PAPA: RICERCA AFFANNOSA DELL'AUDIENCE PENALIZZA QUALITA' DEI MEDIA
Salvatore Izzo
(AGI) - Castel Gandolfo, 30 apr.
La "ricerca affannosa dell'audience" e' stata indicata oggi da Papa Ratzinger tra le "difficolta'" che le radio cattoliche europee incontrano "con differenti aspetti e proporzioni nei diversi Paesi".
"Vi possono essere - ha elencato Benedetto XVI - la sfida della concorrenza da parte dell'emittenza commerciale; il condizionamento di una politica vissuta come spartizione del potere invece che come servizio del bene comune; la scarsezza di risorse economiche accentuata da situazioni di crisi; l'impatto degli sviluppi delle nuove tecnologie di comunicazione; la ricerca affannosa dell'audience". "Ma - ha concluso il Papa - troppo grandi e urgenti sono le sfide del mondo odierno" in cui debbono cimentarsi i media cattolici "per lasciarsi scoraggiare e arrendersi di fronte a queste difficolta'".
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PAPA: CHIESA PREOCCUPATA PER I DEBOLI, ANCHE MEDIA DEVONO ESSERLO
Salvatore Izzo
(AGI) - Castelgandolfo, 30 apr.
Benedetto XVI ricorda alle radio cattoliche europee le preoccupazioni che "nutre la Chiesa cattolica a proposito del rispetto della vita umana, della difesa della famiglia, del riconoscimento degli autentici diritti e delle giuste aspirazioni dei popoli, degli squilibri che causano sottosviluppo e fame in tante parti del mondo, dell'accoglienza dei migranti, della disoccupazione e della sicurezza sociale, delle nuove poverta' ed emarginazioni sociali, delle discriminazioni e delle violazioni della liberta' religiosa, del disarmo e della ricerca di soluzione pacifica dei conflitti".
E sottolinea che "e' compito delle radio come pure delle televisioni alimentare ogni giorno una corretta ed equilibrata informazione e un approfondito dibattito per trovare le migliori soluzioni condivise su tali questioni in una societa' pluralistica". "E' un compito - avverte - che richiede alta onesta' professionale, correttezza e rispetto, apertura alle prospettive diverse, chiarezza nell'affrontare i problemi, liberta' da steccati ideologici, consapevolezza della complessita' dei problemi". "Si tratta - conclude nel discorso rivolto questa mattina ai partecipanti al simposio europeo delle radio cattoliche - di una ricerca paziente di quella 'verita' quotidiana' che meglio traduce i valori nella vita e meglio orienta il cammino della societa', e che va cercata insieme con umilta'".
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PAPA: INTERNET PUO' AIUTARE DEMOCRAZIA IN NORDAFRICA E M.O.
Salvatore Izzo
(AGI) - Castelgandolfo, 30 apr.
Benedetto XVI si e' riferito ai processi di democratizzazione in corso in Paesi del Mediterraneo e nel Vicino Oriente in un discorso rivolto alle radio cattoliche europee, riunite in questi giorni in Vaticano. "Sappiamo - ha detto - che le nuove forme di comunicazione hanno svolto e svolgono un ruolo non secondario in questi stessi processi". L'auspicio del Papa e' che i media sappiano mettersi "al servizio di una riflessione e di un impegno affinche' gli strumenti delle comunicazioni sociali servano al dialogo, alla pace e allo sviluppo solidale dei popoli, superando le distanze culturali, le diffidenze o le paure".
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PAPA: RELIGIONE HA RUOLO PUBBLICO MA SETTARISMO E' ECCESSO
Salvatore Izzo
(AGI) - Castelgandolfo, 30 apr. -
"La religione contribuisce a purificare la ragione, aiutandola a non cadere in distorsioni, come la manipolazione da parte dell'ideologia, o l'applicazione parziale che non tenga conto pienamente della dignita' della persona umana. Allo stesso tempo, anche la religione riconosce di aver bisogno del correttivo della ragione per evitare eccessi, come l'integralismo o il settarismo". Lo ha affermato Benedetto XVI nel discorso rivolto questa mattina alle Radio cattoliche Europee. Secondo il Papa, "la Chiesa Cattolica ha un suo contributo specifico da dare" alla societa'. "Intende darlo - ha spiegato ricordando le affermazioni fatte in settembre alla Westminster Hal - testimoniando la sua adesione alla verita' che e' Cristo, ma allo stesso tempo con apertura e spirito di dialogo". Infatti, "la religione non intende prevaricare nei confronti dei non credenti, ma aiutare la ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi". "La religione - ha aggiunto - non e' un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione". E i media cattolici debbono "cercare di promuovere ed incoraggiare il dialogo fra fede e ragione nella prospettiva del servizio al bene comune nazionale". Per il Pontefice si tratta di "un servizio pubblico", cioe' "un servizio alla gente, per aiutarla ogni giorno a conoscere e a capire meglio cio' che succede e perche' succede, e a comunicare attivamente per concorrere al cammino comune della societa'".
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PAPA: ATTRAVERSO LA RADIO I PONTEFICI HANNO PROMOSSO LA PACE
Salvatore Izzo
(AGI) - Castel Gandolfo, 30 apr.
"Attraverso la radio, i Papi hanno potuto trasmettere oltre le frontiere messaggi di grande importanza per l'umanita', come quelli giustamente famosi di Pio XII durante la seconda guerra mondiale, che hanno dato voce alle aspirazioni piu' profonde verso la giustizia e la pace, o come quello di Giovanni XXIII al momento culminante della crisi fra Stati Uniti e Unione Sovietica nel 1962". Lo ha ricordato Benedetto XVI nel discorso rivolto questa mattina alle radio cattoliche europee. "Attraverso la radio - ha aggiunto - Pio XII ha potuto far diffondere centinaia di migliaia di messaggi delle famiglie per i prigionieri e i dispersi durante la guerra, svolgendo un'opera umanitaria che gli guadagno' gratitudine imperitura. Attraverso la radio, inoltre, sono state a lungo sostenute le attese di credenti e di popoli soggetti a regimi oppressivi dei diritti umani e della liberta' religiosa". "Quando il mio predecessore Pio XI si rivolse a Guglielmo Marconi perche' dotasse lo Stato della Citta' del Vaticano di una Stazione radio all'altezza della migliore tecnologia disponibile a quel tempo, dimostro' - ha tenuto a riconoscere il Papa tedesco - di aver intuito con acutezza in quale direzione si stava sviluppando il mondo delle comunicazioni e quali potenzialita' la radio poteva offrire per il servizio della missione della Chiesa". E anche oggi "la Santa Sede e' consapevole delle potenzialita' straordinarie che ha il mondo della comunicazione per il progresso e la crescita delle persone e della societa'. Si puo' dire che tutto l'insegnamento della Chiesa su questo settore, a partire dai discorsi di Pio XII, passando attraverso i documenti del Concilio Vaticano II, fino ai miei piu' recenti messaggi sulle nuove tecnologie digitali, e' attraversato - ha concluso Ratzinger - da una vena di ottimismo, di speranza e di simpatia sincera verso coloro che si impegnano in questo campo per favorire l'incontro e il dialogo, servire la comunita' umana, contribuire alla crescita pacifica della societa'".
