PAPA: FESTEGGIA 60ESIMO CON QUATTRO CONFRATELLI DI ALLORA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
Per festeggiare insieme con il Papa i 60 anni di sacerdozio sono giunti a Roma altri quattro dei sacerdoti consacrati il 29 giugno 1951 a Frisinga. Lo rivela l'Osservatore Romano. Si tratta del fratello del Pontefice, monsignor Georg Ratzinger, e dei sacerdoti Fritz Zimmermann, Bernhard Schweiger e Rupert Berger, che come i due Ratzinger disse la prima messa a Traunstein l'8 luglio successivo.
"Altri, per l'eta' - spiega il giornale vaticano - non sono potuti venire, mentre la maggior parte degli amici di quel giorno vive nella comunione dei santi".
Per Benedetto XVI, scrive ancora il suo giornale, sono state "due giornate vissute tra la gioia e i ricordi di un avvenimento che sessant'anni fa ha segnato per Joseph Ratzinger allora ordinato sacerdote e oggi vescovo di Roma l'inizio di un singolare e profondo legame di amicizia con Dio".
"Benedetto XVI - rileva l'Osservatore - ha raccontato e rivissuto l'emozione del giorno in cui ricevette il sacramento del sacerdozio (il 29 giugno 1951, nel duomo di Frisinga) durante la messa nella solennita' dei santi Pietro e Paolo, nella basilica Vaticana. Un dono ha detto 'che quasi mette paura', che fa 'venire i brividi' ma che reca con se' 'una grande gioia interiore' perche' apre all'amicizia con Dio".
"Quell'amicizia - conclude il quotidiano della Santa Sede - da cui e' scaturito un cammino di ricerca della verita' a cui ha reso testimonianza l'istituzione del premio teologico Ratzinger, consegnato dallo stesso Pontefice questa mattina, giovedì 30 giugno".
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PAPA: OSSERVATORE, TRA ANNIVERSARI COINCIDENZA PROVVIDENZIALE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
Per l'Osservatore Romano rappresenta un fatto "provvidenziale" che il sessantesimo anniversario del sacerdozio di Benedetto XVI cada negli stessi giorni in cui il quotidiano della Santa Sede compie un secolo e mezzo.
"Indicando al giornale - scrive il direttore Giovanni Maria Vian, destinatario oggi di una impegnativa lettera del Pontefice - che la strada e' quella di 'seguire il Dio che si mette in cammino, superando la pigrizia di rimanere adagiati su noi stessi, affinche' Egli stesso possa entrare nel mondo".
Nell'editoriale, il professor Vian ricorda che "era dal 1897, durante il lungo pontificato di Leone XIII, che un Papa non celebrava il sessantesimo anniversario dell'ordinazione sacerdotale".
"Benedetto XVI - scrive il direttore dell'Osservatore - lo ha fatto, varcando questo traguardo non abituale, nella festa dei santi Pietro e Paolo gli apostoli patroni della Roma felix cantata dai pellegrini medievali e poi dalla liturgia in una splendida giornata d'estate. Proprio come quella del 29 giugno 1951 a Frisinga, quando il venerando cardinale Michael von Faulhaber impose le mani sul capo di Joseph Ratzinger, del fratello maggiore Georg e di altri 42 loro compagni". "Tutti quei giovani, eccetto uno - ricorda l'articolo - erano piu' anziani del ventiquattrenne Joseph: la guerra aveva rallentato il corso dei loro studi nel seminario, trasformato in lazzaretto".
Il professor Vian rivela poi che ieri con il Papa e il fratello, monsignor Georg, hanno concelebrato tre dei nuovi sacerdoti di allora: Fritz Zimmermann, Bernhard Schweiger e Rupert Berger, che come i due Ratzinger disse la prima messa a Traunstein l'8 luglio successivo. "Altri - spiega - per l'eta', non sono potuti venire, mentre la maggior parte degli amici di quel giorno vive nella comunione dei santi".
E, conclude l'editoriale, "proprio sull'amicizia, l'amicizia con Dio, l'amicizia cristiana, l'amicizia con ogni persona umana Benedetto XVI ha modulato la sua omelia, una meditazione profonda sul sacerdozio rivolta a ogni fedele e a chiunque voglia ascoltare.
Aprendo il cuore alle parole di un uomo che ha dedicato e dedica ogni giorno della sua vita a scoprire la grandezza dell'amore di Dio e a cercare sempre piu' la sua amicizia. Per andare avanti, oltre i confini dell'ambiente in cui viviamo, a portare il Vangelo nel mondo degli altri, affinche' pervada il tutto e così il mondo si apra per il Regno di Dio".
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giovedì 30 giugno 2011
L'ordinazione di Joseph Ratzinger la notizia più cliccata. I primi dati sulle visite al portale che riunisce i media vaticani (O.R.)
I primi dati sulle visite al portale che riunisce i media vaticani
L'ordinazione di Joseph Ratzinger la notizia più cliccata
Marcello Filotei
La statistica, recita un vecchio adagio, è quella scienza secondo la quale se una persona mangia un pollo e un’altra resta digiuna risulterà che ognuna delle due ne ha consumato mezzo. Questo non significa che i dati non servano a nulla, ma che bisogna saperli leggere, incrociare, valutare e illustrare, e occorre farlo con prudenza. L’operazione, ancora più complessa quando ci si confronta con internet, risulta però meno faticosa quando l’esito sembra conforme alle proprie aspettative, cosa che sta avvenendo in questi giorni per quanto riguarda l’analisi degli accessi a www.news.va, il nuovo portale dei media vaticani.
Ideato dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali e inaugurato dallo stesso Benedetto XVI — che nel pomeriggio di martedì 28 giugno ha lanciato il primo tweet — nel primo giorno il sito dove vengono convogliati contributi della Sala Stampa, del Vatican Information Service, della Radio Vaticana, del Centro Televisivo Vaticano, dell’Agenzia Fides e del nostro giornale ha registrato 257.632 visite provenienti da oltre duecento Paesi del mondo. Come era prevedibile un ruolo predominante è spettato agli internauti di lingua inglese, esito confermato anche sui socialnetwork Twitter e Facebook: nel primo i riscontri diretti sono stati 77.321, dei quali quasi 60.000 provenienti da utenti di lingua inglese, nel secondo i «mi piace», oltre 7.000.
Un piccolo primato, in questo avvio particolarmente riuscito, spetta proprio a «L’Osservatore Romano», Unicuique suum verrebbe da dire, anche se sarebbe inopportuno indirizzare il Non praevalebunt che segue ai fratelli minori (per età) delle altre istituzioni vaticane. In realtà il quotidiano ha avuto il solo merito di adempiere al proprio dovere, mettendo d’apertura in prima pagina un testo intitolato «Il momento più importante della mia vita — Sessant’anni fa, il 29 giugno 1951, Joseph Ratzinger veniva ordinato sacerdote», che è risultato essere il più cliccato con 12.991 visite da internauti anglofoni e oltre 3.463 da navigatori di lingua italiana.
Grazie allora a tutti gli oltre 250.000 visitatori e un «grazie particolare» ai 16.454 che hanno cliccato proprio sul nostro articolo. Nessuno di loro ha mangiato mezzo pollo, ci spiegano i nostri esperti di informatica, ma un pezzettino forse sì.
(©L'Osservatore Romano 30 giugno - 1 luglio 2011)
L'ordinazione di Joseph Ratzinger la notizia più cliccata
Marcello Filotei
La statistica, recita un vecchio adagio, è quella scienza secondo la quale se una persona mangia un pollo e un’altra resta digiuna risulterà che ognuna delle due ne ha consumato mezzo. Questo non significa che i dati non servano a nulla, ma che bisogna saperli leggere, incrociare, valutare e illustrare, e occorre farlo con prudenza. L’operazione, ancora più complessa quando ci si confronta con internet, risulta però meno faticosa quando l’esito sembra conforme alle proprie aspettative, cosa che sta avvenendo in questi giorni per quanto riguarda l’analisi degli accessi a www.news.va, il nuovo portale dei media vaticani.
Ideato dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali e inaugurato dallo stesso Benedetto XVI — che nel pomeriggio di martedì 28 giugno ha lanciato il primo tweet — nel primo giorno il sito dove vengono convogliati contributi della Sala Stampa, del Vatican Information Service, della Radio Vaticana, del Centro Televisivo Vaticano, dell’Agenzia Fides e del nostro giornale ha registrato 257.632 visite provenienti da oltre duecento Paesi del mondo. Come era prevedibile un ruolo predominante è spettato agli internauti di lingua inglese, esito confermato anche sui socialnetwork Twitter e Facebook: nel primo i riscontri diretti sono stati 77.321, dei quali quasi 60.000 provenienti da utenti di lingua inglese, nel secondo i «mi piace», oltre 7.000.
Un piccolo primato, in questo avvio particolarmente riuscito, spetta proprio a «L’Osservatore Romano», Unicuique suum verrebbe da dire, anche se sarebbe inopportuno indirizzare il Non praevalebunt che segue ai fratelli minori (per età) delle altre istituzioni vaticane. In realtà il quotidiano ha avuto il solo merito di adempiere al proprio dovere, mettendo d’apertura in prima pagina un testo intitolato «Il momento più importante della mia vita — Sessant’anni fa, il 29 giugno 1951, Joseph Ratzinger veniva ordinato sacerdote», che è risultato essere il più cliccato con 12.991 visite da internauti anglofoni e oltre 3.463 da navigatori di lingua italiana.
Grazie allora a tutti gli oltre 250.000 visitatori e un «grazie particolare» ai 16.454 che hanno cliccato proprio sul nostro articolo. Nessuno di loro ha mangiato mezzo pollo, ci spiegano i nostri esperti di informatica, ma un pezzettino forse sì.
(©L'Osservatore Romano 30 giugno - 1 luglio 2011)
A Liegi Messa per il 60° di ordinazione del Papa. In Inghilterra ricevimento del Nunzio per l'anniversario del Santo Padre
Clicca qui per leggere la notizia che proviene dal Belgio (traduzione). Qui per quella d'Inghilterra (traduzione). Grazie a Mariateresa per le segnaalazioni.
Benedetto XVI mette in guardia la cultura moderna dal "dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo di tutto" (Izzo)
PAPA: SCIENZA NON E' UNICO VERO SAPERE, RAGIONE NON SIA DISPOTICA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
Benedetto XVI mette in guardia la cultura moderna dal "dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo di tutto", un rischio che si e' corso in ogni tempo, come ammoniva gia' nel 1200 San Bonaventura.
"La ragione sperimentale - spiega il Pontefice nella lectio magistralis tenuta questa mattina in occasione della consegna del 'Premio Ratzinger' - appare oggi ampiamente come l'unica forma di razionalita' dichiarata scientifica: cio' che non puo' essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell'ambito scientifico". Il Papa non condanna affatto il metodo scientifico, anzi riconosce che "con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose" e rileva che "nessuno vorra' seriamente porre in dubbio" che essa "sia giusta e necessaria nell'ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi".
"Esiste tuttavia - osserva - un limite a tale uso della ragione: Dio non e' un oggetto della sperimentazione umana. Egli e' Soggetto e si manifesta soltanto nel rapporto da persona a persona: cio' fa parte dell'essenza della persona". "La teologia - argomenta Joseph Ratzinger tornando per un giorno professore per rivolgersi da collega agli altri teologi presenti - e' scienza della fede, ci dice la tradizione.
Ma qui sorge subito la domanda: e' davvero possibile? O non e' questo in se' una contraddizione?". "Scienza - si chiede il Papa - non e' forse il contrario di fede? Non cessa la fede di essere fede, quando diventa scienza? E non cessa la scienza di essere scienza quando e' ordinata o addirittura subordinata alla fede?". Si tratta di questioni, ricorda, che "gia' per la teologia medievale rappresentavano un serio problemae che con il moderno concetto di scienza sono diventate ancora piu' impellenti, a prima vista addirittura senza soluzione". Secondo il professor Ratzinger, "si comprende cosi' perche', nell'eta' moderna, la teologia in vasti ambiti si sia ritirata primariamente nel campo della storia, al fine di dimostrare qui la sua seria scientificita'". "Bisogna riconoscere con gratitudine - esorta manifestando comunque apprezzamento per l'impegno di tanti studiosi - che con cio' sono state realizzate opere grandiose, e il messaggio cristiano ha ricevuto nuova luce, capace di renderne visibile l'intima ricchezza". "Tuttavia - ammonisce il Pontefice - se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio".
Il Papa ritiene limitante anche il concentrarsi di tanti teologi di oggi "sulla prassi, per mostrare come la teologia, in collegamento con la psicologia e la sociologia, sia una scienza utile che dona indicazioni concrete per la vita". "Anche questo - spiega - e' importante, ma se il fondamento della teologia, la fede, non diviene contemporaneamente oggetto del pensiero, se la prassi e' riferita solo a se stessa, oppure vive unicamente dei prestiti delle scienze umane, allora la prassi diventa vuota e priva di fondamento".
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Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
Benedetto XVI mette in guardia la cultura moderna dal "dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo di tutto", un rischio che si e' corso in ogni tempo, come ammoniva gia' nel 1200 San Bonaventura.
"La ragione sperimentale - spiega il Pontefice nella lectio magistralis tenuta questa mattina in occasione della consegna del 'Premio Ratzinger' - appare oggi ampiamente come l'unica forma di razionalita' dichiarata scientifica: cio' che non puo' essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell'ambito scientifico". Il Papa non condanna affatto il metodo scientifico, anzi riconosce che "con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose" e rileva che "nessuno vorra' seriamente porre in dubbio" che essa "sia giusta e necessaria nell'ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi".
"Esiste tuttavia - osserva - un limite a tale uso della ragione: Dio non e' un oggetto della sperimentazione umana. Egli e' Soggetto e si manifesta soltanto nel rapporto da persona a persona: cio' fa parte dell'essenza della persona". "La teologia - argomenta Joseph Ratzinger tornando per un giorno professore per rivolgersi da collega agli altri teologi presenti - e' scienza della fede, ci dice la tradizione.
Ma qui sorge subito la domanda: e' davvero possibile? O non e' questo in se' una contraddizione?". "Scienza - si chiede il Papa - non e' forse il contrario di fede? Non cessa la fede di essere fede, quando diventa scienza? E non cessa la scienza di essere scienza quando e' ordinata o addirittura subordinata alla fede?". Si tratta di questioni, ricorda, che "gia' per la teologia medievale rappresentavano un serio problemae che con il moderno concetto di scienza sono diventate ancora piu' impellenti, a prima vista addirittura senza soluzione". Secondo il professor Ratzinger, "si comprende cosi' perche', nell'eta' moderna, la teologia in vasti ambiti si sia ritirata primariamente nel campo della storia, al fine di dimostrare qui la sua seria scientificita'". "Bisogna riconoscere con gratitudine - esorta manifestando comunque apprezzamento per l'impegno di tanti studiosi - che con cio' sono state realizzate opere grandiose, e il messaggio cristiano ha ricevuto nuova luce, capace di renderne visibile l'intima ricchezza". "Tuttavia - ammonisce il Pontefice - se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio".
Il Papa ritiene limitante anche il concentrarsi di tanti teologi di oggi "sulla prassi, per mostrare come la teologia, in collegamento con la psicologia e la sociologia, sia una scienza utile che dona indicazioni concrete per la vita". "Anche questo - spiega - e' importante, ma se il fondamento della teologia, la fede, non diviene contemporaneamente oggetto del pensiero, se la prassi e' riferita solo a se stessa, oppure vive unicamente dei prestiti delle scienze umane, allora la prassi diventa vuota e priva di fondamento".
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La Bellezza della Verità e dell'Amore. A pochi giorni dall'inaugurazione il card. Ravasi presenta la mostra-omaggio di 60 artisti per Benedetto XVI (R.V.)
Clicca qui per leggere ed ascoltare la notizia.
SS. Pietro e Paolo: Castel Sant'Angelo gremita per i fuochi d'artificio (Flavia Grossi)
Clicca qui per leggere l'articolo segnalatoci dalla nostra Laura.
Il Papa: fedele al Magistero, l'Osservatore sia però giornale di idee. Il quotidiano ha difeso la verità e la giustizia in anni tremendi. Anche su internet l'Osservatore resta un faro che orienta (Izzo)
PAPA: FEDELE AL MAGISTERO L'OSSERVATORE SIA PERO' GIORNALE IDEE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
Dare conto del "servizio reso alla verita' e alla comunione cattolica da parte della Sede del Successore di Pietro" e' da sempre il primo compito dell'Osservatore Romano. Lo ricorda Benedetto XVI in una lunga lettera al professor Giovanni Maria Vian, il direttore del giornale vaticano, una testata che anche oggi, "in questo tempo segnato spesso dalla mancanza di punti di riferimento e dalla rimozione di Dio dall'orizzonte di molte societa', anche di antica tradizione cristiana, si presenta come un 'giornale di idee', come un organo di formazione e non solo di informazione".
Nella lettera per i 150 anni della testata, che ricorrono domani, il Papa fa sua l'espressione di Paolo VI che defini' l'Osservatore "quotidiano singolarissimo" per le sue "caratteristiche uniche" e riconosce al giornale della Santa Sede il merito indubbio di aver "riportato puntualmente gli interventi pontifici", aver "seguito i due Concili celebrati in Vaticano e le molte Assemblee sinodali, espressione della vitalita' e della ricchezza di doni della Chiesa", e questo senza aver "mai dimenticato di evidenziare anche la presenza, l'opera e la situazione delle comunita' cattoliche nel mondo, che vivono talvolta in condizioni drammatiche". L'Osservatore, auspica quindi il Pontefice, "deve sapere mantenere fedelmente il compito svolto in questo secolo e mezzo, con attenzione anche all'Oriente cristiano, all'irreversibile impegno ecumenico delle diverse Chiese e Comunita' ecclesiali, alla ricerca costante di amicizia e collaborazione con l'Ebraismo e con le altre religioni, al dibattito e al confronto culturale, alla voce delle donne, ai temi bioetici che pongono questioni per tutti decisive". Il Papa teologo si complimenta poi con il professor Vian per l'apertura che ha saputo dare al giornale, "continuando l'apertura a nuove firme, tra cui quelle di un numero crescente di collaboratrici e accentuando la dimensione e il respiro internazionali presenti sin dalle origini del quotidiano, dopo centocinquant'anni di una storia di cui puo' andare orgoglioso". "L'Osservatore Romano - scrive Joseph Ratzinger - sa cosi' esprimere la cordiale amicizia della Santa Sede per l'umanita' del nostro tempo, in difesa della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio e redenta da Cristo.Per un giornale quotidiano centocinquant'anni di vita sono un periodo davvero considerevole, un lungo e significativo cammino ricco di gioie, di difficolta', di impegno, di soddisfazioni, di grazia".
