WOJTYLA: UOMO DI PACE E NON PACIFISTA A OGNI COSTO
(AGI) - CdV, 28 apr.
(di Salvatore Izzo)
Giovanni Paolo II - esattamente come ha fatto Papa Ratzinger in queste settimane - "davanti alla crisi libica certamente in questo momento inviterebbe tutti a pensieri e progetti di pace, al dialogo e alla trattativa, ad usare ogni mezzo per ricucire rapporti di riconciliazione e convergenza su obiettivi comuni".
Sono le parole del cardinale Tarcisio Bertone, a margine della inaugurazione della mostra sulla beatificazione di Wojtyla.
Il segretario di Stato ha cosi' evocato le parole piu' dure contro la guerra in Iraq pronunciate il 16 marzo del 2004 dal Papa polacco ormai 83enne per tentare di scongiurare l'attacco alleato. "Io appartengo - affermo' prima dell'Angelus davanti adu un'affollatissima piazza San Pietro - a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: 'Mai più la guerra!', come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità. E quindi preghiera e penitenza!". "Faccio appello, in particolare, agli uomini e alle donne che hanno conosciuto nel secolo scorso le funeste guerre mondiali. Mi rivolgo ai giovani che, per loro fortuna, quei conflitti non hanno vissuto.
A tutti dico: dobbiamo opporci con fermezza insieme alla tentazione dell'odio e della violenza, che danno solo l'illusione di risolvere i conflitti, ma procurano perdite reali e permanenti. Il perdono, invece, che potrebbe sembrare debolezza, presuppone una grande forza spirituale e assicura vantaggi a lungo termine".
"Il perdono, opponendosi all'istinto di rispondere al male con il male - spiego' ancora il Pontefice - è un atteggiamento che, specialmente per i cristiani, ha profonde motivazioni religiose, ma si regge anche su basi razionali. Per tutti, infatti, credenti e non credenti, vale la regola di fare agli altri ciò che si vuole sia fatto a sé. Questo principio etico, applicato a livello sociale e internazionale, costituisce una via maestra per costruire un mondo più giusto e solidale".
Nella precedente crisi irachena del 1991, durante una visita alla parrocchia di Santa Dorotea in Trastevere, parlando con i giornalisti di agenzia che lo accompagnavano, Wojtyla chiari' il signifcato della sua condanna di quell'intervento, affermando: "non sono un pacifista, nel senso che non voglio la pace ad ogni costo ma la pace nella giustizia". Ed infatti qualche anno dopo, nel corso della crisi bosniaca dove la popolazione inerme veniva massacrata in nome della pulizia etnica, Giovanni Paolo II disse che era possibile "un'ingerenza umanitaria", ma attraverso una forza di interposizione, non bombardando dal cielo. "In un mondo globalizzato, dove le minacce alla giustizia e alla pace si ripercuotono su larga scala a danno dei più deboli, si impone - ha poi affermato nel discorso del primo gennaio 2002 - una mobilitazione globale delle coscienze. Il Grande Giubileo del Duemila ne ha posto le basi: non bisogna scoraggiarsi di fronte alle prove della storia, ma perseverare nell'impegno di orientare nella direzione giusta le scelte personali, familiari e sociali, come pure le grandi linee dello sviluppo nazionale ed internazionale".
Giovanni Paolo II credeva moltissimo nella possibilita' che il dialogo tra le religioni potesse davvero costruire una pace stabile in Terra Santa come in Afroca e in altri scacchieri. "Siamo venuti ad Assisi in pellegrinaggio di pace quali rappresentanti delle varie religioni, per interrogarci di fronte a Dio - chiari' il 24 gennaio 2002 nella ultima giornata di preghiera per la pace da lui stesso convocata nella citta' di San Francesco, dove Benedetto XVI ha invitato per il 26 ottobre prossimi i leader religiosi del mondo a 25 anni dal primo raduno - sul nostro impegno per la pace, per chiederne a Lui il dono, per testimoniare il nostro comune anelito verso un mondo più giusto e solidale". "Vogliamo recare - continuo' il Papa polacco - il nostro contributo per allontanare le nubi del terrorismo, dell’odio, dei conflitti armati, nubi che in questi ultimi mesi si sono particolarmente addensate all’orizzonte dell’umanità. Per questo vogliamo ascoltarci gli uni gli altri: già questo - lo sentiamo - è un segno di pace. C'è già in questo una risposta agli inquietanti interrogativi che ci preoccupano. Già questo serve a diradare le nebbie del sospetto e dell'incomprensione".