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sabato 30 aprile 2011
Le “perle” del beato Karol Wojtyla. Quelle vere (Magister)
Clicca qui per leggere il commento del prof. Pietro De Marco.
Wojtyla, il Papa: domani sarà festa della fede. I commenti del vicario di Tripoli, di Navarro e del Sir (Izzo)
WOJTYLA: BENEDETTO XVI, DOMANI SARA' FESTA DELLA FEDE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 apr.
La beatificazione di Giovanni Paolo II si annuncia come una grande e universale "festa della fede". La descrive cosi' Benedetto XVI, in un breve testo autografo pubblicato in prima pagina dall'Osservatore Romano. "Ai lettori de L'Osservatore Romano, ai fedeli di Roma e ai pellegrini provenienti dal mondo intero - scrive di suo pugno Benedetto XVI - giunga il mio piu' cordiale benvenuto nel giorno della Beatificazione del Papa Giovanni Paolo II. Questa festa della fede sia una preziosa occasione per aprire le porte a Cristo e un forte invito a vivere, con la generosita' del nuovo Beato, il Vangelo dell'Amore. Giunga a tutti la mia Benedizione". "Un avvenimento straordinario, senza precedenti negli ultimi dieci secoli della storia della Chiesa. La beatificazione di Karol Wojtyla, Pontefice dal 1978 al 2005 con il nome di Giovanni Paolo II, si annuncia come una grande e universale festa della fede", scrive l'Osservatore commentando il breve messaggio autografo di Papa Ratzinger, "l'immediato successore che presiede la solenne concelebrazione eucaristica domenica primo maggio, in piazza San Pietro. Una festa - aggiunge il direttore del giornale vaticano, professor Giovanni Maria Vian - che migliaia di persone giunte a Roma da tutto il mondo si preparano a vivere proprio in queste ore. E che, nell'auspicio dello stesso Papa Ratzinger, costituisce una preziosa occasione per aprire le porte a Cristo. Ai giovani - si legge ancora nel corsivo - il compito di inaugurare questa tre giorni di celebrazioni, con la veglia di sabato sera al Circo Massimo, in collegamento con cinque santuari mariani di diversi continenti. Domenica mattina, la cerimonia in piazza San Pietro, dove il giorno dopo, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, celebrera' la messa di ringraziamento in onore del nuovo beato".
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WOJTYLA: LA PREGHIERA DEL VICARIO APOSTOLICO DI TRIPOLI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 apr.
"Chiediamo l'intercessione di Giovanni Paolo II che puo' fare miracoli". Lo afferma monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, in un'intervista all'agenzia vaticana Fides, nella quale ricorda che "e' stato questo Papa ad avviare le relazioni diplomatiche con la Libia, nel 1997, quando questo Paese era sotto embargo internazionale". "Volevo essere a Roma - rivela - per la beatificazione di questo grande Pontefice. Sto pero' pregando incessantemente perche', attraverso la sua intercessione, si trovi una soluzione pacifica alla crisi". "Papa Giovanni Paolo II - ricorda Martinelli - ci ha insegnato che le tensioni ed i contrasti si devono risolvere non con gli embarghi, e aggiungerei non con le bombe, ma con il dialogo. Questo e' stato il suo forte insegnamento. La guerra non puo' portarci alla pace".
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WOJTYLA: NAVARRO, ENCICLICA PIU' BELLA SCRITTA CON LA SOFFERENZA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 apr.
"In un Pontificato ricchissimo di incidenze storiche, il capolavoro di Giovanni Paolo II per me e' quello compiuto nella sua stessa vita: l'aver mantenuto in tutta la sua esistenza quella docilita' interiore necessaria per dire sempre si' a tutto quello che gli veniva chiesto da Dio. Ed infatti l'enciclica piu' bella e' quella che ha vissuto piu' che scritto, con le sue sofferenze durante la malattia". Lo ha detto il dottor Joaquin Navarro Valls, storico portavoce di Giovanni Paolo II, in un'intervista all'Agi. "Papa Wojtyla - ha spiegato - ci ha fatto capire cosa sia la dignita' della persona umana e non c'e' dubbio che la partecipazione del mondo intero a quella sofferenza anche dopo anni rimane un valore al quale riferirsi".
Per Navarro, che oggi e' presidente dell'Universita' 'Campus Bio-medico', Giovanni Paolo II, in questo modo ci ha ricordato che "c'e' una domanda che va al di la' della ricerca biomedica e della bioetica: da dove gli viene all'uomo questa dignita'' che tutti proclamano? Una domanda che non si puo' evitare".
"In un Pontificato ricchissimo di incidenze storiche, il capolavoro di Giovanni Paolo II per me e' quello compiuto nella sua stessa vita: l'aver mantenuto in tutta la sua esistenza quella docilita' interiore necessaria per dire sempre si' a tutto quello che gli veniva chiesto da Dio. Ed infatti l'enciclica piu' bella e' quella che ha vissuto piu' che scritto, con le sue sofferenze durante la malattia". Lo ha detto il dottor Joaquin Navarro Valls, storico portavoce di Giovanni Paolo II, in un'intervista all'Agi. "Papa Wojtyla - ha spiegato - ci ha fatto capire cosa sia la dignita' della persona umana e non c'e' dubbio che la partecipazione del mondo intero a quella sofferenza anche dopo anni rimane un valore al quale riferirs".
Per Navarro, che oggi e' presidente dell'Universita' 'Campus Bio-medico', Giovanni Paolo II, in questo modo ci ha ricordato che "c'e' una domanda che va al di la' della ricerca biomedica e della bioetica: da dove gli viene all'uomo questa dignita'' che tutti proclamano? Una domanda che non si puo' evitare".
Quanto alle dichiarazioni raccolte nel processo di beatificazione di Giovanni Paolo II, Navarro afferma: "Quando saranno pubbliche riceveremo sorprese maggiori. E non mi riferisco a miracoli e prodigi compiuti in vita ne' alle penitenze che si sarebbe inflitto, delle quali si e' parlato recentemente. Miracoli e mortificazioni per me non aggiungono nulla alla sua grandezza spirituale. Per questo personalmente non avevo mai cercato conferme ad esempio su guarigioni che gli venivano attribuite. In realta' io per primo ero affascinato dal suo vivere intensamente la fede in ogni momento, in tutto quello che faceva. Con un'intensita' ed anche un'eleganza umana straordinarie".
