sabato 26 novembre 2011

Una posizione privilegiata. L’udienza del Papa agli operatori sanitari (Sir)

Una posizione privilegiata

L’udienza agli operatori sanitari

“Il servizio di accompagnamento, di vicinanza e di cura ai fratelli ammalati, soli, provati spesso da ferite non solo fisiche, ma anche spirituali e morali, vi pone in una posizione privilegiata per testimoniare l’azione salvifica di Dio, il suo amore per l’uomo e per il mondo, che abbraccia anche le situazioni più dolorose e terribili”.
Con queste parole Benedetto XVI si è rivolto stamani ai partecipanti alla XXVI Conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, ricevuti in udienza nella Sala Clementina. “La pastorale sanitaria a servizio della vita alla luce del Magistero del Beato Giovanni Paolo II” era il tema della Conferenza internazionale, che si è tenuta in Vaticano dal 24 al 26 novembre. All’udienza papale hanno partecipato anche i presuli incaricati per la Pastorale della salute in seno alle rispettive Conferenze episcopali, dopo essersi incontrati per il prima volta il 23 novembre scorso a Roma.

Un costante impegno. Benedetto XVI ha ricordato la “preziosa eredità del magistero del beato Giovanni Paolo II”, il quale nel 1985 “istituì questo Pontificio Consiglio per darne concreta testimonianza nel vasto e articolato ambito della sanità”, vent’anni fa “stabilì la celebrazione della Giornata mondiale del malato” e infine “costituì la Fondazione ‘Il Buon Samaritano’, come strumento di una nuova azione caritativa verso i malati più poveri in diversi Paesi, Fondazione per la quale faccio appello a un rinnovato impegno per sostenerla”. “Nei lunghi e intensi anni di pontificato – ha aggiunto – il beato Giovanni Paolo II ha proclamato che il servizio alla persona malata nel corpo e nello spirito costituisce un costante impegno di attenzione e di evangelizzazione per tutta la comunità ecclesiale, secondo il mandato di Gesù ai Dodici di sanare gli infermi”. E nella Lettera apostolica “Salvifici doloris” affermò che “la sofferenza sembra appartenere alla trascendenza dell’uomo: essa è uno di quei punti nei quali l’uomo viene in certo senso ‘destinato’ a superare se stesso, e viene a ciò chiamato in modo misterioso”.

Guardare in profondità al mistero del dolore. “Il mistero del dolore – ha riflettuto il Santo Padre – sembra offuscare il volto di Dio, rendendolo quasi un estraneo o, addirittura, additandolo quale responsabile del soffrire umano, ma gli occhi della fede sono capaci di guardare in profondità questo mistero. Dio si è incarnato, si è fatto vicino all’uomo, anche nelle sue situazioni più difficili; non ha eliminato la sofferenza, ma nel Crocifisso risorto, nel Figlio di Dio che ha patito fino alla morte e alla morte di croce, Egli rivela che il suo amore scende anche nell’abisso più profondo dell’uomo per dargli speranza”. “Nel Figlio ‘dato’ per la salvezza dell’umanità, la verità dell’amore viene, in un certo senso, provata mediante la verità della sofferenza, e la Chiesa, nata dal mistero della Redenzione nella Croce di Cristo, ‘è tenuta a cercare l’incontro con l’uomo in modo particolare sulla via della sua sofferenza’”, ha sottolineato riprendendo ancora un passaggio della “Salvifici doloris”.

Il testamento vissuto da Giovanni Paolo II. “Il Volto del Salvatore morente sulla croce”, ha evidenziato papa Benedetto, “c’insegna a custodire e a promuovere la vita, in qualunque stadio e in qualsiasi condizione si trovi, riconoscendo la dignità e il valore di ogni singolo essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio e chiamato alla vita eterna”. Una “visione del dolore e della sofferenza illuminata dalla morte e risurrezione di Cristo” che “ci è stata testimoniata dal lento calvario che ha segnato gli ultimi anni di vita del beato Giovanni Paolo II e a cui si possono applicare le parole di san Paolo: ‘Do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa’”. “La sequela Christi – ha concluso il pontefice – non ha risparmiato al beato Giovanni Paolo II di prendere la propria croce ogni giorno fino alla fine, per essere come il suo unico Maestro e Signore”, e proprio “facendo tesoro del testamento vissuto” da papa Wojtyla “nella propria carne” scaturisce l’augurio di papa Ratzinger, di “scoprire nell’albero glorioso della Croce di Cristo ‘il compimento e la rivelazione piena di tutto il Vangelo della vita’”.

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