lunedì 31 gennaio 2011

Sposati… dal cardinal Joseph Ratzinger. Marta ed Anthony Valle raccontano il loro matrimonio celebrato il 24 giugno 2004 (Zenit)

Leggiamo questa bella "chicca":

Appena sposati… dal cardinal Joseph Ratzinger

Marta ed Anthony Valle sono stati sposati dal nuovo Papa pochi mesi fa

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 22 aprile 2005 (ZENIT.org).

Quando Marta ed Anthony Valle sono stati sposati dal cardinal Joseph Ratzinger il 24 giugno scorso non avrebbero mai immaginato che a benedire il loro matrimonio sarebbe stato un futuro Papa.
Entrambi frequentano l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma: Marta, tedesca, studia Bioetica, mentre, Anthony, statunitense, studia Teologia dogmatica. Non sono uniti solo dal sacramento del matrimonio, hanno in comune tante altre cose, come l'amore per la Teologia e per Roma e l'ammirazione per l'“umile” uomo che li ha sposati.
In questa intervista concessa a ZENIT, in cui Marta parla quasi senza voce, a causa della laringite messa a dura prova dalle grida di gioia per l'annuncio del nome del nuovo Vescovo di Roma, i due raccontano le loro esperienze personali legate all’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Come mai siete stati sposati dal cardinale Ratzinger?

Anthony: Siamo stati solo fortunati, provvidenzialmente fortunati. Glielo abbiamo chiesto dopo una delle sue Messe pubbliche e lui ha detto: “Va bene, vediamo quello che si può fare. Datemi qualche altra informazione”.
Da bravi studenti abbiamo fatto i nostri compiti ed abbiamo consegnato al Cardinale una lettera che avevamo preparato la sera prima contenente tutte le informazioni necessarie. Nell’arco di una settimana Marta ha ricevuto la risposta: sì!
Ci ha sposati nella Basilica di San Pietro il 24 giugno 2004. E’ davvero un uomo molto disponibile. Nonostante fosse il numero due della Chiesa, quel giovedì mattina ci ha dedicato un’ora e mezza del suo tempo per farci ricevere il sacramento del matrimonio. Ed è proprio in questo che consiste il carisma del sacerdote: amministrare i sacramenti, che costituiscono lo strumento di salvezza donatoci da Cristo.

Cosa avete provato quando avete sentito il suo nome?

Anthony: Siamo stati così entusiasti ed emozionati che le lacrime hanno cominciato a scorrerci lungo le guance.

Marta: Abbiamo gridato così tanto! (Marta non ha quasi più voce!).

Anthony: E’ straordinario il fatto che sia stato eletto dopo appena quattro votazioni e in meno di 24 ore. Questo dimostra che c’è stata una grande unità tra i Cardinali. Sapevano che era l’uomo giusto. Siamo molto felici di avere un uomo così santo ed umile come nuovo Papa.
Dopo Papa Giovanni Paolo II, che è stato così valido, Papa Benedetto XVI continuerà a guidare la Chiesa, a conservare la sua tradizione e a condurla nel nuovo millennio con la Nuova Evangelizzazione. Sì, è anziano, ma Dio gli concederà le grazie necessarie.
Se vi ricordate, la prima cosa che ha detto dopo essere apparso al balcone è stata: “Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere”.
E’ molto umile. Non riesco a sottolinearlo in modo sufficiente. Spesso, però, è considerato un impositore duro e rigido. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità. Questi stereotipi sono assurdi e ridicoli. E’ un uomo estremamente gentile e modesto, forse perfino un po’ timido.
Come sappiamo, il suo incarico precedente di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede faceva di lui il custode degli insegnamenti bimillenari della Chiesa cattolica. Chiunque ha occupato o occupa questo incarico darà di sé un’immagine negativa, perché molti insegnamenti della Chiesa cattolica non si adattano alla mentalità dell’umanesimo secolare moderno e a molti degli altri affascinanti e falsi “-ismi” della nostra epoca.

Alcuni dicono che ha il volto troppo duro…

Anthony: Se avrete l’occasione di incontrarlo, come abbiamo fatto noi in varie occasioni, vi accorgerete immediatamente di quanto sia dolce, gentile e pastorale. E’ stato il Cardinale più accessibile nella Chiesa. Ad esempio, negli ultimi vent’anni ha celebrato la Messa in una piccola cappella aperta al pubblico ogni giovedì mattina.
Oltre a questo, celebra la Messa in un modo estremamente bello e riverente, entrando davvero nel suo mistero di redenzione. Dopo aver celebrato, si toglie i paramenti nella sacrestia in un’atmosfera di grande raccoglimento, continuando a meditare sull’enorme mistero che ha appena avuto luogo.
Esce poi dalla sacrestia per salutare la gente che è venuta a trovarlo. E’ lì che si vede com’è realmente, chi è in realtà. Saluta ogni persona, guardandola negli occhi, stringendole la mano, chiedendo il suo nome, da dove viene, a quale diocesi appartiene, firmando autografi, posando per una fotografia… Concede davvero tutta la sua attenzione e parla a tu per tu con la persona.
E’ così che dovrebbe essere un sacerdote, è così che dovrebbe essere un Papa: una guida, un pastore delle anime, ed è proprio questo che è Benedetto XVI. E’ questo che il mondo ha bisogno di conoscere e conoscerà.

Quali consigli vi ha lasciato durante l’omelia del vostro matrimonio?

Anthony: Marta può rispondere meglio di me, perché l’omelia è stata pronunciata quasi interamente in tedesco.

Marta: Ci siamo sposati nel giorno di San Giovanni Battista, per cui solo la seconda lettura è stata scelta specificatamente per il nostro matrimonio. Abbiamo scelto il quinto capitolo della lettera di San Paolo agli Efesini, che parla di come dovrebbero essere il marito e la moglie. Il cardinal Ratzinger ha detto che abbiamo bisogno di modellarci sulla base dell’esempio d’amore di Cristo, un amore che si manifesta in modo molto concreto in atti di servizio e sacrificio.

Anthony: Il Cardinale ha sottolineato come sia il marito che la moglie debbano essere sottomessi l’uno all’altro. Oggi, tuttavia, tutti si concentrano sul versetto in cui si legge che la moglie dovrebbe essere sottomessa al marito. Si dimentica, però, che in seguito San Paolo sottolinea – ed è stato uno dei punti-chiave del discorso del Cardinale – che il marito dovrebbe amare la moglie come Cristo ama la Chiesa, vale a dire fino al punto di sacrificare la propria vita per lei.
E’ questo che vuol dire per il marito essere il capo della famiglia: imitare Gesù Cristo come Capo della Chiesa. Anche se è il Signore, il primo, manifesta il suo dominio essendo l’ultimo, mettendosi all’ultimo posto, diventando il servo di tutti, lavando i piedi dei discepoli.

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E' dibattito tra gli storici sulla discontinuità tra Pio XI (1922-1939) e Pio XII (1939-1958) per quanto riguarda il fascismo e il razzismo (TMNews)

Shoah/ Dibattito tra storici su discontinuità tra Pio XI e Pio XII

Anna Foa e Andrea Riccardi con Vian e Mieli a presentazione libro

Roma, 31 gen. (TMNews)

E' dibattito tra gli storici sulla discontinuità tra Pio XI (1922-1939) e Pio XII (1939-1958) per quanto riguarda il fascismo e il razzismo. Prima di subentrare a Ratti come Papa, Pacelli fu suo Segretario di Stato, e avrebbe avuto un atteggiamento più diplomatico del suo predecessore, tanto da essere accusato dal mondo ebraico per i suoi silenzi.
A sottolineare, da ultimo, le divergenze tra i due Pontefici, è stata oggi la storia Anna Foa, che, alla presentazione del volume 'Vaticano, fascismo e questione razziale' di Valerio de Cesaris, presso la biblioteca nazionale centrale, ha affermato: "Ci sarebbe stato da parte della Chiesa uno scarto fra la condanna, dal punto di vista dei principi, dell'antisemitismo oltre che del razzismo, e un'azione diplomatica caratterizzata da una grande prudenza, sebbene Pio XI personalmente propose una linea più audace e discusse con i suoi collaboratori, e spesa solo sul terreno della violazione del Concordato, un terreno che sembrava alla Chiesa l'unico in grado di offrire appigli giuridici a un suo intervento. Alla morte di Pio XI - ha sottolineato Anna Foa - la linea di distensione diplomatica con il Governo italiano e con la Germania avrebbe prevalso la trattativa sui matrimoni misti si sarebbe prolungata senza portare ad alcun risultato, la polemica sul razzismo si sarebbe attenuata anche negli articoli de 'L'Osservatore Romano', e Dalla Torre, pur restando al suo posto, sarebbe stato invitato dal Papa a evitare le critiche al Governo". Il libro di De Cesaris è centrato sulla figura di Giuseppe Dalla Torre, a lungo direttore del giornale vaticano.
Un altro storico, Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio, ha voluto "attenuare" l'idea della discontinuità tra i due Pontefici, "anche perché essa è stata talmente sottolineata che attenuarla restituisce alla storiografia la giusta misura". Secondo Riccardi, "attribuire a Pacelli e agli altri collaboratori di Ratti una funzione smaccatamente di freno è una forzatura che corrisponde al mito di una contrapposizione tra il Papa e la macchina della curia. Ma la contrapposizione tra un Ratti profetico e un Pacelli realista è sbagliata. Nella macchina vaticana ognuno ha la sua funzione", ha sottolineato Riccardi menzionando il caso della denuncia della "guerra ingiusta" di Etiopia pronunciata da Pio XI a un gruppo di suore e poi - con il suo avallo - espunta nella pubblicazione ritoccata del discorso sull''Osservatore romano'. Alla tavola rotonda ha partecipato anche Giovanni Maria Vian, storico e attuale direttore del giornale vaticano. Ha coordinato l'incontro Paolo Mieli, giornalista e presidente di Rcs libri.

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Lettera di Julián Carrón: il 1° maggio tutta CL a Roma per la Beatificazione di Papa Giovanni Paolo II

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Conversazioni sul fine vita. Se un tabù diventa occasione di conoscenza (Silvia Guidi)

Su segnalazione della nostra Laura leggiamo:

