mercoledì 16 novembre 2011

Anche il Papa s’interroga sulla verità. Il «Gesù di Nazaret» di Benedetto XVI presentato all’università di Urbino. Riflessioni del card. Tarcisio Bertone (O.R.)

Il «Gesù di Nazaret» di Benedetto XVI presentato all’università di Urbino

Anche il Papa s’interroga sulla verità

Tarcisio Bertone

Il segretario di Stato: «Delle mani benedicenti di Cristo, Ratzinger vuole essere un testimone serio, credibile, competente, innamorato»
È iniziato il 16 novembre nell’università di Urbino un ciclo di incontri, organizzato dalla Libreria Editrice Vaticana, che presenterà il libro di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI Gesù di Nazaret in vari atenei italiani. Il primo appuntamento è stato inaugurato dal cardinale segretario di Stato. Pubblichiamo quasi integralmente il suo intervento.

Entrambi i volumi [del Gesù di Nazaret] si sono rivelati un successo editoriale al di là delle aspettative dello stesso Autore. Infatti, se per un momento lasciamo parlare i numeri — che, naturalmente, non dicono il valore di un libro — ce ne rendiamo conto: in soli quattro anni, del primo volume sono stati diffusi più di tre milioni di copie, in quarantasette Paesi; e, del secondo, sono già oltre due milioni le copie stampate e diffuse in trentatré Paesi. Ma noi non siamo qui per analizzare questo aspetto che, per altro, dice qualcosa circa il desiderio e l’attesa dell’uomo contemporaneo di conoscere Gesù e, forse, di giungere ad un rapporto vivo e vitale con Lui.
Ho voluto accennare al primo volume e alla sua ampia diffusione perché vorrei sottolineare come le due parti del Gesù di Nazaret rappresentino un tutt’uno e, proprio per questo, insieme vanno letti, commentati ed, eventualmente, criticati.
Parto dunque da questa affermazione, apparentemente ovvia, che fa riferimento alla fondamentale unità dei due volumi.
Tale osservazione non è né nuova né solo mia, ma è anticipata dallo stesso Joseph Ratzinger - Benedetto XVI che la esplicita nella premessa del secondo volume. In quelle poche pagine iniziali, infatti, si può leggere che fra le reazioni e gli incoraggiamenti positivi ricevuti dall’Autore dopo la pubblicazione del primo tomo, vi sono state quelle di grandi maestri dell’esegesi. Fra questi l’Autore segnala Martin Hengel, Peter Stuhlmacher e Franz Mußner. Da tutti arriva un invito pressante a continuare il lavoro iniziato con il primo volume.
Quale è il motivo di tale sollecitazione affettuosa e insistente? È abbastanza evidente a tutti gli studiosi che i due volumi che abbiamo tra le mani hanno obbligato teologi e ricercatori, ma non solo loro, a tornare a discutere sul “metodo della teologia”, sull’ermeneutica dell’esegesi, sulla stessa esegesi come disciplina storica e sul metodo storico-critico, oltre che sulle nuove scoperte dell’archeologia e dello studio sui papiri.
Lo ha testimoniato, fra gli altri, un rinomato studioso di Bibbia in un incontro organizzato dalla Facoltà di teologia San Dámaso di Madrid: «Nella discussione sulle questioni esegetiche concrete Ratzinger ha dimostrato, in modo paradigmatico, un’esegesi critica e insieme teologica svelando in tante occasioni le premesse filosofiche o culturali che limitano la ragione moderna applicata alla Scrittura» (Ignacio Carbajosa, Ratzinger nell’arena, in «L’Osservatore Romano», 29 aprile 2011, p. 4). D’altra parte, già nella premessa al primo volume, l’Autore stesso ci aveva resi avvertiti circa la necessità di un tale lavoro per gli esegeti e gli studiosi. Anzi, egli afferma con urgenza quanto sia indispensabile tale nuovo, serio e vigoroso lavoro di ricerca perché, a partire dagli anni Cinquanta, vi è stato uno «strappo tra il “Gesù storico” e il “Cristo della fede”» e, aggiunge, «una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto».
