lunedì 21 novembre 2011

"Il Papa ama Africa, l'Africa ama il Papa". Sono le ultime parole che i beninesi hanno gridato mentre Benedetto XVI lasciava la loro terra (Ponzi)

I media hanno dato ampio risalto alla visita di Benedetto XVI

Nel cuore degli africani

Dal nostro inviato MARIO PONZI

"Il Papa ama Africa, l'Africa ama il Papa". Sono le ultime parole che i beninesi hanno gridato mentre Benedetto XVI lasciava la loro terra domenica pomeriggio, a conclusione della sua visita. All'aeroporto di Cotonu, ma ancor prima lungo il tragitto dalla nunziatura, c'è stato l'ultimo atto di una scenografia piena di colori e di calore. E si è ascoltato di nuovo il "milolo", quel gridolino che lanciano le donne quando non trovano più parole per esprimere la loro felicità. Ed era certamente "soddisfatto e felice" anche il Papa, come aveva detto il direttore della Sala Stampa ai giornalisti nell'ultimo briefing quotidiano, poco prima di partire. Era felice e soddisfatto per quel meraviglioso rapporto che si è instaurato tra lui e il grande continente nero.
Anche il quotidiano beninese "Mattinale" ha usato quasi la stessa espressione titolando l'edizione domenicale: "Benedetto XVI ama veramente l'Africa, ma l'Africa ama veramente Benedetto XVI". Poche parole per riassumere il senso di una storia che parla di un legame maturato negli anni e vissuto nel segno della continuità apostolica. Ma sono anche le parole che sostanzialmente esprimono, forse nel modo migliore, il senso del viaggio appena concluso. Sullo stesso tono, del resto, anche i titoli di altre edizioni domenicali, alcune straordinarie, dei quotidiani nazionali: "L'Africa nel cuore del Papa e della Chiesa" per "La Nation"; "Benedetto XVI ha portato la riconciliazione, la giustizia e la pace per l'Africa" per il "Béninois Liberé"; "Il Sinodo africano per un futuro di speranza" per "Meilleur"; "Una benedizione sull'Africa" per "Fraternité". Raccontare i tre giorni trascorsi dal Papa iniziando da una piccola rassegna sul come i quotidiani locali hanno seguito il suo cammino, aiuta a capire quanto Benedetto XVI sia penetrato nell'anima di questo popolo straordinario. Si sono parlati, si son detti tutto quello che c'era da dire. E se mai qualcosa non fosse rimasta chiara il Papa ha lasciato all'Africa un documento capace di guidarne i passi verso un futuro di speranza.
Sono state quarantotto ore sviluppatesi nell'arco di tre giornate intense, fitte di appuntamenti per il Pontefice, di emozioni indimenticabili ma soprattutto sono state gettate le basi per un futuro che si vuole e si spera diverso. Il Papa lo ha messo saldamente nelle mani degli africani. E non a caso ha titolato la sua esortazione "L'impegno dell'Africa". Alla comunità internazionale ha chiesto solidarietà non egoismo né pietismo. Un invito chiaro, netto, senza possibilità di dubbie interpretazioni.
La consegna del documento sinodale è avvenuta al termine dell'unica grande eucaristia celebrata dal Papa in questi giorni. Si è svolta nello stadio dell'Amitiè di Cotonou, trasformatosi in un'immensa arena della preghiera. L'immagine più intensa resta lo sfilare dinanzi all'altare eretto al limitare del prato verde, dei presidenti di Conferenze episcopali locali e sei presidenti di riunioni di Conferenze episcopali regionali, per ricevere dalle mani del Papa un libricino con su scritto Africae munus. Lo stringevano tra le mani, tradendo ora emozione, ora gioia, ora perplessità per un futuro che sanno comunque difficile.
L'immagine più suggestiva l'hanno invece offerta loro, i trentamila stretti tra le scalinate del complesso sportivo, e i cinquantamila che si erano sistemati all'esterno dello stadio, per seguire la cerimonia almeno attraverso i maxi schermi. Venivano un po' da tutti i Paesi dell'Africa. Da Togo, Nigeria, Burkina Faso i più numerosi. Ognuno, fasciato in abiti di foggia diversa ma tutti coloratissimi, portava con sé tutta ricchezza della propria cultura. E che non fossero tutti cattolici lo si è intuito poco prima che giungesse il Papa. Il cielo era velato da una coltre di nubi tutt'altro che minacciose. Tuttavia nascondevano il sole. Quando si sono diradate sole e luna sono comparsi quasi contemporaneamente. La folla ha lanciato un grido, certamente di stupore. Molti hanno intonato un canto chiaramente sacro; i più giovani hanno improvvisato una danza; i più anziani si sono inchinati portando la destra all'altezza del cuore. Forse solo stupore o forse qualche forma sincretistica, chissà.
Melodie, danze e musiche tutte così diverse ma così omogenee, hanno segnato l'atmosfera di incredibile entusiasmo come unica espressione di una gioia innata nel popolo africano, la sua ricchezza forse più grande. Il Papa è stato accolto da un boato. Un coro gigantesco dettava il ritmo delle ovazioni e accompagnava l'ondeggiare della folla sugli spalti straordinariamente unita. Secondo alcuni la parola "Africa" deriva dalla voce semitica "farag" che significa "separazione". Ma a dispetto di questa etimologia ieri in quello stadio nel cuore del "quartiere latino" del continente, come romanticamente viene definito il Benin, sembrava essersi veramente radunata un'Africa in miniatura, rappresentata da tutti i suoi popoli.
Le diverse parti della messa sono state arricchite da elementi tipicamente africani. È in questi momenti, espressioni di una fede profonda, che questi popoli amano proporre tutta la bellezza della loro tradizione, che nulla toglie alla solennità della celebrazione, anzi la rende veramente più partecipata e interiorizzata. Non è una Chiesa africana, ma è la Chiesa in Africa.
All'altare con il Papa sono saliti, oltre ai prelati del seguito, i tre presidenti delegati della seconda assemblea speciale per l'Africa del sinodo dei Vescovi, con il relatore, il segretario speciale e gli altri membri, un centinaio di vescovi africani. Il più anziano era monsignor Robert Dosseh, un vescovo emerito togolese di 87 anni, molto legato al Benin. 1500 i sacerdoti africani sistemati ai piedi dell'altare, sotto un sole cocente che ha martellato l'assemblea per tutto il tempo della celebrazione. La messa è stata quella di Cristo Re. Anzi proprio per questo motivo le cento pianete confezionate per i vescovi avevano ricamato dietro le spalle la figura di Cristo Re.
Nella sua omelia il Papa ha come chiuso il cerchio del suo magistero africano di questi giorni. E quando al termine della messa ha consegnato materialmente il documento sinodale, ha voluto ribadire che da quel momento spettava ai pastori di questa Chiesa tradurlo nella realtà perché diventi prassi quotidiana. "Questo testo - ha spiegato - vuole solo promuovere, incoraggiare e consolidare le iniziative locali".
La sua consegna al Paese Benedetto XVI l'ha lasciata il pomeriggio all'aeroporto di Cotonou, prima di salire sull'aereo che lo ha riportato a Roma. Così senza retorica, come aveva detto al momento dell'arrivo, ha salutato l'Africa come una "terra di speranza" e le ha affidato un compito immenso: indicare al resto del mondo la rotta da seguire per vivere una fraternità autentica nella giustizia, nella riconciliazione e nella pace. Vivere insieme come fratelli, ha detto, malgrado le legittime differenze "non è un'utopia".

(©L'Osservatore Romano 21-22 novembre 2011)

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