Conversazioni sul fine vita

Se un tabù diventa occasione di conoscenza

SILVIA GUIDI

"Mia cara signorina Eva, sei venuta a tentare tuo padre un'altra volta?". Thomas More si sta rivolgendo all'amatissima figlia che è venuta a trovarlo in prigione: la ragazza con la voce rotta dall'ansia seduta di fronte a lui in realtà si chiama Margaret, ma è una nuova Eva per suo padre perché rappresenta la tentazione più sottile e tenace, quella degli affetti familiari.
Un episodio della vita del martire inglese che fornisce a Russell Shaw, in un testo pubblicato in rete (www.catholicity.com), lo spunto per un'inedita analisi di cosa significa davvero prudenza cristiana; davanti alla muta accusa dello sguardo di una figlia che implicitamente chiede al padre "perché ci stai facendo questo?" o gli rinfaccia "le assurde pretese del tuo Dio" emerge per il brillante, amabile cancelliere del re d'Inghilterra la vera posta in gioco.
More sa bene che prudenza cristiana non significa tanto amore del quieto vivere quanto capacità di discernimento; la consapevolezza di essere mortali è un antidoto potente contro la dimenticanza del limite e l'idolatria del "qui e ora" svincolato dal contesto storico e personale in cui si vive.
Margaret - scrive Shaw - è una Cordelia alla rovescia; la figlia più giovane di re Lear perde l'amore del padre perché non accetta di trasformare il suo affetto in una parodia dell'adulazione a uso e consumo della corte, mentre la figlia maggiore di More vuole salvare a tutti i costi suo padre, convincendolo a rinunciare a quello che ha di più caro, il suo irriducibile amore per Dio, che lo rende pieno di gratitudine e capace di prendersi gioco con malinconica ironia anche del male più turpe ("è già un pessimo affare perdere la propria anima per il mondo intero, figuriamoci per la Cornovaglia" chiosa commentando il tradimento di un amico; "se è per questo io e vostra grazia condividiamo un destino non troppo dissimile - risponde a un altro che lo esorta a evitare il capestro a ogni costo - siamo tutti condannati a morte, è solo questione di tempo").
Il criterio da seguire, ripete il Lord cancelliere, è amare la verità più di se stessi, anche se è terribilmente scomoda: "La verità vi farà liberi" è un itinerario di conoscenza. Il valore conoscitivo, e non solo sentimentale o emotivo, della "categoria della mortalità" è il segreto del fascino di molte opere d'arte, persino di qualche inaspettato capolavoro di marketing contemporaneo.
È questa una delle leve del cambiamento di Scrooge, il protagonista di Canto di Natale (a questo prelude il celebre incipit, "Marley, prima di tutto, era morto. Nessun dubbio su questo", in cui la concretezza del finire delle cose assume un'evidenza ineludibile); è questo il tema dei Cafés mortels, le conversazioni sulla morte organizzate nei bistrot parigini dall'etnologo Bernard Crettaz, e di uno dei video più scaricati da Youtube, il commencement address di Steve Jobs che il fondatore della Apple ha pronunciato alla Stanford University nel 2005: ""Se oggi fosse l'ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?" Ogniqualvolta la risposta è "no" per troppi giorni di fila qualcosa deve essere cambiato (...) Mi dispiace essere così drammatico ma è la pura verità: non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore".
Quando il rumore delle opinioni altrui è assordante, fatalmente vengono rimosse o trascurate le domande più interessanti sulla vita, scrive Maria Felice Pacitto in L'ingiustizia estrema, gli antemorti (Roma, Alpes, 2009) citando Lévinas; il filosofo francese, nelle ultime lezioni tenute alla Sorbona negli anni 1975-1976 descrive la morte come un fenomeno strutturalmente passivo, di una passività talmente radicale da risultare intollerabile, "non pensabile" per la mentalità contemporanea.
L'insofferenza verso la resa incondizionata a cui costringe il limitare della vita affiora anche dal lessico: il semplice verbo "è guarito" viene spesso sostituito da un più trionfalistico "ha sconfitto la malattia", "ha combattuto contro il suo male", o viceversa diciamo "non ce l'ha fatta" quando l'esito è infausto, lasciando intravedere un ultimo volontarismo anche all'interno di una comune condivisione del dolore. La "fretta di comprendere" ci spinge ad accusare noi stessi per la morte di una persona cara, trasformando il dolore in senso di colpa, o a rimuovere la ferita del distacco. Ma in entrambi i casi, censurando il luogo dove l'insondabilità della domanda sfiora "il mistero che dà fuoco e tensione a ogni nostra parola, urgenza a ogni problema" (Thomas Mann) si rischia di far ammalare, o condannare all'insignificanza, le potenzialità stesse della vita.
Secondo Maria Felice Pacittouna distorta elaborazione del luttotrasforma il dolore in senso di colpa

(©L'Osservatore Romano - 31 gennaio 01 febbraio 2011)

Il celibato sacerdotale nell'insegnamento dei Pontefici. Pio XII e la «Sacra virginitas» (Mauro Piacenza)

Il celibato sacerdotale nell'insegnamento dei Pontefici. A cura del card. Piacenza per l'Osservatore Romano

Il celibato sacerdotale nell'insegnamento dei Pontefici

Pio XII e la «Sacra virginitas»

Da una relazione tenuta ad Ars dal cardinale prefetto della Congregazione per il Clero, pubblichiamo la parte relativa a Papa Pacelli.

di Mauro Piacenza

Un contributo determinante dal punto di vista magisteriale è stato dato dall'enciclica Sacra virginitas, del 25 marzo 1954, del servo di Dio Pio XII. Essa, come tutte le encicliche di quel Pontefice, rifulge per la chiara e profonda impostazione dottrinale, per la ricchezza di riferimenti biblici, storici, teologici, spirituali, e costituisce ancora oggi un punto di riferimento di notevole rilievo.
Se, in senso stretto, l'enciclica ha come oggetto formale, non il celibato ecclesiastico, ma la verginità per il Regno dei cieli, nondimeno moltissimi sono, in essa, gli spunti di riflessione e gli espliciti riferimenti alla condizione celibataria anche del sacerdozio.
Il documento si compone di quattro parti: la prima delinea la «vera idea della condizione verginale», la seconda identifica e risponde ad alcuni errori dell'epoca, che non perdono la loro problematicità anche nell'oggi, la terza parte delinea il rapporto tra verginità e sacrificio, mentre l'ultima, a mo' di conclusione, delinea alcune speranze e alcuni timori legati alla verginità.
La verginità, nella prima parte, è presentata come un modo eccellente di vivere la sequela di Cristo. «Che cos'è, infatti, seguire se non imitare?», si domanda il Pontefice. E risponde: «Tutti questi discepoli hanno abbracciato lo stato di verginità per la conformità allo Sposo Cristo. (...) La loro ardente carità verso Cristo non poteva contentarsi di vincoli di affetto con Lui: essa aveva assoluto bisogno di manifestarsi con l'imitazione delle Sue virtù e, in modo speciale, con la conformità alla Sua vita tutta consacrata al bene e alla salvezza del genere umano. Se i sacerdoti (...) osservano la castità perfetta, questo è in definitiva perché il loro Divino Maestro è rimasto Egli stesso vergine fino alla morte».
In realtà, e non certo a caso, il Pontefice assimila la condizione verginale sacerdotale a quella dei religiosi e delle religiose, mostrando, in tal modo, come il celibato, che differisce dal punto di vista normativo, abbia in realtà il medesimo fondamento teologico e spirituale.
Un'altra ragione del celibato è individuata dal Pontefice nell'esigenza, connessa al Mistero, di una profonda libertà spirituale. Afferma l'enciclica: «Proprio perché i sacri Ministri possano godere di questa spirituale libertà di corpo e di anima, e per evitare che si immischino in affari terreni, la Chiesa latina esige da essi che assumano volontariamente l'obbligo della castità perfetta», e aggiunge: «I Ministri sacri, però, non rinunciano al matrimonio unicamente perché si dedicano all'apostolato, ma anche perché servono all'Altare». Emerge, in tal modo, come alla ragione apostolica e missionaria si unisca propriamente, nel magistero di Pio XII, quella cultuale, in una sintesi che, oltre ogni polarizzazione, rappresenta la reale e completa unità di ragioni a favore del celibato sacerdotale.
Del resto già nell'esortazione apostolica Menti nostrae, lo stesso Pio XII affermava: «Per la legge del celibato, il Sacerdote, ben lontano dal perdere la paternità, la accresce all'infinito, perché egli genera figliuoli, non per questa vita terrena e caduca, ma per la celeste ed eterna».
Missionarietà, sacralità del ministero, realistica imitazione di Cristo, fecondità e paternità spirituale costituiscono, dunque, l'orizzonte imprescindibile di riferimento del celibato sacerdotale, non indipendentemente dalla correzione di alcuni errori sempre latenti, come il misconoscimento dell'eccellenza oggettiva, e non certo per santità soggettiva, dello stato verginale rispetto a quello matrimoniale, l'affermazione dell'impossibilità umana a vivere la condizione verginale o l'estraneità dei consacrati alla vita del mondo e della società. A tal riguardo afferma il Pontefice: «Le anime consacrate alla castità perfetta non impoveriscono per questo la propria personalità umana, poiché ricevono da Dio stesso un soccorso spirituale immensamente più efficace che il “mutuo aiuto” degli sposi. Consacrandosi direttamente a Colui che è il loro Principio e comunica la Sua Vita divina, non si impoveriscono ma si arricchiscono».
Tali affermazioni potrebbero essere sufficienti a rispondere, con la necessaria chiarezza, a tante obiezioni di carattere psico-antropologico, che ancora oggi vengono mosse al celibato sacerdotale.
Ultimo grande e fondamentale tema affrontato dall'enciclica Sacra virginitas è quello, più propriamente sacerdotale, del rapporto tra verginità e sacrificio. Osserva il Pontefice, citando sant'Ambrogio: «La castità perfetta non è che un consiglio, un mezzo capace di condurre più sicuramente e più facilmente alla perfezione evangelica (...) quelle anime “a cui è stato concesso” (Matteo, 19, 11). Essa non è imposta, ma proposta». In tal senso, è duplice l'invito di Pio XII sulla scia dei grandi Padri: da un lato, egli afferma il dovere di «ben misurare le forze» per comprendere se si è in grado di accogliere il dono di grazia del celibato, consegnando a tutta la Chiesa, in tal senso, specialmente ai giorni nostri, un sicuro criterio di onesto discernimento; dall'altro, pone in evidenza l'intrinseco legame tra castità e martirio, insegnando, con san Gregorio Magno, che la castità sostituisce il martirio e rappresenta, in ogni tempo, la più alta ed efficace forma di testimonianza.
Appare evidente a tutti come, soprattutto nella nostra società secolarizzata, la perfetta continenza per il Regno dei cieli, rappresenti una delle testimonianze più efficaci e maggiormente capaci di «provocare» salutarmente l'intelligenza e il cuore dei nostri contemporanei. In un clima sempre più grandemente, e quasi violentemente eroticizzato, la castità, soprattutto di coloro che nella Chiesa sono insigniti del sacerdozio ministeriale, rappresenta una sfida, ancora più potentemente eloquente, alla cultura dominante e, in definitiva, alla stessa domanda sull'esistenza di Dio e sulla possibilità di conoscerlo e di entrare in rapporto con lui.
Mi pare ora doveroso mettere in luce un'ultima riflessione sull'enciclica di Pio XII, poiché essa, più delle altre, appare decisamente controcorrente rispetto a molti dei costumi oggi diffusi anche tra non pochi membri del clero e in vari luoghi di «formazione». Citando san Girolamo, il Pontefice mette in luce come «a custodia della castità serve più la fuga che la lotta aperta (...) e tale fuga consiste non solo nell'allontanare premurosamente le occasioni del peccato, ma soprattutto nell'innalzare la mente, durante queste lotte, a Colui al Quale abbiamo consacrato la nostra verginità. “Rimirate la bellezza di Colui che vi ama” raccomanda Sant'Agostino».
Apparirebbe oggi quasi impossibile all'educatore trasmettere il valore del celibato e della purezza ai giovani seminaristi, in un contesto nel quale risulti, di fatto, impossibile vigilare sulle visioni, sulle letture, sull'utilizzo di internet, e sulle conoscenze. Se è sempre più evidente e necessario il coinvolgimento maturo della libertà dei candidati in una volontaria e consapevole collaborazione all'opera di formazione, non di meno l'enciclica giudica un errore, e concordiamo pienamente, permettere a chi si prepara al sacerdozio ogni esperienza, senza il necessario discernimento e il dovuto distacco dal mondo. Permettere ciò equivale a comprendere nulla dell'uomo, della sua psicologia, della società e della cultura che ci circonda. Significa essere chiusi in una sorta di ideologia preconcetta che va contro la realtà. Basta guardarsi attorno. Quanto realismo nei versetti del salmo: «Hanno occhi e non vedono»!
Devo confidare, alla fine di questo breve excursus sull'enciclica di Pio XII -- ma lo stesso potrei dire per l'Ad catholici sacerdotii di Pio XI -- che rimango sempre sorpreso della sua modernità e attualità. Pur permanendo la preminente focalizzazione sull'aspetto sacrale del celibato e sul legame tra esercizio del culto e verginità per il Regno dei cieli, il magistero di questi due Pontefici presenta un celibato cristologicamente fondato, sia nella direttrice della configurazione ontologica a Cristo sacerdote-vergine, sia in quella della imitatio Christi.
Se appare in parte giustificata la lettura che vede nel magistero papale sul celibato, anteriore al concilio ecumenico Vaticano II, un'insistenza sulle argomentazioni sacrali-rituali, e, in quello successivo al Concilio, un'apertura a ragioni più cristologico-pastorali, nondimeno è doveroso riconoscere -- e questo è fondamentale per la corretta ermeneutica della continuità, ovvero per l'ermeneutica «cattolica» -- che sia Pio XI, sia Pio XII sottolineano ampiamente le ragioni di carattere teologico. Il celibato risulta, dai menzionati pronunciamenti, non solo particolarmente opportuno e appropriato alla condizione sacerdotale, ma intimamente connesso con l'essenza stessa del sacerdozio, compresa come partecipazione alla vita di Cristo, alla Sua identità e, perciò, alla Sua missione. Non è certo un caso che quelle Chiese di rito orientale che ordinano anche viri probati, non ammettono assolutamente all'ordinazione episcopale presbiteri uxorati!