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PAPA: OSSERVATORE HA DIFESO VERITA' E GIUSTIZIA IN ANNI TREMENDI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
"L'Osservatore Romano ebbe origine in un contesto difficile e decisivo per il Papato, con la consapevolezza e la volonta' di difendere e sostenere le ragioni della Sede Apostolica, che sembrava essere messa in pericolo da forze ostili".
Lo ricorda il Papa nella lunga lettera indirizzata al professor Giovanni Maria Vian, il direttore del quotidiano della Santa Sede che festeggia domani i suoi 150 anni. "Fondato per iniziativa privata con l'appoggio del Governo pontificio, questo foglio serale - sottolinea il Papa - si defini' 'politico religioso', proponendosi come obiettivo la difesa del principio di giustizia, nella convinzione, fondata sulla parola di Cristo, che il male non avra' l'ultima parola. Tale obiettivo e tale convinzione furono espressi dai due celebri motti latini che, sin dal primo numero del 1862, si leggono sotto la sua testata: 'Unicuique suum' e, soprattutto, 'Non praevalebunt'".
"Avvertita poi come provvidenziale nonostante soprusi e atti ingiusti subiti dal Papato", nel 1870 la fine del potere temporale, "non travolse l'Osservatore Romano "ne' rese inutili la sua presenza e la sua funzione", ricostruisce Benedetto XVI notando che "anzi, un quindicennio piu' tardi, la Santa Sede decise di acquisirne la proprieta'".
Secondo il Papa attuale, "il controllo diretto del giornale da parte dell'autorita' pontificia ne aumento' con il tempo prestigio e autorevolezza, che crebbero ulteriormente in seguito, soprattutto per la linea di imparzialita' e di coraggio mantenuta di fronte alle tragedie e agli orrori che segnarono la prima meta' del Novecento", divenendo, afferma Benedetto XVI con le parole dell'allora segretario di Stato Gasparri, "eco 'fedele di un istituto internazionale e supernazionale'".
"Si susseguirono - continua Joseph Ratzinger nella sua lettera - avvenimenti tragici: il primo conflitto mondiale, che devasto' l'Europa cambiandone il volto; l'affermarsi dei totalitarismi, con ideologie nefaste che hanno negato la verita' e oppresso l'uomo; infine, gli orrori della shoah e della seconda guerra mondiale".
"In quegli anni tremendi, e poi durante il periodo della guerra fredda e della persecuzione anticristiana attuata dai regimi comunisti in molti Paesi, nonostante la ristrettezza dei mezzi e delle forze, il giornale della Santa Sede - da' atto il Papa tedesco - seppe informare con onesta' e liberta', sostenendo l'opera coraggiosa di Benedetto XV, di Pio XI e di Pio XII in difesa della verita' e della giustizia, unico fondamento della pace". Cosi', "dal secondo conflitto mondiale l'Osservatore Romano pote' uscire a testa alta", conclude Papa Ratzinger citando in proposito anche "autorevoli voci laiche".
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PAPA: ANCHE SU INTERNET L'OSSERVATORE RESTA UN FARO CHE ORIENTA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu. - Benedetto XVI, il Papa che con un "click" ha pubblicato personalmente martedi' scorso il nuovo sito "news.va", saluta con entusiasmo la "presenza in internet sempre piu' efficace" dell'Osservatore Romano e il suo nuovo sito ("www.osservatoreromano.va"). Nella lettera per i 150 anni della gloriosa testata vaticana, indirizzata al direttore, professor Giovanni Maria Vian, e' riportato anche quanto affermato nel 1961 dall'allora cardinale Giovanni Battista Montini (che due anni dopo sarebbe diventato Papa con il nome di Paolo VI) per il quale nel periodo piu' tragico del '900 "avvenne come quando in una sala si spengono tutte le luci, e ne rimane accesa una sola: tutti gli sguardi si dirigono verso quella rimasta accesa; e per fortuna questa era la luce vaticana, la luce tranquilla e fiammante, alimentata da quella apostolica di Pietro".
E allora proprio "l'Osservatore apparve allora quello che, in sostanza, e' sempre: un faro orientatore".
"Nella seconda meta' del Novecento - scrive ancora Papa Ratzinger - il giornale ha iniziato a circolare in tutto il mondo attraverso una corona di edizioni periodiche in diverse lingue, stampate non piu' soltanto in Vaticano: attualmente otto, tra cui, dal 2008, anche la versione in malayalam pubblicata in India, la prima interamente in caratteri non latini. A partire dallo stesso anno, in una stagione difficile per i media tradizionali, la diffusione e' sostenuta da abbinamenti con altre testate in Spagna, in Italia, in Portogallo". "Per tutto questo - spiega il Pontefice - desidero rivolgere il mio pensiero riconoscente a tutti coloro che, dal 1861 fino ad oggi, hanno lavorato al giornale della Santa Sede: ai direttori, ai redattori e a tutto il personale". Al professor Vian e a quanti con lui "cooperano attualmente in questo entusiasmante, impegnativo e benemerito servizio alla verita' e alla giustizia, come pure ai benefattori e ai sostenitori", Papa Ratzinger assicura infine la sua "costante vicinanza spirituale".
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Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
Dare conto del "servizio reso alla verita' e alla comunione cattolica da parte della Sede del Successore di Pietro" e' da sempre il primo compito dell'Osservatore Romano. Lo ricorda Benedetto XVI in una lunga lettera al professor Giovanni Maria Vian, il direttore del giornale vaticano, una testata che anche oggi, "in questo tempo segnato spesso dalla mancanza di punti di riferimento e dalla rimozione di Dio dall'orizzonte di molte societa', anche di antica tradizione cristiana, si presenta come un 'giornale di idee', come un organo di formazione e non solo di informazione".
Nella lettera per i 150 anni della testata, che ricorrono domani, il Papa fa sua l'espressione di Paolo VI che defini' l'Osservatore "quotidiano singolarissimo" per le sue "caratteristiche uniche" e riconosce al giornale della Santa Sede il merito indubbio di aver "riportato puntualmente gli interventi pontifici", aver "seguito i due Concili celebrati in Vaticano e le molte Assemblee sinodali, espressione della vitalita' e della ricchezza di doni della Chiesa", e questo senza aver "mai dimenticato di evidenziare anche la presenza, l'opera e la situazione delle comunita' cattoliche nel mondo, che vivono talvolta in condizioni drammatiche". L'Osservatore, auspica quindi il Pontefice, "deve sapere mantenere fedelmente il compito svolto in questo secolo e mezzo, con attenzione anche all'Oriente cristiano, all'irreversibile impegno ecumenico delle diverse Chiese e Comunita' ecclesiali, alla ricerca costante di amicizia e collaborazione con l'Ebraismo e con le altre religioni, al dibattito e al confronto culturale, alla voce delle donne, ai temi bioetici che pongono questioni per tutti decisive". Il Papa teologo si complimenta poi con il professor Vian per l'apertura che ha saputo dare al giornale, "continuando l'apertura a nuove firme, tra cui quelle di un numero crescente di collaboratrici e accentuando la dimensione e il respiro internazionali presenti sin dalle origini del quotidiano, dopo centocinquant'anni di una storia di cui puo' andare orgoglioso". "L'Osservatore Romano - scrive Joseph Ratzinger - sa cosi' esprimere la cordiale amicizia della Santa Sede per l'umanita' del nostro tempo, in difesa della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio e redenta da Cristo.Per un giornale quotidiano centocinquant'anni di vita sono un periodo davvero considerevole, un lungo e significativo cammino ricco di gioie, di difficolta', di impegno, di soddisfazioni, di grazia".
© Copyright (AGI)
PAPA: OSSERVATORE HA DIFESO VERITA' E GIUSTIZIA IN ANNI TREMENDI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
"L'Osservatore Romano ebbe origine in un contesto difficile e decisivo per il Papato, con la consapevolezza e la volonta' di difendere e sostenere le ragioni della Sede Apostolica, che sembrava essere messa in pericolo da forze ostili".
Lo ricorda il Papa nella lunga lettera indirizzata al professor Giovanni Maria Vian, il direttore del quotidiano della Santa Sede che festeggia domani i suoi 150 anni. "Fondato per iniziativa privata con l'appoggio del Governo pontificio, questo foglio serale - sottolinea il Papa - si defini' 'politico religioso', proponendosi come obiettivo la difesa del principio di giustizia, nella convinzione, fondata sulla parola di Cristo, che il male non avra' l'ultima parola. Tale obiettivo e tale convinzione furono espressi dai due celebri motti latini che, sin dal primo numero del 1862, si leggono sotto la sua testata: 'Unicuique suum' e, soprattutto, 'Non praevalebunt'".
"Avvertita poi come provvidenziale nonostante soprusi e atti ingiusti subiti dal Papato", nel 1870 la fine del potere temporale, "non travolse l'Osservatore Romano "ne' rese inutili la sua presenza e la sua funzione", ricostruisce Benedetto XVI notando che "anzi, un quindicennio piu' tardi, la Santa Sede decise di acquisirne la proprieta'".
Secondo il Papa attuale, "il controllo diretto del giornale da parte dell'autorita' pontificia ne aumento' con il tempo prestigio e autorevolezza, che crebbero ulteriormente in seguito, soprattutto per la linea di imparzialita' e di coraggio mantenuta di fronte alle tragedie e agli orrori che segnarono la prima meta' del Novecento", divenendo, afferma Benedetto XVI con le parole dell'allora segretario di Stato Gasparri, "eco 'fedele di un istituto internazionale e supernazionale'".
"Si susseguirono - continua Joseph Ratzinger nella sua lettera - avvenimenti tragici: il primo conflitto mondiale, che devasto' l'Europa cambiandone il volto; l'affermarsi dei totalitarismi, con ideologie nefaste che hanno negato la verita' e oppresso l'uomo; infine, gli orrori della shoah e della seconda guerra mondiale".
"In quegli anni tremendi, e poi durante il periodo della guerra fredda e della persecuzione anticristiana attuata dai regimi comunisti in molti Paesi, nonostante la ristrettezza dei mezzi e delle forze, il giornale della Santa Sede - da' atto il Papa tedesco - seppe informare con onesta' e liberta', sostenendo l'opera coraggiosa di Benedetto XV, di Pio XI e di Pio XII in difesa della verita' e della giustizia, unico fondamento della pace". Cosi', "dal secondo conflitto mondiale l'Osservatore Romano pote' uscire a testa alta", conclude Papa Ratzinger citando in proposito anche "autorevoli voci laiche".
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PAPA: ANCHE SU INTERNET L'OSSERVATORE RESTA UN FARO CHE ORIENTA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu. - Benedetto XVI, il Papa che con un "click" ha pubblicato personalmente martedi' scorso il nuovo sito "news.va", saluta con entusiasmo la "presenza in internet sempre piu' efficace" dell'Osservatore Romano e il suo nuovo sito ("www.osservatoreromano.va"). Nella lettera per i 150 anni della gloriosa testata vaticana, indirizzata al direttore, professor Giovanni Maria Vian, e' riportato anche quanto affermato nel 1961 dall'allora cardinale Giovanni Battista Montini (che due anni dopo sarebbe diventato Papa con il nome di Paolo VI) per il quale nel periodo piu' tragico del '900 "avvenne come quando in una sala si spengono tutte le luci, e ne rimane accesa una sola: tutti gli sguardi si dirigono verso quella rimasta accesa; e per fortuna questa era la luce vaticana, la luce tranquilla e fiammante, alimentata da quella apostolica di Pietro".
E allora proprio "l'Osservatore apparve allora quello che, in sostanza, e' sempre: un faro orientatore".
"Nella seconda meta' del Novecento - scrive ancora Papa Ratzinger - il giornale ha iniziato a circolare in tutto il mondo attraverso una corona di edizioni periodiche in diverse lingue, stampate non piu' soltanto in Vaticano: attualmente otto, tra cui, dal 2008, anche la versione in malayalam pubblicata in India, la prima interamente in caratteri non latini. A partire dallo stesso anno, in una stagione difficile per i media tradizionali, la diffusione e' sostenuta da abbinamenti con altre testate in Spagna, in Italia, in Portogallo". "Per tutto questo - spiega il Pontefice - desidero rivolgere il mio pensiero riconoscente a tutti coloro che, dal 1861 fino ad oggi, hanno lavorato al giornale della Santa Sede: ai direttori, ai redattori e a tutto il personale". Al professor Vian e a quanti con lui "cooperano attualmente in questo entusiasmante, impegnativo e benemerito servizio alla verita' e alla giustizia, come pure ai benefattori e ai sostenitori", Papa Ratzinger assicura infine la sua "costante vicinanza spirituale".
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Giorno e notte come un fabbro nella sua fucina. Intervista al prof. Olegario González de Cardedal, uno dei vincitori del "Premio Ratzinger" (Lago)
Giorno e notte come un fabbro nella sua fucina
di MARTA LAGO
Nel ricevere il "Premio Ratzinger" i ricordi si affollano, con precisione e ordine, nella mente del professor Olegario González de Cardedal (che preferisce essere chiamato affettuosamente don Olegario). Non nasconde l'emozione e descrive il suo lavoro teologico, e pedagogico, ricorrendo all'immagine del fabbro impegnato giorno e notte nella sua fucina a forgiare il metallo sull'incudine. Don Olegario ha portato la teologia in luoghi dove potesse avere una degna collocazione - televisione, stampa nazionale, Real Accademia Spagnola delle Scienze morali e politiche e, ovviamente, prima fra tutti l'università. Castigliano nato ad Ávila, è orgoglioso delle sue origini rurali, un mondo aperto - dice conversando con "L'Osservatore Romano" - di alta montagna e colline. Ha forgiato una cinquantina di termini per poter dire in lingua spagnola, precisa e moderna, quanto cesellato dalla più illustre teologia e quanto hanno detto le altre teologie europee. Secondo la sua opinione, con il "Premio Ratzinger", si è anche nobilitato il castigliano. Ecco perché dedica il premio alla Spagna e "a quella generazione di società, di Chiesa e di teologia che fecero del concilio Vaticano II il punto di partenza e la fonte nutritiva per una nuova Chiesa e per una società libera, moderna e riconciliata".
Con che spirito riceve il "Premio Ratzinger"?
Credo che sia il riconoscimento di una forma di vita dedicata pienamente alla teologia nella Chiesa e nella cultura pubblica. Nella mia veste di sacerdote, non ho fatto altro che essere teologo, nella complessità di ciò che la teologia rappresenta nell'università, nella Chiesa e nella società.
Si potrebbe quasi dire che il premio non è un punto di arrivo ma di partenza. Una più ampia chiamata all'impegno nel lavoro teologico.
Il senso del premio è valorizzare e favorire questo tipo di servizio alla Chiesa. Pertanto, nel momento in cui si conferisce un elogio e un premio, si assegna una responsabilità e un incitamento.
Come si concretizza questa sollecitazione? Che passi deve compiere la teologia nella realtà contemporanea?
Primo, l'attenzione rigorosa verso le istituzioni in cui si pratica questa scienza; secondo, la dedizione personale - a fondo perduto - a esse; terzo, una sensibilità storica di dialogo e di comunicazione con il pensiero contemporaneo: Vangelo-illuminismo; fede-cultura; speranza cristiana - speranze storiche.
La definiscono un grande teologo e un uomo di cultura, punto di riferimento in Spagna. Come si articola questo dialogo che lei armonizza nella sua persona?
Ciò che sembra così peculiare è sempre stato alla base della migliore teologia. Sant'Agostino pensa attraverso la cultura retorica latina e il pensiero greco; san Tommaso lo fa attraverso la migliore tradizione spirituale e teologica e la filosofia di Aristotele; Newman attraverso la tradizione spirituale anglicana e la filosofia del positivismo del suo tempo; Rahner e Balthasar, invece, attraverso la teologia nel cristianesimo e tutto il pensiero europeo. La vera teologia c'è soltanto quando si è uomini di una razionalità storicamente costituita e di una fede ecclesiasticamente costituita. E queste sono inseparabili. Perché l'uomo che crede è l'uomo che pensa, e l'uomo che pensa è l'uomo che deve credere.
La teologia è la fede pensata...
La teologia è la ragione in cammino verso la fede e la fede in cammino verso la ragione. I due tragitti, di andata e ritorno, sono inseparabili. In una intelligenza che ricerca la fede, ed è una fede che, una volta acquisita, penetra nei suoi contenuti, cerca il suo fondamento e desume le sue conseguenze.
Oggi quali ostacoli avverte rispetto a questa ragionevolezza della teologia?
Se dovessi suggerire due minacce globali - non soltanto per la teologia ma anche per la Chiesa, la fede e la cultura - distinguerei da un lato un fondamentalismo integralista che non consente di aprire gli occhi a ciò che la ragione moderna nella sua complessità ha apportato sia di positivo che di negativo. E dall'altro un razionalismo positivista che riduce la ragione a una forma di razionalità tecnica, scientifica, quantitativa, come se quello fosse il sommo criterio della vera ragione. Ci sono molteplici esercitazioni della ragione: filosofica, poetica, scientifica, religiosa e metafisica. Questo vasto mondo è quello che plasma la complessità delle certezze e delle speranze della vita umana. Il positivismo razionalista è una secessione e una decapitazione della complessa razionalità alla quale siamo chiamati.