"Le tenebre - Wojtyla lo sapeva bene, avendo vissuto la seconda guerra mondiale - non si dissipano con le armi; le tenebre si allontanano accendendo fari di luce. Ricordavo alcuni giorni fa al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede che l'odio si vince solo con l'amore. Ci incontriamo ad Assisi, dove tutto parla di un singolare profeta della pace, chiamato Francesco. Egli è amato non solo dai cristiani, ma da tanti altri credenti e da gente che, pur lontana dalla religione, si riconosce negli ideali di giustizia, di riconciliazione, di pace che furono suoi".
Ma rimarra' per sempre legato al ricordo di questo Papa coraggioso anche il pellegrinaggio del gennaio 1997 a Sarajevo, dove come ha ricordato Fabio Zavattaro nel suo libro "La valigia di Papa Wojtyla" presentato nei giorni scorsi, "le forze di sicurezza trovarono, sotto un ponte, in una sorta di buca, un grosso quantitativo di esplosivo". Il giorno dopo Giovanni Paolo II "attraversa il viale dei cecchini, vede le distruzioni della guerra, per questo si dichiara "pellegrino di pace e di amicizia", venuto per esortare al rifiuto della ‘logica disumana della violenza’. Al cardinale arcivescovo di Sarajevo, Vinko Puljic, consegna la lampada ad olio che aveva tenuto sempre accesa nella basilica di San Pietro, per ricordare le sofferenze della popolazione bosniaca e per invitare alla solidarietà con il popolo di Sarajevo, vittima della guerra. Città martire la chiama il Papa, segnata dall’accanimento di una folle logica di morte, di divisione e di annientamento". Poi nello stadio Kosevo "il Papa celebra la messa, davanti a un Cristo anche lui ferito e mutilato dai bombardamenti" come la citta’ e i suoi abitanti. "Giovanni Paolo II - scrive Zavattaro - trema per il freddo e per proteggerlo dalla neve monsignor Marini, il cerimoniere pontificio, fa aprire un ombrello bianco. E una distesa di bianche croci e piccole lapidi sembrano quasi fare da corona alla struttura. L’assedio di Sarajevo è stato il più lungo che l’epoca moderna ha conosciuto: dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996, in un conflitto costato più di 12 mila morti e 50 mila feriti, l’85 per cento dei quali civili. Quelle croci lungo le strade, nei giardini, nei parchi, sulla collina che fiancheggia lo stadio, ci dicono di cimiteri insufficienti di corpi che venivano sepolti ovunque vi fosse un po’ di terra, ovunque un piccolo fazzoletto di terra garantisse degna sepoltura e un piccolo spazio per inginocchiarsi in preghiera".
Un mese dopo il Papa era a Beirut, per l'altra missione di pace tenacemente perseguita (e piu' volte rinviata per il rischio di attentati). "Sarajevo-Beirut: vista da quest'altra parte, dalla parte di un Papa indomito di coraggio e di amore - scrisse Angelo Scelzo sull'Osservatore Romano - la capitale bosniaca e quella libanese ora evocano il battito nuovo del cuore di una pace che torna ad essere speranza per la vecchia e stanca Europa e per tutto il Medio oriente, alla vigilia di un nuovo millennio. Negli stessi luoghi calpestati e profanati dall'odio, Giovanni Paolo II e' andato a tracciare, di persona, dopo averlo spiritualmente percorso passo dopo passo, il solco di un cammino nuovo. E' andato a far valere, sfidando protocolli di prudenza e convenienza, il diritto che, al di la' dei suoi stessi meriti, spetta ad ogni uomo: quello di sapere di essere amato. Di non essere solo. E Giovanni Paolo II e' andato a Sarajevo e a Beirut per rafforzare - e semmai estendere a ogni dove - questo drammatico grido di pace". Con la pace, l'altro valore che il Pontefice che sara' dichiarato beato domenica primo maggio ha difeso con altrettanta tenacia e' stato quello della famiglia, per lui strettamente legato alla centralita' della persona umana ne' piu' e ne' meno della pace. Durante un nuovo ricovero al Gemelli, nel 1994, dopo una dolorosa operazione ed alla vigilia di una delicata conferenza internazionale sul tema, quella del Cairo, il Papa defini' le sue sofferenze "un dono