Questo delicato, ma fermo obbligare gli studiosi a tornare a discutere, a farsi discepoli loro stessi nella ricerca della verità e a non essere mai sazi dei traguardi raggiunti, fa intuire l’atteggiamento intellettuale di Joseph Ratzinger. È un uomo — lo sappiamo — che ha dedicato tutta la sua vita allo studio. Proprio per questo continua a chiedersi anche ora, da Papa, «cosa, dunque, è veramente essenziale?» (Peter Seewald – Benedetto XVI, Luce del mondo, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, p. 200). Questa ricerca, questa sete di verità, queste domande che affiorano sia nella conversazione privata sia in quella pubblica di Joseph Ratzinger prima e di Benedetto XVI ora, si fanno manifeste nella ricerca del volto di Gesù e si esprimono in modo alto con questi due volumi. E se nell’intervista a Peter Seewald, cui si è accennato poc’anzi, emergeva il bisogno — anche come vescovo di Roma — di cogliere ciò che è veramente essenziale, in uno dei molti incontri con i suoi ex colleghi docenti il Papa, parlando del lavoro del teologo, prosegue nella sua coraggiosa ricerca affermando che «per essere teologo e per svolgere il servizio per l’università e, oso dire, per l’umanità — il servizio, quindi, che ci si attende da lui — egli deve andare oltre e domandare: Ma è vero ciò che lì vien detto? E se è vero, ci riguarda? E in che modo ci riguarda? E come possiamo riconoscere che è vero e che ci riguarda?».
Dopo aver richiamato l’unità intrinseca dei due volumi dell’opera, siamo ora in grado di accedere a una realtà più profonda.
È quella realtà — potremmo ben dire, quel “coinvolgimento” — cui Joseph Ratzinger – Benedetto XVI fa delicato cenno nel primo volume, là dove scrive: «Non ho di sicuro bisogno di dire espressamente che questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del “volto del Signore”». Qui l’Autore invita il lettore a cogliere, con limpida chiarezza, come Lui stesso si stia mettendo in gioco. Lui vuole veramente cercare «ciò che è vero e ciò che ci riguarda».
Correttamente, un semiologo, Silvano Petrosino, ha rilevato che «anche per questo il riferimento di copertina al nome proprio dell’Autore è da intendersi non solo in relazione al testo prodotto, ma anche e soprattutto in relazione al fatto che tale testo intende essere espressione di una “ricerca personale”».
L’Autore, il Papa, non teme di coinvolgersi nella fatica e nella gioia della ricerca. È ben consapevole che «la contemporanea ricerca sul Gesù storico sembra aver smarrito il volto autentico del Signore, riducendolo a una oscura figura del passato, del quale niente si potrebbe affermare con certezza, se non che fu, al massimo, un moralista, un rivoluzionario o un predicatore» (Angelo Amato, Gesù, identità del cristianesimo. Conoscenza ed esperienza, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2008, p. 11).
Ed è proprio per questo che parlando dell’immenso bisogno che vi è della ricerca del volto di Cristo oggi, non si può non tenere conto e non rilevare con un certo dolore ciò che un po’ troppo spesso hanno insegnato e diffuso alcuni teologi. È interessante ricordare, a questo proposito, ciò che lo stesso Papa ebbe a dire ai sacerdoti a conclusione dell’anno sacerdotale: «C’è una teologia che viene dall’arroganza della ragione, che vuole dominare tutto, fa passare Dio da soggetto a oggetto che noi studiamo, mentre dovrebbe essere soggetto che ci parla e ci guida. C’è realmente questo abuso della teologia, che è arroganza della ragione e non nutre la fede, ma oscura la presenza di Dio nel mondo. Poi, c’è una teologia che vuole conoscere di più per amore dell’amato, è stimolata dall’amore e guidata dall’amore, vuole conoscere di più l’amato. E questa è la vera teologia, che viene dall’amore di Dio, di Cristo e vuole entrare più profondamente in comunione con Cristo. In realtà, le tentazioni, oggi, sono grandi; soprattutto, si impone la cosiddetta “visione moderna del mondo” (Bultmann, modernes Weltbild), che diventa il criterio di quanto sarebbe possibile o impossibile. E così, proprio con questo criterio che tutto è come sempre, che tutti gli avvenimenti storici sono dello stesso genere, si esclude proprio la novità del Vangelo, si esclude l’irruzione di Dio, la vera novità che è la gioia della nostra fede».