Si ha bisogno di una teologia più vicina, più accessibile?
La teologia si esercita su diversi livelli. Esiste una esercitazione teorica, tecnica, scientifica, rigorosa, di fonti, testi, metodi ed ermeneutiche che si esercita nell'università. E ciò deve avere tutto il rigore critico, metodologico e di stile che si richiede alle altre scienze. Esiste un secondo livello che è di trasmissione di grandi percezioni, valori e verità alla grande generalità della Chiesa. V'è poi, in terzo luogo, una trasmissione più pedagogica, didattica, in piccoli gruppi, associazioni, parrocchie e movimenti.
Tutto ciò va differenziato, preparando le persone affinché lo compiano ognuna al proprio livello. A volte il grande cattedratico è carente di questa capacità pedagogica di trasmissione, e viceversa. Distinguere per unire è anche qui un criterio essenziale.
Tre livelli. Affrontano qualche sfida?
Esiste e deve esistere una sorta di retroalimentazione. Soltanto con il primo livello rimarremmo in un concettualismo, tecnicismo, positivismo puro. Soltanto con il secondo ci limiteremmo a una pura esercitazione di devozione. Soltanto con il terzo livello la teologia sarebbe ridotta a una mera funzione sociale e culturale. C'è una retroalimentazione. Per esempio dinanzi alla tentazione del positivismo, del concettualismo e dello scientificismo, l'esperienza vissuta di Chiesa, di fede, di testimonianza, di Vangelo nel terzo livello rinvia al primo livello per domandare in che misura è Vangelo quello che stanno facendo. Allo stesso tempo, bisogna curare il terzo livello perché non soccomba alla magia, alla politica, al fondamentalismo, al semplice vissuto della fede.
Qualche appunto sul futuro immediato della teologia?
Lasciamolo nelle mani di Dio e nell'impegno e nella speranza che noi uomini dobbiamo porre in essa.
(©L'Osservatore Romano 30 giugno - 1 luglio 2011)
di MARTA LAGO
Nel ricevere il "Premio Ratzinger" i ricordi si affollano, con precisione e ordine, nella mente del professor Olegario González de Cardedal (che preferisce essere chiamato affettuosamente don Olegario). Non nasconde l'emozione e descrive il suo lavoro teologico, e pedagogico, ricorrendo all'immagine del fabbro impegnato giorno e notte nella sua fucina a forgiare il metallo sull'incudine. Don Olegario ha portato la teologia in luoghi dove potesse avere una degna collocazione - televisione, stampa nazionale, Real Accademia Spagnola delle Scienze morali e politiche e, ovviamente, prima fra tutti l'università. Castigliano nato ad Ávila, è orgoglioso delle sue origini rurali, un mondo aperto - dice conversando con "L'Osservatore Romano" - di alta montagna e colline. Ha forgiato una cinquantina di termini per poter dire in lingua spagnola, precisa e moderna, quanto cesellato dalla più illustre teologia e quanto hanno detto le altre teologie europee. Secondo la sua opinione, con il "Premio Ratzinger", si è anche nobilitato il castigliano. Ecco perché dedica il premio alla Spagna e "a quella generazione di società, di Chiesa e di teologia che fecero del concilio Vaticano II il punto di partenza e la fonte nutritiva per una nuova Chiesa e per una società libera, moderna e riconciliata".
Con che spirito riceve il "Premio Ratzinger"?
Credo che sia il riconoscimento di una forma di vita dedicata pienamente alla teologia nella Chiesa e nella cultura pubblica. Nella mia veste di sacerdote, non ho fatto altro che essere teologo, nella complessità di ciò che la teologia rappresenta nell'università, nella Chiesa e nella società.
Si potrebbe quasi dire che il premio non è un punto di arrivo ma di partenza. Una più ampia chiamata all'impegno nel lavoro teologico.
Il senso del premio è valorizzare e favorire questo tipo di servizio alla Chiesa. Pertanto, nel momento in cui si conferisce un elogio e un premio, si assegna una responsabilità e un incitamento.
Come si concretizza questa sollecitazione? Che passi deve compiere la teologia nella realtà contemporanea?
Primo, l'attenzione rigorosa verso le istituzioni in cui si pratica questa scienza; secondo, la dedizione personale - a fondo perduto - a esse; terzo, una sensibilità storica di dialogo e di comunicazione con il pensiero contemporaneo: Vangelo-illuminismo; fede-cultura; speranza cristiana - speranze storiche.
La definiscono un grande teologo e un uomo di cultura, punto di riferimento in Spagna. Come si articola questo dialogo che lei armonizza nella sua persona?
Ciò che sembra così peculiare è sempre stato alla base della migliore teologia. Sant'Agostino pensa attraverso la cultura retorica latina e il pensiero greco; san Tommaso lo fa attraverso la migliore tradizione spirituale e teologica e la filosofia di Aristotele; Newman attraverso la tradizione spirituale anglicana e la filosofia del positivismo del suo tempo; Rahner e Balthasar, invece, attraverso la teologia nel cristianesimo e tutto il pensiero europeo. La vera teologia c'è soltanto quando si è uomini di una razionalità storicamente costituita e di una fede ecclesiasticamente costituita. E queste sono inseparabili. Perché l'uomo che crede è l'uomo che pensa, e l'uomo che pensa è l'uomo che deve credere.
La teologia è la fede pensata...
La teologia è la ragione in cammino verso la fede e la fede in cammino verso la ragione. I due tragitti, di andata e ritorno, sono inseparabili. In una intelligenza che ricerca la fede, ed è una fede che, una volta acquisita, penetra nei suoi contenuti, cerca il suo fondamento e desume le sue conseguenze.
Oggi quali ostacoli avverte rispetto a questa ragionevolezza della teologia?
Se dovessi suggerire due minacce globali - non soltanto per la teologia ma anche per la Chiesa, la fede e la cultura - distinguerei da un lato un fondamentalismo integralista che non consente di aprire gli occhi a ciò che la ragione moderna nella sua complessità ha apportato sia di positivo che di negativo. E dall'altro un razionalismo positivista che riduce la ragione a una forma di razionalità tecnica, scientifica, quantitativa, come se quello fosse il sommo criterio della vera ragione. Ci sono molteplici esercitazioni della ragione: filosofica, poetica, scientifica, religiosa e metafisica. Questo vasto mondo è quello che plasma la complessità delle certezze e delle speranze della vita umana. Il positivismo razionalista è una secessione e una decapitazione della complessa razionalità alla quale siamo chiamati.
Si ha bisogno di una teologia più vicina, più accessibile?
La teologia si esercita su diversi livelli. Esiste una esercitazione teorica, tecnica, scientifica, rigorosa, di fonti, testi, metodi ed ermeneutiche che si esercita nell'università. E ciò deve avere tutto il rigore critico, metodologico e di stile che si richiede alle altre scienze. Esiste un secondo livello che è di trasmissione di grandi percezioni, valori e verità alla grande generalità della Chiesa. V'è poi, in terzo luogo, una trasmissione più pedagogica, didattica, in piccoli gruppi, associazioni, parrocchie e movimenti.
Tutto ciò va differenziato, preparando le persone affinché lo compiano ognuna al proprio livello. A volte il grande cattedratico è carente di questa capacità pedagogica di trasmissione, e viceversa. Distinguere per unire è anche qui un criterio essenziale.
Tre livelli. Affrontano qualche sfida?
Esiste e deve esistere una sorta di retroalimentazione. Soltanto con il primo livello rimarremmo in un concettualismo, tecnicismo, positivismo puro. Soltanto con il secondo ci limiteremmo a una pura esercitazione di devozione. Soltanto con il terzo livello la teologia sarebbe ridotta a una mera funzione sociale e culturale. C'è una retroalimentazione. Per esempio dinanzi alla tentazione del positivismo, del concettualismo e dello scientificismo, l'esperienza vissuta di Chiesa, di fede, di testimonianza, di Vangelo nel terzo livello rinvia al primo livello per domandare in che misura è Vangelo quello che stanno facendo. Allo stesso tempo, bisogna curare il terzo livello perché non soccomba alla magia, alla politica, al fondamentalismo, al semplice vissuto della fede.
Qualche appunto sul futuro immediato della teologia?
Lasciamolo nelle mani di Dio e nell'impegno e nella speranza che noi uomini dobbiamo porre in essa.
(©L'Osservatore Romano 30 giugno - 1 luglio 2011)
Il Papa: "Dio non è un oggetto della sperimentazione umana” (AsiaNews)
VATICANO
Papa: "Dio non è un oggetto della sperimentazione umana”
In occasione della consegna del “Premio Ratzinger”, Benedetto XVI parla del ruolo della “scienza della fede”, ossia della ricerca da parte della ragione umana del Volto di Dio. C’è il “dispotismo della ragione” che vuole essere giudice di tutto e “la sete” di conoscere sempre meglio l’oggetto del proprio amore.
Città del Vaticano (AsiaNews)
“Dio non è un oggetto della sperimentazione umana”, ma se essa non può provarne o negarne l’esistenza, ciò non significa che la ragione umana non possa cercarlo, che anzi la ricerca della verità mette “sulla strada verso Dio”. “Quando non c’è questo uso della ragione, allora le grandi questioni dell’umanità cadono fuori dell’ambito della ragione e vengono lasciate all’irrazionalità. Per questo un’autentica teologia è così importante”. La consegna, questa mattina, del “Premio Ratzinger” ha dato occasione a Benedetto XVI per una riflessione su “che cos’è la teologia”, ossia la “scienza della fede”, in un contesto culturale nel quale “la ragione sperimentale appare oggi ampiamente come l’unica forma di razionalità dichiarata scientifica
“Se Cristo è il Logos, la verità, l’uomo deve corrispondere a Lui con il suo proprio logos, con la sua ragione. Per arrivare fino a Cristo, egli deve essere sulla via della verità. Deve aprirsi al Logos, alla Ragione creatrice, da cui deriva la sua stessa ragione e a cui essa lo rimanda. Da qui si capisce che la fede cristiana, per la sua stessa natura, deve suscitare la teologia, doveva interrogarsi sulla ragionevolezza della fede, anche se naturalmente il concetto di ragione e quello di scienza abbracciano molte dimensioni, e così la natura concreta del nesso tra fede e ragione doveva e deve sempre nuovamente essere scandagliata”.
“Per quanto si presenti dunque chiara nel cristianesimo il nesso fondamentale tra Logos, verità e fede – la forma concreta di tale nesso ha suscitato e suscita sempre nuove domande. È chiaro che in questo momento tale domanda, che ha occupato e occuperà tutte le generazioni, non può essere trattata in dettaglio, e neppure a grandi linee. Vorrei tentare soltanto di proporre una piccola nota. San Bonaventura, nel prologo al suo Commento alle Sentenze ha parlato di un duplice uso della ragione – di un uso che è inconciliabile con la natura della fede e di uno che invece appartiene proprio alla natura della fede. Esiste la violentia rationis, il dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo di tutto. Questo genere di uso della ragione è certamente impossibile nell’ambito della fede”.
In questa modalità di uso della ragione, Dio “viene, per così dire, sottoposto ad un interrogatorio e deve sottomettersi ad un procedimento di prova sperimentale. Questa modalità di uso della ragione, nell’età moderna, ha raggiunto il culmine del suo sviluppo nell’ambito delle scienze naturali. La ragione sperimentale appare oggi ampiamente come l’unica forma di razionalità dichiarata scientifica. Ciò che non può essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell’ambito scientifico. Con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose; che essa sia giusta e necessaria nell’ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi nessuno vorrà seriamente porlo in dubbio. Esiste tuttavia un limite a tale uso della ragione: Dio non è un oggetto della sperimentazione umana. Egli è Soggetto e si manifesta soltanto nel rapporto da persona a persona: ciò fa parte dell’essenza della persona”.
“In questa prospettiva Bonaventura fa cenno ad un secondo uso della ragione, che vale per l’ambito del ‘personale’, per le grandi questioni dello stesso essere uomini. L’amore vuole conoscere meglio colui che ama. L’amore, l’amore vero, non rende ciechi, ma vedenti. Di esso fa parte proprio la sete di conoscenza, di una vera conoscenza dell’altro. Per questo, i Padri della Chiesa hanno trovato i precursori e gli antesignani del cristianesimo – al di fuori del mondo della rivelazione di Israele – non nell’ambito della religione consuetudinaria, bensì negli uomini in ricerca di Dio, nei "filosofi": in persone che erano assetate di verità ed erano quindi sulla strada verso Dio. Quando non c’è questo uso della ragione, allora le grandi questioni dell’umanità cadono fuori dell’ambito della ragione e vengono lasciate all’irrazionalità. Per questo un’autentica teologia è così importante. La fede retta orienta la ragione ad aprirsi al divino, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, possa conoscere Dio più da vicino. L’iniziativa per questo cammino sta presso Dio, che ha posto nel cuore dell’uomo la ricerca del suo Volto. Fa quindi parte della teologia, da un lato, l’umiltà che si lascia "toccare" da Dio, dall’altro, la disciplina che si lega all’ordine della ragione, preserva l’amore dalla cecità ed aiuta a sviluppare la sua forza visiva”.
“Sono ben consapevole che con tutto ciò non è stata data una risposta alla questione circa la possibilità e il compito della retta teologia, ma è soltanto stata messa in luce la grandezza della sfida insita nella natura della teologia. Tuttavia è proprio di questa sfida che l’uomo ha bisogno, perché essa ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verità stessa, circa il volto di Dio”.
I tre studiosi ad aver avuto il premio sono: Manlio Simonetti, italiano, laico, studioso di letteratura cristiana antica e patrologia; Olegario González de Cardedal, sacerdote spagnolo, docente di teologia sistematica; Maximilian Heim, cistercense, tedesco, abate del monastero di Heiligenkreuz in Austria e docente di teologia fondamentale e dogmatica.
© Copyright AsiaNews
Papa: "Dio non è un oggetto della sperimentazione umana”
In occasione della consegna del “Premio Ratzinger”, Benedetto XVI parla del ruolo della “scienza della fede”, ossia della ricerca da parte della ragione umana del Volto di Dio. C’è il “dispotismo della ragione” che vuole essere giudice di tutto e “la sete” di conoscere sempre meglio l’oggetto del proprio amore.
Città del Vaticano (AsiaNews)
“Dio non è un oggetto della sperimentazione umana”, ma se essa non può provarne o negarne l’esistenza, ciò non significa che la ragione umana non possa cercarlo, che anzi la ricerca della verità mette “sulla strada verso Dio”. “Quando non c’è questo uso della ragione, allora le grandi questioni dell’umanità cadono fuori dell’ambito della ragione e vengono lasciate all’irrazionalità. Per questo un’autentica teologia è così importante”. La consegna, questa mattina, del “Premio Ratzinger” ha dato occasione a Benedetto XVI per una riflessione su “che cos’è la teologia”, ossia la “scienza della fede”, in un contesto culturale nel quale “la ragione sperimentale appare oggi ampiamente come l’unica forma di razionalità dichiarata scientifica
“Se Cristo è il Logos, la verità, l’uomo deve corrispondere a Lui con il suo proprio logos, con la sua ragione. Per arrivare fino a Cristo, egli deve essere sulla via della verità. Deve aprirsi al Logos, alla Ragione creatrice, da cui deriva la sua stessa ragione e a cui essa lo rimanda. Da qui si capisce che la fede cristiana, per la sua stessa natura, deve suscitare la teologia, doveva interrogarsi sulla ragionevolezza della fede, anche se naturalmente il concetto di ragione e quello di scienza abbracciano molte dimensioni, e così la natura concreta del nesso tra fede e ragione doveva e deve sempre nuovamente essere scandagliata”.
“Per quanto si presenti dunque chiara nel cristianesimo il nesso fondamentale tra Logos, verità e fede – la forma concreta di tale nesso ha suscitato e suscita sempre nuove domande. È chiaro che in questo momento tale domanda, che ha occupato e occuperà tutte le generazioni, non può essere trattata in dettaglio, e neppure a grandi linee. Vorrei tentare soltanto di proporre una piccola nota. San Bonaventura, nel prologo al suo Commento alle Sentenze ha parlato di un duplice uso della ragione – di un uso che è inconciliabile con la natura della fede e di uno che invece appartiene proprio alla natura della fede. Esiste la violentia rationis, il dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo di tutto. Questo genere di uso della ragione è certamente impossibile nell’ambito della fede”.
In questa modalità di uso della ragione, Dio “viene, per così dire, sottoposto ad un interrogatorio e deve sottomettersi ad un procedimento di prova sperimentale. Questa modalità di uso della ragione, nell’età moderna, ha raggiunto il culmine del suo sviluppo nell’ambito delle scienze naturali. La ragione sperimentale appare oggi ampiamente come l’unica forma di razionalità dichiarata scientifica. Ciò che non può essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell’ambito scientifico. Con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose; che essa sia giusta e necessaria nell’ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi nessuno vorrà seriamente porlo in dubbio. Esiste tuttavia un limite a tale uso della ragione: Dio non è un oggetto della sperimentazione umana. Egli è Soggetto e si manifesta soltanto nel rapporto da persona a persona: ciò fa parte dell’essenza della persona”.