Il Papa polacco, ha raccontato ancora il suo portavoce, "alle volte pregava disteso per terra". Ed una volta, "volando verso il Messico, gli era stato messo in aereo un letto a disposizione ma preferi' condividere con tutti gli altri la fatica di quel lungo volo restando seduto, e la mattina dell'arrivo affronto' poi le fatiche dei tanti incontri e cerimonie che erano in programma".
Nell'intervista il dottor Navarro ha confidato infine che egli stesso, tornato a indossare il camice bianco da medico prega Wojtyla. "Prima - ha detto - stavo con lui qualche ora al giorno. Ora posso essere in contatto con lui 24 ore al giorno. Per questo non ho nostalgia del passato".
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WOJTYLA: SIR, GRANDE INTERPRETE DI ROMA E DELL'ITALIA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 apr.
La beatificazione di Giovanni Paolo II sara' domani "anche una grande festa per l'Italia e gli italiani". Lo scrive il Servizio Informazione Religiosa, ricordando che "il primo Papa straniero dopo secoli, e' stato anche un grande interprete di Roma e dell'Italia". "Della citta' di cui era diventato e si sentiva fortemente vescovo aveva pienamente raccolto - si legge nel testo - il carattere insieme universale e familiare, quasi atemporale, per cui tutti si possono sentire a casa propria, in una terra nello stesso tempo molto marcata dai segni identitari ma senza confini". "All'Italia - afferma la nota firmata dal professor Francesco Bonini, politologo, docente all'Universita' di Chieti e alla Lumsa, oltre che coordinatore scientifico del Progetto Culturale della Cei - ha saputo parlare, senza retorica, ma con la credibilita' del testimone, di patria. E ha instancabilmente collegato questo suo appello all'idea che l'Italia avesse qualcosa di molto importante da dire e da fare in una Europa che a sua volta, riunificandosi, doveva ritrovare un ruolo di civilta', a partire dall'eredita' e dall'identita' cristiana". Il professor Bonini cita in proposito quanto scritto da Wojtyla in una famosa lettera dell'Epifania 1994, al culmine della "crisi italiana", quando il Papa polacco si disse "convinto che l'Italia come nazione ha moltissimo da offrire a tutta l'Europa". Questo, conclude la nota, "puo' valere anche oggi come indicazione, per tutti. E, nello stesso tempo, puo' rappresentare anche il trait d'union" con l'appello dei vescovi per una "nuova generazione di cattolici impegnai in politica".
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WOJTYLA: SIR, NON PENSAVA CHE SECOLARIZZAZIONE FOSSE INEVITABILE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 apr.
"Giovanni Paolo II non era assolutamente convinto di un inevitabile destino di secolarizzazione, per l'Italia e per l'Europa. E lo dimostra con il coraggio delle opere, nella certezza della fede". Lo scrive il Servizio Informazione Religiosa in una nota a firma di Francesco Bonini, coordinatore scientifico del progetto culturale della Cei. Una convinzione, assicura, "che tutti coloro che gli sono passati anche solo per poco accanto testimoniano essere fondata sulla realta' misteriosa e trasparente della preghiera continua, il grande messaggio pubblico, politico e sociale, che Giovanni Paolo II ha lanciato". "Nell'Italia e nella stessa Chiesa italiana della fine degli anni Settanta, alle prese con una stagione di crisi e contemplazione della crisi, questo messaggio, cosi' semplice e diretto, provoca - ricorda il professor Bonini, che e' docente di scienze politiche a Chieti e alla Lumsa di Roma - effetti dirompenti e fragorosi, getta semi inediti, destinati a fruttificare nel corso del decennio successivo e molto oltre". "Alla stagione della crisi, che tocca il suo apogeo proprio durante gli anni Settanta, succede cosi' - sottolinea l'editoriale proposto dal Sir ai 150 settimanali cattolici italiani - quella della 'riconfigurazione' del mondo cattolico, privo ormai di complessi in ordine ad una modernita' di cui e' pienamente partecipe, come terreno di quella che il Papa definisce 'nuova evangelizzazione', sempre nel quadro di una realta' di popolo". "Una Chiesa di popolo in una vita di popolo, il popolo italiano, che Giovanni Paolo II - conclude Bonini - accompagna in tanti frangenti, dalle pulsioni secessioniste dei primi anni Novanta al passaggio del Giubileo, alle scelte di politica internazionale, di fronte alla pace e alla guerra, nei Balcani e nel Medio Oriente".
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Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 apr.
La beatificazione di Giovanni Paolo II si annuncia come una grande e universale "festa della fede". La descrive cosi' Benedetto XVI, in un breve testo autografo pubblicato in prima pagina dall'Osservatore Romano. "Ai lettori de L'Osservatore Romano, ai fedeli di Roma e ai pellegrini provenienti dal mondo intero - scrive di suo pugno Benedetto XVI - giunga il mio piu' cordiale benvenuto nel giorno della Beatificazione del Papa Giovanni Paolo II. Questa festa della fede sia una preziosa occasione per aprire le porte a Cristo e un forte invito a vivere, con la generosita' del nuovo Beato, il Vangelo dell'Amore. Giunga a tutti la mia Benedizione". "Un avvenimento straordinario, senza precedenti negli ultimi dieci secoli della storia della Chiesa. La beatificazione di Karol Wojtyla, Pontefice dal 1978 al 2005 con il nome di Giovanni Paolo II, si annuncia come una grande e universale festa della fede", scrive l'Osservatore commentando il breve messaggio autografo di Papa Ratzinger, "l'immediato successore che presiede la solenne concelebrazione eucaristica domenica primo maggio, in piazza San Pietro. Una festa - aggiunge il direttore del giornale vaticano, professor Giovanni Maria Vian - che migliaia di persone giunte a Roma da tutto il mondo si preparano a vivere proprio in queste ore. E che, nell'auspicio dello stesso Papa Ratzinger, costituisce una preziosa occasione per aprire le porte a Cristo. Ai giovani - si legge ancora nel corsivo - il compito di inaugurare questa tre giorni di celebrazioni, con la veglia di sabato sera al Circo Massimo, in collegamento con cinque santuari mariani di diversi continenti. Domenica mattina, la cerimonia in piazza San Pietro, dove il giorno dopo, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, celebrera' la messa di ringraziamento in onore del nuovo beato".
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WOJTYLA: LA PREGHIERA DEL VICARIO APOSTOLICO DI TRIPOLI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 apr.
