Il tempo liturgico e le sue stagioni
Ricordandoci ogni giorno di quello che viene
di Inos Biffi
Tutta la vita della Chiesa trascorre nel ricordo di Cristo, nella sua «dolce memoria» -- una memoria suavitatis, per usare un'espressione di san Bernardo (Sermo in nativitate beatae Mariae, 11) -- senza che il tempo, passando, riesca mai a esaurirlo o ad attenuarlo. E, infatti, Gesù è contemporaneo alla distesa dei secoli che si svolgono tutti alla sua presenza.
In particolare, la Chiesa lo incontra nella Scrittura, nata come rievocazione degli «avvenimenti» del Signore (cfr. Luca, 1, 1) e preziosa ai suoi occhi non tanto come libro, per quanto sacro, quanto perché vi incontra Gesù Cristo vivente. Le ricerche scientifiche, le meditazioni bibliche, la lectio divina -- com'è chiamata -- valgono se alla fine si risolvono nell'incontro con il Verbo incarnato. Diversamente si farebbe solo cultura, e forse questo va ricordato, contro il rischio di assolutizzare il testo, di fermarsi alle parole, a scapito di Colui che dal testo fa sentire personalmente la sua Parola.
La Chiesa incontra, quindi, il suo Signore nei segni sacramentali che, a loro volta, sono validi ed efficaci grazie all'attuale presenza di colui che ne è stato e continua a esserne l'autore. Più ancora di Davide, essa può esclamare con gli accenti di sant'Ambrogio: «Ormai una chiara luce risplende, non adombrata, o prefigurata o simboleggiata, ma in tutto il suo reale fulgore. Ecco ormai vedo la Verità. Cristo, ti mostri a me non per enigmi, come in uno specchio, ma faccia a faccia. Io ti stringo a me nei tuoi sacramenti (te in tuis teneo sacramentis)» (De apologia David, 12, 58).
In varie altre forme i credenti ritrovano il Signore, ma qui ci soffermiamo sulla forma sacramentale, appena richiamata, rilevando il carattere dello stesso anno liturgico, dove a essere assunto quale santo segno è, in un certo modo, il tempo che celebra gli eventi salvifici; o meglio, il tempo in cui la Chiesa ne ripone la memoria. Con le sue festività essa ha come riplasmato i giorni e le settimane; ha inclinato e piegato al servizio di Gesù i mesi e gli anni, conferendovi una forza e un senso nuovi e inattesi. Essa ha riarchitettato il tempo cronologico, inserendovi le stagioni di Cristo, così che, se prima era apportatore di soli frutti naturali, poi, diventato simbolo del Signore, matura frutti di salvezza.
Bernardo di Clairvaux definiva suggestivamente i giorni della liturgia «pieni di pietà e di grazia» e, mentre parlava dell'energia (vis) dei misteri di Cristo in essi commemorati, attribuiva al suo ministero di abate il compito di «aprire i sacramenti (aperire mysteria)», e lo paragonava a quello di una madre, intenta a rompere il guscio delle noci per farne gustare il gheriglio ai propri figli (Sermo in cena Domini, 1).
È esattamente il compito della Chiesa che ha disposto gli avvenimenti di Gesù come trama nell'ordito di un anno. Di festa in festa quegli avvenimenti si rinnovano per noi; diciamo meglio: la presenza stessa di Cristo li riaccende, così che li possiamo riconsiderare, approfondire e assimilare.
Ecco perché l'anno liturgico è un itinerario e un prolungamento di grazia: i suoi vari «sacramenti», mentre ricordano questa grazia, non cessano di elargirla a una Chiesa intimamente congiunta a Gesù Cristo. Siamo, così, oltre una pura evocazione o informazione. La vita, la passione, la morte e la risurrezione del Signore, commemorate, continuano a essere sorgente di redenzione.
Ma, a ben vedere, la trama dell'anno liturgico, con la rievocazione dei misteri di Cristo, ordina e dispiega tutto il dogma cristiano: a partire dalla Pasqua riproposta espressamente domenica dopo domenica, nel giorno del Risorto, da cui è nato e si è esteso il tempo sacro.