“In questa prospettiva Bonaventura fa cenno ad un secondo uso della ragione, che vale per l’ambito del ‘personale’, per le grandi questioni dello stesso essere uomini. L’amore vuole conoscere meglio colui che ama. L’amore, l’amore vero, non rende ciechi, ma vedenti. Di esso fa parte proprio la sete di conoscenza, di una vera conoscenza dell’altro. Per questo, i Padri della Chiesa hanno trovato i precursori e gli antesignani del cristianesimo – al di fuori del mondo della rivelazione di Israele – non nell’ambito della religione consuetudinaria, bensì negli uomini in ricerca di Dio, nei "filosofi": in persone che erano assetate di verità ed erano quindi sulla strada verso Dio. Quando non c’è questo uso della ragione, allora le grandi questioni dell’umanità cadono fuori dell’ambito della ragione e vengono lasciate all’irrazionalità. Per questo un’autentica teologia è così importante. La fede retta orienta la ragione ad aprirsi al divino, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, possa conoscere Dio più da vicino. L’iniziativa per questo cammino sta presso Dio, che ha posto nel cuore dell’uomo la ricerca del suo Volto. Fa quindi parte della teologia, da un lato, l’umiltà che si lascia "toccare" da Dio, dall’altro, la disciplina che si lega all’ordine della ragione, preserva l’amore dalla cecità ed aiuta a sviluppare la sua forza visiva”.
“Sono ben consapevole che con tutto ciò non è stata data una risposta alla questione circa la possibilità e il compito della retta teologia, ma è soltanto stata messa in luce la grandezza della sfida insita nella natura della teologia. Tuttavia è proprio di questa sfida che l’uomo ha bisogno, perché essa ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verità stessa, circa il volto di Dio”.
I tre studiosi ad aver avuto il premio sono: Manlio Simonetti, italiano, laico, studioso di letteratura cristiana antica e patrologia; Olegario González de Cardedal, sacerdote spagnolo, docente di teologia sistematica; Maximilian Heim, cistercense, tedesco, abate del monastero di Heiligenkreuz in Austria e docente di teologia fondamentale e dogmatica.
© Copyright AsiaNews
Il sacerdozio di Benedetto XVI (Vian)
Il sacerdozio di Benedetto XVI
Era dal 1897, durante il lungo pontificato di Leone XIII, che un Papa non celebrava il sessantesimo anniversario dell'ordinazione sacerdotale.
E Benedetto XVI lo ha fatto, varcando questo traguardo non abituale, nella festa dei santi Pietro e Paolo -- gli apostoli patroni della Roma felix cantata dai pellegrini medievali e poi dalla liturgia -- in una splendida giornata d'estate. Proprio come quella del 29 giugno 1951 a Frisinga, quando il venerando cardinale Michael von Faulhaber impose le mani sul capo di Joseph Ratzinger, del fratello maggiore Georg e di altri 42 loro compagni.
Tutti quei giovani, eccetto uno, erano più anziani del ventiquattrenne Joseph: la guerra aveva rallentato il corso dei loro studi nel seminario, trasformato in lazzaretto. E con il Papa, presente il fratello, hanno concelebrato tre dei nuovi sacerdoti di allora: Fritz Zimmermann, Bernhard Schweiger e Rupert Berger, che come i due Ratzinger disse la prima messa a Traunstein l'8 luglio successivo. Altri, per l'età, non sono potuti venire, mentre la maggior parte degli amici di quel giorno vive nella comunione dei santi.
E proprio sull'amicizia -- l'amicizia con Dio, l'amicizia cristiana, l'amicizia con ogni persona umana -- Benedetto XVI ha modulato la sua omelia, una meditazione profonda sul sacerdozio rivolta a ogni fedele e a chiunque voglia ascoltare.
Aprendo il cuore alle parole di un uomo che ha dedicato e dedica ogni giorno della sua vita a scoprire la grandezza dell'amore di Dio e a cercare sempre più la sua amicizia. Per andare avanti, oltre «i confini dell'ambiente in cui viviamo, a portare il Vangelo nel mondo degli altri, affinché pervada il tutto e così il mondo si apra per il Regno di Dio». Il Dio rivelatosi definitivamente in Gesù di Nazaret, che è «amico degli uomini» e vuole dai suoi discepoli un frutto che rimanga: l'amore, che si può seminare nelle anime.
È allora provvidenziale che questo sessantesimo anniversario del sacerdozio di Benedetto XVI, celebrato in modo così impegnativo, cada negli stessi giorni in cui il quotidiano della Santa Sede compie un secolo e mezzo. Indicando al giornale che la strada è quella di «seguire il Dio che si mette in cammino, superando la pigrizia di rimanere adagiati su noi stessi, affinché Egli stesso possa entrare nel mondo».
g. m. v.
(©L'Osservatore Romano 30 giugno - 1 luglio 2011)
Era dal 1897, durante il lungo pontificato di Leone XIII, che un Papa non celebrava il sessantesimo anniversario dell'ordinazione sacerdotale.
E Benedetto XVI lo ha fatto, varcando questo traguardo non abituale, nella festa dei santi Pietro e Paolo -- gli apostoli patroni della Roma felix cantata dai pellegrini medievali e poi dalla liturgia -- in una splendida giornata d'estate. Proprio come quella del 29 giugno 1951 a Frisinga, quando il venerando cardinale Michael von Faulhaber impose le mani sul capo di Joseph Ratzinger, del fratello maggiore Georg e di altri 42 loro compagni.
Tutti quei giovani, eccetto uno, erano più anziani del ventiquattrenne Joseph: la guerra aveva rallentato il corso dei loro studi nel seminario, trasformato in lazzaretto. E con il Papa, presente il fratello, hanno concelebrato tre dei nuovi sacerdoti di allora: Fritz Zimmermann, Bernhard Schweiger e Rupert Berger, che come i due Ratzinger disse la prima messa a Traunstein l'8 luglio successivo. Altri, per l'età, non sono potuti venire, mentre la maggior parte degli amici di quel giorno vive nella comunione dei santi.
E proprio sull'amicizia -- l'amicizia con Dio, l'amicizia cristiana, l'amicizia con ogni persona umana -- Benedetto XVI ha modulato la sua omelia, una meditazione profonda sul sacerdozio rivolta a ogni fedele e a chiunque voglia ascoltare.
Aprendo il cuore alle parole di un uomo che ha dedicato e dedica ogni giorno della sua vita a scoprire la grandezza dell'amore di Dio e a cercare sempre più la sua amicizia. Per andare avanti, oltre «i confini dell'ambiente in cui viviamo, a portare il Vangelo nel mondo degli altri, affinché pervada il tutto e così il mondo si apra per il Regno di Dio». Il Dio rivelatosi definitivamente in Gesù di Nazaret, che è «amico degli uomini» e vuole dai suoi discepoli un frutto che rimanga: l'amore, che si può seminare nelle anime.
È allora provvidenziale che questo sessantesimo anniversario del sacerdozio di Benedetto XVI, celebrato in modo così impegnativo, cada negli stessi giorni in cui il quotidiano della Santa Sede compie un secolo e mezzo. Indicando al giornale che la strada è quella di «seguire il Dio che si mette in cammino, superando la pigrizia di rimanere adagiati su noi stessi, affinché Egli stesso possa entrare nel mondo».
g. m. v.
(©L'Osservatore Romano 30 giugno - 1 luglio 2011)
Girandola di Castel Sant'Angelo: le foto dei Piccoli Orionini
Con grandissimo piacere e profonda gratitudine pubblichiamo le seguenti foto scattate alla Girandola di Castel Sant'Angelo, dedicata quest'anno al 60° sacerdotale di Benedetto XVI.
Gli autori di questi scatti sono i Piccoli Orionini che davvero non si sono risparmiati per manifestare tutto il loro affetto al Santo Padre. Un abbraccio di cuore a tutti :-)
Cliccare sulle foto per ingrandirle.
Gli autori di questi scatti sono i Piccoli Orionini che davvero non si sono risparmiati per manifestare tutto il loro affetto al Santo Padre. Un abbraccio di cuore a tutti :-)
Cliccare sulle foto per ingrandirle.
I frutti della “Caritas in Veritate”, a due anni dalla pubblicazione. Con noi, l'economista Flavio Felice
I frutti della “Caritas in Veritate”, a due anni dalla pubblicazione. Con noi, l'economista Flavio Felice
Il 29 giugno del 2009, Benedetto XVI firmava la sua terza Enciclica, “Caritas in Veritate” sullo sviluppo umano integrale. Un documento che, pubblicato nel pieno della crisi economico-finanziaria mondiale, ha destato ampia eco, ben oltre i confini degli ambienti ecclesiali. Per un primo bilancio sui frutti di questa Enciclica, Alessandro Gisotti ha intervistato l’economista Flavio Felice, direttore dell’Area Internazionale di ricerca Caritas in Veritate della Pontificia Università Lateranense:
R. – Un documento del Magistero sociale non è un documento che risponde alle questioni urgenti del giorno per giorno. Tuttavia, possiamo riconoscere che con questo documento molti tra professionisti, tra statisti, tra cultori della materia in scienze politiche, in scienze economiche, si siano posti il problema, di un ordine mondiale, ordine globale, seriamente rispettoso della persona umana. Sono nate molte scuole di formazione, sono state proposte e sono nate nuove istituzioni e molti ormai ragionano in termini di ordine economico-politico globale, che tenga conto dei punti salienti del Magistero sociale della Chiesa, in particolare di questa Enciclica.
D. - Il fuoco di attenzione di "Caritas in veritate", come peraltro di tutti i documenti della dottrina sociale della Chiesa, è la persona con la sua intangibile, inviolabile dignità...
R. – Sì. Questo è stato il punto centrale di tutto il Magistero sociale, dalla "Rerum novarum" ai nostri giorni, che ha avuto una stupenda accelerata con Giovanni Paolo II. Pensiamo all’Enciclica, sia quella programmatica, che non è propriamente un’Enciclica sociale, ma immediatamente dopo, la "Laborem exercens" e tutte le altre encicliche; Benedetto XVI si inserisce indubbiamente in quel solco con una felice aggiunta, a mio avviso, che è quella di aver indicato una via, la via istituzionale: le istituzioni hanno questa importante funzione di consentire agli individui, alle persone, ai gruppi sociali, ai posti intermedi, di risolvere le problematiche che via, via, si pongono in modo pacifico.
D. – “Lo sviluppo - scrive il Papa in 'Caritas in Veritate' - è impossibile senza uomini retti che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune”. Questo è dunque, in fondo, il punto di svolta, il vero cuore del problema…
R. – Sì, è il cuore del problema e il cuore del magistero sociale. Mi vengono in mente le parole di un economista tedesco, Wilhelm Röpke, il quale prima che morisse nel suo ultimo libro, il suo testamento spirituale, ha usato questa espressione come titolo: “Al di là dell’offerta e della domanda”. Perché al di là dell’offerta e della domanda c’è l’uomo: al di là e al di qua, possiamo dire! Se noi consideriamo che c’è sempre qualcosa che vada al di là dell’offerta e della domanda e che questo qualcosa sia esattamente la persona umana, cioè il soggetto per il quale domanda e offerta si analizzano, si studiano, si modificano si costruiscono, allora possiamo pensare veramente che le istituzioni che nascono intorno all’economia, intorno alla politica, possono essere anche conformi alla dignità della persona. (bf)
© Copyright Radio Vaticana
Il 29 giugno del 2009, Benedetto XVI firmava la sua terza Enciclica, “Caritas in Veritate” sullo sviluppo umano integrale. Un documento che, pubblicato nel pieno della crisi economico-finanziaria mondiale, ha destato ampia eco, ben oltre i confini degli ambienti ecclesiali. Per un primo bilancio sui frutti di questa Enciclica, Alessandro Gisotti ha intervistato l’economista Flavio Felice, direttore dell’Area Internazionale di ricerca Caritas in Veritate della Pontificia Università Lateranense:
R. – Un documento del Magistero sociale non è un documento che risponde alle questioni urgenti del giorno per giorno. Tuttavia, possiamo riconoscere che con questo documento molti tra professionisti, tra statisti, tra cultori della materia in scienze politiche, in scienze economiche, si siano posti il problema, di un ordine mondiale, ordine globale, seriamente rispettoso della persona umana. Sono nate molte scuole di formazione, sono state proposte e sono nate nuove istituzioni e molti ormai ragionano in termini di ordine economico-politico globale, che tenga conto dei punti salienti del Magistero sociale della Chiesa, in particolare di questa Enciclica.
D. - Il fuoco di attenzione di "Caritas in veritate", come peraltro di tutti i documenti della dottrina sociale della Chiesa, è la persona con la sua intangibile, inviolabile dignità...
R. – Sì. Questo è stato il punto centrale di tutto il Magistero sociale, dalla "Rerum novarum" ai nostri giorni, che ha avuto una stupenda accelerata con Giovanni Paolo II. Pensiamo all’Enciclica, sia quella programmatica, che non è propriamente un’Enciclica sociale, ma immediatamente dopo, la "Laborem exercens" e tutte le altre encicliche; Benedetto XVI si inserisce indubbiamente in quel solco con una felice aggiunta, a mio avviso, che è quella di aver indicato una via, la via istituzionale: le istituzioni hanno questa importante funzione di consentire agli individui, alle persone, ai gruppi sociali, ai posti intermedi, di risolvere le problematiche che via, via, si pongono in modo pacifico.
D. – “Lo sviluppo - scrive il Papa in 'Caritas in Veritate' - è impossibile senza uomini retti che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune”. Questo è dunque, in fondo, il punto di svolta, il vero cuore del problema…
R. – Sì, è il cuore del problema e il cuore del magistero sociale. Mi vengono in mente le parole di un economista tedesco, Wilhelm Röpke, il quale prima che morisse nel suo ultimo libro, il suo testamento spirituale, ha usato questa espressione come titolo: “Al di là dell’offerta e della domanda”. Perché al di là dell’offerta e della domanda c’è l’uomo: al di là e al di qua, possiamo dire! Se noi consideriamo che c’è sempre qualcosa che vada al di là dell’offerta e della domanda e che questo qualcosa sia esattamente la persona umana, cioè il soggetto per il quale domanda e offerta si analizzano, si studiano, si modificano si costruiscono, allora possiamo pensare veramente che le istituzioni che nascono intorno all’economia, intorno alla politica, possono essere anche conformi alla dignità della persona. (bf)
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Confessioni di Benedetto XVI nel 60mo anniversario di sacerdozio (Jesús Colina)
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Il Papa consegna il "Premio Ratzinger" ai professori Simonetti, De Cardedal e Heim (Izzo)
PAPA: CONSEGNA PREMIO RATZINGER A SIMONETTI, DE CARDEDAL E HEIM
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
Una pergamena e un assegno di 50mila euro: in questo consiste il "Premio Ratzinger" che Bendetto XVI ha consegnato questa mattina - nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico gremita di cardinali, vescovi e docenti universitari - a tre insigni studiosi di teologia: il professor Manlio Simonetti, ordinario emerito di Letteratura cristiana antica e Patrologia alla Sapienza di Roma; il professor Olegario Gonzalez de Cardedal, sacerdote docente di Teologia sistematica a Madrid, il professor Maximilian Heim, docente di Teologia fondamentale e dogmatica e abate del Monastero cistercense di Heiligenkreuz in Austria (ma di nazionalita' tedesca).
A presentare i premiati, leggendo per ciascuno una breve motivazione, e' stato il cardinale Camillo Ruini, presidente del Comitato scientifico della "Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI", l'organismo che amministra i diritti di autore del Papa e che su suo mandato ha istituito il premio (che per la sua autorevolezza puo' essere considerato un "nobel cattolico") conferendolo quest'anno per la prima volta.
Da parte sua anche il Papa ha voluto ricordare i meriti dei premiati esprimendo "gioia e gratitudine" per il fatto che, con la consegna del suo premio teologico, la Fondazione che porta il suo nome da' "pubblico riconoscimento all'opera condotta nell'arco di un'intera vita da due grandi teologi, e ad un teologo della generazione piu' giovane dia un segno di incoraggiamento per progredire sul cammino intrapreso".
"Con il professor Gonzalez de Cardedal - ha ricordato - mi lega un cammino comune di molti decenni. Entrambi abbiamo iniziato con san Bonaventura e da lui ci siamo lasciati indicare la direzione".
"In una lunga vita di studioso, il professor Gonzalez - sono state le parole di Benedetto XVI - ha trattato tutti i grandi temi della teologia, e cio' non semplicemente riflettendone e parlandone a tavolino, bensi' sempre confrontato al dramma del nostro tempo, vivendo e anche soffrendo in modo del tutto personale le grandi questioni della fede e con cio' le questioni dell'uomo d'oggi. In tal modo, la parola della fede non e' una cosa del passato; nelle sue opere diventa veramente a noi contemporanea".
"Il professor Simonetti - ha detto ancora il Pontefice - ci ha aperto in modo nuovo il mondo dei Padri. Proprio mostrandoci, dal punto di vista storico, con precisione e cura cio' che dicono i Padri, essi diventano persone a noi contemporanee, che parlano con noi".
Infine ha sottolineato che "il padre Maximilian Heim e' stato recentemente eletto abate del monastero di Heiligenkreuz presso Vienna, un monastero ricco di tradizione, assumendo con cio' il compito di rendere attuale una grande storia e di condurla verso il futuro".
"In questo - ha concluso Papa Benedetto - spero che il lavoro sulla mia teologia, che egli ci ha donato, possa essergli utile e che l'Abbazia di Heiligenkreuz possa, in questo nostro tempo, sviluppare ulteriormente la teologia monastica, che sempre ha accompagnato quella universitaria, formando con essa l'insieme della teologia occidentale".
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Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
Una pergamena e un assegno di 50mila euro: in questo consiste il "Premio Ratzinger" che Bendetto XVI ha consegnato questa mattina - nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico gremita di cardinali, vescovi e docenti universitari - a tre insigni studiosi di teologia: il professor Manlio Simonetti, ordinario emerito di Letteratura cristiana antica e Patrologia alla Sapienza di Roma; il professor Olegario Gonzalez de Cardedal, sacerdote docente di Teologia sistematica a Madrid, il professor Maximilian Heim, docente di Teologia fondamentale e dogmatica e abate del Monastero cistercense di Heiligenkreuz in Austria (ma di nazionalita' tedesca).