"Chiediamo l'intercessione di Giovanni Paolo II che puo' fare miracoli". Lo afferma monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, in un'intervista all'agenzia vaticana Fides, nella quale ricorda che "e' stato questo Papa ad avviare le relazioni diplomatiche con la Libia, nel 1997, quando questo Paese era sotto embargo internazionale". "Volevo essere a Roma - rivela - per la beatificazione di questo grande Pontefice. Sto pero' pregando incessantemente perche', attraverso la sua intercessione, si trovi una soluzione pacifica alla crisi". "Papa Giovanni Paolo II - ricorda Martinelli - ci ha insegnato che le tensioni ed i contrasti si devono risolvere non con gli embarghi, e aggiungerei non con le bombe, ma con il dialogo. Questo e' stato il suo forte insegnamento. La guerra non puo' portarci alla pace".
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WOJTYLA: NAVARRO, ENCICLICA PIU' BELLA SCRITTA CON LA SOFFERENZA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 apr.
"In un Pontificato ricchissimo di incidenze storiche, il capolavoro di Giovanni Paolo II per me e' quello compiuto nella sua stessa vita: l'aver mantenuto in tutta la sua esistenza quella docilita' interiore necessaria per dire sempre si' a tutto quello che gli veniva chiesto da Dio. Ed infatti l'enciclica piu' bella e' quella che ha vissuto piu' che scritto, con le sue sofferenze durante la malattia". Lo ha detto il dottor Joaquin Navarro Valls, storico portavoce di Giovanni Paolo II, in un'intervista all'Agi. "Papa Wojtyla - ha spiegato - ci ha fatto capire cosa sia la dignita' della persona umana e non c'e' dubbio che la partecipazione del mondo intero a quella sofferenza anche dopo anni rimane un valore al quale riferirsi".
Per Navarro, che oggi e' presidente dell'Universita' 'Campus Bio-medico', Giovanni Paolo II, in questo modo ci ha ricordato che "c'e' una domanda che va al di la' della ricerca biomedica e della bioetica: da dove gli viene all'uomo questa dignita'' che tutti proclamano? Una domanda che non si puo' evitare".
"In un Pontificato ricchissimo di incidenze storiche, il capolavoro di Giovanni Paolo II per me e' quello compiuto nella sua stessa vita: l'aver mantenuto in tutta la sua esistenza quella docilita' interiore necessaria per dire sempre si' a tutto quello che gli veniva chiesto da Dio. Ed infatti l'enciclica piu' bella e' quella che ha vissuto piu' che scritto, con le sue sofferenze durante la malattia". Lo ha detto il dottor Joaquin Navarro Valls, storico portavoce di Giovanni Paolo II, in un'intervista all'Agi. "Papa Wojtyla - ha spiegato - ci ha fatto capire cosa sia la dignita' della persona umana e non c'e' dubbio che la partecipazione del mondo intero a quella sofferenza anche dopo anni rimane un valore al quale riferirs".
Per Navarro, che oggi e' presidente dell'Universita' 'Campus Bio-medico', Giovanni Paolo II, in questo modo ci ha ricordato che "c'e' una domanda che va al di la' della ricerca biomedica e della bioetica: da dove gli viene all'uomo questa dignita'' che tutti proclamano? Una domanda che non si puo' evitare".
Quanto alle dichiarazioni raccolte nel processo di beatificazione di Giovanni Paolo II, Navarro afferma: "Quando saranno pubbliche riceveremo sorprese maggiori. E non mi riferisco a miracoli e prodigi compiuti in vita ne' alle penitenze che si sarebbe inflitto, delle quali si e' parlato recentemente. Miracoli e mortificazioni per me non aggiungono nulla alla sua grandezza spirituale. Per questo personalmente non avevo mai cercato conferme ad esempio su guarigioni che gli venivano attribuite. In realta' io per primo ero affascinato dal suo vivere intensamente la fede in ogni momento, in tutto quello che faceva. Con un'intensita' ed anche un'eleganza umana straordinarie".
Il Papa polacco, ha raccontato ancora il suo portavoce, "alle volte pregava disteso per terra". Ed una volta, "volando verso il Messico, gli era stato messo in aereo un letto a disposizione ma preferi' condividere con tutti gli altri la fatica di quel lungo volo restando seduto, e la mattina dell'arrivo affronto' poi le fatiche dei tanti incontri e cerimonie che erano in programma".
Nell'intervista il dottor Navarro ha confidato infine che egli stesso, tornato a indossare il camice bianco da medico prega Wojtyla. "Prima - ha detto - stavo con lui qualche ora al giorno. Ora posso essere in contatto con lui 24 ore al giorno. Per questo non ho nostalgia del passato".
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WOJTYLA: SIR, GRANDE INTERPRETE DI ROMA E DELL'ITALIA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 apr.
La beatificazione di Giovanni Paolo II sara' domani "anche una grande festa per l'Italia e gli italiani". Lo scrive il Servizio Informazione Religiosa, ricordando che "il primo Papa straniero dopo secoli, e' stato anche un grande interprete di Roma e dell'Italia". "Della citta' di cui era diventato e si sentiva fortemente vescovo aveva pienamente raccolto - si legge nel testo - il carattere insieme universale e familiare, quasi atemporale, per cui tutti si possono sentire a casa propria, in una terra nello stesso tempo molto marcata dai segni identitari ma senza confini". "All'Italia - afferma la nota firmata dal professor Francesco Bonini, politologo, docente all'Universita' di Chieti e alla Lumsa, oltre che coordinatore scientifico del Progetto Culturale della Cei - ha saputo parlare, senza retorica, ma con la credibilita' del testimone, di patria. E ha instancabilmente collegato questo suo appello all'idea che l'Italia avesse qualcosa di molto importante da dire e da fare in una Europa che a sua volta, riunificandosi, doveva ritrovare un ruolo di civilta', a partire dall'eredita' e dall'identita' cristiana". Il professor Bonini cita in proposito quanto scritto da Wojtyla in una famosa lettera dell'Epifania 1994, al culmine della "crisi italiana", quando il Papa polacco si disse "convinto che l'Italia come nazione ha moltissimo da offrire a tutta l'Europa". Questo, conclude la nota, "puo' valere anche oggi come indicazione, per tutti. E, nello stesso tempo, puo' rappresentare anche il trait d'union" con l'appello dei vescovi per una "nuova generazione di cattolici impegnai in politica".
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WOJTYLA: SIR, NON PENSAVA CHE SECOLARIZZAZIONE FOSSE INEVITABILE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 apr.
