimo :-)
RispondiEliminaAlessia