(©L'Osservatore Romano - 31 gennaio 01 febbraio 2011)

Studi esegetici sull'onda della «Verbum Domini». Trittici biblici tra pareti di carta (Gianfranco Ravasi)

Studi esegetici sull'onda della «Verbum Domini»

Trittici biblici tra pareti di carta

di Gianfranco Ravasi

«Un ultimo avviso, figlio mio: si fanno libri e libri senza fine e il troppo studio logora il fisico». Strettamente parlando, queste non sono parole di Qohelet, l'amaro e realistico sapiente biblico, più noto come Ecclesiaste, ma del suo redattore finale (12,12). Tuttavia, ben ne esprimono il pensiero che si trasforma in una rilevazione, che ai nostri giorni è ancor più scontata, oppure in un monito disatteso anche da chi ora scrive queste righe, come era accaduto al protagonista del racconto Il recluso della Corona di piume di Isaac Bashevis Singer: «Mio suocero rabbino mi rammentava sempre ciò che dice l'Ecclesiaste a proposito del fare libri». Lo stesso redattore di Qohelet riconosceva, però, il diritto al suo maestro di «scrivere la verità con onestà e con uno stile affascinante perché le parole dei sapienti sono come punte acuminate e come chiodi conficcati le loro raccolte di testi» (12,10-11).
Questa duplice esperienza dell'eccesso di produzione libraria, ma anche delle necessità della bibliografia seria la si prova proprio nel campo degli studi esegetici biblici. Sulla mia scrivania si accumulano -- inviate da autori ed editori -- vere e proprie pareti di carta che puntano a commentare alcune delle 305.441 parole ebraiche o aramaiche che compongono l'Antico Testamento (a cui si devono aggiungere quelle dei libri deuterocanonici greci) o delle 138.013 parole greche che costituiscono il Nuovo Testamento. A tutta questa massa di scritti -- come è noto, i «libri» biblici sono 73 -- tradotta secondo «una nuova versione dai testi originali» è consacrata una collana, appena inaugurata dalle edizioni San Paolo, con un primo trittico di commenti riservati rispettivamente a Giosuè (pagine 190, euro 20) a cura di Flavio Dalla Vecchia, a Tobit (pagine 234, euro 24) a cura di Marco Zappella e alla Lettera ai Filippesi (pagine 109, euro 14) a cura di Francesco Bianchini.
Sulla scia di una fortunata esperienza passata della stessa editrice, collegata all'impulso post-conciliare, questi volumi hanno l'originalità di appaiare a versioni fedeli e accurate il testo primigenio ebraico, aramaico o greco, mentre il commento si muove su due registri, identificabili anche graficamente: il primo è di taglio critico e individua le questioni filologico-testuali-lessicografiche, mentre il secondo livello è orientato all'analisi esegetico-teologica in modo chiaro, essenziale, tematico. Tutto questo è circondato, in apertura, da una vasta introduzione che risponde alle esigenze di inquadratura generale, mentre in finale una post-fazione illustra la vita del testo biblico nell'ambito della liturgia ove viene proclamato (si sarebbe potuta mostrare -- in modo emblematico o sintetico -- anche la presenza nell'intero flusso della tradizione teologica, spirituale e artistico-culturale).
A questa collana, che si apre con fervore, ne accostiamo un'altra che ha alle spalle una codificazione ormai ben assestata. Anche in questo caso proponiamo un trittico riguardante altrettanti scritti anticotestamentari di grande rilievo o suggestione, appena apparsi in versione italiana presso l'editrice valdese Claudiana. Gli originali, infatti, nascono in ambito protestante nordamericano (l'editore è la John Knox Press di Louisville nel Kentucky: il nome è quello di un importante riformatore della Chiesa di Scozia, vissuto tra il 1505 e il 1572). Ecco, dunque, in primo luogo un commento a quel gioiello narrativo che è Ruth (pagine 145, euro 15) studiato ovviamente da una docente, Katharine Doob Sakenfeld di Princeton. Seguono i e ii Re (pagine 328, euro 32), due libri di importanza capitale non solo per la storiografia biblica, ma anche per avere un'interpretazione antica della vicenda monarchica di Israele: sulle pagine di questi scritti si impegna Richard D. Nelson dell'Università Metodista di Dallas. Infine, ecco i Salmi, le 150 preghiere poetiche che da secoli si levano verso il cielo non solo nelle sinagoghe, ma anche nelle Chiese: a commentarli uno di seguito all'altro è James L. Mays, una figura importante dell'esegesi americana.
La caratteristica di questo approccio alle Scritture è ben espressa dal curatore dell'edizione italiana, Domenico Tomasetto, quando afferma che la collana intende «conciliare la grande tradizione dell'esegesi storico-critica con una proposta biblica -- ma non biblicistica (in pratica, o allegorica o fondamentalista) -- capace di parlare alla spiritualità e alla sensibilità dei credenti del nostro tempo, integrando così gli aspetti teologici e omiletici». È, questo, un equilibrio che è sollecitato, sia pure con altre connotazioni, nell'ultima «esortazione» di Benedetto XVI intitolata Verbum Domini, frutto del Sinodo dei vescovi dedicato alla «Parola di Dio» da lui convocato nell'ottobre 2008 (l'esortazione è pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana). Lungo questa traiettoria, che intreccia analisi storico-critica e teologia, si muove l'ultima trilogia testuale che vorremmo proporre in questa carrellata bibliografica selettiva.
Un maestro dell'esegesi cattolica, creato cardinale da Benedetto XVI nel 2007, il gesuita Albert Vanhoye -- raccogliendo la ricerca che per tutta la vita lo ha visto impegnato soprattutto su questo scritto che, al di là del titolo, è un'omelia -- presenta ora un commento all'Epistola agli Ebrei (Bologna, Edb, pagine 358, euro 25). Adottando il cosiddetto «metodo retorico» -- che ben s'adatta al genere dello scritto -- egli riesce non solo a disegnare la straordinaria e sofisticata mappa letteraria di questa esortazione, ma anche ne delinea in modo netto e nitido la figura centrale: Cristo sacerdote non levitico (era della tribù di Giuda e quindi «laico» per l'ebraismo), ma «secondo l'ordine di Melchisedek», personaggio biblico misterioso che intreccia in sé la dignità regale a quella di un sacerdozio unico e non meramente rituale.
Alla collana «Commenti biblici» dell'editore romano Borla appartiene il secondo testo a cui ci riferiamo, anch'esso condotto secondo i canoni dell'approccio «retorico». Oggetto dell'analisi è un particolare blocco epistolare del corpus paolino: Le lettere pastorali raccontano è questo il titolo appunto del volume di Cesare Marcheselli-Casale della Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale (pagine 373, euro 40). I molteplici problemi storici, letterari, teologici, ermeneutici che pongono queste Lettere, considerate dall'esegesi moderna come deuteropaoline (forse un frutto della «scuola» legata all'Apostolo) e denominate «Pastorali» per il loro taglio a partire dal Settecento, vengono affrontati lungo un suggestivo itinerario «narrativo». Esso si articola in tre tappe: le Lettere raccontano innanzitutto la loro storia genetica, poi la loro composizione strutturale e stilistica e, infine, il loro messaggio dalla forte impronta ecclesiale («l'assemblea protocristiana si autocomprende», soprattutto nella liturgia).
Non possiamo non concludere la nostra ultima trilogia bibliografica, se non con l'Apocalisse di Giovanni, l'ultimo libro biblico, finemente interpretato da Yves Simoens (Bologna, Edb, pagine 306, euro 29) che ci offre anche una traduzione di «ricalco» su un testo originario greco particolarmente sorprendente per la sua capacità di oscillare tra raffinatezza e idiomatismi, tra nobiltà e provocazione. Ma il cuore del libro è nel commento che si affida alla logica simbolica, l'unica costante di uno scritto originale, apparentemente «apocalittico» ed eccitato, in realtà sostanzialmente cristologico, incentrato sul giudizio di Dio nei confronti della storia (Apocalisse, 1,8 e si leggano le pagine emozionanti dei capitoli 14, 6-20 e 17-18): «Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio: Colui che è e Colui che era e Colui che viene, il Sovrano-di-tutto».

(©L'Osservatore Romano - 31 gennaio 01 febbraio 2011)

Assisi: indagine sul passato. Messori e Magister (Messainlatino)

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Chiesa e chiese nella storia d'Italia. Il peso morale degli edifici (Verdon)

Chiesa e chiese nella storia d'Italia

Il peso morale degli edifici

TIMOTHY VERDON

Pubblichiamo alcuni stralci dal volume Ecclesia. Le chiese d'Italia nella vita del popolo (Torino, Utet, 2010, pagine 240).