Al passo del coinvolgimento personale di Benedetto XVI nella ricerca, segue nell’itinerario culturale un nuovo, importante passo, quello cioè di mettere in luce in modo essenziale, decisivo, il “fondamento storico del cristianesimo” stesso: il Vangelo ha a che fare con la storia.
Forse è proprio a partire da tali ordini di pensieri che, in un suo pregevole testo, il cardinale Amato può annotare che «il volume Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI si inserisce in questo contesto. Seguendo la ruota del tempo, si pone nello sviluppo più armonico della ricerca storico-critica contemporanea» (vol. cit., Libreria Editrice Vaticana, 2008, p. 16) e, avverte, «contiene due importanti premesse per lo studio della cristologia cattolica: una premessa metodologica e una contenutistica». Si può quindi affermare quanto Benedetto XVI ha esplicitato nella recente Esortazione Apostolica postsinodale Verbum Domini che «innanzitutto è necessario riconoscere il beneficio derivato nella vita della Chiesa dall’esegesi storico-critica e dagli altri metodi di analisi del testo sviluppati nei tempi recenti. Per la visione cattolica della sacra Scrittura l’attenzione a questi metodi è imprescindibile ed è legata al realismo dell’incarnazione: “Questa necessità è la conseguenza del principio cristiano formulato nel Vangelo secondo Giovanni (1, 14): Verbum caro factum est. Il fatto storico è una dimensione costitutiva della fede cristiana. La storia della salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica” (Intervento nella XIV Congregazione Generale del Sinodo, 14 ottobre 2008). Pertanto, lo studio della Bibbia esige la conoscenza e l’uso appropriato di questi metodi di indagine. Se è vero che questa sensibilità nell’ambito degli studi si è sviluppata più intensamente nell’epoca moderna, benché non dappertutto in modo uguale, tuttavia, nella sana tradizione ecclesiale, vi è sempre stato amore per lo studio della “lettera”. Basti qui ricordare la cultura monastica, cui dobbiamo ultimamente il fondamento della cultura europea, alla cui radice sta l’interesse per la parola. Il desiderio di Dio include l’amore per la parola in tutte le sue dimensioni: “poiché nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui, bisogna imparare a penetrare nel segreto della lingua, a comprenderla nella sua struttura e nel suo modo di esprimersi. Così, proprio a causa della ricerca di Dio, diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua” (Discorso agli uomini di cultura al Collège des Bernardins di Parigi, 12 settembre 2008)».
L’opera che oggi esaminiamo dimostra proprio questo. Infatti, le numerose e pertinenti citazioni di autori con i quali Joseph Ratzinger – Benedetto XVI si confronta nei due volumi — in modo vero e diretto, mettendo in evidenza sia le posizioni condivise, come anche i motivi di perplessità o, a volte, di aperto e documentato dissenso — dimostrano non solo quanto accurato e faticoso sia stato il “lavoro scientifico” al quale il Papa non si è sottratto (usando, scrive, «tutti i momenti liberi per portare avanti il libro»), ma soprattutto l’impegno intellettuale “per rispondere” a livello scientifico e dopo aver ascoltato “gli altri saperi” a una domanda esigente per l’uomo contemporaneo: «è vero ciò in cui crediamo oppure no? Nella teologia è in gioco la questione circa la verità; essa è il suo fondamento ultimo ed essenziale».
E che tale «preoccupazione circa la verità» sia il cuore dei due volumi lo rileva acutamente uno studioso ebraico, Giorgio Israel. È certamente significativo rileggere oggi il suo commento al volume uscito nel marzo di quest’anno. Il professor Israel, infatti, sostiene che esiste «una minaccia che oggi ha molti volti, tra cui quello di un riduzionismo scientista che svilisce la ricchezza della ragione umana» (In dialogo guardando la stessa verità, in «L’Osservatore Romano», 27 maggio 2011, p. 5) e a tale scopo fa proprio il lucido pensiero di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI il quale scrive: «Con la crescente conoscenza della verità funzionale sembra piuttosto andare di pari passo la crescente cecità per “la verità” stessa, per la domanda su ciò che è la nostra vera realtà e ciò che è il nostro vero scopo».