necessario". "Si doveva trovare il Papa al Policlinico Gemelli, doveva soffrire, come ha dovuto soffrire tredici anni fa (dopo l'attentato di Agca, ndr) cosi' anche in questo anno". "Tutto questo - affermo' - lo ho meditato e lo ho ripensato di nuovo durante la mia degenza in ospedale. E ho trovato di nuovo accanto a me la grande figura del cardinale primate di Polonia Stefano Wyszynski, che all' inizio del mio pontificato mi ha detto: 'Se il Signore ti ha chiamato, tu devi introdurre la Chiesa nel terzo millennio'. Ho capito allora che devo introdurre la Chiesa di Cristo in questo terzo millennio con la preghiera, con diverse iniziative, ma ho anche visto che non basta: si doveva introdurla con la sofferenza con questo sacrificio nuovo. Perche' adesso perche' in questo anno, in questo anno della famiglia? Appunto, perche' la famiglia e' minacciata. La famiglia e' aggredita. Deve essere aggredito il Papa deve soffrire il Papa, perche' veda il mondo che c' e' un Vangelo direi superiore: il Vangelo della sofferenza, con cui si deve preparare il futuro, il terzo millennio, della famiglia, di ogni famiglia e di tutte le famiglie. Capisco che era importante avere questo argomento davanti ai potenti del mondo. Di nuovo devo incontrare questi potenti del mondo e devo parlare: con quali argomenti? Mi rimane questo argomento della sofferenza. E vorrei dire a loro: capite perche' il Papa e' di nuovo in ospedale, nella sofferenza. Capitelo! Ripensatelo!".
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WOJTYLA: RATZINGER HA RACCONTATO IN TV LA LORO AMICIZIA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 28 apr.
"Dall'inizio ho sentito una grande simpatia e, grazie a Dio, immeritatamente, il cardinale di quel tempo mi ha donato fin dall'inizio la sua amicizia. Sono grato per questa fiducia che mi ha donato, senza i miei meriti. Soprattutto vedendolo pregare, ho visto e non solo capito, ho visto che era un uomo di Dio".
Benedetto XVI ha parlato cosi' del suo predecessore in un'intervista alla tv polacca, rilanciata oggi dalla Radio Vaticana. "Questa - dice il Papa rispondendo al gesuita polacco Andrea Majewski - era l'impressione fondamentale: un uomo che vive con Dio, anzi in Dio. Mi ha poi impressionato la cordialita', senza pregiudizi, con la quale si e' incontrato con me. Senza grandi parole, era cosi' nata un'amicizia che veniva proprio dal cuore e, subito dopo la sua elezione, il Papa mi ha chiamato diverse volte a Roma per colloqui e alla fine mi ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede".
Per Papa Ratzinger, gli elementi portanti del pontificato wojtyliano possono essere indicati "da due punti di vista: uno ad extra, cioe' al mondo, ed uno ad intra, cioe' alla Chiesa". "Riguardo al mondo - ha spiegato Ratzinger - mi sembra che il Santo Padre, con i suoi discorsi, la sua persona, la sua presenza, la sua capacita' di convincere, ha creato una nuova sensibilita' per i valori morali, per l'importanza della religione nel mondo. Questo ha fatto si' che si creasse una nuova apertura, una nuova sensibilita' per i problemi della religione, per la necessita' della dimensione religiosa nell'uomo e soprattutto e' cresciuta , in modo inimmaginabile, l'importanza del Vescovo di Roma.
Tutti i cristiani hanno riconosciuto , nonostante le differenze e nonostante il loro non riconoscimento del Successore di Pietro, che e' lui il portavoce della cristianita'. Nessun altro al mondo, a livello mondiale, puo' parlare cosi' nel nome della cristianita' e dar voce e forza nell'attualita' del mondo alla realta' cristiana. Ma anche per la non cristianita' e per le altre religioni, era lui il portavoce dei grandi valori dell'umanita'. E' anche da menzionare che e' riuscito a creare un clima di dialogo fra le grandi religioni e un senso di comune responsabilita' che tutti abbiamo per il mondo, ma anche che le violenze e le religioni sono incompatibili e che insieme dobbiamo cercare la strada per la pace, in una responsabilita' comune per l'umanita'".
