A colloquio con l’arcivescovo Fernando Filoni sulla visita del Papa in Benin
Il viaggio di un missionario
Mario Ponzi
Una decisa spinta in avanti per il rinnovarsi della missione evangelizzatrice della Chiesa nelle due dimensioni: ad intra e ad extra. L’arcivescovo Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, propone una lettura in chiave missionaria del viaggio di Benedetto XVI in Benin, al quale egli ha partecipato come membro del seguito. «Il Papa — dice nell’intervista rilasciata al nostro giornale — ha insistito sulla missione molto opportunamente, perché a volte si ha piuttosto l’abitudine di amministrare ciò che si ha, e un po’ meno di occuparci proprio della missio ad gentes».
Sia nell’esortazione Africae munus, sia nei giorni del viaggio apostolico in Benin, il Pontefice ha sottolineato più volte l’importanza della missio ad gentes. Come si può leggere questa insistenza di Benedetto XVI?
Portare Cristo a tutte le genti: è scritto chiaramente nell’esortazione apostolica post-sinodale. Dunque è evidente l’intento del Papa di spronare a rinvigorire l’annuncio. In questi giorni vissuti con Benedetto XVI in Benin abbiamo visto quanto l’Africa attendesse le indicazioni del Pontefice, dopo la celebrazione dell’assemblea sinodale. Una cosa che mi è parsa assai significativa è che a incontrare il Papa siano accorsi non solo i cattolici, ma anche gli esponenti di altre denominazioni cristiane e di altre comunità e confessioni religiose. Tutti indistintamente hanno chiesto la sua benedizione. Un vescovo mi ha detto di aver compreso in quel momento quanto sia importante portare Cristo al mondo di oggi, proprio vedendo l’entusiasmo suscitato dal Pontefice che sollecitava a ridare vigore a questa missione. Una sollecitazione rivolta opportunamente a tutti. A volte, infatti, si ha l’abitudine più di amministrare ciò che si ha, e un po’ meno di occuparci della missio ad gentes. Non a caso Benedetto XVI ha dato atto anche ai catechisti — i più umili servitori del Vangelo forse, certamente però i più preziosi — dello straordinario lavoro compiuto.
Nell’esortazione il Papa ha richiamato, tra le altre cose, il grave fenomeno dell’analfabetismo, una piaga che tormenta l’Africa quasi quanto la povertà.
Certamente l’Africa ha bisogno di tante cose per crescere. È evidente che l’alfabetizzazione è fondamentale per la crescita di questo continente. Per questo la Chiesa punta moltissimo sull’educazione. Sa bene che è proprio grazie alla miglior formazione umana che il Vangelo può trovare ascolto e comprensione. Questo per limitarmi alla sola missione evangelizzatrice. Perché è pure evidente che nel promuovere l’educazione e la formazione si gettano le basi per il progresso del Paese. Tanti vescovi mi dicono che tra le loro preoccupazioni pastorali figura proprio quella di dotare ogni pur piccolo centro missionario di una sua scuola. E poi i giovani oggi chiedono di più, hanno bisogno di qualcosa che vada oltre l’alfabetizzazione di base, ambiscono a raggiungere più alti livelli di istruzione.
Quanto conta effettivamente l’alfabetizzazione per il successo della missione evangelizzatrice?
Del suo valore ci rendiamo conto quando visitiamo le diocesi, o quando i vescovi in visita ad limina vengono da noi per informarci sullo stato della missione. Tra le cose di cui parlano più sovente c’è proprio la questione dell’istruzione. Ci raccontano delle loro scuole e devo dire con sempre maggiore frequenza essi richiedono la creazione di istituti superiori e di università cattoliche. Ciò significa che l’educazione è in crescita. Naturalmente insistiamo molto anche sulla formazione nei seminari. Migliori sacerdoti aiutano a migliorare la missione, a tutti i livelli, anche nel campo dell’educazione a livello parrocchiale. Stesso discorso applichiamo ai catechisti, che spesso sono gli unici maestri in sperduti villaggi. Ci stiamo adoperando affinché istituti di catechesi siano aperti in tutte le diocesi, in tutte le zone che ne sono sprovviste. Siamo convinti che migliorando la formazione dei catechisti migliorerà anche il processo di alfabetizzazione.