A presentare i premiati, leggendo per ciascuno una breve motivazione, e' stato il cardinale Camillo Ruini, presidente del Comitato scientifico della "Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI", l'organismo che amministra i diritti di autore del Papa e che su suo mandato ha istituito il premio (che per la sua autorevolezza puo' essere considerato un "nobel cattolico") conferendolo quest'anno per la prima volta.
Da parte sua anche il Papa ha voluto ricordare i meriti dei premiati esprimendo "gioia e gratitudine" per il fatto che, con la consegna del suo premio teologico, la Fondazione che porta il suo nome da' "pubblico riconoscimento all'opera condotta nell'arco di un'intera vita da due grandi teologi, e ad un teologo della generazione piu' giovane dia un segno di incoraggiamento per progredire sul cammino intrapreso".
"Con il professor Gonzalez de Cardedal - ha ricordato - mi lega un cammino comune di molti decenni. Entrambi abbiamo iniziato con san Bonaventura e da lui ci siamo lasciati indicare la direzione".
"In una lunga vita di studioso, il professor Gonzalez - sono state le parole di Benedetto XVI - ha trattato tutti i grandi temi della teologia, e cio' non semplicemente riflettendone e parlandone a tavolino, bensi' sempre confrontato al dramma del nostro tempo, vivendo e anche soffrendo in modo del tutto personale le grandi questioni della fede e con cio' le questioni dell'uomo d'oggi. In tal modo, la parola della fede non e' una cosa del passato; nelle sue opere diventa veramente a noi contemporanea".
"Il professor Simonetti - ha detto ancora il Pontefice - ci ha aperto in modo nuovo il mondo dei Padri. Proprio mostrandoci, dal punto di vista storico, con precisione e cura cio' che dicono i Padri, essi diventano persone a noi contemporanee, che parlano con noi".
Infine ha sottolineato che "il padre Maximilian Heim e' stato recentemente eletto abate del monastero di Heiligenkreuz presso Vienna, un monastero ricco di tradizione, assumendo con cio' il compito di rendere attuale una grande storia e di condurla verso il futuro".
"In questo - ha concluso Papa Benedetto - spero che il lavoro sulla mia teologia, che egli ci ha donato, possa essergli utile e che l'Abbazia di Heiligenkreuz possa, in questo nostro tempo, sviluppare ulteriormente la teologia monastica, che sempre ha accompagnato quella universitaria, formando con essa l'insieme della teologia occidentale".
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“Dio non è un oggetto di sperimentazione umana”: così, il Papa alla consegna del “Premio Ratzinger” a tre studiosi di teologia (Radio Vaticana)
“Dio non è un oggetto di sperimentazione umana”: così, il Papa alla consegna del “Premio Ratzinger” a tre studiosi di teologia
Un grande onore per i vincitori ricevere il “Premio Ratzinger” dalle mani del Papa. L’ambito riconoscimento - istituito dalla Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI è stato conferito, stamane, nella Sala Clementina del Palazzo apostolico in Vaticano. Tre i premiati: un patrologo il prof. Manlio Simonetti e due teologi il sacerdote spagnolo Olegario Gonzàlez de Cardedal ed il monaco cistercense tedesco Maximilian Heim. Presenti alla cerimonia il cardinale Ruini e mons. Giuseppe Scotti, presidenti rispettivamente del Premio e della Fondazione. Il servizio di Roberta Gisotti:
Che cos’è veramente la teologia? Si è chiesto Benedetto XVI, cogliendo l’occasione del Premio a lui intitolato per offrire una dotta dissertazione. “La teologia” - ha premesso - secondo la tradizione “è scienza della fede”.
“Ma qui sorge subito la domanda: è davvero possibile? O non è questo in sé una contraddizione? Scienza non è forse il contrario di fede? Non cessa la fede di essere fede, quando diventa scienza? E non cessa la scienza di essere scienza quando è ordinata o addirittura subordinata alla fede?
Questioni che nella scienza moderna sono “ancora più impellenti, a prima vista addirittura senza soluzione”, ha osservato il Papa, spiegando che limitare la teologia nel campo della storia o della prassi, lascia “senza risposta la vera domanda”: “è vero ciò in cui crediamo?”, dove è “in gioco” la verità. "La parola della fede non è una cosa del passato" e "se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede al buio". Benedetto XVI ha, quindi, messo in guardia dal “dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo di tutto. Questo genere di uso della ragione è certamente impossibile nell’ambito della fede”.
"La ragione sperimentale appare oggi ampiamente come l’unica forma di razionalità dichiarata scientifica. Ciò che non può essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell’ambito scientifico. Con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose; che essa sia giusta e necessaria nell’ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi nessuno vorrà seriamente porlo in dubbio".
“Esiste tuttavia un limite a tale uso della ragione”, ha sottolineato il Papa:
“Dio non è un oggetto della sperimentazione umana. Egli è Soggetto e si manifesta soltanto nel rapporto da persona a persona: ciò fa parte dell’essenza della persona”.
C’è poi un altro uso della ragione, “che vale per l’ambito ‘personale’, per le grandi questioni dello stesso essere uomini.
“L’amore vuole conoscere meglio colui che ama. L’amore, l’amore vero, non rende ciechi, ma vedenti. Di esso fa parte proprio la sete di conoscenza, di una vera conoscenza dell’altro”.
E, “quando non c’è questo uso della ragione, - ha proseguito il Santo Padre - allora le grandi questioni dell’umanità cadono fuori dell’ambito della ragione e vengono lasciate all’irrazionalità”.
"Per questo un’autentica teologia è così importante. La fede retta orienta la ragione ad aprirsi al divino, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, possa conoscere Dio più da vicino".
Ha concluso Benedetto XVI, questa la sfida insita nella teologia, di cui l’uomo ha bisogno:
“perché essa ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verità stessa, circa il volto di Dio".
A tracciare il profilo dei premiati, oltre alle parole di lode del Santo Padre, è stato il cardinale Ruini: del prof. Simonetti, studioso di letteratura cristiana antica ha evidenziato “l’attenzione primaria ai testi, trattati con grande acutezza e perizia filologica e interrogati con penetrante acutezza”; del prof. Gonzalez teologo di fama internazionale, ha sottolineato il bagaglio di ampia conoscenze che ne fa un punto di riferimento nel panorama culturale in Spagna; del prof Heim, abate del monastero di Heiligenkreutz in Austria, ha ricordato la tesi di dottorato, “uno dei più acuti e importanti contributi allo studio del pensiero teologico” di Joseph Ratzinger.
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Premio Ratzinger, Mons. Scotti: Il Papa ci insegna a porre la questione di Dio
PREMIO RATZINGER: MONS. SCOTTI, IL PAPA CI INSEGNA A “PORRE LA QUESTIONE DI DIO”
Un Papa che “ci insegna a porre la questione di Dio per accompagnare gli uomini assetati e in ricerca alla fonte della vita vera, della vita piena”.
E’ il profilo di papa Benedetto XVI, tracciato da mons. Giuseppe Scotti, presidente della Fondazione vaticana “Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”, nella presentazione del “Premio Ratzinger”, che il Papa conferisce oggi a tre teologi, in occasione del 60° anniversario della sua ordinazione sacerdotale. “In diverse occasioni, a Roma e in varie capitali europee – ha ricordato mons. Scotti riferendosi a Benedetto XVI - ebbe a ricordare a quanti l’hanno accolto e ascoltato che ‘la questione di Dio non è un pericolo per la società, essa non mette in pericolo la vita umana!
La questione di Dio non deve essere assente dai grandi interrogativi del nostro tempo’”. “Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture”, ha detto il relatore citando il discorso del Papa a Regensburg (2006).
Un concetto, questo, ribadito recentemente, quando il Papa, nell’Angelus del 1° gennaio di quest’anno, ha menzionato “due tendenze opposte, due estremi entrambi negativi: da una parte il laicismo, che, in modo spesso subdolo, emargina la religione per confinarla nella sfera privata; dall’altra il fondamentalismo, che invece vorrebbe imporla a tutti con la forza”.
© Copyright Sir
Un Papa che “ci insegna a porre la questione di Dio per accompagnare gli uomini assetati e in ricerca alla fonte della vita vera, della vita piena”.
E’ il profilo di papa Benedetto XVI, tracciato da mons. Giuseppe Scotti, presidente della Fondazione vaticana “Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”, nella presentazione del “Premio Ratzinger”, che il Papa conferisce oggi a tre teologi, in occasione del 60° anniversario della sua ordinazione sacerdotale. “In diverse occasioni, a Roma e in varie capitali europee – ha ricordato mons. Scotti riferendosi a Benedetto XVI - ebbe a ricordare a quanti l’hanno accolto e ascoltato che ‘la questione di Dio non è un pericolo per la società, essa non mette in pericolo la vita umana!
La questione di Dio non deve essere assente dai grandi interrogativi del nostro tempo’”. “Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture”, ha detto il relatore citando il discorso del Papa a Regensburg (2006).
Un concetto, questo, ribadito recentemente, quando il Papa, nell’Angelus del 1° gennaio di quest’anno, ha menzionato “due tendenze opposte, due estremi entrambi negativi: da una parte il laicismo, che, in modo spesso subdolo, emargina la religione per confinarla nella sfera privata; dall’altra il fondamentalismo, che invece vorrebbe imporla a tutti con la forza”.
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Il Papa: Se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio (Asca)
PAPA: TEOLOGIA NON PUO' ESSERE RELEGATA NEL PASSATO
(ASCA) - Citta' del Vaticano, 30 giu
''Se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio''.
Lo ha detto oggi il papa ricordando che lo studio e la riflessione teologica non puo' costituire un ''campo della storia''.
Benedetto XVI ha, invece, indicato la strada del concentrarsi anche ''sulla prassi, per mostrare come la teologia, in collegamento con la psicologia e la sociologia, - ha detto - sia una scienza utile che dona indicazioni concrete per la vita''.
''La fede cristiana, per la sua stessa natura deve suscitare la teologia, doveva interrogarsi sulla ragionevolezza della fede, anche se naturalmente il concetto di ragione e quello di scienza abbracciano molte dimensioni, e cosi' la natura concreta del nesso tra fede e ragione doveva e deve sempre nuovamente essere scandagliata'', ha spiegato papa Ratzinger che in Vaticano ha conferito il ''Premio Ratzinger'' a tre teologi: Manlio Simonetti, Olegario Gonzalez de Cardedal, Maximilian Hein.
''L'uomo ha bisogno'' della teologia, perche' ''ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verita' stessa, circa il volto di Dio'', ha poi detto il papa.
© Copyright Asca
(ASCA) - Citta' del Vaticano, 30 giu
''Se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio''.
Lo ha detto oggi il papa ricordando che lo studio e la riflessione teologica non puo' costituire un ''campo della storia''.
Benedetto XVI ha, invece, indicato la strada del concentrarsi anche ''sulla prassi, per mostrare come la teologia, in collegamento con la psicologia e la sociologia, - ha detto - sia una scienza utile che dona indicazioni concrete per la vita''.
''La fede cristiana, per la sua stessa natura deve suscitare la teologia, doveva interrogarsi sulla ragionevolezza della fede, anche se naturalmente il concetto di ragione e quello di scienza abbracciano molte dimensioni, e cosi' la natura concreta del nesso tra fede e ragione doveva e deve sempre nuovamente essere scandagliata'', ha spiegato papa Ratzinger che in Vaticano ha conferito il ''Premio Ratzinger'' a tre teologi: Manlio Simonetti, Olegario Gonzalez de Cardedal, Maximilian Hein.
''L'uomo ha bisogno'' della teologia, perche' ''ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verita' stessa, circa il volto di Dio'', ha poi detto il papa.
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Il Papa: L’uomo ha bisogno” della teologia, perché “ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verità stessa, circa il volto di Dio” (Sir)
BENEDETTO XVI: “L’UOMO HA BISOGNO” DELLA TEOLOGIA PER “APRIRE LA RAGIONE”
“L’uomo ha bisogno” della teologia, perché “ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verità stessa, circa il volto di Dio”.
A ribadirlo è stato il Papa, nel discorso per il conferimento del “premio Ratzinger” a tre teologi: Manlio Simonetti, Olegario Gonzàlez de Cardedal, Maximilian Hein, ricordati all’inizio del suo discorso per aver dimostrato, rispettivamente, che “la parola della fede non è una cosa del passato”, che i Padri della Chiesa sono “persone a noi contemporanee”, e che anche oggi occorre “sviluppare ulteriormente la teologia monastica, che sempre ha accompagnato quella universitaria, formando con essa l’insieme della teologica occidentale”. Al centro delle parole di Benedetto XVI, la “questione fondamentale di che cosa sia veramente la teologia”, che secondo la tradizione è “scienza della fede”.
“E davvero possibile? O non è questo in sé una contraddizione?”, si è chiesto il Papa: “Scienza non è forse il contrario di fede? Non cessa la fede di essere fede, quando diventa scienza? E non cessa la scienza di essere scienza quando è ordinata o addirittura subordinata alla fede?”. “Questioni”, queste, che “già per la teologia medievale rappresentavano un serio problema”, ma che “con il moderno concetto di scienza sono diventate ancora più impellenti, a prima vista addirittura senza soluzione”.
“Se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio”: con questa affermazione Benedetto XVI ha spiegato la necessità di non relegare la teologia soltanto al “campo della storia”, operazione che tuttavia ha consentito di realizzare “opere grandiose”. Concentrarsi, invece, “sulla prassi, per mostrare come la teologia, in collegamento con la psicologia e la sociologia, sia una scienza utile che dona indicazioni concrete per la vita”, per il Papa “è importante, ma se la prassi è riferita solo a se stessa, oppure vive unicamente dei prestiti delle scienze umane, allora la prassi diventa vuota e priva di fondamento”. “E’ vero ciò in cui crediamo oppure no?”: questa, per il Santo padre, la “vera domanda”, perché “nella teologia è in gioco la questione circa la verità”, che è “il suo fondamento ultimo ed essenziale”. “Se Cristo è il Logos, la verità – ha spiegato il Papa - l’uomo deve corrispondere a Lui con il suo proprio logos, con la sua ragione. Per arrivare fino a Cristo, egli deve essere sulla via della verità”. “La fede cristiana, per la sua stessa natura – ha ammonito il Pontefice - deve suscitare la teologia, doveva interrogarsi sulla ragionevolezza della fede, anche se naturalmente il concetto di ragione e quello di scienza abbracciano molte dimensioni, e così la natura concreta del nesso tra fede e ragione doveva e deve sempre nuovamente essere scandagliata”.
“Per quanto si presenti dunque chiara nel cristianesimo il nesso fondamentale tra Logos, verità e fede, la forma concreta di tale nesso ha suscitato e suscita sempre nuove domande”, ha fatto notare il Papa, che sulla scorta di San Bonaventura si è soffermato su “un duplice uso della ragione”: il “dispotismo della ragione”, che “si fa giudice supremo di tutto” ed il cui uso “è certamente impossibile nell’ambito della fede”, e un secondo uso della ragione, che “vale per l’ambito del ‘personale’, per le grandi questioni dello stesso essere uomini”, conciliabile invece con l’ambito della fede. Il primo uso della ragione può essere sintetizzato, ha affermato il Papa, con “un procedimento di prova sperimentale”: una “modalità”, cioè, di uso della ragione, che “nell’età moderna, ha raggiunto il culmine del suo sviluppo nell’ambito delle scienze naturali”. “La ragione sperimentale appare oggi ampiamente come l’unica forma di razionalità dichiarata scientifica”, partendo dalla convinzione che “ciò che non può essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell’ambito scientifico”. “Con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose”, ha ammesso il Papa, definendola “giusta e necessaria nell’ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi”: tuttavia, esiste “un limite a tale uso della ragione”, poiché “Dio non è un oggetto della sperimentazione umana”.
Dio “è Soggetto e si manifesta soltanto nel rapporto da persona a persona: ciò fa parte dell’essenza della persona”. In questa prospettiva, Bonaventura fa cenno ad un secondo uso della ragione: “L’amore vuole conoscere meglio colui che ama. L’amore, l’amore vero, non rende ciechi, ma vedenti. Di esso fa parte proprio la sete di conoscenza, di una vera conoscenza dell’altro”. Per questo, i Padri della Chiesa, ha ricordato il Papa, “hanno trovato i precursori e gli antesignani del cristianesimo – al di fuori del mondo della rivelazione di Israele – non nell’ambito della religione consuetudinaria, bensì negli uomini in ricerca di Dio, nei filosofi: in persone che erano assetate di verità ed erano quindi sulla strada verso Dio”. “Quando non c’è questo uso della ragione – ha ammonito il Santo Padre - allora le grandi questioni dell’umanità cadono fuori dell’ambito della ragione e vengono lasciate all’irrazionalità. Per questo un’autentica teologia è così importante. La fede retta orienta la ragione ad aprirsi al divino, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, possa conoscere Dio più da vicino”. Fa quindi parte della teologia, ha concluso il Pontefice, “da un lato, l’umiltà che si lascia “toccare” da Dio, dall’altro, la disciplina che si lega all’ordine della ragione, preserva l’amore dalla cecità ed aiuta a sviluppare la sua forza visiva”.
© Copyright Sir
“L’uomo ha bisogno” della teologia, perché “ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verità stessa, circa il volto di Dio”.
A ribadirlo è stato il Papa, nel discorso per il conferimento del “premio Ratzinger” a tre teologi: Manlio Simonetti, Olegario Gonzàlez de Cardedal, Maximilian Hein, ricordati all’inizio del suo discorso per aver dimostrato, rispettivamente, che “la parola della fede non è una cosa del passato”, che i Padri della Chiesa sono “persone a noi contemporanee”, e che anche oggi occorre “sviluppare ulteriormente la teologia monastica, che sempre ha accompagnato quella universitaria, formando con essa l’insieme della teologica occidentale”. Al centro delle parole di Benedetto XVI, la “questione fondamentale di che cosa sia veramente la teologia”, che secondo la tradizione è “scienza della fede”.