"Giovanni Paolo II non era assolutamente convinto di un inevitabile destino di secolarizzazione, per l'Italia e per l'Europa. E lo dimostra con il coraggio delle opere, nella certezza della fede". Lo scrive il Servizio Informazione Religiosa in una nota a firma di Francesco Bonini, coordinatore scientifico del progetto culturale della Cei. Una convinzione, assicura, "che tutti coloro che gli sono passati anche solo per poco accanto testimoniano essere fondata sulla realta' misteriosa e trasparente della preghiera continua, il grande messaggio pubblico, politico e sociale, che Giovanni Paolo II ha lanciato". "Nell'Italia e nella stessa Chiesa italiana della fine degli anni Settanta, alle prese con una stagione di crisi e contemplazione della crisi, questo messaggio, cosi' semplice e diretto, provoca - ricorda il professor Bonini, che e' docente di scienze politiche a Chieti e alla Lumsa di Roma - effetti dirompenti e fragorosi, getta semi inediti, destinati a fruttificare nel corso del decennio successivo e molto oltre". "Alla stagione della crisi, che tocca il suo apogeo proprio durante gli anni Settanta, succede cosi' - sottolinea l'editoriale proposto dal Sir ai 150 settimanali cattolici italiani - quella della 'riconfigurazione' del mondo cattolico, privo ormai di complessi in ordine ad una modernita' di cui e' pienamente partecipe, come terreno di quella che il Papa definisce 'nuova evangelizzazione', sempre nel quadro di una realta' di popolo". "Una Chiesa di popolo in una vita di popolo, il popolo italiano, che Giovanni Paolo II - conclude Bonini - accompagna in tanti frangenti, dalle pulsioni secessioniste dei primi anni Novanta al passaggio del Giubileo, alle scelte di politica internazionale, di fronte alla pace e alla guerra, nei Balcani e nel Medio Oriente".
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Quando il cardinale Joseph Ratzinger spiegava chi era Giovanni Paolo II (O.R.)
Quando il cardinale Joseph Ratzinger spiegava chi era Giovanni Paolo II
Si è identificato con la Chiesa perciò ne può essere la voce
Dal volume Giovanni Paolo II pellegrino per il Vangelo (Cinisello Balsamo - Torino, Edizioni Paoline - Editrice Saie, 1988) pubblichiamo integralmente l'articolo nel quale il cardinale Joseph Ratzinger ripercorreva e faceva emergere gli aspetti fondamentali dei primi dieci anni di pontificato di Karol Wojtyla.
Giovanni Paolo II è senz'altro colui che, ai nostri tempi, si è incontrato personalmente con il maggior numero di esseri umani. Innumerevoli sono le persone a cui egli ha stretto la mano, a cui ha parlato, con cui ha pregato e che ha benedetto. Se il suo elevato ufficio può creare distanza, la sua personale irradiazione crea invece vicinanza. Anche le persone semplici, incolte, povere non hanno da lui l'impressione della superiorità, dell'irraggiungibilità o del timore, quei sentimenti che colpiscono così sovente chi si trova nelle camere d'aspetto dei potenti, delle autorità. Quando poi si hanno contatti personali con lui, è come se lo si conoscesse da lungo tempo, come se si parlasse con un parente prossimo, con un amico. Il titolo di "Padre" (= Papa) non appare più solo un titolo, ma l'espressione di quel rapporto reale che si prova veramente davanti a lui.
Tutti conoscono Giovanni Paolo II: il suo volto, il suo modo caratteristico di muoversi e di parlare; la sua immersione nella preghiera, la sua spontanea letizia. Certe sue parole si sono incise in maniera indelebile nella memoria, a cominciare dall'appassionato richiamo con cui egli si è presentato all'inizio del suo pontificato: "Spalancate le porte a Cristo, non abbiate paura di lui!". Oppure queste altre: "Non si può vivere per prova, non si può amare per prova!". In parole come queste si condensa tutto un pontificato. È come se egli volesse aprire dappertutto vie d'accesso a Cristo, come se desiderasse rendere accessibile a tutti gli uomini il varco verso la vita vera, verso il vero amore. Se, come Paolo, lo si ritrova instancabilmente sempre in cammino, fino "ai confini della terra", se vuol essere vicino a tutti e non perdere alcuna occasione per annunciare la Buona Novella, non è per scopi pubblicitari o per sete di popolarità, ma perché si realizzi in lui la parola apostolica: Charitas Christi urget nos (II Corinzi, 5, 14). Accanto a lui lo si avverte: gli sta a cuore l'uomo perché gli sta a cuore Dio.
Molto probabilmente si conosce meglio Giovanni Paolo II quando si è concelebrato con lui e ci si è lasciati attirare nell'intenso silenzio della sua preghiera, più che non quando si sono analizzati i suoi libri o i suoi discorsi. Giacché, proprio partecipando alla sua preghiera, si attinge ciò che è proprio della sua natura, al di là di qualsiasi parola. A partire da questo centro ci si spiega anche perché egli, pur essendo un grande intellettuale, che nel dialogo culturale del mondo contemporaneo possiede una voce sua propria e importante, ha conservato anche quella semplicità che gli permette di comunicare con ogni singola persona. Qui si manifesta anche un altro elemento di quella grande capacità di integrazione, che contrassegna il Papa che viene dalla Polonia: l'aver cambiato il classico "noi" dello stile pontificale con l'"io" personale e immediato dello scrittore e dell'oratore. Una simile rivoluzione stilistica non è da sottovalutare. A tutta prima può sembrarci l'ovvia eliminazione di un'usanza antiquata, che non si intonava più ai nostri tempi. Ma non si deve dimenticare che questo "noi" non era solo una formula di retorica cortigiana. Quando parla il Papa, egli non parla a nome proprio. In quel momento, in ultima analisi, non contano niente le teorie o le opinioni private che egli ha elaborato nel corso della sua vita, per quanto alto possa essere il loro livello intellettuale.
Il Papa non parla come un singolo uomo dotto, con il suo io privato o, per così dire, come un solista sulla scena della storia spirituale dell'umanità. Egli parla attingendo dal "noi" della fede di tutta la Chiesa, dietro il quale l'io ha il dovere di scomparire. Mi viene in mente a questo proposito il grande Papa umanista Pio II, Enea Silvio Piccolomini, il quale da Papa doveva talvolta dire, attingendo appunto dal "noi" del suo magistero pontificio, cose in contraddizione con le teorie di quel dotto umanista che precedentemente era stato lui stesso. Quando gli venivano segnalate simili contraddizioni soleva rispondere: Eneam reicite, Pium recipite ("Lasciate stare Enea, prendete Pio, il Papa").