Per quanto riguarda la situazione della Chiesa, per Benedetto XVI il suo predecessore "ha saputo entusiasmare la gioventu' per Cristo. Questa e' una cosa nuova, se pensiamo alla gioventu' del '68 e degli anni Settanta. Che la gioventu' si sia entusiasmata per Cristo e per la Chiesa ed anche per valori difficili, poteva ottenerlo soltanto una personalita' con quel carisma; soltanto Lui poteva in tal modo riuscire a mobilitare la gioventu' del mondo per la causa di Dio e per l'amore di Cristo. Nella Chiesa ha creato, penso, un nuovo amore per l'Eucaristia, ha creato un nuovo senso per la grandezza della Misericordia Divina; e ha anche approfondito molto l'amore per la Madonna e ci ha cosi' guidato ad una interiorizzazione della fede e, allo stesso tempo, ad una maggiore efficienza. Naturalmente bisogna menzionare, come sappiamo tutti, anche quanto sia stato essenziale il suo contributo per i grandi cambiamenti nel mondo nell'89, per il crollo del cosiddetto socialismo reale".
Nell'intervista, Papa Ratzinger ha rievocato anche gli ultimi due incontri avuti con il predecessore. "Un primo, al Policlinico "Gemelli", intorno al 5-6 febbraio; e, un secondo, il giorno prima della sua morte, nella sua stanza". "Nel primo incontro - ha confidato - il Papa soffriva visibilmente, ma era pienamente lucido e molto presente. Io era andato semplicemente per un incontro di lavoro, perche' avevo bisogno di alcune sue decisioni. Il Santo Padre, benche' soffrendo , seguiva con grande attenzione quanto dicevo. Mi comunico' in poche parole le sue decisioni, mi diede la sua benedizione, mi saluto' in tedesco, accordandomi tutta la sua fiducia e la sua amicizia. Per me e' stato molto commovente vedere, da una parte, come la sua sofferenza fosse in unione col Signore sofferente, come portasse la sua sofferenza con il Signore e per il Signore; e, dall'altra, vedere come risplendesse di una serenita' interiore e di una lucidita' completa".
"Il secondo incontro - ha concluso Benedetto XVI - e' stato il giorno prima della morte: era ovviamente piu' sofferente, visibilmente, circondato da medici ed amici. Era ancora molto lucido, mi ha dato la sua benedizione. Non poteva piu' parlare molto. Per me questa sua pazienza nel soffrire e' stato un grande insegnamento, soprattutto riuscire a vedere e a sentire come fosse nelle mani di Dio e come si abbandonasse alla volonta' di Dio. Nonostante i dolori visibili, era sereno, perche' era nelle mani dell'Amore Divino".
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WOJTYLA: VIAN, FEDE E CORAGGIO HANNO SEGNATO SUO PONTIFICATO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 27 apr.
"La stessa fede e lo stesso coraggio che avevano caratterizzato tutta la vita di Karol Wojtyla hanno segnato il suo lunghissimo pontificato". Lo scrive il direttore dell'Osservatore Romano, prof. Giovanni Maria Vian, sullo "speciale" preparato dal quotidiano vaticano per la beatificazione. L'articolo ricorda che anche il "declino fisico fu vissuto con una fede e un coraggio impressionanti". Quello del Papa polacco e' stato dunque davvero un Pontificato "'urbi et orbi': cosi come - nota Vian - davanti 'alla citta' e al mondo', da piazza San Pietro, risuonarono il 16 ottobre 1978 le parole vigorose del cinquantottenne cardinale arcivescovo di Cracovia appena eletto Papa e quelle gravi del sostituto della Segreteria di Stato che il 2 aprile 2005 ne annunciarono la morte".
"Con una visione mistica e politica, Giovanni Paolo II - rileva nell'articolo il prof. Vian - ha saputo accompagnare come pastore universale della Chiesa i fedeli cattolici e i cristiani, ma piu' in generale credenti e non credenti, in un arco di tempo segnato da mutamenti rapidi e inattesi: dalla crisi e dal crollo del comunismo europeo all'imporsi del fenomeno mondiale che va sotto il nome di globalizzazione".