“E davvero possibile? O non è questo in sé una contraddizione?”, si è chiesto il Papa: “Scienza non è forse il contrario di fede? Non cessa la fede di essere fede, quando diventa scienza? E non cessa la scienza di essere scienza quando è ordinata o addirittura subordinata alla fede?”. “Questioni”, queste, che “già per la teologia medievale rappresentavano un serio problema”, ma che “con il moderno concetto di scienza sono diventate ancora più impellenti, a prima vista addirittura senza soluzione”.
“Se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio”: con questa affermazione Benedetto XVI ha spiegato la necessità di non relegare la teologia soltanto al “campo della storia”, operazione che tuttavia ha consentito di realizzare “opere grandiose”. Concentrarsi, invece, “sulla prassi, per mostrare come la teologia, in collegamento con la psicologia e la sociologia, sia una scienza utile che dona indicazioni concrete per la vita”, per il Papa “è importante, ma se la prassi è riferita solo a se stessa, oppure vive unicamente dei prestiti delle scienze umane, allora la prassi diventa vuota e priva di fondamento”. “E’ vero ciò in cui crediamo oppure no?”: questa, per il Santo padre, la “vera domanda”, perché “nella teologia è in gioco la questione circa la verità”, che è “il suo fondamento ultimo ed essenziale”. “Se Cristo è il Logos, la verità – ha spiegato il Papa - l’uomo deve corrispondere a Lui con il suo proprio logos, con la sua ragione. Per arrivare fino a Cristo, egli deve essere sulla via della verità”. “La fede cristiana, per la sua stessa natura – ha ammonito il Pontefice - deve suscitare la teologia, doveva interrogarsi sulla ragionevolezza della fede, anche se naturalmente il concetto di ragione e quello di scienza abbracciano molte dimensioni, e così la natura concreta del nesso tra fede e ragione doveva e deve sempre nuovamente essere scandagliata”.
“Per quanto si presenti dunque chiara nel cristianesimo il nesso fondamentale tra Logos, verità e fede, la forma concreta di tale nesso ha suscitato e suscita sempre nuove domande”, ha fatto notare il Papa, che sulla scorta di San Bonaventura si è soffermato su “un duplice uso della ragione”: il “dispotismo della ragione”, che “si fa giudice supremo di tutto” ed il cui uso “è certamente impossibile nell’ambito della fede”, e un secondo uso della ragione, che “vale per l’ambito del ‘personale’, per le grandi questioni dello stesso essere uomini”, conciliabile invece con l’ambito della fede. Il primo uso della ragione può essere sintetizzato, ha affermato il Papa, con “un procedimento di prova sperimentale”: una “modalità”, cioè, di uso della ragione, che “nell’età moderna, ha raggiunto il culmine del suo sviluppo nell’ambito delle scienze naturali”. “La ragione sperimentale appare oggi ampiamente come l’unica forma di razionalità dichiarata scientifica”, partendo dalla convinzione che “ciò che non può essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell’ambito scientifico”. “Con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose”, ha ammesso il Papa, definendola “giusta e necessaria nell’ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi”: tuttavia, esiste “un limite a tale uso della ragione”, poiché “Dio non è un oggetto della sperimentazione umana”.
Dio “è Soggetto e si manifesta soltanto nel rapporto da persona a persona: ciò fa parte dell’essenza della persona”. In questa prospettiva, Bonaventura fa cenno ad un secondo uso della ragione: “L’amore vuole conoscere meglio colui che ama. L’amore, l’amore vero, non rende ciechi, ma vedenti. Di esso fa parte proprio la sete di conoscenza, di una vera conoscenza dell’altro”. Per questo, i Padri della Chiesa, ha ricordato il Papa, “hanno trovato i precursori e gli antesignani del cristianesimo – al di fuori del mondo della rivelazione di Israele – non nell’ambito della religione consuetudinaria, bensì negli uomini in ricerca di Dio, nei filosofi: in persone che erano assetate di verità ed erano quindi sulla strada verso Dio”. “Quando non c’è questo uso della ragione – ha ammonito il Santo Padre - allora le grandi questioni dell’umanità cadono fuori dell’ambito della ragione e vengono lasciate all’irrazionalità. Per questo un’autentica teologia è così importante. La fede retta orienta la ragione ad aprirsi al divino, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, possa conoscere Dio più da vicino”. Fa quindi parte della teologia, ha concluso il Pontefice, “da un lato, l’umiltà che si lascia “toccare” da Dio, dall’altro, la disciplina che si lega all’ordine della ragione, preserva l’amore dalla cecità ed aiuta a sviluppare la sua forza visiva”.
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Il Papa consegna il "Premio Ratzinger": Nella teologia è in gioco la questione circa la verità; essa è il suo fondamento ultimo ed essenziale
Papa: No al dispotismo della ragione, Dio limite alla scienza
Roma, 30 giu. (TMNews)
Dio come limite all'onnipotenza della scienza. Benedetto XVI ne ha parlato in occasione della consegna in Vaticano del Premio Ratzinger a tre studiosi di teologia: il laico Manlio Simonetti, italiano, il sacerdote spagnolo Olegario González de Cardedal, e il monaco cistercense tedesco Maximilian Heim.
Il papa ha ricordato che "già per la teologia medievale" fossero attuali le domande sul rapporto fra scienza e fede. Ma nell'età moderna la teologia "in vasti ambiti" si è "ritirata primariamente nel campo della storia, al fine di dimostrare qui la sua seria scientificità". Una tendenza che ha prodotto "opere grandiose" ma "se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio". Per il pontefice "la vera domanda" è: "E' vero ciò in cui crediamo oppure no?
Nella teologia è in gioco la questione circa la verità; essa è il suo fondamento ultimo ed essenziale". Papa Ratzinger ha denunciato l'esistenza di una "violentia rationis, il dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo di tutto. Questo genere di uso della ragione è certamente impossibile nell'ambito della fede".
"La ragione sperimentale - ha sottolineato ancora Benedetto XVI - appare oggi ampiamente come l'unica forma di razionalità dichiarata scientifica. Ciò che non può essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell'ambito scientifico. Con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose; che essa sia giusta e necessaria nell'ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi nessuno vorrà seriamente porlo in dubbio. Esiste tuttavia un limite a tale uso della ragione: Dio non è un oggetto della sperimentazione umana".
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Roma, 30 giu. (TMNews)
Dio come limite all'onnipotenza della scienza. Benedetto XVI ne ha parlato in occasione della consegna in Vaticano del Premio Ratzinger a tre studiosi di teologia: il laico Manlio Simonetti, italiano, il sacerdote spagnolo Olegario González de Cardedal, e il monaco cistercense tedesco Maximilian Heim.
Il papa ha ricordato che "già per la teologia medievale" fossero attuali le domande sul rapporto fra scienza e fede. Ma nell'età moderna la teologia "in vasti ambiti" si è "ritirata primariamente nel campo della storia, al fine di dimostrare qui la sua seria scientificità". Una tendenza che ha prodotto "opere grandiose" ma "se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio". Per il pontefice "la vera domanda" è: "E' vero ciò in cui crediamo oppure no?
Nella teologia è in gioco la questione circa la verità; essa è il suo fondamento ultimo ed essenziale". Papa Ratzinger ha denunciato l'esistenza di una "violentia rationis, il dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo di tutto. Questo genere di uso della ragione è certamente impossibile nell'ambito della fede".
"La ragione sperimentale - ha sottolineato ancora Benedetto XVI - appare oggi ampiamente come l'unica forma di razionalità dichiarata scientifica. Ciò che non può essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell'ambito scientifico. Con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose; che essa sia giusta e necessaria nell'ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi nessuno vorrà seriamente porlo in dubbio. Esiste tuttavia un limite a tale uso della ragione: Dio non è un oggetto della sperimentazione umana".
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Papa Ratzinger convoca quindici cardinali per rifare a porte chiuse le finanze vaticane (Rodari)
Ratzinger convoca quindici cardinali per rifare a porte chiuse le finanze vaticane
di Paolo Rodari
La “riunione dei quindici” è convocata per oggi in Vaticano e si scioglierà soltanto nella giornata di sabato.
Quindici cardinali da tutto il mondo dovranno valutare a porte chiuse lo status delle finanze della Santa Sede, i bilanci del primo semestre del 2011, senza dimenticare i delicatissimi cambi al vertice dei principali dicasteri competenti, che Ratzinger ha in animo di mettere in campo nelle prossime settimane.
Tra questi, quello più difficile e dibattuto: la nomina del nuovo presidente del governatorato, il “ministero” che ha in mano tutta la gestione della Città del Vaticano.
I quindici si riuniscono sotto la direzione del cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone, del cardinale Attilio Nicora presidente dell’Autorità di informazione finanziaria (Aif), del cardinale Velasio De Paolis presidente della Prefettura degli affari economici e del cardinale Giovanni Lajolo, attuale guida del governatorato.
Se le finanze vaticane godono di buona salute, questo dipende in gran parte dalle entrate che ogni anno garantiscono i Musei vaticani, con l’abile regia di Antonio Paolucci che li guida da tre anni. Ma la sfida della Santa Sede è riuscire a non far dipendere la maggior parte dei bilanci dai soli musei e cercare il pareggio anche a prescindere da essi. E’ anche per questo che il Papa da tempo ha deciso i cambi al vertice. Da poco si è insediato a Propaganda Fide Fernando Filoni, ex numero due della segreteria di stato, chiamato a una gestione pulita dell’immenso patrimonio finanziario e immobiliare di Propaganda.
Attesa è anche la nomina del prelato dello Ior. Si parla con insistenza dell’arrivo di monsignor Luigi Mistò, responsabile nell’arcidiocesi di Milano del servizio per il sostegno economico della chiesa. Sarà chiamato a lavorare assieme al presidente Ettore Gotti Tedeschi, protagonista di una non facile operazione trasparenza. Recentemente la procura di Roma ha sbloccato il denaro dello Ior precedentemente sequestrato per il sospetto di non aver rispettato le norme anti riciclaggio. Ma l’approvazione di una legge vaticana in materia e il motu proprio con cui è stata istituita l’Aif hanno modificato il parere della procura.
Il capitolo più delicato è quello che riguarda il governatorato. Il sostituto più naturale di Lajolo sarebbe l’attuale segretario dello stesso dicastero, il settantenne arcivescovo Carlo Maria Viganò. Recentemente Viganò è stato convocato da Velasio De Paolis per una verifica sui bilanci, e ha esibito una buona gestione: i bilanci precedentemente in rosso ora sono in attivo. Ma ciò potrebbe non bastare. L’arrivo di Filoni a Propaganda, infatti, ha rimescolato le carte e pare abbia convinto il Papa a concedere all’attuale nunzio in Italia Giuseppe Bertello, precedentemente candidato per Propaganda, il governatorato.
Nel summit il tema delle nomine potrebbe essere discusso. Tutti e quindici i cardinali, infatti, sono stati convocati per la loro conoscenza delle dinamiche finanziarie della chiesa ma anche perché personalità vicine al Papa. Tra loro l’arcivescovo di Colonia, il cardinale Joachim Meisner, e il cardinale Jorge Liberato Urosa Savino, arcivescovo di Caracas.
Pubblicato sul Foglio giovedì 30 giugno 2011
© Copyright Il Foglio, 30 giugno 2011 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.
di Paolo Rodari
La “riunione dei quindici” è convocata per oggi in Vaticano e si scioglierà soltanto nella giornata di sabato.
Quindici cardinali da tutto il mondo dovranno valutare a porte chiuse lo status delle finanze della Santa Sede, i bilanci del primo semestre del 2011, senza dimenticare i delicatissimi cambi al vertice dei principali dicasteri competenti, che Ratzinger ha in animo di mettere in campo nelle prossime settimane.
Tra questi, quello più difficile e dibattuto: la nomina del nuovo presidente del governatorato, il “ministero” che ha in mano tutta la gestione della Città del Vaticano.
I quindici si riuniscono sotto la direzione del cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone, del cardinale Attilio Nicora presidente dell’Autorità di informazione finanziaria (Aif), del cardinale Velasio De Paolis presidente della Prefettura degli affari economici e del cardinale Giovanni Lajolo, attuale guida del governatorato.
Se le finanze vaticane godono di buona salute, questo dipende in gran parte dalle entrate che ogni anno garantiscono i Musei vaticani, con l’abile regia di Antonio Paolucci che li guida da tre anni. Ma la sfida della Santa Sede è riuscire a non far dipendere la maggior parte dei bilanci dai soli musei e cercare il pareggio anche a prescindere da essi. E’ anche per questo che il Papa da tempo ha deciso i cambi al vertice. Da poco si è insediato a Propaganda Fide Fernando Filoni, ex numero due della segreteria di stato, chiamato a una gestione pulita dell’immenso patrimonio finanziario e immobiliare di Propaganda.
Attesa è anche la nomina del prelato dello Ior. Si parla con insistenza dell’arrivo di monsignor Luigi Mistò, responsabile nell’arcidiocesi di Milano del servizio per il sostegno economico della chiesa. Sarà chiamato a lavorare assieme al presidente Ettore Gotti Tedeschi, protagonista di una non facile operazione trasparenza. Recentemente la procura di Roma ha sbloccato il denaro dello Ior precedentemente sequestrato per il sospetto di non aver rispettato le norme anti riciclaggio. Ma l’approvazione di una legge vaticana in materia e il motu proprio con cui è stata istituita l’Aif hanno modificato il parere della procura.
Il capitolo più delicato è quello che riguarda il governatorato. Il sostituto più naturale di Lajolo sarebbe l’attuale segretario dello stesso dicastero, il settantenne arcivescovo Carlo Maria Viganò. Recentemente Viganò è stato convocato da Velasio De Paolis per una verifica sui bilanci, e ha esibito una buona gestione: i bilanci precedentemente in rosso ora sono in attivo. Ma ciò potrebbe non bastare. L’arrivo di Filoni a Propaganda, infatti, ha rimescolato le carte e pare abbia convinto il Papa a concedere all’attuale nunzio in Italia Giuseppe Bertello, precedentemente candidato per Propaganda, il governatorato.
Nel summit il tema delle nomine potrebbe essere discusso. Tutti e quindici i cardinali, infatti, sono stati convocati per la loro conoscenza delle dinamiche finanziarie della chiesa ma anche perché personalità vicine al Papa. Tra loro l’arcivescovo di Colonia, il cardinale Joachim Meisner, e il cardinale Jorge Liberato Urosa Savino, arcivescovo di Caracas.
Pubblicato sul Foglio giovedì 30 giugno 2011
© Copyright Il Foglio, 30 giugno 2011 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.
Il Papa ai nuovi arcivescovi metropoliti: non anteporre nulla a Cristo e rafforzare il legame speciale con il Successore di Pietro (R.V.)
Il Papa ai nuovi arcivescovi metropoliti: non anteporre nulla a Cristo e rafforzare il legame speciale con il Successore di Pietro
Un incontro familiare all’insegna della "comunione ecclesiale". Benedetto XVI ha ricevuto, stamani, in Aula Paolo VI gli arcivescovi metropoliti, insigniti ieri del Sacro Pallio, insieme ai famigliari e ai fedeli. Nel suo intervento, pronunciato in più lingue, il Papa si è soffermato sul vincolo speciale che lega i nuovi metropoliti al Successore di Pietro. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Assolutamente nulla anteporre a Cristo, poiché neanche Lui ha preferito qualcosa a noi”: Benedetto XVI ha ripreso un’esortazione di San Cipriano per indicare ai nuovi arcivescovi metropoliti la “stella polare” della loro missione. Il Papa ha innanzitutto sottolineato “il clima di comunione ecclesiale” dell’udienza, un incontro “semplice e familiare”. Quindi, ha rivolto agli arcivescovi metropoliti una particolare benedizione:
“Il Signore vi benedica sempre e vi aiuti, nel vostro quotidiano ministero episcopale, a far crescere le comunità a voi affidate unite e missionarie, concordi nella carità, ferme nella speranza e ricche del dinamismo della fede”.
Parlando quindi in francese, il Pontefice si è soffermato sul valore del Pallio imposto ai nuovi metropoliti nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo:
“Vous qui avez reçu le pallium…”
“Voi che avete ricevuto il pallio, segno liturgico che esprime il particolare legame di comunione con il Successore di Pietro – ha detto – siate testimoni gioiosi e fedeli dell’amore del Signore” che cerca di riunire i suoi figli nell’unità della stessa famiglia. Sul valore della stola del Pallio si è anche soffermato parlando in lingua inglese:
“The pallium is received from the hands…”
“Il Pallio – ha osservato – viene ricevuto dalle mani del Successore di Pietro e indossato dagli arcivescovi come segno di comunione nella fede e nell’amore” nella guida del Popolo di Dio. Il Pallio, ha soggiunto, richiama i vescovi “alla responsabilità di essere pastori secondo il cuore di Gesù”. Un legame, quello con la Sede Apostolica, che il Papa ha rammentato anche nei saluti in lingua spagnola. Il Pontefice ha quindi concluso il suo intervento tornando a parlare in italiano. Ha ringraziato il Signore per la “sua infinita bontà” nel “donare Pastori alla sua Chiesa”, ed ha assicurato loro la sua vicinanza:
“A voi, cari arcivescovi metropoliti, assicuro la mia spirituale vicinanza e il mio orante sostegno al vostro servizio pastorale, il cui requisito necessario è l'amore per Cristo, a cui nulla deve essere anteposto”.
© Copyright Radio Vaticana
Un incontro familiare all’insegna della "comunione ecclesiale". Benedetto XVI ha ricevuto, stamani, in Aula Paolo VI gli arcivescovi metropoliti, insigniti ieri del Sacro Pallio, insieme ai famigliari e ai fedeli. Nel suo intervento, pronunciato in più lingue, il Papa si è soffermato sul vincolo speciale che lega i nuovi metropoliti al Successore di Pietro. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Assolutamente nulla anteporre a Cristo, poiché neanche Lui ha preferito qualcosa a noi”: Benedetto XVI ha ripreso un’esortazione di San Cipriano per indicare ai nuovi arcivescovi metropoliti la “stella polare” della loro missione. Il Papa ha innanzitutto sottolineato “il clima di comunione ecclesiale” dell’udienza, un incontro “semplice e familiare”. Quindi, ha rivolto agli arcivescovi metropoliti una particolare benedizione:
“Il Signore vi benedica sempre e vi aiuti, nel vostro quotidiano ministero episcopale, a far crescere le comunità a voi affidate unite e missionarie, concordi nella carità, ferme nella speranza e ricche del dinamismo della fede”.