In un certo senso non è dunque un fenomeno innocuo se l'"io" rimpiazza il "noi". Ma chi fa la fatica di studiare attentamente tutti gli scritti di Papa Giovanni Paolo II, capisce ben presto che questo Papa sa distinguere molto bene tra le opinioni personali di Karol Wojtyla e il suo insegnamento magisteriale in quanto Papa; egli però sa anche riconoscere che le due cose non sono reciprocamente eterogenee, ma riflettono un'unica personalità imbevuta della fede della Chiesa. L'io, la personalità, è entrata interamente al servizio del "noi". Non ha degradato il "noi" sul piano soggettivo di opinioni private, ma gli ha semplicemente conferito la densità di una personalità tutta plasmata da questo "noi", tutta dedita al suo servizio.
Io credo che tale fusione, maturata nella vita e nella riflessione di fede, tra il "noi" e l'"io" fondi in modo essenziale il fascino di questa figura di Papa. La fusione gli consente di muoversi in questo suo sacro ufficio in maniera del tutto libera e naturale; gli consente di essere come Papa interamente se stesso, senza dover temere di far scivolare troppo l'ufficio nel soggettivo.
Ma come è cresciuta questa unità? In che modo una strada personale di fede, di pensiero, di vita conduce a tal punto nel centro della Chiesa? Questa è una domanda che va ben oltre la semplice curiosità biografica. Giacché proprio tale "identificazione" con la Chiesa senza velo alcuno di ipocrisia o di schizofrenia sembra impossibile oggi a molti uomini che sono in travaglio per la fede.
Nella teologia è diventato, nel frattempo, quasi civetteria di moda il muoversi in distanza critica a riguardo della fede della Chiesa e far sentire al lettore che lui, il teologo, non è poi così ingenuo, così acritico e servile da porre il suo pensiero del tutto al servizio di questa fede. In tal modo mentre la fede viene svalutata, le frettolose proposte di questi teologi non ne traggono alcuna rivalutazione; invecchiano in fretta come in fretta sono nate. Nasce allora di nuovo un grande desiderio non solo di ripensare intellettualmente la fede in modo leale, ma anche di poterla vivere in modo nuovo.
La vocazione di Karol Wojtyla maturò quando egli lavorava in un'azienda di produzione chimica, durante gli orrori della guerra e dell'occupazione. Egli stesso ha de-finito questo periodo di quattro anni, vissuto nell'ambiente operaio, come la fase formativa più determinante della sua vita. In tale contesto egli ha studiato la filosofia, apprendendola faticosamente dai libri, e il sapere filosofico gli si presentava di primo acchito come una giungla impenetrabile.
Il suo punto di partenza era stato la filologia, l'amore per la lingua, combinata all'applicazione artistica della lingua, in quanto rappresentazione della realtà in una nuova forma di teatro. È sorta così quella specie particolare di "filosofia" caratteristica del Papa attuale. È un pensiero in dialettica con il concreto, un pensiero fondato sulla grande tradizione, ma sempre alla ricerca della sua verifica nella realtà presente. Un pensiero che scaturisce da uno sguardo artistico e, nello stesso tempo, è guidato dalla cura del pastore: rivolto all'uomo per indicargli la via.
Mi sembra interessante scorrere per un momento la serie cronologica degli autori determinanti nei quali egli si imbatté lungo l'iter della sua formazione. Il primo era stato, come lui stesso riferisce nella sua intervista ad André Frossard, un manuale d'introduzione alla metafisica. Se altri studenti tentano solo di comprendere in qualche modo l'intera logica della struttura concettuale esposta nel testo e di fissarsela in mente in vista dell'esame, in lui ebbe inizio invece la lotta per una reale comprensione, cioè per cogliere il rapporto tra concetto ed esperienza, ed effettivamente si accese, dopo due mesi di duro impegno, il cosiddetto "lampo": "Scoprii quale senso profondo aveva tutto ciò che io avevo prima solo vissuto e presagito".
Poi arrivò l'incontro con Max Scheler e, quindi, con la fenomenologia. Questo indirizzo filosofico aveva la preoccupazione, dopo controversie infinite circa i confini e le possibilità del conoscere umano, di vedere di nuovo semplicemente i fenomeni così come appaiono, nella loro varietà e nella loro ricchezza. Questa precisione del vedere, questa intelligenza dell'uomo non a partire da astrazioni e da principi teorici, ma cercando di cogliere nell'amore la sua realtà, è stata ed è rimasta decisiva per il pensiero del Papa. Infine egli scoprì assai presto, prima ancora della vocazione al sacerdozio, l'opera di san Giovanni della Croce, attraverso la quale gli si aprì il mondo dell'interiorità, "dell'anima maturata nella grazia". L'elemento metafisico, quello mistico, quello fenomenologico e quello estetico, collegandosi insieme, spalancano lo sguardo verso le molteplici dimensioni della realtà e diventano alla fine un'unica percezione sintetica, capace di paragonarsi con tutti i fenomeni e di imparare a comprenderli, proprio trascendendoli. La crisi della teologia postconciliare è in larga misura la crisi dei suoi fondamenti filosofici. La filosofia presentata nelle scuole teologiche mancava di ricchezza percettiva; le mancava la fenomenologia, e le mancava la dimensione mistica. Ma, quando i fondamenti filosofici non vengono chiariti, alla teologia viene a mancare il terreno sotto i piedi. Perché allora non è più chiaro fino a che punto l'uomo conosce davvero la realtà, e quali sono le basi a partire da cui egli possa pensare e parlare.
Così pare a me che sia una disposizione della Provvidenza il fatto che, in questo tempo, è salito alla cattedra di Pietro un "filosofo", che fa filosofia non come una scienza da manuale, ma partendo dal travaglio necessario per reggere di fronte alla realtà e dall'incontro con l'uomo che cerca e che domanda. Wojtyla è stato ed è l'uomo. Il suo interesse scientifico fu sempre più contrassegnato dalla sua vocazione di pastore. Di qui si comprende come la sua collaborazione alla Costituzione conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, il cui testo è determinato in modo centrale dalla preoccupazione per l'uomo, è diventata un'esperienza decisiva per il futuro Papa.
"La via della Chiesa è l'uomo". Questa tematica, concretissima e radicalissima nella sua profondità, si è trovata sempre e ancora si trova al centro del suo pensiero che è insieme azione. Ne è risultato che la questione della teologia morale è divenuta il centro del suo interesse teologico. Anche questa era una importante predisposizione umana in ordine al compito del massimo pastore della Chiesa. Giacché la crisi dell'orientamento filosofico si manifesta dal punto di vista teologico soprattutto come crisi della norma teologico-morale. Qui si trova il collegamento tra filosofia e teologia, il ponte fra la ricerca razionale sull'uomo e il compito teologico, ed è così evidente, che non è possibile sottrarvisi.