Ma in questo caso, l'esposizione del dogma non ha come fine soltanto la comprensione intellettiva, come avviene nella scuola; essa si accompagna con la preghiera: si tratta di una professione orante del Credo, di un magistero inteso a suscitare e ad alimentare il rendimento di grazie e la lode, l'affetto e la comunione, in un intreccio di lex supplicandi e di lex credendi, di accenti imploranti e di confessione della fede.
Da qui l'importanza dell'anno liturgico, con il ciclo che irraggia dalla Pasqua e va dalla Quaresima alla Pentecoste; il ciclo della natività e manifestazione del Signore, che si apre con l'Avvento e si chiude col Battesimo di Gesù; e il tempo «durante l'anno», dove a risaltare sono le singole domeniche, tempo ordinario, non segnato da particolare mistero, ma pure sempre tempo sacro.
Abbiamo parlato del dogma distribuito nell'anno liturgico; ma col dogma vi si trova la morale ossia le norme che devono ispirare e contrassegnare la condotta dei cristiani; di conseguenza, l'anno liturgico fonte della spiritualità e della stessa mistica cristiana: pensiamo alla mirabile mistica liturgica di Gertrude di Helta.
Non abbiamo ancora parlato dell'anno della Chiesa come luogo per eccellenza della proclamazione della Parola di Dio con la lettura del Libro sacro. La liturgia è tutta intessuta di Sacra Scrittura, non solo perché gli avvenimenti della salvezza sono attestati nei due Testamenti, ma perché le pagine bibliche, saggiamente scelte e raccolte nei Lezionari, sono spiegate in connessione con la festività celebrata.
È indubbiamente auspicabile che i fedeli accostino e studino personalmente la Bibbia nelle loro case; ma saranno sempre pochi quelli che lo potranno fare, senza dire delle molte difficoltà in cui si imbatteranno, dal momento che il Libro sacro non è di immediata e facile comprensione. I più lo ascolteranno dalla lettura ricorrente nel corso dell'anno liturgico, nelle pagine più rilevanti e più significative, con l'esegesi, che illustrerà il loro senso e la loro applicazione.
E a questo punto risaltano l'imprescindibile compito e la grave responsabilità del pastore d'anime. Lui per primo deve essere anzitutto persuaso che l'educazione normale e più comune dei fedeli alla mentalità e allo spirito cristiano avviene proprio attraverso il percorso dell'anno liturgico, con i ricorrenti appuntamenti delle domeniche e delle feste. Tornando e ritornando con gradualità e benefica monotonia, esse riusciranno a comunicare i preziosi e inesausti tesori che custodiscono.
Ecco perché l'«apertura dei sacramenti», come affermava san Bernardo, deve rappresentare la cura e l'occupazione più attenta e più sollecita di chi sia alla guida di una comunità. Questa, infatti, si raccoglie non per risentire argomenti mondani e ovvi, o per essere impressionata e soprattutto spaesata dalle idee originali dell'ultimo teologo in passerella, o gravata dalle dissertazioni degli specialisti, che si compiacciono a snocciolare eruditi riferimenti, o annoiata dall'ermetico linguaggio da iniziati.
Si raccoglie, invece, per essere introdotta con discorso semplice e chiaro al mistero sorprendente e sempre nuovo della Trinità, dell'incarnazione del Figlio di Dio, del dono dello Spirito Santo, del mirabile destino soprannaturale dell'uomo, dei «novissimi» -- morte, giudizio, inferno e paradiso -- della misericordia, capace di riparare anche la colpa più grave del peccatore pentito. Verità difficili per la gente? Ma, se così fosse, per quale motivo Gesù Cristo le avrebbe rivelate, e per chi? In realtà esse sono la sostanza del Vangelo da predicare a tutti, e in chiesa si va per sentire il Vangelo, col suo commento intelligente, paziente e perseverante.
(©L'Osservatore Romano 26 novembre 2011)
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