Parlando quindi in francese, il Pontefice si è soffermato sul valore del Pallio imposto ai nuovi metropoliti nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo:
“Vous qui avez reçu le pallium…”
“Voi che avete ricevuto il pallio, segno liturgico che esprime il particolare legame di comunione con il Successore di Pietro – ha detto – siate testimoni gioiosi e fedeli dell’amore del Signore” che cerca di riunire i suoi figli nell’unità della stessa famiglia. Sul valore della stola del Pallio si è anche soffermato parlando in lingua inglese:
“The pallium is received from the hands…”
“Il Pallio – ha osservato – viene ricevuto dalle mani del Successore di Pietro e indossato dagli arcivescovi come segno di comunione nella fede e nell’amore” nella guida del Popolo di Dio. Il Pallio, ha soggiunto, richiama i vescovi “alla responsabilità di essere pastori secondo il cuore di Gesù”. Un legame, quello con la Sede Apostolica, che il Papa ha rammentato anche nei saluti in lingua spagnola. Il Pontefice ha quindi concluso il suo intervento tornando a parlare in italiano. Ha ringraziato il Signore per la “sua infinita bontà” nel “donare Pastori alla sua Chiesa”, ed ha assicurato loro la sua vicinanza:
“A voi, cari arcivescovi metropoliti, assicuro la mia spirituale vicinanza e il mio orante sostegno al vostro servizio pastorale, il cui requisito necessario è l'amore per Cristo, a cui nulla deve essere anteposto”.
© Copyright Radio Vaticana
Grazie di cuore alla "Fondazione Ratzinger" per la gioia che sta regalando al Papa
Straordinario l'omaggio video al Papa, bellissimi i discorsi, palpabile l'emozione del Santo Padre.
Grazie davvero a tutti! Con grande piacere ho notato che e' presente anche Mons. Ratzinger a cui rinnoviamo gli auguri di ieri.
R.
Grazie davvero a tutti! Con grande piacere ho notato che e' presente anche Mons. Ratzinger a cui rinnoviamo gli auguri di ieri.
R.
Il 60° Anniversario di ordinazione del Papa. La commozione del Santo Padre, la gioia dei fedeli e della Chiesa Universale. L'opportunità che la chiesa italiana, il Vaticano, la diocesi di Roma ed i media non hanno saputo cogliere
Cari amici,
ieri con grandissima gioia e profonda commozione ci siamo stretti intorno al Papa ringraziandolo per lo straordinario dono di se stesso alla Chiesa.
Abbiamo visto l'emozione del Papa durante la sua omelia ed il profondo affetto che i fedeli hanno per il Successore di Pietro.
Il regalo e' stato grande e forse non e' giusto mettere i puntini sulle "i" ma lo ritengo necessario visto che non viviamo sul pero.
La grande felicita' di ieri avrebbe potuto essere condivisa con un numero maggiore di persone se chi di dovere avesse fatto uno sforzo in piu'.
Che cosa e chi ha mancato ieri?
I media. I telegiornali hanno dedicato pochissimo spazio al Santo Padre ieri (alcuni tg della sera non hanno speso nemmeno una parola o si sono limitati a commentare qualche immagine).
Meno male che e' andato in onda lo speciale di Filippo Di Giacomo che riscatta tutti quanti i suoi colleghi. Peccato per l'ora in cui e' stato trasmesso il documentario.
La diocesi di Roma. Non ho letto iniziative, lettere del cardinale vicario. Non si e' ritenuto opportuno organizzare veglie di preghiera, ore di adorazione o semplicemente rosari.
La chiesa in Italia. Imbarazzante la lettera della Cei. Nessuna iniziativa, nessun omaggio, nessun riferimento alle 60 ore di adorazione chieste dal card. Piacenza. Molto meglio hanno fatto gli altri Paesi europei ed extraeuropei. Brutta figura.
I media cattolici. Bene il numero di Avvenire di ieri. Non vi nascondo che mi aspettavo che l'Osservatore Romano dedicasse all'anniversario di ieri un numero speciale.
E' il Papa che e' sacerdote da 60 anni!
I movimenti. Chi li ha visti? Non si sono visti striscioni ieri (eppure di solito abbondano!) e non ho letto messaggi nei rispettivi siti internet. Si prenda esempio dai Piccoli Orionini, straordinari!
Il Vaticano. Non si puo' dire che abbia fatto grandi sforzi!
Per fortuna ci ha pensato la Fondazione Ratzinger a riscattare tutti quanti!
Il filmato offerto stamattina alla visione del Papa e' a dir poco straordinario!
Consentitemi di ringraziare i protagonisti ed in particolare il carissimo cardinale Ruini.
Sono convinta, e mi dispiace rimarcarlo, che ieri avremmo avuto ben altra attenzione da parte della chiesa italiana e del Vaticano se egli fosse ancora Presidente della Cei e vicario di Roma.
La gioia di ieri non viene certo meno, anzi!
Potevo evitare questo post ma non sarebbe stato giusto.
Ora mi godo il "Premio Ratzinger" :-)
R.
ieri con grandissima gioia e profonda commozione ci siamo stretti intorno al Papa ringraziandolo per lo straordinario dono di se stesso alla Chiesa.
Abbiamo visto l'emozione del Papa durante la sua omelia ed il profondo affetto che i fedeli hanno per il Successore di Pietro.
Il regalo e' stato grande e forse non e' giusto mettere i puntini sulle "i" ma lo ritengo necessario visto che non viviamo sul pero.
La grande felicita' di ieri avrebbe potuto essere condivisa con un numero maggiore di persone se chi di dovere avesse fatto uno sforzo in piu'.
Che cosa e chi ha mancato ieri?
I media. I telegiornali hanno dedicato pochissimo spazio al Santo Padre ieri (alcuni tg della sera non hanno speso nemmeno una parola o si sono limitati a commentare qualche immagine).
Meno male che e' andato in onda lo speciale di Filippo Di Giacomo che riscatta tutti quanti i suoi colleghi. Peccato per l'ora in cui e' stato trasmesso il documentario.
La diocesi di Roma. Non ho letto iniziative, lettere del cardinale vicario. Non si e' ritenuto opportuno organizzare veglie di preghiera, ore di adorazione o semplicemente rosari.
La chiesa in Italia. Imbarazzante la lettera della Cei. Nessuna iniziativa, nessun omaggio, nessun riferimento alle 60 ore di adorazione chieste dal card. Piacenza. Molto meglio hanno fatto gli altri Paesi europei ed extraeuropei. Brutta figura.
I media cattolici. Bene il numero di Avvenire di ieri. Non vi nascondo che mi aspettavo che l'Osservatore Romano dedicasse all'anniversario di ieri un numero speciale.
E' il Papa che e' sacerdote da 60 anni!
I movimenti. Chi li ha visti? Non si sono visti striscioni ieri (eppure di solito abbondano!) e non ho letto messaggi nei rispettivi siti internet. Si prenda esempio dai Piccoli Orionini, straordinari!
Il Vaticano. Non si puo' dire che abbia fatto grandi sforzi!
Per fortuna ci ha pensato la Fondazione Ratzinger a riscattare tutti quanti!
Il filmato offerto stamattina alla visione del Papa e' a dir poco straordinario!
Consentitemi di ringraziare i protagonisti ed in particolare il carissimo cardinale Ruini.
Sono convinta, e mi dispiace rimarcarlo, che ieri avremmo avuto ben altra attenzione da parte della chiesa italiana e del Vaticano se egli fosse ancora Presidente della Cei e vicario di Roma.
La gioia di ieri non viene certo meno, anzi!
Potevo evitare questo post ma non sarebbe stato giusto.
Ora mi godo il "Premio Ratzinger" :-)
R.
CONSEGNA DEL "PREMIO RATZINGER": DIRETTA IN CORSO
Diretta televisiva su Telepace (canale 802), Skytg24 (canale 100 o 500, servizio active) e TV2000 (canale 801). Sia Telepace sia TV2000 sono visibili anche sul digitale terrestre, nelle zone già raggiunte dal servizio.
Diretta CTV (audio originale, senza commento) sul servizio Vatican Player: clicca qui.
Diretta web sul sito di Telepace a questo link o su quello di TV2000 qui oppure sul sito del Vaticano a questo link.
Diretta audio su Radio Vaticana a questo indirizzo.
CONSIGLI PER SEGUIRE LE DIRETTE CON IL SANTO PADRE
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CONSIGLI PER SEGUIRE LE DIRETTE CON IL SANTO PADRE
Per l'unità e nell'unità. Benedetto XVI, l'amicizia nella fede, il compito dei Pastori nella Chiesa (Sir)
PIETRO E PAOLO
Per l'unità e nell'unità
Benedetto XVI, l'amicizia nella fede, il compito dei Pastori nella Chiesa
“‘Non vi chiamo più servi ma amici’. A sessant’anni dal giorno della mia ordinazione sacerdotale sento ancora risuonare nel mio intimo queste parole di Gesù, che il nostro grande arcivescovo, il card. Faulhaber, con la voce ormai un po’ debole e tuttavia ferma, rivolse a noi sacerdoti novelli al termine della cerimonia di ordinazione”. Con questa nota personale Benedetto XVI ha iniziato, stamattina, l’omelia della messa, nella basilica di San Pietro, per la solennità dei Santi Pietro e Paolo e l’imposizione del pallio ai nuovi metropoliti. Oggi ricorre, inoltre, il 60° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del Papa.
Amico. “Secondo l’ordinamento liturgico di quel tempo – ha aggiunto il Pontefice -, quest’acclamazione significava allora l’esplicito conferimento ai sacerdoti novelli del mandato di rimettere i peccati”. Tuttavia, “ciò che avveniva in quel momento, era ancora qualcosa di più. Egli mi chiama amico. Mi accoglie nella cerchia di coloro ai quali si era rivolto nel Cenacolo. Nella cerchia di coloro che Egli conosce in modo del tutto particolare e che così Lo vengono a conoscere in modo particolare. Mi conferisce la facoltà, che quasi mette paura, di fare ciò che solo Egli, il Figlio di Dio, può dire e fare legittimamente: Io ti perdono i tuoi peccati”. Non solo: “Egli mi affida le parole della consacrazione nell’Eucaristia. Egli mi ritiene capace di annunciare la sua Parola, di spiegarla in modo retto e di portarla agli uomini di oggi. Egli si affida a me”.
Come il vino pregiato. “Non più servi ma amici”: ma cosa è veramente l’amicizia? “L’amicizia – ha osservato il Santo Padre - è una comunione del pensare e del volere”. In realtà, “l’amicizia non è soltanto conoscenza, è soprattutto comunione del volere. Significa che la mia volontà cresce verso il ‘sì’ dell’adesione alla sua”. C’è poi un terzo elemento: “Egli dà la sua vita per noi”. La parola di Gesù sull’amicizia “sta nel contesto del discorso sulla vite. Il Signore collega l’immagine della vite con un compito dato ai discepoli”. Il primo “è quello di mettersi in cammino, di uscire da se stessi e di andare verso gli altri”. Dunque, “il Signore ci esorta a superare i confini dell’ambiente in cui viviamo, a portare il Vangelo nel mondo degli altri, affinché pervada il tutto e così il mondo si apra per il Regno di Dio”. Ma Gesù chiede anche di portare frutto, “un frutto che rimanga!”. Ma qual è il frutto che rimane? “Ebbene – ha affermato Benedetto XVI -, il frutto della vite è l’uva, dalla quale si prepara poi il vino. Fermiamoci per il momento su questa immagine”. Dopo aver ripercorso i passaggi necessari affinché si produca uva buona e vino pregiato, sole e pioggia, giorno e notte, processi di maturazione e fermentazione, il Papa ha domandato: “Non è forse questa già un’immagine della vita umana, e in modo del tutto particolare della nostra vita da sacerdoti? Abbiamo bisogno del sole e della pioggia, della serenità e della difficoltà, delle fasi di purificazione e di prova come anche dei tempi di cammino gioioso con il Vangelo. Volgendo indietro lo sguardo possiamo ringraziare Dio per entrambe le cose: per le difficoltà e per le gioie, per le ore buie e per quelle felici. In entrambe riconosciamo la continua presenza del suo amore, che sempre di nuovo ci porta e ci sopporta”.
Immagine dell’amore. Un’ulteriore domanda: di che genere è il frutto che il Signore attende da noi? “Il vino è immagine dell’amore: questo è il vero frutto che rimane, quello che Dio vuole da noi”, ha sostenuto il Pontefice, per il quale “l’autentico contenuto della Legge, la sua summa, è l’amore per Dio e per il prossimo. Questo duplice amore, tuttavia, non è semplicemente qualcosa di dolce. Esso porta in sé il carico della pazienza, dell’umiltà, della maturazione nella formazione ed assimilazione della nostra volontà alla volontà di Dio, alla volontà di Gesù Cristo, l’Amico”. Solo così, “nel diventare l’intero nostro essere vero e retto, anche l’amore è vero, solo così esso è un frutto maturo. La sua esigenza intrinseca, la fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, richiede sempre di essere realizzata anche nella sofferenza. Proprio così cresce la vera gioia. Nel fondo, l’essenza dell’amore, del vero frutto, corrisponde con la parola sul mettersi in cammino, sull’andare: amore significa abbandonarsi, donarsi; reca in sé il segno della croce”.
Giogo dolce ed esigente. Dopo aver dedicato questa riflessione al ricordo del suo 60° di sacerdozio, il Santo Padre ha rivolto un pensiero agli arcivescovi metropoliti nominati dopo l’ultima Festa dei grandi Apostoli cui oggi è stato imposto il pallio che ricorda “innanzitutto il giogo dolce di Cristo che ci viene posto sulle spalle”. Il giogo di Cristo “è identico alla sua amicizia. È un giogo di amicizia e perciò un ‘giogo dolce’, ma proprio per questo anche un giogo che esige e che plasma. È il giogo della sua volontà, che è una volontà di verità e di amore. Così è per noi soprattutto anche il giogo di introdurre altri nell’amicizia con Cristo e di essere a disposizione degli altri, di prenderci come Pastori cura di loro”. Il pallio viene intessuto con la lana di agnelli e ciò ricorda che il Pastore è diventato “Egli stesso Agnello, per amore nostro”. “Ci ricorda – ha detto - Cristo che si è incamminato per le montagne e i deserti, in cui il suo agnello, l’umanità, si era smarrito. Ci ricorda Lui, che ha preso l’agnello, l’umanità – me – sulle sue spalle, per riportarmi a casa. Ci ricorda in questo modo che, come Pastori al suo servizio, dobbiamo anche noi portare gli altri, prendendoli, per così dire, sulle nostre spalle e portarli a Cristo. Ci ricorda che possiamo essere Pastori del suo gregge che rimane sempre suo e non diventa nostro”. “Il pallio – ha concluso - significa molto concretamente anche la comunione dei Pastori della Chiesa con Pietro e con i suoi successori – significa che noi dobbiamo essere Pastori per l’unità e nell’unità e che solo nell’unità di cui Pietro è simbolo guidiamo veramente verso Cristo”.
© Copyright Sir
Per l'unità e nell'unità
Benedetto XVI, l'amicizia nella fede, il compito dei Pastori nella Chiesa
“‘Non vi chiamo più servi ma amici’. A sessant’anni dal giorno della mia ordinazione sacerdotale sento ancora risuonare nel mio intimo queste parole di Gesù, che il nostro grande arcivescovo, il card. Faulhaber, con la voce ormai un po’ debole e tuttavia ferma, rivolse a noi sacerdoti novelli al termine della cerimonia di ordinazione”. Con questa nota personale Benedetto XVI ha iniziato, stamattina, l’omelia della messa, nella basilica di San Pietro, per la solennità dei Santi Pietro e Paolo e l’imposizione del pallio ai nuovi metropoliti. Oggi ricorre, inoltre, il 60° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del Papa.
Amico. “Secondo l’ordinamento liturgico di quel tempo – ha aggiunto il Pontefice -, quest’acclamazione significava allora l’esplicito conferimento ai sacerdoti novelli del mandato di rimettere i peccati”. Tuttavia, “ciò che avveniva in quel momento, era ancora qualcosa di più. Egli mi chiama amico. Mi accoglie nella cerchia di coloro ai quali si era rivolto nel Cenacolo. Nella cerchia di coloro che Egli conosce in modo del tutto particolare e che così Lo vengono a conoscere in modo particolare. Mi conferisce la facoltà, che quasi mette paura, di fare ciò che solo Egli, il Figlio di Dio, può dire e fare legittimamente: Io ti perdono i tuoi peccati”. Non solo: “Egli mi affida le parole della consacrazione nell’Eucaristia. Egli mi ritiene capace di annunciare la sua Parola, di spiegarla in modo retto e di portarla agli uomini di oggi. Egli si affida a me”.