"Con una nuova attenzione alle donne, alle quali - ricorda Vian - per la prima volta dedico' diversi documenti e interventi. Cosi' la critica serrata all'ideologia materialista e disumana del comunismo da parte del Papa venuto dalla Chiesa del silenzio che ora grazie a lui aveva ripreso a parlare, ando' di pari passo e fu seguita da quella al materialismo pratico delle societa' ricche sempre piu' scristianizzate, povere di ideali ma pervasive con i loro avvilenti modelli di vita". "Di fronte a nuove guerre e alla crescita dei fondamentalismi religiosi, in particolare quello islamico, la predicazione di Giovanni Paolo II - sottolinea ancora il direttore dell'Osservatore Romano - riprese e rafforzo' l'opera di pace della Santa Sede, ininterrotta almeno da oltre un secolo, ponendo la Chiesa cattolica all'avanguardia nella difesa dei diritti umani e cercando un'intesa tra le grandi religioni. E dinnanzi alle minacce per la vita umana nascoste nelle biotecnologie, Papa Wojtyla individuo' e denuncio' i pericoli per la dignita' dell'essere umano".
"Soprattutto - continua Vian - sulle vie indicate dai predecessori e dai concili, appassionato di Cristo e devoto alla Madre di Dio, Giovanni Paolo II ha percorso i cinque continenti senza stancarsi, e senza lasciarsi intimorire dall'attentato che nel 1981 lo ridusse in fin di vita, per dare visibilita' e infondere coraggio alla Chiesa. Che per questo, iniziando da Benedetto XVI, e grata a Papa Wojtyla, prega per lui e alla sua preghiera si affida nella comunione dei santi".
(AGI)
WOJTYLA: DON GEORG, PAPA BENEDETTO XVI E' IL SUO PRIMO DEVOTO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 27 apr.
"Papa Benedetto XVI non e' uguale a Giovanni Paolo II: Dio non ama la ripetizione e le fotocopie". Ed infatti Papa Wojtyla non era uguale a Giovanni Paolo I, e questi non era uguale a Paolo VI, il quale non era uguale a Giovanni XXIII, "eppure tutti hanno amato Cristo appassionatamente e hanno servito fedelmente la sua Chiesa: Deo gratias!". Lo ha detto mons. Georg Gaenswein, il segretario particolare di Papa. "Il fatto veramente singolare ed edificante - per don Georg - e' che Papa Benedetto XVI si e' presentato al mondo come il primo devoto del suo predecessore; e' un atto di grande umilta', che stupisce e suscita commossa ammirazione". "E' davvero meraviglioso - ha commentato il sacerdote tedesco - il fatto che un Papa attribuisca all'intercessione del proprio predecessore il primo dono del suo pontificato: la pace del cuore in mezzo alla bufera inattesa delle emozioni". Secondo don Georg, "Papa Benedetto XVI ha dato alla Chiesa e al mondo una stupenda lezione di stile pastorale: chi inizia un servizio ecclesiale non deve cancellare le tracce di chi ha lavorato precedentemente, ma deve porre umilmente i propri piedi sulle orme di chi ha camminato e faticato prima di lui. Se accadesse sempre cosi', sarebbe salvo tanto patrimonio di bene, che invece viene spesso demolito e dilapidato". "Il Papa ha raccolto questa eredita' e la sta elaborando - ha concluso il segretario particolare di Joseph Ratzinger - con il suo stile mite e riservato, con le sue parole pacate e profonde, con i suoi gesti misurati ma incisivi".
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WOJTYLA: BERTONE, PER LUI CONCILIO NON FU ROTTURA CON TRADIZIONE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 27 apr.