L’opera di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI è una netta dichiarazione della propria fiducia nei Vangeli. Lo afferma chiaramente già nella premessa al primo volume, dopo aver fornito al lettore le necessarie indicazioni metodologiche: «Per la mia presentazione di Gesù questo significa anzitutto che io ho fiducia nei Vangeli». Forse questa affermazione potrebbe sembrare fuori luogo se non addirittura scoraggiante per un lettore ipercritico. Eppure l’Autore ce la offre con semplicità. Per Lui, dopo aver letto molto, studiato il possibile e valutato tutto con grande discernimento diventa fondamentale partire da lì, dai Vangeli. Ancora, dunque, Vangelo e storia si incontrano. È decisivo esprimere quella fiducia semplice nei Vangeli, quella fiducia che tutti noi abbiamo imparato ad avere nel testo biblico ascoltato in Chiesa o letto accanto ai nostri anziani fin da quando eravamo bambini, allora per nulla sofisticati o sospettosi come lo siamo oggi.
Se è vero e si può pienamente condividere ciò che hanno scritto alcuni giornali, e cioè che questo più che un libro è una «testimonianza commovente, affascinante e liberatrice sulla figura di Gesù», bisogna aggiungere subito qualcos’altro. Il Papa è un teologo e questi sono due affascinanti volumi di teologia. Detto in questo modo per noi può suonare un po’ strano, perché noi siamo figli del nostro tempo. Non siamo più abituati a pensare alla teologia come qualcosa di commovente, o di affascinante, o di liberante. In realtà, nessuno di noi ha dimenticato il testo più alto e ammirato della letteratura italiana: La Divina Commedia. Ebbene, che cos’è il capolavoro di Dante se non un’opera teologica scritta in forma poetica?
Ecco, questi due volumi su Gesù — ed è l’altra osservazione che vorrei fare in questa sede — sono un frutto maturo della teologia cattolica, cioè di quella teologia che, come ha detto alla presentazione dello scorso marzo il cardinale Ouellet, sa tenere conto «dell’unità della Sacra Scrittura, del complesso della Tradizione della Chiesa e rispetta l’analogia della fede». Sono testi nei quali non solo il cattolico si sente “a casa”, ma il lettore che vuole conoscere e confrontarsi con la fede e la dottrina cattolica lo può fare con rigore e onestà intellettuale.
Qui, se mi permettete, visto che ne abbiamo accennato poco fa, vorrei continuare e dire alcune parole sulla teologia, anzi, più precisamente sulla cristologia perché è di questo che si scrive ampiamente nei due volumi di cui discutiamo. Si potrebbe sinteticamente affermare che la cristologia ha come compito quello di annunciare la fede — quella espressa nel simbolo niceno-costantinopolitano del 381 — e poi di renderla comprensibile all’uomo d’oggi.
Allora, che cos’è la cristologia se non il cercare di dire — oggi — una parola “vera” su Gesù? E come fare a scoprire chi è Gesù e dire una parola vera su di Lui? Vediamo bene che su Gesù la storia non è tenera. Anzi, fra tutti i personaggi della storia Lui è quello su cui più si va investigando; addirittura qualcuno mette ancora in dubbio la sua esistenza.
Certo, questa continua contestazione ha anche un risvolto positivo, perché svela indirettamente quanto Gesù sia importante; evidenzia per lo meno che di fronte a Lui è difficile rimanere indifferenti. Ma è anche vero che la contestazione rende il credente e l’uomo in ricerca esposti a un esame continuo. Per il credente non c’è un attimo di tregua. Ecco, la cristologia è quella mano tesa che cerca di accompagnare il credente e l’uomo che cerca con sincerità ad affrontare questo “esame su Gesù”, per offrire loro la possibilità di arrivare a una risposta ragionevole, motivata e storicamente attendibile per sostenere la fede in Lui.
Il primo passo che la cristologia compie è dunque quello di ascoltare la Sacra Scrittura e di farla diventare l’anima di ogni successivo discorso. E qui, in questi due volumi, si ha la prova (e la mole) di questo lavoro fatto in modo eccellente.
Il secondo passo che la cristologia compie, poi, è quello di far riferimento ai Padri della Chiesa, ai grandi teologi e anche alla liturgia perché, quest’ultima, è il modo concreto e storico con il quale si è espressa la fede della Chiesa e prendendo forma di preghiera pubblica nel fluire lento del tempo e dei secoli. Basterebbe rileggere con attenzione il quarto capitolo del secondo volume, così come lo stesso quarto capitolo del primo, per rendersi personalmente conto di come i Padri e i teologi e la stessa riflessione rabbinica sono la trama su cui tutto il discorso è costruito.