Come il vino pregiato. “Non più servi ma amici”: ma cosa è veramente l’amicizia? “L’amicizia – ha osservato il Santo Padre - è una comunione del pensare e del volere”. In realtà, “l’amicizia non è soltanto conoscenza, è soprattutto comunione del volere. Significa che la mia volontà cresce verso il ‘sì’ dell’adesione alla sua”. C’è poi un terzo elemento: “Egli dà la sua vita per noi”. La parola di Gesù sull’amicizia “sta nel contesto del discorso sulla vite. Il Signore collega l’immagine della vite con un compito dato ai discepoli”. Il primo “è quello di mettersi in cammino, di uscire da se stessi e di andare verso gli altri”. Dunque, “il Signore ci esorta a superare i confini dell’ambiente in cui viviamo, a portare il Vangelo nel mondo degli altri, affinché pervada il tutto e così il mondo si apra per il Regno di Dio”. Ma Gesù chiede anche di portare frutto, “un frutto che rimanga!”. Ma qual è il frutto che rimane? “Ebbene – ha affermato Benedetto XVI -, il frutto della vite è l’uva, dalla quale si prepara poi il vino. Fermiamoci per il momento su questa immagine”. Dopo aver ripercorso i passaggi necessari affinché si produca uva buona e vino pregiato, sole e pioggia, giorno e notte, processi di maturazione e fermentazione, il Papa ha domandato: “Non è forse questa già un’immagine della vita umana, e in modo del tutto particolare della nostra vita da sacerdoti? Abbiamo bisogno del sole e della pioggia, della serenità e della difficoltà, delle fasi di purificazione e di prova come anche dei tempi di cammino gioioso con il Vangelo. Volgendo indietro lo sguardo possiamo ringraziare Dio per entrambe le cose: per le difficoltà e per le gioie, per le ore buie e per quelle felici. In entrambe riconosciamo la continua presenza del suo amore, che sempre di nuovo ci porta e ci sopporta”.
Immagine dell’amore. Un’ulteriore domanda: di che genere è il frutto che il Signore attende da noi? “Il vino è immagine dell’amore: questo è il vero frutto che rimane, quello che Dio vuole da noi”, ha sostenuto il Pontefice, per il quale “l’autentico contenuto della Legge, la sua summa, è l’amore per Dio e per il prossimo. Questo duplice amore, tuttavia, non è semplicemente qualcosa di dolce. Esso porta in sé il carico della pazienza, dell’umiltà, della maturazione nella formazione ed assimilazione della nostra volontà alla volontà di Dio, alla volontà di Gesù Cristo, l’Amico”. Solo così, “nel diventare l’intero nostro essere vero e retto, anche l’amore è vero, solo così esso è un frutto maturo. La sua esigenza intrinseca, la fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, richiede sempre di essere realizzata anche nella sofferenza. Proprio così cresce la vera gioia. Nel fondo, l’essenza dell’amore, del vero frutto, corrisponde con la parola sul mettersi in cammino, sull’andare: amore significa abbandonarsi, donarsi; reca in sé il segno della croce”.
Giogo dolce ed esigente. Dopo aver dedicato questa riflessione al ricordo del suo 60° di sacerdozio, il Santo Padre ha rivolto un pensiero agli arcivescovi metropoliti nominati dopo l’ultima Festa dei grandi Apostoli cui oggi è stato imposto il pallio che ricorda “innanzitutto il giogo dolce di Cristo che ci viene posto sulle spalle”. Il giogo di Cristo “è identico alla sua amicizia. È un giogo di amicizia e perciò un ‘giogo dolce’, ma proprio per questo anche un giogo che esige e che plasma. È il giogo della sua volontà, che è una volontà di verità e di amore. Così è per noi soprattutto anche il giogo di introdurre altri nell’amicizia con Cristo e di essere a disposizione degli altri, di prenderci come Pastori cura di loro”. Il pallio viene intessuto con la lana di agnelli e ciò ricorda che il Pastore è diventato “Egli stesso Agnello, per amore nostro”. “Ci ricorda – ha detto - Cristo che si è incamminato per le montagne e i deserti, in cui il suo agnello, l’umanità, si era smarrito. Ci ricorda Lui, che ha preso l’agnello, l’umanità – me – sulle sue spalle, per riportarmi a casa. Ci ricorda in questo modo che, come Pastori al suo servizio, dobbiamo anche noi portare gli altri, prendendoli, per così dire, sulle nostre spalle e portarli a Cristo. Ci ricorda che possiamo essere Pastori del suo gregge che rimane sempre suo e non diventa nostro”. “Il pallio – ha concluso - significa molto concretamente anche la comunione dei Pastori della Chiesa con Pietro e con i suoi successori – significa che noi dobbiamo essere Pastori per l’unità e nell’unità e che solo nell’unità di cui Pietro è simbolo guidiamo veramente verso Cristo”.
© Copyright Sir
Sacerdote per sempre: Giubileo Sacerdotale di Benedetto XVI: il video integrale
Clicca qui per vedere la trasmissione (per sette giorni). Grazie per la segnalazione.
I complimenti e ringraziamenti più sinceri a Filippo Di Giacomo per il documentario di Raidue su Papa Benedetto
I complimenti e ringraziamenti più sinceri a Filippo Di Giacomo per il documentario di Raidue su Papa Benedetto
Joseph Ratzinger, sacerdote da 60 anni: «Dio, aiutami a conoscerti meglio» (Frigerio)
Clicca qui per leggere l'articolo.
Circolo S. Pietro, banchetto per 220 indigenti. In occasione dei sessanta anni di sacerdozio del Papa (Rovagna)
In occasione dei sessanta anni di sacerdozio del Papa, il Collegio Cardinalizio ha offerto un pranzo organizzato dallo storico sodalizio. Per i partecipanti anche pacchi dono
di Marta Rovagna
Ampi tavoli coperti di tovaglie immacolate, centrotavola di frutta fresca e grandi ombrelloni, sempre bianchi, per tenere all’ombra gli ospiti del Santo Padre. Ad accogliere il banchetto i giardini della basilica di San Giovanni in Laterano. È così che il Circolo S. Pietro ha voluto omaggiare Benedetto XVI in occasione dei sessanta anni del suo sacerdozio: occupandosi dell’organizzazione di un pranzo per i poveri di Roma servito proprio il giorno dei festeggiamenti, il 29 giugno 2011, nel cuore della Città Eterna e offerto dal Collegio Cardinalizio.
Gli ospiti al banchetto sono stati più di 220, accompagnati alla basilica lateranense con quattro pullman che hanno raccolto gli invitati presso Santa Croce in Gerusalemme e San Francesco a Ripa. All’arrivo, prima di servire il pranzo, gli invitati sono stati accolti dalla corale del Circolo che si è occupata dell’intrattenimento musicale della festa. A rispondere all’invito sono stati molti degli indigenti che abitualmente frequentano le tre mense del Circolo S. Pietro (quelle di via Mastro Giorgio, via della Lungaretta e via Adige). Tra gli ospiti c’erano gli italiani ma anche molti stranieri di diverse nazionalità: africani, asiatici e dell’est Europa, soprattutto rumeni e polacchi.
Le pietanze, preparate da un catering, sono state servito da più di cento soci dello storico sodalizio, che si sono occupati di ogni aspetto organizzativo del banchetto. Il pranzo, comprensivo di antipasto, primo, secondo, contorno, dolce e spumante è stato un successo: tutti hanno chiesto il bis e la torta, con lo stemma del Papa decorato sopra, è finita rapidamente. Al termine del pranzo il decano del Collegio Cardinalizio cardinale Angelo Sodano con il presidente del Circolo Leopoldo Torlonia e l’assistente ecclesiastico don Franco Camaldo hanno distribuito per ciascun ospite pacchi dono contenenti materiale per l’igiene personale, rosari e portachiavi. «L’iniziativa è stata un'occasione – ha sottolineato il presidente del Circolo S. Pietro Leopoldo Torlonia – per mostrare a Roma l’amore del Papa nei confronti di coloro che soffrono e che sono soli. Con questa iniziativa siamo sicuri che anche i cuori più duri si sono commossi nello sperimentare la sollecitudine del Santo Padre».
Gli assistiti del Circolo S. Pietro hanno mostrato una calda riconoscenza per il banchetto offerto. «Si sono presentati – ha raccontato un socio del sodalizio – vestiti con i loro abiti migliori, e hanno gridato “Viva il Papa!” con gioia. Nessuno ci è sembrato che sia arrivato con uno spirito opportunista, ma con il sincero desiderio di vivere un momento di festa». Accogliente e cordiale è stato il cardinale Sodano che ha tagliato la torta e ha personalmente servito ai tavoli scherzando con gli ospiti.
© Copyright Roma Sette, 30 giugno 2011
I complimenti e ringraziamenti più sinceri a Filippo Di Giacomo per il documentario di Raidue su Papa Benedetto
Cari amici, ieri sera è andato in onda su Raidue “Vivere con il Signore, per il Signore”. Giubileo sacerdotale di Benedetto XVI.
Grazie per questo bel dono e per la ricostruzione della biografia del Santo Padre con i contributi dei cardinali Kasper e Bertone.
Rai Vaticano ha realizzato davvero un ottimo lavoro che speriamo di poter rivedere anche sul web.
Nel disinteresse mostrato ieri da telegiornali e reti televisive, il documentario di Raidue brilla di una luce davvero speciale ed unica.
R.
Grazie per questo bel dono e per la ricostruzione della biografia del Santo Padre con i contributi dei cardinali Kasper e Bertone.
Rai Vaticano ha realizzato davvero un ottimo lavoro che speriamo di poter rivedere anche sul web.
Nel disinteresse mostrato ieri da telegiornali e reti televisive, il documentario di Raidue brilla di una luce davvero speciale ed unica.
R.
Fronda in Curia, ecco perché Scola teme Milano (De Lazzari)
Clicca qui per leggere l'intervista a Mons. Dino Pistolato, direttore della Caritas veneziana.
Beh, l'auspicio e' che il cardinale proceda al piu' presto con le nomine.
Beh, l'auspicio e' che il cardinale proceda al piu' presto con le nomine.
"L'omaggio" di Zizola al Papa: le improbabili ricostruzioni intorno alla nomina di Scola e le gravi accuse al fratello del Santo Padre
Clicca qui per leggere l'articolo.
Io mi auguro che almeno stavolta la Santa Sede si degni di rispondere (o dobbiamo credere che prenda a comunicati stampa solo certi vaticanisti, magari quando parlano di liturgia?) perche' siamo di fronte ad accuse gravi. Innanzitutto si prende di mira il cardinale Scola affermando che la sua candidatura e' stata orchestrata da una campagna stampa. In secondo luogo si offende pesantemente il Papa insinuando che si faccia condizionare, magari inconsapevolmente, dai mass media. Chi conosce minimamente Benedetto XVI sa che non e' e non puo' essere cosi'. E' del tutto ovvio che il Papa abbia scelto per Milano un vescovo che conosce bene.
Io mi auguro che almeno stavolta la Santa Sede si degni di rispondere (o dobbiamo credere che prenda a comunicati stampa solo certi vaticanisti, magari quando parlano di liturgia?) perche' siamo di fronte ad accuse gravi. Innanzitutto si prende di mira il cardinale Scola affermando che la sua candidatura e' stata orchestrata da una campagna stampa. In secondo luogo si offende pesantemente il Papa insinuando che si faccia condizionare, magari inconsapevolmente, dai mass media. Chi conosce minimamente Benedetto XVI sa che non e' e non puo' essere cosi'. E' del tutto ovvio che il Papa abbia scelto per Milano un vescovo che conosce bene.
mercoledì 29 giugno 2011
La commozione del Papa nel ricordare i suoi sessant'anni di sacerdozio e l'omelia di stamattina nel commento di Salvatore Izzo
PAPA: MIO SERVIZIO E' PER L'UNITA' DELLA CHIESA
(AGI) - CdV, 29 giu.
(di Salvatore Izzo)
"Cristo si e' incamminato per le montagne e i deserti, in cui il suo agnello si era smarrito, ha preso l'agnello, l'umanita', cioe' anche me, sulle sue spalle, per riportarmi a casa. Dobbiamo anche noi portare gli altri, prendendoli, per cosi' dire, sulle nostre spalle" come "Pastori del suo gregge, che rimane sempre suo e non diventa nostro".
Benedetto XVI ha sintetizzato cosi' nell'omelia della festa dei Santi Pietro e Paolo il servizio al quale sono chiamati tutti i vescovi e in modo particolare gli arcivescovi metropoliti, il cui diretto legame con la sede apostolica e' simbolizzato "molto concretamente" dal pallio che come e' tradizione egli stesso ha imposto ai 40 nuovi arcivescovi nominati quest'anno (assente per ragioni logistiche il nuovo arcivescovo di Milano Angelo Scola gli italiani a riceverlo sono stati Cesare Nosiglia di Torimo e Vincenzo Bertolone di Catanzaro-Squillace). Questa stola di lana bianca con le croci nere che testimonia, ha ricordato Ratzinger, "la comunione dei Pastori della Chiesa con Pietro e con i suoi successori", il che "significa - ha spiegato - che noi dobbiamo essere Pastori per l'unita' e nell'unita' e che solo nell'unita' di cui Pietro e' simbolo guidiamo veramente verso Cristo".
"La testimonianza di amore e di fedelta' dei Santi Pietro e Paolo illumina i Pastori della Chiesa, per condurre gli uomini alla verita', formandoli alla fede in Cristo", ha poi rilevato nel successivo breve discorso che ha preceduto l'Angelus. "San Pietro - ha aggiunto - rappresenta l'unita' del collegio apostolico".
In proposito, il Papa ha citato sant'Ireneo, vescovo di Lione, per il quale "alla Chiesa di Roma deve convergere ogni altra Chiesa, cioe' i fedeli che sono dovunque, perche' in essa e' stata sempre custodita la tradizione che viene dagli Apostoli".
"E' questa la fede professata da Pietro a costituire il fondamento della Chiesa", ha insistito ancora ricordando le parole del Vangelo di Marco: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". "Il primato di Pietro e' predilezione divina, come lo e' anche la vocazione sacerdotale", ha quindi continuato il Papa ricordando che Gesu' rispose a Pietro: "ne' la carne ne' il sangue te lo hanno rivelato ma il Padre mio che e' nei cieli".
"Cosi' accade a chi decide di rispondere alla chiamata di Dio con la totalita' della propria vita", ha commentato Ratzinger confidando di aver riletto volentieri questa pagina evangelica nel sessantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale. Una ricorrenza che era stata evocata all'inizio del rito dal decano del Collegio Cardinalizio, Angelo Sodano, con una rassicurazione molto opportuna: "Padre Santo, in questo momento le sono vicini i pastori e i fedeli di tutto il mondo, come tanti uomini di buona volonta' che guardano alla Chiesa di Roma come 'un vessillo sopra le nazioni', segno della continua presenza divina nelle alterne vicende della storia". Un significativo richiamo al carattere "sovranazionale" garantito alla Chiesa Cattolica dalla guida del Papa che il porporato ha fatto citando le parole del profeta Isaia.
E Joseph Ratzinger - visibilmente emozionato per la presenza di decine di cardinali e vescovi che si sono stretti a lui in questo importante anniversario - non ha esitato a confidare alcuni ricordi di quel 29 giugno di 60 anni fa: la voce malferma del cardinale di Monaco, la paura che gli incuteva il ricevere la potesta' di rimettere i peccati, ma soprattutto la gioia che nonostante fatica e sofferenze ha caratterizzato il suo sacerdozio. "Perche' possa maturare uva buona, occorre il sole ma anche la pioggia, il giorno e la notte", ha detto il Papa nell'omelia rimarcando che "perche' maturi un vino pregiato c'e' bisogno della pigiatura, ci vuole la pazienza della fermentazione, la cura attenta che serve ai processi di maturazione".
E salvaguardando l'unica dottrina, nella Chiesa c'e' posto per toni e modi diversi di vivere il sacerdozio, come del resto testimoniano proprio i carismi diversi dei fratelli Joseph e Georg Ratzinger: il primo ha scelto l'apostolato attraverso la parola e i libri, il secondo attraverso la musica sacra.
"E' caratteristica del vino pregiato - infatti - non soltanto la dolcezza, ma anche la ricchezza delle sfumature, l'aroma variegato che si e' sviluppato nei processi della maturazione e della fermentazione". "Non e' forse questa - si e' chiesto - un'immagine della vita umana, e in modo del tutto particolare della nostra vita da sacerdoti? Abbiamo bisogno del sole e della pioggia, della serenita' e della difficolta', delle fasi di purificazione e di prova come anche dei tempi di cammino gioioso con il Vangelo". "Volgendo indietro lo sguardo - ha continuato Joseph Ratzinger che dopo Leone XIII e' l'unico Papa giunto al traguardo dei 60 anni di messa - possiamo ringraziare Dio per entrambe le cose: per le difficolta' e per le gioie, per le ore buie e per quelle felici". "In entrambe - ha osservato - riconosciamo la continua presenza del suo amore, che sempre di nuovo ci porta e ci sopporta. Ora, tuttavia, dobbiamo domandarci: di che genere e' il frutto che il Signore attende da noi? Nel fondo, l'essenza dell'amore, del vero frutto, corrisponde con la parola sul mettersi in cammino, sull'andare: amore significa abbandonarsi, donarsi; reca in se' il segno della croce". In tale contesto il Papa teologo ha citato una frase molto significativa di Gregorio Magno: "Se tendete verso Dio, badate di non raggiungerlo da soli". "Una parola - ha concluso - che a noi, come sacerdoti, deve essere intimamente presente ogni giorno".
Al termine della messa, Benedetto XVI e' sceso nelle Grotte vaticane per pregare sulla tomba di San Pietro insieme al metropolita di Francia Emmanuel Adamakis, capo della delegazione ortodossa presente al rito. Con lui, durante la messa, aveva anche scambiato un segno di pace. E infine, affacciandosi con mezz'ora di ritardo sull'orario consueto delle 12 - perche' si e' scusato, "la messa e' stata bella e lunga", ha voluto rivolgere all'Angelus, un saluto ai membri della delegazione inviata dal patriarca ecumenico Bartolomeo I, della quale fanno parte con il metropolita di Francia anche Athenagoras, vescovo di Sinope e ausiliare del Metropolita del Belgio e l'archimandrita Maxime Pothos, vicario generale della Metropolia della Svizzera, con i quali si e' detto lieto di "condividere l'auspicio dell'unita' dei cristiani voluta dal Signore".
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