Dove crolla l'antica metafisica, anche i comandamenti perdono il loro nesso interiore: allora grande diventa la tentazione di ridurli al piano unicamente storico-culturale. Wojtyla aveva imparato da Scheler a indagare, con una sensibilità umana finora ignota, l'essenza della verginità, del matrimonio, della maternità e della paternità, il linguaggio del corpo e, di conseguenza, l'essenza dell'amore. Egli ha assunto nel suo pensiero le nuove scoperte del personalismo, ma proprio così ha anche imparato nuovamente a capire che il corpo stesso parla, che la creazione parla e ci delinea le vie da percorrere: il pensiero dell'età moderna ha dischiuso per la teologia morale una dimensione nuova, e Wojtyla l'ha percepita in una continua implicazione di riflessione e d'esperienza, di vocazione pastorale e speculativa e l'ha compresa nella sua unità con i grandi temi della tradizione.
Un altro elemento ancora è stato importante per questo cammino di vita e di pensiero, per l'unità di esperienza, pensiero e fede. Tutta la battaglia di quest'uomo non si è svolta dentro un cerchio più o meno privato, unicamente nello spazio interno di una fabbrica o in un seminario. Essa era circonfusa dalle fiamme della grande storia.
La presenza di Wojtyla in fabbrica fu conseguenza dell'arresto dei suoi professori universitari. Il tranquillo corso accademico fu interrotto e sostituito da un durissimo tirocinio in mezzo a un popolo oppresso. L'appartenenza al seminario maggiore del cardinal Sapieha era già, in quanto tale, un atto di resistenza. E così la questione della libertà, della dignità e dei diritti dell'uomo, della responsabilità politica della fede, non penetrò nel pensiero del giovane teologo come un semplice problema teorico. Era la necessità, molto reale e concreta, di quel momento storico.
Ancora una volta la situazione particolare della Polonia, situata nel punto d'intersezione tra est e ovest, era diventata il destino di questo Paese. I critici del Papa osservano con frequenza che egli, come polacco, conosce veramente solo la pietà tradizionale, sentimentale, del suo Paese e non può quindi comprendere pienamente le complicate questioni del mondo occidentale.
Nulla è più insensato di una simile osservazione, che tradisce un'ignoranza completa della storia. Basta leggere l'enciclica Slavorum apostoli per derivarne l'idea che precisamente di questa eredità polacca aveva bisogno il Papa per poter pensare all'interno di una molteplicità di culture. Essendo la Polonia un punto di intersezione delle civiltà, in particolare delle tradizioni germaniche, romaniche, slave e greco-bizantine, la questione del dialogo delle varie culture proprio in Polonia è, per molti aspetti, più ardente che altrove. E così proprio questo Papa è un Papa veramente ecumenico e veramente missionario, preparato provvidenzialmente anche in tale senso per affrontare le questioni del tempo successivo al concilio Vaticano II.
Rifacciamoci ancora una volta all'interesse pastorale e antropologico del Papa. "La via della Chiesa è l'uomo". Il significato autentico di questa affermazione, spesso malintesa, dell'enciclica sul "Redentore dell'uomo" si può veramente capire se ci si ricorda che per il Papa "l'uomo" in senso pieno è Gesù Cristo. La sua passione per l'uomo non ha nulla a che fare con un antropocentrismo autosufficiente. Qui l'antropocentrismo è aperto verso l'alto.
Ogni antropocentrismo mirante a cancellare Dio come concorrente dell'uomo si è già da tempo capovolto in noia dell'uomo e per l'uomo. L'uomo non può più considerarsi centro del mondo. Ed ha paura di se stesso a motivo della sua propria potenza distruttiva. Quando l'uomo viene collocato al centro escludendovi Dio, l'equilibrio complessivo viene sconvolto: vale allora la parola della lettera ai Romani (8, 19. 21-22), in cui si dice che il mondo viene trascinato nel dolore e nel gemito dell'uomo; guastato in Adamo, è da allora in attesa della comparsa dei figli di Dio, della loro liberazione. Proprio perché al Papa sta a cuore l'uomo, egli vorrebbe aprire le porte a Cristo. Giacché unicamente con la venuta di Cristo i figli di Adamo possono diventare figli di Dio, e l'uomo e la creazione entrare nella loro libertà.
L'antropocentrismo del Papa è quindi, nel suo nucleo più profondo, teocentrismo. Se la sua prima enciclica è apparsa tutta concentrata sull'uomo, le sue tre grandi encicliche si coordinano naturalmente tra di loro in un grande trittico trinitario: l'antropocentrismo è nel Papa teocentrismo, perché egli vive la sua vocazione pastorale a partire dalla preghiera, fa la sua esperienza dell'uomo nella comunione con Dio e a partire da qui egli ha appreso a comprenderla.
Un'ultima osservazione. Il profondo amore del Papa a Maria è certamente, innanzitutto, un'eredità che gli viene dalla sua patria polacca. Ma l'enciclica mariana dimostra quanto questa pietà mariana è stata in lui biblicamente approfondita nella preghiera e nella vita. Nello stesso modo in cui la sua filosofia era stata resa più concreta e vivificata mediante la fenomenologia, ossia attraverso lo sguardo alla realtà che appare, così anche il rapporto con Cristo non rimane per il Papa nell'astratto delle grandi verità dogmatiche, ma diventa un concreto umano incontrarsi con il Signore in tutta la sua realtà e in tal modo logicamente anche un incontrarsi con la Madre, nella quale l'Israele credente e la Chiesa orante sono diventati persona. Ancora una volta è sempre e solo a partire da questa concreta vicinanza, in cui si vede il mistero di Cristo in tutta la ricchezza della sua pienezza divino-umana, che il rapporto col Signore riceve il suo calore e la sua vitalità. E naturalmente è qualcosa che si ripercuote su tutta l'immagine dell'uomo il fatto che questa risposta della fede ha preso figura per sempre in una donna, in Maria.
Che cosa voglio dire con tutto ciò? Il mio scopo era quello di dimostrare l'unità fra mistero e persona nella figura di Papa Giovanni Paolo II. Egli si è realmente "identificato" con la Chiesa, e ne può quindi essere anche la voce. Tutto ciò non è detto per glorificare una creatura umana, ma per dimostrare che il credere non estingue il pensare e non ha bisogno di mettere fra parentesi l'esperienza del nostro tempo. Al contrario: soltanto la fede dona al pensiero la sua apertura e all'esperienza il suo significato. L'uomo non diventa libero quando diviene un solista, ma quando riesce a trovare il grande contesto al quale appartiene. Dieci anni di pontificato di Giovanni Paolo II. L'ampiezza del suo messaggio appare già ora quasi incalcolabile, immensa. Ho voluto tentare di accennare in pochi tratti alle energie portanti che ne costituiscono la forza profonda, e, insieme, rendere così meglio comprensibile la direzione che egli ci indica. Il Signore voglia conservarci a lungo questo Papa, perché ci sia di guida sulla strada verso il terzo millennio della storia cristiana.
