Benedetto XVI: «Nella Croce il segno della vastità dell'amore»
Le parole di Benedetto XVI durante il rito del Venerdì Santo con migliaia di fedeli al Colosseo. La meditazioni ispirate al pensiero di sant'Agostino
di Graziella Melina
La Croce portata da Gesù nell’«ultimo tratto del suo cammino terreno, il tratto più doloroso, quello del Calvario», non rappresenta «la vittoria della morte, del peccato, del male». Tutt’altro. «È il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore di Dio, di ciò che non avremmo mai potuto chiedere, immaginare o sperare».
Benedetto XVI, a conclusione della Via Crucis, nella sera del Venerdì Santo al Colosseo, esorta a contemplare con uno sguardo più profondo quel Crocifisso «che sembra segnare la sconfitta definitiva di Colui che aveva portato la luce a chi era immerso nel buio, di Colui che aveva parlato della forza del perdono e della misericordia, che aveva invitato a credere nell’amore infinito di Dio per ogni persona umana».
Solo così potremo capire che, «nella morte in croce del Figlio di Dio, c’è il germe di una nuova speranza di vita, come il chicco che muore dentro la terra». E infatti, ha spiegato Benedetto XVI alle migliaia di fedeli intervenuti al tradizionale rito all’Anfiteatro Flavio, «Dio si è piegato su di noi, si è abbassato fino a giungere nell’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e tirarci a sé, portarci fino a Lui». La Croce, ha proseguito il Pontefice, «ci parla dell’amore supremo di Dio e ci invita a rinnovare, oggi, la nostra fede nella potenza di questo amore, a credere che in ogni situazione della nostra vita, della storia, del mondo, Dio è capace di vincere la morte, il peccato, il male, e di donarci una vita nuova, risorta».
La croce, quasi accarezzata dal soffio delle migliaia di fiaccole tenute in mano dai fedeli, ha attraversato il percorso delle 14 stazioni in un silenzio, che, come l’ha definito Benedetto XVI, «porta in sé il peso del dolore dell’uomo rifiutato, oppresso, schiacciato, il peso del peccato che ne sfigura il volto, il peso del male». A sostenerla nella prima e ultima stazione, il cardinale vicario Agostino Vallini. A farsene carico nella seconda e terza stazione sono stati una famiglia della diocesi di Roma, Armando e Anna Stridacchio, con i loro cinque figli, tra i quali due coppie di gemelli. È stata poi la volta di Alberto Iossa, che l’ha stretta a sé mentre percorreva la stazione sulla sedia a rotelle, accompagnato da due membri dell'Unitalsi. Hai poi simbolicamente toccato altri Paesi del mondo: l’hanno infatti sostenuta due frati di Terra Santa, padre Antonio Szlhkta e padre Bruno Varriano; una famiglia proveniente dall'Etiopia, Eman e Hiwet Hailesilassie con due figli; e un francescano e una ragazza egiziani, Dassim e Samira Sidaros. Nella VI e la VII stazione il percorso con la croce è stato fatto invece da due monache agostiniane, suor Maria Giuliana d'Agostini e suor Clara Maria Cesaro, dello stesso ordine di suor Maria Rita Piccione, preside della Federazione dei Monasteri Agostiniani d’Italia “Madonna del Buon Consiglio” e curatrice dei testi della Via Crucis, le cui immagini sono state invece realizzate da suor Elena Maria Manganelli dell’eremo di Lecceto. Le meditazioni, ispirate dunque a Sant’Agostino, e lette dall’attore Piera Degli Esposti e da Orazio Coclide, sono state introdotte dalla voce di due bambini, Diletta, di 10 anni, e Michele di 12, che hanno invece letto l’incipit, quasi un chiave di lettura di ciascuna preghiera, «un richiamo – come si legge nell’introduzione – alla semplicità dei piccoli che sanno cogliere il cuore della realtà e un simbolico spazio di accoglienza, nella preghiera della Chiesa, della voce dell’infanzia talora offesa e sfruttata».
«Signore – ha invocato alla fine delle preghiere il Pontefice – fa’ morire in noi l’“uomo vecchio”, legato all’egoismo, al male, al peccato» e «rendici “uomini nuovi”, uomini e donne santi, trasformati e animati dal tuo amore».
© Copyright Roma Sette, 26 aprile 2011
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