Nell'Italia costellata di edifici religiosi grandi e piccoli, di cattedrali, pievi, oratori e cappelle, di santuari, monasteri, conventi e compagnie, che cosa comunica veramente la parola "chiesa"? E, nel Paese che ospita la Santa Sede, che cosa comunica lo stesso termine scritto con la c maiuscola "Chiesa"? Al di là di connotazioni politiche proprie della Repubblica, e prescindendo da situazioni sviluppatesi all'epoca del Risorgimento, qual è stato nei secoli l'effettivo peso morale degli edifici, l'influsso spirituale delle forme di vita a essi connesse, l'impatto sociale dell'istituzione che gli uni e le altre rappresentano? Oltre al loro valore architettonico, insomma, che senso hanno avuto le chiese d'Italia nella vita storica del popolo?
Sono domande complesse, queste, ma - proprio nell'Italia che festeggia 150 anni di unità politica - ineludibili. Tra le terre di antica religiosità dell'area mediterranea (ma anche del Medio Oriente e del subcontinente indiano), l'Italia infatti ha una posizione unica. Non solo ha conservato numerosi templi antichi e con essi il ricordo di credenze e pratiche cultuali superate da millenni, ma fino a oggi vive la fede cristiana, introdotta nella penisola pochi decenni dopo la morte di Gesù, in luoghi fisici e mentali espressivi di continuità con il passato. Lo sa bene il romano che prega in Santa Maria sopra Minerva, e lo scopre il turista che, nel tempio ricostruito dall'imperatore Adriano in onore di tutte le divinità olimpiche, il Pantheon, trova un altare eucaristico e la dedica a Maria e tutti i martiri. Lo sapevano i pisani che nell'XI secolo riportarono dalla Sardegna colonne antiche per la navata dell'erigenda Primaziale, e ne era consapevole l'artista duecentesco, forse Giotto, che ad Assisi ambientò un episodio della Vita di san Francesco davanti al tempio romano che ancora domina la piazza di quella città. Avverte con forza questa impressionante continuità il popolo di Siracusa che, oltre la facciata tardo barocca della loro cattedrale dedicata a Maria, trova la cella di un tempio dorico costruito 2.600 anni fa in onore di Atena. La religione in Italia, un po' come la madre terra venerata dagli antichi, racchiude il mistero della vita. Ce lo suggeriscono due miniature di un rotolo pergamenaceo del XI secolo custodito alla British Library di Londra: la figura di Tellus (la Madre Terra al cui seno si nutrono piante e animali) e, subito sotto, la Mater Ecclesia: la "Madre Chiesa" che sostiene la volta di un tempio affollato dei suoi figli, i cristiani. Queste miniature introducono l'Exultet, l'inno patristico cantato la notte di Pasqua, che infatti apre con l'invito alla "Terra" e alla "Madre Chiesa" di esultare per il trionfo di Cristo. L'immagine materna della Chiesa fa parte della cultura popolare in Italia.
Lo stesso posizionamento degli edifici di culto a volte configura un rapporto con il vicino abitato simile a quello della figura di Tellus nel rotolo dell'Exultet, come se davvero tutte le case di un quartiere o di una città attingessero vita dalla "Casa" al loro centro, proprio come fanno le creature dalla terra. Il parallelismo teologico tra Maria, da cui è nato Cristo, e la Chiesa da cui nascono i cristiani, ha poi ingenerato eloquenti allusioni iconografiche alla maternità: lo stemma quattrocentesco della cattedrale di Milano, per esempio, situa l'intera struttura sotto il manto di un'enorme Madonna, così che chiunque entri per le porte di facciata si trovi necessariamente "in Maria", praticamente nel suo grembo. Oppure una tavola di Francesco di Giorgio Martini raffigurante Maria che stende il manto sul duomo e sulle case di Siena (biccherna del 1467).
Nell'iconografia mariana la stesura del mantello implica la misericordia divina. Nel caso della tavola senese datata 1467,uno scritto precisa che l'occasione dell'esecuzione era un terremoto da cui la città era sopravvissuta senza gravi danni, sperimentando così in termini concreti la protezione materna della Vergine. Siena invero aveva un rapporto privilegiato con Maria, grazie al voto cittadino risalente all'epoca della vittoria senese sul nemico fiorentino a Montaperti nel 1260. Su impulso dell'allora sindaco, Buonaguida Lucari, alla vigilia della battaglia i senesi si sono "donati" alla Vergine, consegnando le chiavi della loro città a un'immagine mariana in duomo, in una cerimonia ripetuta annualmente nei secoli successivi.
Il caso senese non è atipico: analoghe forme di patronato mariano sono documentati ovunque. Si tratta di un rapporto tra Maria, figura della Chiesa, e città storiche la cui identità veniva letta attraverso la Vergine Madre di Cristo. "Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio, la santa dimora dell'Altissimo", recita il Salmo 45: "Dio sta in essa: non potrà vacillare; la soccorrerà Dio, prima del mattino". Queste parole, che nel loro contesto originario connotavano Gerusalemme, vengono adoperate nella liturgia delle feste mariane, perché anche Maria è stata "rallegrata" dal fluire dello Spirito, diventando "dimora" del Dio che "in essa" è rimasto per nove mesi. Maria è figura della "città santa, la nuova Gerusalemme (...) pronta come una sposa adorna per il suo sposo", di cui parla il Nuovo Testamento (Apocalisse, 21, 2).
Tale associazione d'idee non è solo biblica. Pure la cultura greco-romana identificava le città con divinità femminili, e la più celebre carta dell'impero romano - la Tabula peutingeriana, compilata nel IV secolo - simboleggia Roma e altre città mediante imponenti figure di donne. Un uso metaforico, questo, trasmesso al medioevo come parte del "bagaglio" della tradizione classica e che entra nell'immaginario comune. Il cristianesimo poi riveste la metafora di preciso senso sociale: Maria, che aveva portato in grembo Cristo, viene pensata come icona della madre Chiesa che porta in sé una nuova umanità; la Chiesa a sua volta verrà considerata immagine terrena della Gerusalemme celeste. Sin dai primi secoli cristiani, poi, queste feconde figure semantiche - la terra, la maternità, la Chiesa, Maria e la città - s'intrecciano con altri simboli. Nella prima grande chiesa romana dedicata a Maria, per esempio, Santa Maria Maggiore, iniziata subito dopo il concilio di Efeso che nell'anno 431 confermò il titolo mariano "Madre di Dio", l'iconografia dell'arco d'ingresso al presbiterio fa vedere la vita della Vergine sopra raffigurazioni ideali di Bethlem e Hierusalem alle cui porte stanno pecore pronte a entrare; nell'arco di ciascuna porta urbica pende una croce dorata. In questa chiesa dedicata a Maria, l'idea è quella di abbinare al senso mariano della civitas, con la sua tradizionale connotazione ecclesiale, l'altrettanto ecclesiale figura del gregge, che nel Nuovo Testamento viene associata soprattutto con Cristo, Buon Pastore.
La croce che pende nella porta della città ricorda che, secondo l'insegnamento di Cristo, "il buon pastore offre la vita per le sue pecore" (Giovanni, 10, 11).
Attraverso le porte urbiche raffigurate in questi mosaici si vedono infine teorie di colonne simili a quelle della navata di Santa Maria Maggiore stessa, così che "città" e "chiesa" diventano un tutt'uno, e il messaggio di un luogo materno, nutritivo - al contempo urbs e ovile - si apre al mistero del Buon Pastore ucciso per le pecore che egli alimenta mentre camminano verso la città celeste. Il passaggio concettuale è suggestivo, e, guardando l'altare incorniciato da immagini della Vergine e delle due città, ancor oggi i fedeli si percepiscono - prima in rapporto a Maria, poi in rapporto a Cristo - come "figli partoriti" e "pecore nutrite" in cammino verso una città al cui ingresso vi è la croce dorata, segno di sofferenza e di gloria. Non si tratta di un fenomeno solo romano. I coevi mosaici di una chiesa ravennate, Sant'Apollinare Nuovo, offrono un'analoga gamma di messaggi. Fanno vedere appena sopra l'arcata della navata maggiore due processioni di martiri che avanzano verso Cristo e Maria raffigurati in trono, rispettivamente a destra e a sinistra del presbiterio. In questa organizzazione delle immagini, i fedeli al livello del calpestio, guardando in alto mentre avanzavano verso l'altare, si percepiscono come parte della doppia processione, incamminati assieme ai santi verso Cristo e sua madre, membri della stessa comunità. Ed ecco: il "luogo" in cui il popolo che prende parte ai riti si riconosce partecipe di questa alta dignità è la "chiesa": al contempo grembo, ovile, città e scuola di vita.
All'indiscusso carattere biblico della sua concezione di Chiesa, l'Italia unisce poi una auto-comprensione politica, derivante dalla mai dimenticata origine romana delle sue città. L'identità ecclesiale, di nazione santa, s'innesta cioè sull'identità civica tramandata dal tardo impero, così che il concetto giudeo-cristiano di "popolo di Dio" viene a sovrapporsi a quello romano di plebs, un popolo autonomo con diritti e doveri, capace di difendersi e pronto al sacrificio.
Tale sovrapposizione concettuale, che segna profondamente lo sviluppo della Chiesa e delle chiese tra il V e il X secolo, porterà in alcune regioni al sistema "plebano" e alle pievi: letteralmente strutture in cui la plebs si riunisce, aule per un determinato "popolo". Per tutto il medioevo sarà infatti d'uso identificare la parrocchia di appartenenza, cittadina o rurale che sia, con questo termine: "popolo". Sostituendosi alla plebs antica, il popolo parrocchiale e il grande "popolo" della diocesi diventeranno l'ambito naturale della libertà, della solidarietà, della difesa dei valori.

(©L'Osservatore Romano - 31 gennaio 01 febbraio 2011)

Il volo delle colombe dalla finestra del Papa (servizio di Lucio Brunelli)

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Il Papa invita i fedeli a testimoniare Cristo accanto ai sofferenti dove è più urgente la lotta contro le malattie

Il Papa invita i fedeli a testimoniare Cristo accanto ai sofferenti dove è più urgente la lotta contro le malattie

“Perché in quei territori di missione dove più urgente è la lotta contro le malattie, le comunità cristiane sappiano testimoniare la presenza di Cristo accanto ai sofferenti”. E’ l’intenzione di preghiera missionaria di Benedetto XVI per il mese di febbraio. Un tema, questo, sul quale il Papa si è soffermato più volte. “Nonostante la malattia faccia parte dell’esperienza umana – ha affermato in occasione dell’Angelus dell’8 febbraio del 2009 - ad essa non riusciamo ad abituarci, non solo perché a volte diventa veramente pesante e grave, ma essenzialmente perché siamo fatti per la vita, per la vita completa”. “Quando siamo provati dal male e le nostre preghiere sembrano risultare vane” - ha aggiunto il Pontefice - “troviamo risposta nel Vangelo”. Ma come testimoniare la presenza di Cristo accanto ai sofferenti? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a fra Marco Fabello, direttore della rivista Fatebenefratelli:

R. - Sono le comunità cristiane più antiche, che hanno forse fondamenti più profondi, che dovrebbero in qualche modo essere capaci di manifestare questa presenza di Cristo accanto ai sofferenti, soprattutto nei territori di missione, ma anche nelle nostre missioni quotidiane. Certo, in terra di missione ci sono meno mezzi, meno operatori disponibili, ma probabilmente c’è un terreno che sa accettare forse meglio il Vangelo, la Buona Novella, di quanto forse avvenga nei nostri Paesi, nelle nostre città.

D. - A proposito di Vangelo, Gesù è sempre stato vicino a malati, storpi, ciechi e lebbrosi. Con quale spirito la Chiesa missionaria si accosta oggi al mondo della sofferenza?

R. - Con lo stesso spirito con cui si accostava Gesù, quello dei primi cristiani: quell’andare incontro al fratello che ha bisogno di una mano e questo non per fare un qualcosa di filantropico o altro, ma in nome di quel Gesù che da sempre ci ha insegnato che stare vicino ai poveri e ai bisognosi è già portare salute, è già portare forse la grazia della salvezza.

D. - Le malattie sono molteplici ma quella più grave che affligge l’uomo di tutti i tempi è l’assenza di Dio nella vita della persone. Nelle terre di missione come si curano le sofferenze procurate da questa assenza?

R. - La nostra azione dovrebbe essere quella di aiutare le persone ad avvicinarsi al Dio che ama, al Dio che non abbandona mai nessuno.

D. - Il dolore e l’impotenza causati dalla malattia possono mettere la fede a dura prova. Come riscoprire allora il senso della sofferenza racchiuso nella Croce di Cristo, nella sua Passione e Resurrezione?

R. - Questo è uno dei temi più importanti di cui siamo testimoni quasi quotidianamente: la sofferenza che molte volte, invece di avvicinare, allontana da Dio. Io credo che questa sia una grave prova che il cristiano vive e che può superare con la vicinanza degli altri fratelli, coloro che nonostante tutto sanno che Dio aiuta anche nelle difficoltà più gravi.

D. - Sacerdoti, religiosi e laici che assistono i malati in molte parti del mondo sono dunque chiamati ad essere le mani e il cuore di Cristo per far risplendere le parole di Gesù: “Quello che avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”...

R. - Il pane da dare, l’acqua da porgere, il consiglio da portare a queste persone, oggi più che mai, è pane di speranza e acqua di salute. Forse quello che dobbiamo mettere in atto è innanzitutto essere noi convinti di amare Dio e poi trasferire questo amore che Dio ha per noi, e noi per Dio, agli altri fratelli. Se non amiamo i fratelli, soprattutto quelli che sono in maggiore difficoltà, come possiamo dire di amare Dio?

D. - A proposito di amore e di impegno, l’Ordine ospedaliero Fatebenefratelli è presente in 50 Paesi dei cinque continenti, con circa 400 opere apostoliche. Come si traduce questa presenza nelle terre di missione?

R. - Per noi essere in terra di missione significa stare in mezzo alle persone che hanno bisogno, che hanno molto bisogno, e assisterle. Poi il resto lo fa la Provvidenza, lo fa il Signore.(ma)

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Card. Piacenza: Il Maligno vince molte battaglie, ma ha perso la guerra

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Benedetto XVI e la battaglia per la verità. Massimo Introvigne spiega il magistero del Papa (Gaspari)

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Il Papa libera le colombe della pace...con fuoriprogramma :-) Il servizio di Rome Reports

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Il nunzio a Mosca: i cattolici sempre più presenti nella società russa (Nina Achmatova)

Il nunzio a Mosca: i cattolici sempre più presenti nella società russa

di Nina Achmatova

Prima di partire per il suo nuovo incarico in Gran Bretagna, mons. Mennini saluta la comunità russa con un appello all’unità, interna e con i fratelli ortodossi.