Infine, il terzo passo compiuto dalla cristologia — passo che non è di poco conto, assolutamente — è quello di mettersi in costante dialogo con la cultura del proprio tempo. Da qui scaturisce l’attenzione, ad esempio, per il secolarismo o per il pluralismo religioso, per il relativismo o la postmodernità. Sono gli ambiti concreti, i luoghi e le parole dove si offre alla Parola di Dio la possibilità di essere accolta, ascoltata, amata. Ma sono anche gli ambiti più difficili perché possono portare al tradimento della Parola dimenticando e facendo drammaticamente dimenticare «la realtà vitale, la presenza di Dio, la sua presenza tra di noi, il suo parlare oggi, non solo nel passato» (Benedetto XVI, Colloquio del Santo Padre con i sacerdoti, Città del Vaticano, 10 giugno 2010).
A questo punto mi sembra importante addentrarci nel testo del secondo volume che, come sappiamo, esplora il Gesù storico dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione. Vorrei solo rimandare, a modo di esempio, alla ricerca sul contrasto tra i Vangeli sinottici, da una parte, e il Vangelo di Giovanni dall’altra, sulla datazione dell’Ultima Cena, che occupa l’intero quinto capitolo. Si tratta di una ricerca molto interessante che dimostra una certa convergenza e compatibilità fra le due narrazioni. Essa arriva alla conclusione che in realtà la morte espiatrice di Gesù, «nuovo agnello pasquale», si è consumata nel medesimo momento in cui venivano immolati gli agnelli pasquali.
L’Autore si chiede che cosa possiamo aspettarci dalla ricerca storica e che cosa invece dobbiamo lasciare alla fede nel momento in cui la certezza ha raggiunto i suoi limiti, e risponde: «Dal punto di vista teologico c’è da dire che, se la storicità delle parole e degli avvenimenti essenziali potesse essere dimostrata impossibile in modo veramente scientifico, la fede avrebbe perso il suo fondamento. D’altra parte, come già detto, a motivo della natura stessa della conoscenza storica non ci si possono aspettare prove di certezza assoluta su ogni particolare. È pertanto importante per noi appurare se le convinzioni di fondo della fede siano storicamente possibili e credibili anche di fronte alla serietà delle attuali conoscenze esegetiche. Molti particolari dunque possono rimanere aperti. Ma il factum est del Prologo di Giovanni (1, 14) vale come categoria cristiana fondamentale non soltanto per l’incarnazione come tale, ma deve essere rivendicato anche per l’ultima cena, la croce e la risurrezione: l’incarnazione di Gesù è ordinata al sacrificio di se stesso per gli uomini e questo alla risurrezione, altrimenti il cristianesimo non sarebbe vero. Possiamo guardare la verità di questo factum est — come s’è detto — non nella maniera dell’assoluta certezza storica, ma riconoscerne la serietà leggendo in modo giusto la Scrittura come tale».
Se già questo passaggio ci ha aperto uno scorcio interessante, non di meno si può fare lo stesso discorso per il capitolo nove del secondo volume sulla risurrezione di Gesù dalla morte.
Cito: «Nella nostra ricerca sulla figura di Gesù, la risurrezione è il punto decisivo. Se Gesù sia soltanto esistito nel passato o invece esista anche nel presente, ciò dipende dalla risurrezione. Nel “sì” o “no” a questo interrogativo non ci si pronuncia su di un singolo avvenimento accanto ad altri, ma sulla figura di Gesù come tale. È perciò necessario ascoltare con particolare attenzione la testimonianza sulla risurrezione offerta nel Nuovo Testamento. Ma dobbiamo allora, come prima cosa, constatare che questa testimonianza, considerata dal punto di vista storico, si presenta a noi in una forma particolarmente complessa, così da sollevare molte domande. Che cosa è lì successo? Ciò chiaramente, per i testimoni che avevano incontrato il Risorto, non era facile da esprimere. Si erano trovati davanti a un fenomeno per essi totalmente nuovo, poiché oltrepassava l’orizzonte delle loro esperienze. Per quanto la realtà dell’accaduto li coinvolgesse fortemente e li spingesse a darne testimonianza, essa era totalmente inusuale. San Marco ci racconta che i discepoli, scendendo dal monte della trasfigurazione, riflettevano preoccupati sulla parola di Gesù secondo cui il Figlio dell’uomo sarebbe “risorto dai morti”. E si domandavano l’un l’altro che cosa volesse dire “risorgere dai morti” (9, 9s). E di fatto: in che cosa ciò consiste? I discepoli non lo sapevano e dovevano impararlo solo dall’incontro con la realtà».