Il Pontefice ha parlato dell’Africa come del polmone spirituale della Chiesa. Cosa ha voluto dire secondo lei?
Un corpo non può vivere senza polmoni. L’Africa ha una straordinaria ricchezza di ossigeno da offrire alla Chiesa grazie alla vivacità della sua fede. C’è però bisogno che essa ritrovi presto quella pace che insegue da anni, che riscopra il valore della riconciliazione soprattutto tra etnie e che possa finalmente godere di un clima di giustizia. Questo perché, libera dalla morsa di questi mali, essa metta finalmente al servizio della Chiesa tutta la sua grande ricchezza spirituale. Quella ricchezza della quale ha dato fiera manifestazione in queste giornate vissute con il Papa.
Benedetto XVI ne ha anche parlato come di una speranza per tutta la Chiesa. In che modo una comunità giovane può dare speranza a una Chiesa ultrasecolare?
Il Papa ha colto l’occasione — con la sua presenza alla conclusione del centocinquantesimo anniversario dell’evangelizzazione del Benin — per proporre una nuova prospettiva a una Chiesa che, nonostante sia giovane, mostra una maturità tale da favorire un numero crescente di vocazioni. Centocinquant’anni sono stati un tempo forte di missione, durante il quale numerosi missionari hanno messo la loro vita a disposizione dell’evangelizzazione sino al sacrificio estremo. Non a caso il Papa ha reso loro onore per quanto hanno fatto per la Chiesa in Africa. Ma c’è anche l’oggi. E in questo oggi c’è bisogno di riproporre il Vangelo anche nelle Chiese che in questo continente da tempo hanno ricevuto la prima evangelizzazione. In questi casi non si tratta di portare il primo annuncio ma di favorirne un approfondimento. A questa opera di rievangelizzazione dell’Africa il Papa ha fatto riferimento rivolgendosi a una Chiesa giovane e in crescita, dalla quale si aspetta frutti abbondanti. Sicuramente ne beneficerà non solo la Chiesa ma anche tutta la società civile africana. Il presidente del Benin accogliendo il Pontefice a Cotonou ha riconosciuto pubblicamente i benefici che l’evangelizzazione ha portato al suo Paese. Nasce di qui la speranza riposta da Benedetto XVI nella Chiesa che è in Africa.
Come saranno rilette e tradotte in azione dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli le sollecitazioni del Papa in questi giorni?
Il primo impegno che ci attende come congregazione è naturalmente quello di chiedere a tutti i vescovi di rileggere e di accogliere l’esortazione post-sinodale come un documento programmatico per i prossimi dieci anni almeno. Chiederemo di guidare approfondimenti e meditazioni su quanto il Papa ha scritto e detto in questi giorni. Naturalmente poi seguiremo la sua attuazione pratica, pronti ad affiancare i vescovi per ogni necessità. Ciò che abbiamo davanti adesso è la preparazione dell’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI. Chiederemo a tutti i vescovi di attivarsi affinché questo Anno diventi un’occasione in più per la prima e per la seconda evangelizzazione: le due gambe con le quali deve procedere la missione nel mondo. Questo anno servirà a chi non ha ricevuto l’annuncio del Vangelo per apprenderlo, e a chi lo ha già ricevuto per approfondirlo e amarlo di più.
(©L'Osservatore Romano 30 novembre 2011)
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1 commento:
Ma sarebbe una bestemmia commentare sull' "Osservatore" i prodigi astronomici che tutti in Benin hanno visto ?
Sicuramente una bestemmia contro il Deismo settecentesco, che il Santo Padre condanna ormai ogni giorno.
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