Mosca (AsiaNews)

Con un appello all’unità, contro la “rassegnazione alla divisione” tra cattolici e ortodossi, il nunzio apostolico mons. Antonio Mennini, ha salutato la comunità russa prima della sua partenza per la Gran Bretagna, dove papa Benedetto XVI lo ha nominato suo rappresentante lo scorso 18 dicembre.
Ieri, per la messa di saluto a mons. Mennini, la cattedrale cattolica della Madre di Dio a Mosca era gremita di fedeli. Alla funzione, oltre il nunzio uscente, era presente l’arcivescovo nella capitale russa, mons. Paolo Pezzi. Nella sua omelia il presule ha ringraziato Mennini per il lavoro svolto e ha rivolto un pensiero alle vittime dell’attentato terroristico all’aeroporto Domodedovo, dove il 24 gennaio sono morte 35 persone.
Nominato nunzio in Russia da Giovanni Paolo II nel 2002, mons. Mennini, 63 anni, si dedicherà ora ai rapporti con la Chiesa anglicana, dopo aver vissuto in prima persona un rinnovato clima di collaborazione con il Patriarcato di Mosca.
Nel suo messaggio di commiato ai fedeli russi, il nunzio stesso ha ricordato i passi avanti compiuti dalla Chiesa in Russia. “La Chiesa cattolica, così come la Chiesa ortodossa – ha spiegato - con la perestroika è uscita da un lungo periodo di persecuzioni e di prove. Ora, pian piano, questi problemi stanno risolvendosi e i cattolici si sentono sempre più parte integrante della comunità sociale del Paese. Questo comporta un’apertura graduale alla collaborazione e al dialogo sia a livello sociale, sia anche ecclesiale”.
Mons. Mennini ha poi voluto sottolineare come, seppur in una condizione di minoranza, i cattolici siano riusciti a ritagliarsi un ruolo importante nella collaborazione con i fratelli ortodossi: “Campi privilegiati sono la cultura, l’educazione e il servizio sociale, anche perché cresce la consapevolezza che i cristiani debbano rispondere insieme alle crescenti sfide lanciate dalla società secolarista”.
Ha poi ribadito il concetto, ipotizzando che “oggi il contributo della Chiesa cattolica potrebbe forse essere quello di offrire alla Chiesa e alla società russe la propria testimonianza ed esperienza di presenza cristiana, soprattutto nei campi della cultura e del sociale, che per circostanze storiche in Russia sono rimasti lungamente monopolio del regime ateo”. “Mi sembra che i cattolici russi – ha esortato il nunzio - potranno trovare il proprio posto e scoprire la propria missione all’interno della società nella misura in cui approfondiranno sempre più la conoscenza e l’esperienza della propria tradizione, della propria ‘cattolicità’”.
Si è poi congedato dalla comunità con un augurio per la “vostra testimonianza quotidiana”: “Non rassegnatevi mai alla divisione come se fosse un fatto normale o addirittura auspicabile, non distinguete mai tra ‘noi’ e ‘loro’, non misurate mai la risposta che ricevete alle vostre iniziative. Partecipate dello stesso amore che consumava Gesù…fatevi “tutto a tutti per guadagnare almeno alcuni’ (1 Cor 9,22)”. L’appello all’unità, ha poi sottolineato Mennini, si riferisce non solo ai rapporti con i “fratelli di altre fedi e confessioni cristiane”, ma anche “all’interno della stessa comunità cattolica, delle associazioni, delle parrocchie, delle famiglie”. “Che tutti siano uno, perché il mondo creda”, diventi dunque oggetto della vostra preghiera quotidiana e della vita”, ha concluso il nunzio.
Un ministero durato otto anni Mennini chiude così otto anni di ministero all’insegna dell’ecumenismo, come lui stesso ha raccontato definendosi promotore di quell’“ecumenismo dell’amore” cui ha esortato Benedetto XVI. “L’amore accompagnato da gesti coerenti crea fiducia, fa aprire i cuori e gli occhi”, ha aggiunto.
Al termine del rito, il saluto della comunità al nunzio si è concluso con un ricevimento a cui, tra gli altri, hanno partecipato l’arcivescovo Pezzi, il direttore della Biblioteca dello Spirito di Mosca, Jean-François Thiry e il direttore dell’Istituto italiano di cultura, Adriano Dell’Asta.
Visto da Mosca, il mandato di mons. Mennini, ispirato al “reciproco rispetto delle tradizioni”, è stato un successo. Durante gli anni come diplomatico in Russia, è stato artefice e testimone di alcuni importanti passi di avvicinamento tra Vaticano e Patriarcato di Mosca. Nel 2004 ha assistito a un importante avvenimento nella storia delle relazioni tra le due Chiese: la restituzione dell’icona della Madre di Dio di Kazan. Mennini è stato il primo nunzio nel Paese dal 15 luglio 2010, quando è culminato lo scambio di ambasciatori tra Vaticano e Federazione russa. Pochi mesi prima, a fine 2009, il presidente russo Medvedev, ricevuto in Vaticano, aveva deciso di perfezionare le relazioni diplomatiche bilaterali innalzando a livello di ambasciata la sede diplomatica presso la Santa Sede.
Ora la comunità cattolica russa attende la nomina del successore di mons. Mennini. Formalmente potrà avvenire solo dopo la partenza ufficiale del nunzio uscente. La rosa di candidati sarebbe composta da quattro nomi - di cui il più accreditato pare lo sloveno Ivan Jurkovic, oggi nunzio apostolico in Ucraina - ma per il momento nessuno azzarda previsioni. L’arcivescovo di Mosca si limita ad auspicare che la nomina “avvenga nel più breve tempo possibile, magari anche prima di fine di febbraio”.

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GB, più infezioni con la pillola del giorno dopo in farmacia. La disponibilità senza ricetta non riduce le gravidanze fra le giovanissime (Ansa)

Su segnalazione di Eufemia e Laura leggiamo:

FARMACI:GB;CON PILLOLA GIORNO DOPO IN FARMACIA PIU'INFEZIONI

DISPONIBILITA' SENZA RICETTA NON RIDUCE GRAVIDANZE TRA TEENAGERS

(ANSA) - ROMA, 31 GEN

Poter acquistare la pillola del giorno dopo in farmacia, senza dover mostrare una ricetta medica, non ha abbassato il tasso di gravidanze tra le adolescenti inglesi. Anzi, ha fatto aumentare del 12% l'incidenza di infezioni sessuali tra i giovani. In sostanza, i teenagers del Regno Unito, potendo contare sull'effetto della 'morning-after pill', fanno piu' sesso non protetto. E' la conclusione a cui e' giunto uno studio dell'universita' di Nottingham che ha confrontato i dati sulle gravidanze tra le giovanissime e quelli sulle infezioni sessualmente trasmesse, tra il 1998 e il 2004. L'intento era quello di verificare la validita' delle politiche sociali che hanno portato alla liberalizzazione della vendita della pillola del giorno dopo e il loro effetto sul fenomeno delle gravidanze tra adolescenti. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel solo 2008, in Inghilterra e Galles si sono verificati oltre 7500 casi di questo tipo. David Paton e Sourafel Girma, coordinatori della ricerca, hanno incrociato i dati provenienti da 140 enti locali e hanno concluso che il tasso di gravidanza tra le under 16 non e' cambiato nel periodo considerato, mentre le infezioni sessualmente trasmesse sono cresciute del 12% tra i minori di 16 anni che hanno avuto accesso alla pillola del giorno dopo, acquistata in farmacia. La ricerca dell'universita' di Nottingham, in via di pubblicazione sul Journal of Health Economics, in conclusione, ha suggerito che se l'evidenza mostra che gli schemi attuali non hanno avuto ''un buon effetto ma una conseguenza negativa, allora le risorse economiche che vi sono destinate, dovrebbero essere spese altrove''.

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Mosca: mons. Mennini saluta la comunità russa con un appello all’unità, interna e con i fratelli ortodossi

Mosca: mons. Mennini saluta la comunità russa con un appello all’unità, interna e con i fratelli ortodossi.

Con un appello all’unità, contro la “rassegnazione alla divisione” tra cattolici e ortodossi, il nunzio apostolico mons. Antonio Mennini, ha salutato la comunità russa prima della sua partenza per la Gran Bretagna, dove papa Benedetto XVI lo ha nominato suo rappresentante lo scorso 18 dicembre. Ieri, per la messa di saluto a mons. Mennini, la cattedrale cattolica della Madre di Dio a Mosca era gremita di fedeli. Alla funzione, oltre il nunzio uscente, era presente l’arcivescovo nella capitale russa, mons. Paolo Pezzi. Nella sua omelia - riferisce l'agenzia AsiasNews - il presule ha ringraziato Mennini per il lavoro svolto e ha rivolto un pensiero alle vittime dell’attentato terroristico all’aeroporto Domodedovo, dove il 24 gennaio sono morte 35 persone. Nominato nunzio in Russia da Giovanni Paolo II nel 2002, mons. Mennini, 63 anni, si dedicherà ora ai rapporti con la Chiesa anglicana, dopo aver vissuto in prima persona un rinnovato clima di collaborazione con il Patriarcato di Mosca. Nel suo messaggio di commiato ai fedeli russi, il nunzio stesso ha ricordato i passi avanti compiuti dalla Chiesa in Russia. “La Chiesa cattolica, così come la Chiesa ortodossa – ha spiegato - con la perestroika è uscita da un lungo periodo di persecuzioni e di prove. Ora, pian piano, questi problemi stanno risolvendosi e i cattolici si sentono sempre più parte integrante della comunità sociale del Paese. Questo comporta un’apertura graduale alla collaborazione e al dialogo sia a livello sociale, sia anche ecclesiale”. Mons. Mennini ha poi voluto sottolineare come, seppur in una condizione di minoranza, i cattolici siano riusciti a ritagliarsi un ruolo importante nella collaborazione con i fratelli ortodossi: “Campi privilegiati sono la cultura, l’educazione e il servizio sociale, anche perché cresce la consapevolezza che i cristiani debbano rispondere insieme alle crescenti sfide lanciate dalla società secolarista”. Ha poi ribadito il concetto, ipotizzando che “oggi il contributo della Chiesa cattolica potrebbe forse essere quello di offrire alla Chiesa e alla società russe la propria testimonianza ed esperienza di presenza cristiana, soprattutto nei campi della cultura e del sociale, che per circostanze storiche in Russia sono rimasti lungamente monopolio del regime ateo”. “Mi sembra che i cattolici russi – ha esortato il nunzio - potranno trovare il proprio posto e scoprire la propria missione all’interno della società nella misura in cui approfondiranno sempre più la conoscenza e l’esperienza della propria tradizione, della propria ‘cattolicità’”. Si è poi congedato dalla comunità con un augurio per la “vostra testimonianza quotidiana”: “Non rassegnatevi mai alla divisione come se fosse un fatto normale o addirittura auspicabile, non distinguete mai tra ‘noi’ e ‘loro’, non misurate mai la risposta che ricevete alle vostre iniziative. Partecipate dello stesso amore che consumava Gesù…fatevi “tutto a tutti per guadagnare almeno alcuni’ (1 Cor 9,22)”. L’appello all’unità, ha poi sottolineato Mennini, si riferisce non solo ai rapporti con i “fratelli di altre fedi e confessioni cristiane”, ma anche “all’interno della stessa comunità cattolica, delle associazioni, delle parrocchie, delle famiglie”. “Che tutti siano uno, perché il mondo creda”, diventi dunque oggetto della vostra preghiera quotidiana e della vita”, ha concluso il nunzio. (R.P.)