"Quale era la visione che del Concilio aveva Karol Wojtyla?". Se lo chiede il segretario di Stato Tarcisio Bertone in un articolo scritto per lo "speciale" dell'Osservatore Romano. "Da ogni suo intervento - risponde il porporato - sia da arcivescovo di Cracovia e ancor piu' da Pontefice si comprende facilmente che per lui i decreti conciliari non segnano una rottura con il passato, ma sono un invito ai pastori a tradurre il messaggio evangelico in modi comprensibili all'eta' contemporanea; un lavoro questo che non tocca l'essenza delle verita' di fede immutabili, bensi' la maniera di presentarle agli uomini di ogni epoca". Secondo il segretario di Stato, "che questo sia il modo con cui recepi' il Concilio Vaticano II il servo di Dio Giovanni Paolo II lo si comprende da tanti significativi interventi. Mi limitero' qui a citarne qualcuno". "Nel 1985, per ricordare i 20 anni della chiusura del concilio, il Papa convoco' - scrive Bertone - un Sinodo straordinario dei vescovi, e in quella circostanza i padri sinodali non mancarono di evidenziare le 'luci e ombre' che avevano caratterizzato il periodo postconciliare. Riprese le considerazioni del Sinodo nella lettera Tertio millennio adveniente, in preparazione al Grande Giubileo del 2000, affermando che 'l'esame di coscienza non puo' non riguardare anche la ricezione del Concilio'".
Secondo il segretario di Stato, "la preoccupazione di Papa Wojtyla fu dunque sempre quella di salvaguardare la genuina intenzione dei padri conciliari, recuperando, anzi superando quelle 'interpretazioni prevenute e parziali' che di fatto impedirono di esprimere al meglio la novita' del magistero conciliare". Nel suo articolo, Bertone cita il discorso che Papa Wojtyla tenne il 27 febbraio del 2000 al convegno internazionale di studio proprio sull'attuazione del concilio. "In quella circostanza - spiega - affermo' che anzitutto il Concilio fu un'esperienza di fede per la Chiesa, anzi, disse testualmente, 'un atto di abbandono a Dio che, da un esame sereno degli Atti, emerge sovrano'. E continuo' asserendo che chi volesse avvicinare il concilio prescindendo da questa chiave di lettura 'si priverebbe della possibilita' di penetrarne l'anima profonda'".
Per il Papa polacco, rileva Bertone, "il Concilio fu una vera sfida per i padri conciliari, che consisteva nell'impegno di comprendere piu' intimamente, in un periodo di rapidi cambiamenti, la natura della Chiesa e il suo rapporto con il mondo per provvedere all'opportuno 'aggiornamento'". In proposito il segretario di Stato sottolinea che Karol Wojtyla aveva "ricordi personali" di quel grande evento: "abbiamo raccolto quella sfida - diceva Giovanni Paolo II e Bertone cita nel suo articolo - c'ero anch'io tra i Padri conciliari e vi abbiamo dato risposta cercando un'intelligenza piu' coerente della fede. Cio' che abbiamo compiuto al Concilio e' stato di rendere manifesto che anche l'uomo contemporaneo, se vuole comprendere a fondo se stesso, ha bisogno di Gesu' Cristo e della sua Chiesa, la quale permane nel mondo come segno di unita' e di comunione". "Pertanto - conclude il cardinale Bertone - una lettura del Concilio come rottura col passato e' decisamente fuorviante".
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venerdì 29 aprile 2011
Wojtyla, uomo di pace e non pacifista ad ogni costo. Il rapporto di Giovanni Paolo II con il Concilio e con Papa Benedetto nel commento di Salvatore Izzo
2 commenti:
Ci siamo trasferiti ad altro indirizzo
:-)
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IL BLOG DEGLI AMICI DI PAPA RATZINGER 5
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E´solo mia l´impressione che in base alla marea di articoli uscita nell´ultimo mesi con la morte di Giovanni Paolo II sia finita la più splendente età dell´oro della storia della Chiesa Cattolica? E che ora ci troviamo invece in quella di bronzo?
RispondiEliminaIo sono relativamente giovane e tutto questo splendore non me lo ricordo!
Giovanni Paolo II è stato un grande Papa, con pregi e pecche, con lati, per me, positivi, e lati meno positivi. Ma tutta questa magnificenza io non me la ricordo, anzi!
Jacu
In due parole, caro Jacu, papa Giovanni Paolo fu prima trattato con sufficienza dai soliti media "occidentali"; poi, in seguito all' '89 (ma i prodromi c'erano stati subito, con le masse oceaniche di suoi connazionali presenti alle visite quadriennali in Polonia), si cominciò a parlarne come dell' "uomo che aveva cambiato la Storia".
RispondiEliminaNon occorre sottolineare che il Papa veniva presentato come un "grande", cioè un uomo del mondo, e che la "Storia" continuava a essere idolatrata, con spirito ottocentesco.