Dopo aver esaminato i racconti evangelici di alcuni miracoli di cadaveri rianimati come il giovane di Nain (cfr. Luca, 7, 11-17), la figlia di Giairo (cfr. Marco, 5, 22-24.35-43 e par.) o di Lazzaro (cfr. Giovanni, 11, 1-44), che dopo un tempo più o meno breve ritornarono nella loro vita di prima per poi più tardi, a un certo punto, morire definitivamente, l’Autore prosegue la riflessione: «Le testimonianze neotestamentarie non lasciano alcun dubbio che nella “risurrezione del Figlio dell’uomo” sia avvenuto qualcosa di totalmente diverso. La risurrezione di Gesù è stata l’insorgere verso un genere di vita totalmente nuovo, verso una vita non più soggetta alla legge del morire e del divenire, ma posta al di là di ciò — una vita che ha inaugurato una nuova dimensione dell’essere uomini. Per questo la risurrezione di Gesù non è un avvenimento singolare, che noi potremmo trascurare e che apparterrebbe solamente al passato, ma è una sorta di “mutazione decisiva” (per usare analogicamente questa parola, pur equivoca), un salto di qualità. Nella risurrezione di Gesù è stata raggiunta una nuova possibilità di essere uomo, una possibilità che interessa tutti e apre un futuro, un nuovo genere di futuro per gli uomini».
A che traguardi conduce il lettore Joseph Ratzinger – Benedetto XVI con questi due volumi? «Esagerando un po’ — risponde l’Autore stesso — si potrebbe dire che io volevo trovare il Gesù reale, a partire dal quale, soltanto, diventa possibile qualcosa come una “cristologia dal basso”». Ecco, solo incontrando il “Gesù reale” succede che «la Chiesa “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga». Dal Signore risuscitato «trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori» (Benedetto XVI, Porta fidei, n. 6).
Al credente che, pur godendo della luce della fede in Cristo, sperimenta di vivere immerso fra le oscure potenze di forze nemiche, rimane la domanda che Giuda Taddeo rivolse a Gesù nel cenacolo: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?» (Giovanni, 14, 22). Ebbene, anche questa domanda trova sapiente risposta nel volume che stiamo analizzando.
«È proprio del mistero di Dio — scrive l’Autore — agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell’umanità la sua storia. Diventa uomo ma in modo da poter essere ignorato dai contemporanei, dalle forze autorevoli della storia. Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all’umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di “vedere”. E tuttavia — non è forse proprio questo lo stile divino? Non sopraffare con la potenza esteriore, ma dare libertà, donare e suscitare amore. E ciò che apparentemente è così piccolo non è forse — pensandoci bene — la cosa veramente grande? Non emana forse da Gesù un raggio di luce che cresce lungo i secoli, un raggio che non poteva provenire da nessun semplice essere umano, un raggio mediante il quale entra veramente nel mondo lo splendore della luce di Dio? Avrebbe potuto, l’annuncio degli apostoli, trovare fede ed edificare una comunità universale, se non avesse operato in esso la forza della verità?».
È interessante, a questo punto, notare — come sigillo a questo nostro incontro, di cui ancora ringrazio sinceramente — come tutto il camino di fede che la Chiesa ha fatto nel tempo e continua a percorrere oggi è un cammino che nasce proprio a partire dall’incontro con una Persona reale, vera e vivente, una persona che «benedicendo se ne va e nella benedizione Egli rimane. Le sue mani restano stese su questo mondo. Le mani benedicenti di Cristo sono come un tetto che ci protegge».
E di queste «mani benedicenti» che ci proteggono Benedetto XVI vuole essere un testimone serio, credibile, competente, innamorato.

(©L'Osservatore Romano 17 novembre 2011)

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