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Il secondo incontro delle "Letture teologiche" sui grandi discorsi di Benedetto XVI, dedicato all'intervento al Collège des Bernardins di Parigi (Piccini)

Cultura e Società: Il monachesimo motore della cultura europea

Il secondo incontro delle "Letture teologiche" sui grandi discorsi di Benedetto XVI, dedicato all'intervento al Collège des Bernardins di Parigi

di Daniele Piccini

Il «monastero» come paradigma delle origini e dello sviluppo della cultura europea. Il contenuto del discorso parigino, tenuto nel 2008 da Benedetto XVI al Collège des Bernardins, è stato al centro della seconda delle “Letture teologiche”, il ciclo di tre incontri organizzati dall’Ufficio per la Pastorale universitaria presso il Palazzo apostolico Lateranense, che si è tenuta giovedì scorso (27 gennaio 2011).
Monsignor Sergio Lanza, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, ha visto nel tema del «ricercare Dio» il fulcro delle argomentazioni del Pontefice: «Il quaerere Deum, per cui si fondano le prime comunità monastiche, è nucleo generatore di civiltà. La ricerca di Dio feconda e valorizza l’intelligenza umana. Dio infatti viene incontro all’uomo con la Sua Parola e l’uomo è chiamato a interpretarla, attraverso l’eruditio e la cultura delle «scienze profane». Il desiderio di Dio diventa così amore per le lettere, escatologia e grammatica sono interiormente connesse». Agli studi linguistici segue lo sviluppo della cultura musicale. «Pregare la Parola di Dio - ha proseguito monsignor Lanza - richiede il coro, gli strumenti a corde, la danza e il tamburo. Infine, secondo il dettato monastico dell’ora et labora, l’uomo è chiamato a partecipare all’opera di Dio creatore con il proprio lavoro, altro caposaldo dello spirito europeo. Alla nostra cultura - ha concluso Lanza - spetta il compito di tenere viva la memoria della sorgente "monastica" che l’ha generata».
Conseguentemente, il rettore della Lumsa, Giuseppe Dalla Torre, ha letto nel discorso del Pontefice un invito a «coltivare il monaco che c’è in noi, nel senso di mantenere uno spirito, un’idea di esperienza, un percorso intellettuale, una metodologia di ricerca. Il monachesimo rappresenta infatti per Benedetto XVI un motore di elaborazione e di sviluppo della civiltà europea, cifra di comprensione della nostra cultura, intesa come ricerca intellettuale aperta alla scoperta di Dio».
Alessandro Ferrara, docente di Filosofia politica a Tor Vergata, ha analizzato le conseguenze civili del discorso di Benedetto XVI: «La Parola di Dio che i monaci studiano non è mai presente nella letteralità del testo, ma si dà in una molteplicità di Scritture che va interpretata. Questa operazione costituisce un argine all’univocità del fondamentalismo». Giustamente poi, secondo Ferrara, i creatori del movimento monastico hanno costituito delle comunità di fede all’interno delle quali dedicarsi al quaerere deum, «quando infatti la Parola aspirò a tramutarsi in legge e a ridurre la pluralità all’uno, la vita umana si è imbarbarita».
Il cardinale vicario Agostino Vallini, cui è spettato il compito di tirare le conclusioni, ha sottolineato l’importanza di un recupero del monachesimo per le nuove generazioni, «i cosiddetti "nativi digitali", ragazzi immersi in una cultura liquida, fatta solo di forti emozioni che devono sostituirsi alle precedenti. Hanno bisogno di nuovi testimoni, come lo è stato Giovanni Paolo II, cristiani latori di messaggi credibili perché coltivano in sé il valore dello spirito monastico». Il prossimo incontro, in programma giovedì 3 febbraio alle ore 20, sarà dedicato al tema «Secolarità non è neutralità: un nuovo cammino per lo sviluppo integrale della persona umana».

© Copyright Roma Sette, 31 gennaio 2011

Un barlume di luce nell'Egitto in rivolta (Magister)

Clicca qui per leggere l'articolo segnalatoci da Alessia.

Benedetto XVI ha indicato Santa Giovanna d’Arco come modello per i cattolici impegnati in politica (La Rosa)

Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

Il “mulino” della politica e l’acqua della santità

Benedetto XVI ha indicato Santa Giovanna d’Arco come modello per i cattolici impegnati in politica

DI SALVATORE LA ROSA (*)

La saggezza, nella sua forma proverbiale, ci insegna che «acqua passata non macina mulino». Lungi l’intento di disconoscere la sua ineccepibile funzione guida nella vicenda umana o il proposito di dubitare della lucentezza delle sue perle, ma l’arguzia, a volte, ci permette di apprezzarne meglio il suo valore, coniugando la memoria storica con il quotidiano.
Senza alterarne il senso.
Soprattutto se il mulino è quello della politica e l’acqua è quella della santità.
Politica e santità, dunque: un binomio che per ogni cristiano non può essere scisso.
Sia esso elettore o eletto, che appartenga a qualsivoglia espressione partitica, non si può porlo in secondo piano o invocarlo per un utilizzo strumentale o, peggio, ignorarlo.
Anzi: è da tenere in doverosa considerazione, per onorare la propria identità religiosa e comprovare la propria fede. Ponendosi al servizio di chi ha riposto in lui fiducia e di tutti coloro i quali rappresenta.
Facendo tesoro dell'esempio offerto da chi, in un passato più o meno recente, ha testimoniato
la Verità di Cristo in maniera eroica.
Non in quanto persona consacrata - appartenente ad un Istituto religioso o vivendo il sacerdozio diocesano -, bensì nella condizione laicale. Tra i tanti degni di citazione, è lo stesso Benedetto XVI che, nell’udienza generale di mercoledì scorso, 26 gennaio, ha indicato l’esempio di Santa Giovanna d'Arco, la pulzella d'Orleans.
Pur essendo storicamente datato, il suo esempio si rivela straordinariamente attuale.
Ma - è il caso di domandarsi - quale alta lezione può impartire una giovinetta d'oltremanica, analfabeta, a tutti i cattolici politici del nostro tempo, muniti, al contrario, di un livello d'istruzione ovviamente più elevato? È lo stesso Santo Padre che ne dà una risposta, chiara e illuminante nella sua evidentissima semplicità, vedendo il suo eroismo alla luce del Risorto: «Gesù è contemplato da Giovanna come il “Re del Cielo e della Terra” - afferma - Così, sul suo
stendardo, Giovanna fece dipingere l’immagine di “Nostro Signore che tiene il mondo: icona della sua missione politica». E prosegue evidenziando lo slancio caritatevole profuso per la costruzione della pace in un’Europa ormai dissanguata da continui e interminabili conflitti bellici, come la “Guerra dei cent’anni”.
«La liberazione del suo popolo - continua il Papa - è un’opera di giustizia umana, che Giovanna compie nella carità, per amore di Gesù. Il suo è un bell’esempio di santità per i laici impegnati nella vita politica, soprattutto nelle situazioni più difficili. La fede è la luce che guida ogni scelta». È una lezione, questa di Giovanna d’Arco, che travalica lo spazio e il tempo; che s’impone in ogni luogo e in qualsiasi periodo; che vale ovunque e sempre.
Senza dubbio, lo scenario sociale è profondamente cambiato; così come la geopolitica del vecchio continente ha assunto una conformazione nuova e segnata da una ormai longeva pacificità tra gli stati (un discorso a parte meritano le relazioni interetniche, nell'area balcanica). Tuttavia, se non spirano venti di guerra, soffiano le correnti di una crisi globale che si riversa non soltanto sul piano economico, ma anche su quello dei valori posti a fondamento dell'esistenza dell'uomo. Si pensi, come, ad esempio, la sacralità della vita umana, la dignità della persona e la comunione tra i popoli, sono oggetto di violenti attacchi ed abusi, più o meno evidenti, più o meno dichiarati. Allora, ecco che l’acqua testimoniale di una vita vissuta al servizio della politica, in fedeltà al Vangelo, come quella di Giovanna d'Arco si rivela di una freschezza imponente e di una fecondità ineccepibile. È vero che quest’acqua ha già dato frutto a suo tempo; ma è altrettanto vero che può azionare il mulino della politica, le cui macine dovrebbero
schiacciare i chicchi della carità divina e dell’amore incondizionato. Basta volerlo. Come Giovanna lo ha voluto. Che ogni cattolico politico, dunque, innaffi il ricordo di tutti quei santi che, come Giovanna, si sono fatti seminatori di bene e di giustizia nel «campo» della politica.

(*) docente nell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

© Copyright La Discussione, 30 gennaio 2011

GMG di Madrid, pattuglia acrobatica per salutare il Papa ed i nonni in campo (Sir)

GMG MADRID 2011 : PATTUGLIA ACROBATICA PER SALUTARE IL PAPA E NONNI IN CAMPO

Lavori in corso a Madrid per la Giornata mondiale della Gioventù che si svolgerà nella capitale spagnola dal 16 al 21 agosto prossimo. A meno di 200 giorni dal suo inizio, la città si sta preparando per accogliere i giovani pellegrini da tutto il mondo, le stime parlano di circa 2 milioni per gli appuntamenti finali.
Nelle piazze e strade principali cominciano a fare capolino i grandi manifesti di benvenuto, “Acogida!”, mentre luoghi emblematici della capitale, come il museo del Prado, la Borsa e il palazzo delle Poste stanno rinnovando l’illuminazione. Cominciano anche a trapelare notizie circa l’accoglienza di Benedetto XVI dall’aeroporto di Barajas a piazza Cibeles, nelle cui immediate vicinanze si trova la Porta di Alcalà, dove il Papa incontrerà i giovani. A scortare il Pontefice nel tragitto sarà la Guardia Reale mentre la pattuglia acrobatica “Aquila” dell’Aeronautica militare disegnerà in cielo le
Anche un gruppo di motociclisti, ‘biker’, europei ha dato disponibilità ad accompagnare Benedetto XVI sin dal suo arrivo a Barajas. Per incoraggiare la partecipazione alla Gmg scendono in campo anche i nonni: è di questi giorni il lancio della campagna pubblicitaria della Giornata che vede protagonisti gli over 60 che avranno il compito di promuovere l’evento presso i loro nipoti dando anche disponibilità in qualità di volontari.
E’ stato creato un club dei nonni, la cui tessera numero uno è andata a Rosa Garcia, madre di 13 figli, nonna di 24 nipoti e bisnonna di 7. Gli organizzatori sperano di consegnare almeno 15 mila tessere. Ad accompagnare i nonni in questa iniziativa una colonna sonora realizzata da un noto duo musicale spagnolo, “Dùo Dinàmico” e dal titolo emblematico “Siamo giovani”.

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Le radici cristiane ed i peccati dell'Europa (Vittorio Messori)

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Farouq: noi islamici manifestiamo contro Mubarak, vero nemico dei cristiani (Sussidiario)

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Il web deve favorire spirito e onestà. Il commento di don Antonino Denisi al Messaggio del Papa per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali

Il web deve favorire spirito e onestà

Don Antonino Denisi

Il coinvolgimento, soprattutto dei giovani, nell'arena della comunicazione creata dai social network, influisce sulla percezione di sé e pone questione non solo della correttezza del proprio agire, ma anche dell'autenticità del proprio essere. La presenza di questi spazi virtuali può essere il segno di una ricerca autentica di incontro con l'altro e si fa attenzione a evitarne i pericoli, quali il rifiuto di una sorta di mondo parallelo o l'eccessiva esposizione al mondo virtuale. Nella ricerca di condivisione, di amicizie, ci si trova senza cedere all'illusione di costruire artificialmente il proprio profilo pubblico. Questa precisa diagnosi di quanto sta avvenendo nella realtà mediatica si trova nel messaggio del Vaticano per la 45. Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
Di fronte al diffondersi della comunicazione con internet, Benedetto XVI esprime la convinzione che, come la rivoluzione industriale ha prodotto un profondo cambiamento della società, allo stesso modo la trasformazione in atto nel campo delle comunicazioni guidi i grandi mutamenti culturali e sociali a cui assistiamo oggi. Da ciò scaturisce l'invito alla coerenza con il comportamento da mantenere e testimoniare nell'era digitale. Con le nuove tecnologie sta nascendo un tipo di uomo che instaura un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite capacità e opportunità di stabilire relazioni interpersonali, di costruire comunione e coesione sociale. Trattasi di una condizione positiva offerta all'umanità, di fronte alla quale non ci si può porre che in un atteggiamento di stupore per le sue straordinarie potenzialità. Anzi, se utilizzata saggiamente, osserva il Papa, può contribuire a soddisfare il desiderio di senso, di verità e di unità che rimane l'aspirazione più profonda dell'essere umano. E, tuttavia, quanti sono pensosi del destino dell'uomo sulla terra non possono nascondere anche i rischi di questo mondo virtuale, il più concreto dei quali è costituito dai limiti propri della comunicazione digitale: la parzialità dell'interazione, la tendenza a comunicare solo alcuni aspetti del proprio mondo interiore, la tentazione di cadere in una sorta di costruzione dell'immagine di sé che può indulgere all'autocompiacimento, con la possibilità di cadere in un pericoloso narcisismo. E' perciò importante ricordare sempre che il contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i livelli della nostra vita.
In sostanza il Pontefice mette in collegamento tre aspetti della vita odierna: la comunicazione digitale, l'immagine di sé e la coerenza della vita. Le dinamiche comunicative nel mondo digitale suscitano modalità nuove di costruire l'identità personale. Da qui il richiamo alla coerenza e all'autenticità definite come lo stile umano e cristiano di rendersi presenti agli altri e agli avvenimenti. Perciò il messaggio esorta a essere consapevoli che la verità non trae il suo valore dall'attenzione che riceve e tantomeno dalla popolarità o dal consenso. Ogni uomo è chiamato a servire e far conoscere la verità nella sua integrità.
In conclusione, il messaggio incoraggia la comunicazione a riscoprire il desiderio di trascendenza, la nostalgia di tornare a forme di vita autenticamente umana, la tensione spirituale che sta dietro la sete di verità e di comunione, che ci spinge a comunicare con integrità e onestà.

© Copyright Gazzetta del sud, 30 gennaio 2011

Licio Gelli parla di "svariati religiosi iscritti alla massoneria, anche di alto grado (Ievolella)

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Giornata mondiale contro la lebbra, la preghiera del Papa per i malati: molti ancora in grave miseria. L'impegno dell'Aifo (R.V.)

Giornata mondiale contro la lebbra, la preghiera del Papa per i malati: molti ancora in grave miseria. L'impegno dell'Aifo

Ogni anno nel mondo vengono diagnosticati circa 650 mila nuovi casi di lebbra, di cui il 70 per cento in India. In Mozambico, in Indonesia, nella Repubblica Democratica del Congo e in Brasile gli aumenti più rilevanti. La 58.ma Giornata mondiale dei malati di lebbra, che si celebra oggi sul tema “C’è un solo cielo per tutto il mondo”, richiama l’attenzione sulla gravità di questa malattia. L’Aifo, Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau, da anni lavora per sensibilizzare l’opinione pubblica e per raccogliere fondi a favore di progetti di sostegno in quei Paesi in cui la lebbra è ancora diffusa. In molte piazze italiane saranno allestiti i banchetti della solidarietà, dove sarà possibile acquistare vasetti di miele. Fino al 10 febbraio, inoltre, è attivo il numero di Sms 45 592 al quale si può donare un euro. Anna Rita Cristaino ha intervistato Simona del Re, consigliera nazionale dell’Aifo, sulle iniziativa che sta promuovendo l’Associazione:

R. - L’Aifo, in questo periodo, è impegnata a tutto campo, in mille piazze italiane, con l’iniziativa “Il miele della solidarietà” per dare forza al nostro impegno - ormai più che cinquantennale - al fianco dei malati di lebbra: quest’anno è dedicato specificatamente all’Africa. Oggi, occorre ancora parlare - anche in Italia - in modo positivo di ciò che si fa e quindi questa Giornata rappresenta un momento positivo, proprio perché possiamo veramente salvare la bellezza dell’uomo dalla lebbra.

D. - Si conosce poco della malattia: sembra quasi che sia una malattia che ormai non colpisca più nessuno…

R. - Molto è stato fatto. Non possiamo dire che non sia stato fatto nulla rispetto alla diagnosi e alla prevenzione. Tuttavia, eistono ancora 15 milioni di ex malati, perché la lebbra - lo sappiamo bene - lascia questo segno che sfigura l’uomo, crea delle menomazioni. Noi abbiamo 15 milioni di persone che hanno avuto la lebbra e che sono coinvolte nei nostri progetti di riabilitazione, fisica e sociale. La lotta alla lebbra significa anche reinserimento delle persone che hanno avuto questa malattia.

D. - Anche nei Paesi europei, ci possono essere ancora casi di lebbra?

R. - Ci possono essere, ma esclusivamente per frutto della migrazione. Anche in Italia qualche caso è stato diagnostica, ma chiaramente preso in tempo. Noi parliamo di fasce di popolazione nel mondo, dove c’è povertà e dove non ci sono servizi sanitari locali… E’ chiaro che in quei luoghi la lotta alla lebbra è più difficile.

D. - In cosa consistono i vostri interventi?

R. - Diagnostichiamo la malattia, curiamo le persone, reinseriamo nelle comunità queste persone, dicendo che la malattia della lebbra è curabile ed educando il contesto sociale - quindi le comunità e le famiglie - a reinserire le persone che hanno avuto questa malattia. Questo è certamente il lavoro più grande svolto dall’Aifo: aiutare a riabilitare le persone attraverso il microcredito e il coinvolgimento della comunità locale. Lavoriamo insieme alle persone del posto, dando loro la possibilità di creare autosviluppo.

D. - Nel novembre del 2010, l’Onu ha approvato le linee e i principi per l’eliminazione della discriminazione nei confronti dei malati di lebbra. Quanto è importante questa Dichiarazione per la tutela dei diritti dei malati di lebbra?

R. - Sicuramente questa Dichiarazione è importante. Ma, ahimè, se ne parla molto poco. Per noi è una grande “forza di cittadinanza” - usando le parole di Raul Follereau - per dare giustizia e dignità a migliaia di persone che subiscono la malattia della lebbra: perché la disabilità diventa forza, sostegno, quando si considera la persona come tale, come un cittadino del mondo. (mg)

“Unire i nostri sforzi per esprimere meglio la Giustizia e l’Amore verso i malati di lebbra”. E’ questo il titolo del Messaggio dell’arcivescovo Zigmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, in occasione della 58.ma Giornata mondiale di lotta alla lebbra che ricorre domani, 30 gennaio. Dal presule l’esortazione a rafforzare l’impegno per assicurare alle persone affette dal morbo di Hansen una diagnosi tempestiva e la possibilità di accesso alle cure, in vista di un auspicato reinserimento sociale e lavorativo. Il servizio di Claudia Di Lorenzi:

La priorità è assicurare ai malati di lebbra la possibilità di una diagnosi precoce e dell’accesso alle cure e ai servizi sanitari, favorendo il reinserimento sociale e lavorativo delle persone guarite ma ormai mutilate, anche attraverso una diffusa e capillare azione educativa presso le comunità di appartenenza, per allontanare il pregiudizio e favorire l’accoglienza. Nel suo messaggio per la 58.ma Giornata mondiale di lotta alla lebbra l’arcivescovo Zimowski richiama l’attenzione sulla condizione delle milioni di persone affette nel mondo dal morbo di Hansen, una patologia la cui carica letale è stata ridotta da efficaci terapie farmacologiche ma che “continua a provocare sofferenza, menomazioni ed esclusione sociale”.

Proprio evidenziando questa condizione di emarginazione quasi insanabile, il presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari ha ricordato il messaggio del Papa in occasione della XXV Conferenza Internazionale del dicastero vaticano, nel novembre scorso, intitolata “Caritas in Veritate. Per una cura della salute equa ed umana”. Per l’occasione il Santo Padre osservava come “nella nostra epoca si assista da una parte ad un’attenzione alla salute che rischia di trasformarsi in consumismo farmacologico, medico e chirurgico, diventando quasi un culto per il corpo, e dall’altra parte, alla difficoltà di milioni di persone ad accedere a condizioni di sussistenza minimali e a farmaci indispensabili per curarsi”. Un divario intollerabile, che richiama l’urgenza di una distribuzione più equa delle risorse di cura: “Anche nel campo della salute – ha sottolineato mons. Zimowski citando ancora il Papa – è dunque importante instaurare una vera giustizia distributiva che garantisca a tutti, sulla base dei bisogni oggettivi, cure adeguate”. In effetti, affinché non diventi disumano, “il mondo della salute non può sottrarsi alle regole morali che devono governarlo”, piuttosto deve accogliere l’uomo riconoscendo in esso l’immagine divina, che “fonda l’altissima dignità di ogni persona e suscita in ciascuno l’esigenza del rispetto, della cura e del servizio”.

Alla vigilia della Giornata dedicata alla lotta alla lebbra, il presule ha inteso infine ricordare il contributo dei molti che nella Chiesa hanno speso la propria vita a sostegno delle vittime del morbo di Hansen: dal cardinale canadese, Paul Emile Leger, al sacerdote belga, San Damien de Veuster, al Beato polacco, Jan Beyzym, ai missionari che nel mondo gestiscono oltre 500 lebbrosari. Un grazie infine alla Fondazione Raul Follerau e a tutti gli operatori della salute, della società, della politica e dell’informazione impegnati a sostegno dei malati di lebbra.

© Copyright Radio Vaticana

Il presidente di Federalberghi Roma considera "sconsiderata" la scelta del 1° maggio per la beatificazione di Papa Wojtyla (Galeazzi)

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Bisognerebbe dire una "parolina" al presidente, ma dubito che la Santa Sede lo fara'...

Alberghi pieni in occasione della beatificazione di Papa Wojtyla (Corriere)

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Un consiglio preventivo ai giornalisti: non giocare con i numeri.
Non vorrei che, gira e rigira, si arrivasse a dire che la beatificazione ha riportato a Roma i pellegrini.
Si ricordino bene, i cari media, che dal 19 aprile 2005 il flusso di fedeli non e' mai diminuito, anzi! Attenzione, quindi, ad affermazioni che potrebbero essere facilmente smentite.

R.

La condizione umana. Le parole del Papa all'Angelus (Sir)

La condizione umana

Le parole all'Angelus

"Le Beatitudini sono un nuovo programma di vita, per liberarsi dai falsi valori del mondo e aprirsi ai veri beni, presenti e futuri. Quando, infatti, Dio consola, sazia la fame di giustizia, asciuga le lacrime degli afflitti, significa che, oltre a ricompensare ciascuno in modo sensibile, apre il Regno dei Cieli".
Lo ha ricordato questa mattina Benedetto XVI, durante l’Angelus in piazza San Pietro. Prendendo spunto dal Vangelo odierno dedicato al "primo grande discorso" di Gesù sulle Beatitudini, il Santo Padre ha sottolineato che esse "rispecchiano la vita del Figlio di Dio che si lascia perseguitare, disprezzare fino alla condanna a morte, affinché agli uomini sia donata la salvezza". Le parole del Signore non rappresentano "una nuova ideologia" ma "un insegnamento che viene dall’alto e tocca la condizione umana, proprio quella che il Signore, incarnandosi, ha voluto assumere, per salvarla".

Beatitudini. Il "Vangelo delle Beatitudini" si commenta con "la storia stessa della Chiesa, la storia della santità cristiana" e per questo, ha proseguito il Pontefice, "la Chiesa non teme la povertà, il disprezzo, la persecuzione in una società spesso attratta dal benessere materiale e dal potere mondano". Dopo l’Angelus, il Papa ha invitato i presenti a riflettere sulla Giornata mondiale dei malati di lebbra che si celebra oggi. La ricorrenza è stata istituita nel 1954 da Raoul Follereau, scrittore e giornalista francese attivo nella lotta alla malattia, e riconosciuta ufficialmente dall’Organizzazione delle nazioni unite (Onu). "La lebbra, pur essendo in regresso, purtroppo colpisce ancora molte persone in condizione di grave miseria. A tutti i malati assicuro una speciale preghiera – ha affermato Benedetto XVI -, che estendo a quanti li assistono e, in diversi modi, si impegnano a sconfiggere il morbo di Hansen". In particolare, un saluto è stato rivolto dal Santo Padre all’Associazione italiana amici di Raoul Follereau che compie 50 anni di attività. L’organizzazione è nata nel 1961 grazie all’azione di gruppi spontanei di volontari mobilitatisi nella lotta contro la lebbra e contro tutte le forme più estreme di ingiustizia ed emarginazione.

Caloroso saluto. Nei prossimi giorni, ha aggiunto il Santo Padre, "in vari Paesi dell’Estremo Oriente si celebra, con gioia, specialmente nell’intimità delle famiglie, il capodanno lunare" e "a tutti quei grandi popoli auguro di cuore serenità e prosperità". Oggi ricorre anche la Giornata internazionale di intercessione per la pace in Terra Santa e, in questo giorno, "mi associo al Patriarca Latino di Gerusalemme e al Custode di Terra Santa nell’invitare tutti a pregare il Signore affinché faccia convergere le menti e i cuori a concreti progetti di pace". Il Papa ha quindi indirizzato un "caloroso saluto" ai ragazzi e alle ragazze dell’Azione cattolica della diocesi di Roma, guidati dal vicario generale card. Agostino Vallini. Insieme a due di loro, Benedetto XVI ha liberato le colombe, simbolo della pace.

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Politica, morale, cinismo ed un sogno: Giovanna d'Arco. Il commento di Benedetto Ippolito

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L'economo di Tettamanzi sulla via di Roma. Per fare il prelato dello Ior (Rodari)

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IL QUARTO COMPLEANNO DEL BLOG :-)

Cari amici, scrivo questo post non per celebrare il blog né, tanto meno, me stessa ma per ringraziare tutti voi per il gioioso traguardo che abbiamo raggiunto :-)
Quattro anni fa nasceva il "Papa Ratzinger Blog [1]".
Il primo post porta la data del 18 febbraio e ha per contenuto la biografia speciale del Santo Padre. In realta' l'idea di allestire questo spazio virtuale e' nata fra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio. Anno 2007 :-)
Ci sono volute poi quasi tre settimane per trovare il "coraggio" di pubblicare il primo post, ma alla fine eccoci qui.
Siamo giunti quindi al momento di soffiare sulle quattro candeline.
E' con una certa emozione che vi scrivo perche' mai avrei pensato che questo spazio virtuale si sarebbe "moltiplicato" in un tempo relativamente breve.
Grazie a tutti voi per il sostegno e l'affetto che mi avete dimostrato e continuate a manifestarmi.
Senza di voi sarebbe piu' difficile, se non impossibile, portare avanti questo impegno!
Sono, quindi, grata a tutti ed a ciascuno, in particolare a tanti amici che commentano e che sanno arricchire il blog con segnalazioni ma anche con battute ed ironia :-)
Grazie anche a coloro che leggono silenziosamente, senza intervenire, ed a coloro che mi scrivono privatamente.
Mille ringraziamenti anche per le numerosissime segnalazioni che sono la caratteristica particolare di questo sito.
Insomma...che dire? Una sola parola: GRAZIE a tutti!
Per concludere, non posso non manifestare tutta la mia gratitudine a coloro che negli ultimi due anni hanno voluto dare un contributo al blog, tramite le modalità di donazione libera.
Questo spazio non ha altri introiti e si autofinanzia solo in questo modo.
Mi permetto di chiedere a chi puo' di sostenerci con un contributo, anche piccolo, ma fondamentale al fine di garantire il servizio continuativo.
Puo' essere un modo per festeggiare i quattro anni del "piccoletto".
Confido in tutti voi e vi ringrazio in anticipo :-)
Andiamo avanti con rinnovata forza e fiducia.
Un abbraccio a tutti :-))))

Raffaella

domenica 30 gennaio 2011

Giornata di Intercessione in Terra Santa, l'auspicio del Papa: maturino "concreti progetti di pace". Il commento di padre Pizzaballa

Vedi anche:

Il celibato sacerdotale. Ecco come Papa Benedetto risponde a Seewald nel libro-intervista "Luce del mondo" (2010)

Il celibato sacerdotale nelle risposte del card. Ratzinger a Peter Seewald nel libro-intervista "Il sale della terra" (1996)

Benedetto XVI all'Angelus: la Chiesa non teme le persecuzioni, il mondo si apra ai valori delle Beatitudini. Liberate le colombe della pace con i giovani dell'Acr (Radio Vaticana)

Il Papa: La Chiesa non teme la povertà, il disprezzo, la persecuzione in una società spesso attratta dal benessere materiale e dal potere mondano (TMNews)

Il Papa: la lebbra continua a colpire i poveri del mondo. Un pensiero alla Terra Santa ed alla Cina. Dopo l'Angelus i giovani dell'AC ringraziano per la beatificazione di Wojtyla e liberano due colombe (Izzo)

Il Papa: Dio faccia convergere le menti e i cuori a concreti progetti di pace in Terra Santa (AsiaNews)

Il Papa saluta la "carovana della pace". Due ragazzi con lui alla finestra (Ansa)

Il Papa: Il Vangelo indica "a tutto il mondo, nel presente e nel futuro", un "nuovo programma di vita, per liberarsi dai falsi valori del mondo e aprirsi ai veri beni, presenti e futuri" (Izzo)

Il Papa: "Il Vangelo delle Beatitudini si commenta con la storia stessa della Chiesa, la storia della santità cristiana, perché – come scrive san Paolo – «quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono». Per questo la Chiesa non teme la povertà, il disprezzo, la persecuzione in una società spesso attratta dal benessere materiale e dal potere mondano" (Angelus)

Il Papa al Collegio etiopico: «Siete segno di speranza per i vostri Paesi d’origine» (Avvenire)

Spagna: i vescovi chiedono al governo di unirsi all'Ue per fermare le violenze anticristiane

Egitto, la rivolta non è solo politica, ma anche spirituale e islamica (Samir Khalil Samir)

Il clero e i laici nella Chiesa ortodossa russa. All'esame della Commissione interconciliare (O.R.)

La lettera del giovane teologo Ratzinger (1970) sul celibato dei preti nel commento di Andrea Bevilacqua

L'ultima della Turchia: "Troppi cristiani in Europa, come un club esclusivo" (Libero)

Il Papa: la santità dei sacerdoti segno di speranza per la Chiesa (Asca)

Videomessaggio del Papa alla Pontificia Università "Santo Tomas" di Manila: "Sono fiducioso che, tenendo presente la fede e la ragione, che fanno sempre parte di un approccio veramente completo all'educazione, la vostra Università continuerà a contribuire all'arricchimento intellettuale, spirituale e culturale delle Filippine e anche di altri Paesi"

Videomessaggio del Papa alla Pontificia Università "Santo Tomas" di Manila (You Tube)

La Carovana per la pace dell'Acr domani all'Angelus del Papa. La tradizionale liberazione delle colombe (Micucci)

Orizzonti Cristiani. Benedetta Luchi ha presentato una selezione di discorsi del Santo Padre Benedetto XVI dedicati al tema della chiamata alla vita cristiana (ultimo appuntamento)

Benedetto XVI alla comunità del Pontificio Collegio Etiopico: siete un segno di speranza per la Chiesa dei vostri Paesi (Radio Vaticana)

Videomessaggio del Papa alla Pontificia Università "Santo Tomas" di Manila: ruolo fondamentale per radicare il Vangelo in Asia (Radio Vaticana)

Benedetto XVI e la strada della verità. In Laterano la seconda delle tre serate dedicate ai discorsi del Pontefice con Dalla Torre, Lanza e Ferrara. Vallini: il Papa indica il senso della vita (Mastrofini)

Benedetto XVI, il Papa tedesco. Il nuovo libro di Pablo Blanco

Verbum Domini, riflessione sull’Esortazione apostolica post-sinodale di Benedetto XVI (Amaducci)

Conciliari o tradizionali? Inchiesta sui futuri preti (Monique Hébrard)
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Giornata di Intercessione in Terra Santa, l'auspicio del Papa: maturino "concreti progetti di pace". Il commento di padre Pizzaballa

Il Papa all’Angelus ha ricordato la “Terza Giornata Internazionale di intercessione per la pace in Terra Santa” che ricorre oggi, e si è unito spiritualmente al Patriarca Latino di Gerusalemme e al Custode di Terra Santa nell’invitare tutti a "pregare il Signore affinché faccia convergere le menti e i cuori a concreti progetti di pace". “Guardare quella parte del mondo nella prospettiva di Dio significa riconoscere in essa la 'culla' di un disegno universale di salvezza", spiegava Benedetto XVI nell’omelia per la solenne inaugurazione per l’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente. "Un mistero di comunione - affermava - che si attua nella libertà e chiede agli uomini una risposta”. Dal Pontefice, un richiamo alla responsabilità del singolo che sceglie di rispondere alla chiamata di Dio e di dare il suo contributo alla pace. Claudia Di Lorenzi ne ha parlato con Padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa:

R. – Quel messaggio dice a noi del Medio Oriente, ma un po’ a tutti, della responsabilità individuale, perché in genere si tende a scaricare sempre sui politici, sui religiosi. La prima cosa da fare, innanzitutto, è la preghiera, perché se dobbiamo – come dice il Papa – guardare quella terra dall’alto, con lo sguardo di Dio, dobbiamo innanzitutto nella preghiera capire, cercare di leggere con i suoi occhi. Libertà significa anche essere capaci di non lasciarsi dominare dalle passioni. Tutti vediamo come in Medio Oriente, in Terra Santa, a Gerusalemme, le passioni possano accecare. Invece, per avere questa libertà abbiamo bisogno di una certa distanza dalle cose, per poterle vedere meglio. L’altro elemento è cercare innanzitutto di capire e giudicare meno, lasciare sempre spazio alla possibilità di cambiare.

D. - “I cristiani continueranno a dare il loro contributo – ha aggiunto il Papa – soprattutto con lo spirito delle Beatitudini evangeliche, che anima la pratica del perdono e della riconciliazione”. Il Papa traccia così il percorso che può condurre alla pace…

R. - Questa è la via cristiana, che sicuramente non tutti vogliono comprendere, che non tutti accettano, ma non c’è un’altra via. Allora, il contributo che noi cristiani possiamo portare è proprio questo: quello della capacità di perdonare e di accogliere ciò che sembra fragile o non capace di cambiamento.

D. - Ma la Pace in Medio Oriente passa necessariamente anche attraverso il rispetto della libertà religiosa e la cessazione di ogni violenza…

R. - La libertà religiosa, l’accesso ai luoghi di culto, ai luoghi santi, la libertà di espressione religiosa sono il punto concreto per verificare le libertà in Medio Oriente.

D. - L’evento si svolge in concomitanza con la “quinta Preghiera Straordinaria di tutte le Chiese per la Riconciliazione, l’Unità e la Pace, cominciando da Gerusalemme”, a sua volta coincidente con la “Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani” che si celebra a Gerusalemme. In questa prospettiva, l’unità delle Chiese cristiane quale alimento può dare al processo di pace in quest’area del mondo?

R. - Potrebbe essere sicuramente un grande contributo, perché è notorio come le divisioni tra cristiani, che in Medio Oriente diventano tangibili, siano un ostacolo. Tuttavia, il Medio Oriente è anche luogo dove, nonostante tutto, i cristiani si incontrano e pregano insieme. Tutte le confessioni cristiane vivono insieme da secoli e hanno lì le loro radici. Il cuore della vita cristiana batte a Gerusalemme e se il cuore funziona bene e opera in armonia tutto il corpo ne risente.

D. - La Giornata di Intercessione per la Pace in Terra Santa, ha detto il nunzio apostolico in Israele, mons. Antonio Franco, vuole essere “anche sostegno e accompagnamento allo sforzo umano dei politici e dei diplomatici che tentano vie di soluzione”. L’invito ad agire responsabilmente per la pace è rivolto, dunque, anche ai capi di stato e di governo di tutto il mondo…

R. - La loro responsabilità è enorme. La politica è il soggetto principale che può portare la pace. I religiosi, l’opinione pubblica, la preghiera sono un elemento determinante nella vita delle coscienze, ma che, poi, deve essere concretizzato, incarnato e questo è un compito che spetta ai politici.

D. - Il mondo assiste con apprensione alle rivolte che stanno scoppiando in tutto il Nordafrica e il Medio Oriente. Come guarda ai rivolgimenti in atto?

R. - Innanzitutto, con grande sorpresa, mista ad attesa e preoccupazione: attesa per quello che potrà accadere, perché sono cambiamenti che tutti avvertiamo epocali. Nessuno di noi avrebbe immaginato cose di questo genere, fino a pochi mesi fa. Questo significa che ci sono delle spinte, soprattutto nel mondo arabo, che adesso hanno trovato espressione esterna visibile. Questo è sicuramente un segno positivo, ma anche preoccupante perché non sappiamo come finirà tutto questo. Ci auguriamo con il minor spargimento di violenza e di sangue possibile, e ci auguriamo che il rispetto delle minoranze religiose venga conservato.(ap)

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