(©L'Osservatore Romano 1° maggio 2011)
Si è identificato con la Chiesa perciò ne può essere la voce
Dal volume Giovanni Paolo II pellegrino per il Vangelo (Cinisello Balsamo - Torino, Edizioni Paoline - Editrice Saie, 1988) pubblichiamo integralmente l'articolo nel quale il cardinale Joseph Ratzinger ripercorreva e faceva emergere gli aspetti fondamentali dei primi dieci anni di pontificato di Karol Wojtyla.
Giovanni Paolo II è senz'altro colui che, ai nostri tempi, si è incontrato personalmente con il maggior numero di esseri umani. Innumerevoli sono le persone a cui egli ha stretto la mano, a cui ha parlato, con cui ha pregato e che ha benedetto. Se il suo elevato ufficio può creare distanza, la sua personale irradiazione crea invece vicinanza. Anche le persone semplici, incolte, povere non hanno da lui l'impressione della superiorità, dell'irraggiungibilità o del timore, quei sentimenti che colpiscono così sovente chi si trova nelle camere d'aspetto dei potenti, delle autorità. Quando poi si hanno contatti personali con lui, è come se lo si conoscesse da lungo tempo, come se si parlasse con un parente prossimo, con un amico. Il titolo di "Padre" (= Papa) non appare più solo un titolo, ma l'espressione di quel rapporto reale che si prova veramente davanti a lui.
Tutti conoscono Giovanni Paolo II: il suo volto, il suo modo caratteristico di muoversi e di parlare; la sua immersione nella preghiera, la sua spontanea letizia. Certe sue parole si sono incise in maniera indelebile nella memoria, a cominciare dall'appassionato richiamo con cui egli si è presentato all'inizio del suo pontificato: "Spalancate le porte a Cristo, non abbiate paura di lui!". Oppure queste altre: "Non si può vivere per prova, non si può amare per prova!". In parole come queste si condensa tutto un pontificato. È come se egli volesse aprire dappertutto vie d'accesso a Cristo, come se desiderasse rendere accessibile a tutti gli uomini il varco verso la vita vera, verso il vero amore. Se, come Paolo, lo si ritrova instancabilmente sempre in cammino, fino "ai confini della terra", se vuol essere vicino a tutti e non perdere alcuna occasione per annunciare la Buona Novella, non è per scopi pubblicitari o per sete di popolarità, ma perché si realizzi in lui la parola apostolica: Charitas Christi urget nos (II Corinzi, 5, 14). Accanto a lui lo si avverte: gli sta a cuore l'uomo perché gli sta a cuore Dio.
Molto probabilmente si conosce meglio Giovanni Paolo II quando si è concelebrato con lui e ci si è lasciati attirare nell'intenso silenzio della sua preghiera, più che non quando si sono analizzati i suoi libri o i suoi discorsi. Giacché, proprio partecipando alla sua preghiera, si attinge ciò che è proprio della sua natura, al di là di qualsiasi parola. A partire da questo centro ci si spiega anche perché egli, pur essendo un grande intellettuale, che nel dialogo culturale del mondo contemporaneo possiede una voce sua propria e importante, ha conservato anche quella semplicità che gli permette di comunicare con ogni singola persona. Qui si manifesta anche un altro elemento di quella grande capacità di integrazione, che contrassegna il Papa che viene dalla Polonia: l'aver cambiato il classico "noi" dello stile pontificale con l'"io" personale e immediato dello scrittore e dell'oratore. Una simile rivoluzione stilistica non è da sottovalutare. A tutta prima può sembrarci l'ovvia eliminazione di un'usanza antiquata, che non si intonava più ai nostri tempi. Ma non si deve dimenticare che questo "noi" non era solo una formula di retorica cortigiana. Quando parla il Papa, egli non parla a nome proprio. In quel momento, in ultima analisi, non contano niente le teorie o le opinioni private che egli ha elaborato nel corso della sua vita, per quanto alto possa essere il loro livello intellettuale.
Il Papa non parla come un singolo uomo dotto, con il suo io privato o, per così dire, come un solista sulla scena della storia spirituale dell'umanità. Egli parla attingendo dal "noi" della fede di tutta la Chiesa, dietro il quale l'io ha il dovere di scomparire. Mi viene in mente a questo proposito il grande Papa umanista Pio II, Enea Silvio Piccolomini, il quale da Papa doveva talvolta dire, attingendo appunto dal "noi" del suo magistero pontificio, cose in contraddizione con le teorie di quel dotto umanista che precedentemente era stato lui stesso. Quando gli venivano segnalate simili contraddizioni soleva rispondere: Eneam reicite, Pium recipite ("Lasciate stare Enea, prendete Pio, il Papa").
In un certo senso non è dunque un fenomeno innocuo se l'"io" rimpiazza il "noi". Ma chi fa la fatica di studiare attentamente tutti gli scritti di Papa Giovanni Paolo II, capisce ben presto che questo Papa sa distinguere molto bene tra le opinioni personali di Karol Wojtyla e il suo insegnamento magisteriale in quanto Papa; egli però sa anche riconoscere che le due cose non sono reciprocamente eterogenee, ma riflettono un'unica personalità imbevuta della fede della Chiesa. L'io, la personalità, è entrata interamente al servizio del "noi". Non ha degradato il "noi" sul piano soggettivo di opinioni private, ma gli ha semplicemente conferito la densità di una personalità tutta plasmata da questo "noi", tutta dedita al suo servizio.
Io credo che tale fusione, maturata nella vita e nella riflessione di fede, tra il "noi" e l'"io" fondi in modo essenziale il fascino di questa figura di Papa. La fusione gli consente di muoversi in questo suo sacro ufficio in maniera del tutto libera e naturale; gli consente di essere come Papa interamente se stesso, senza dover temere di far scivolare troppo l'ufficio nel soggettivo.
Ma come è cresciuta questa unità? In che modo una strada personale di fede, di pensiero, di vita conduce a tal punto nel centro della Chiesa? Questa è una domanda che va ben oltre la semplice curiosità biografica. Giacché proprio tale "identificazione" con la Chiesa senza velo alcuno di ipocrisia o di schizofrenia sembra impossibile oggi a molti uomini che sono in travaglio per la fede.
Nella teologia è diventato, nel frattempo, quasi civetteria di moda il muoversi in distanza critica a riguardo della fede della Chiesa e far sentire al lettore che lui, il teologo, non è poi così ingenuo, così acritico e servile da porre il suo pensiero del tutto al servizio di questa fede. In tal modo mentre la fede viene svalutata, le frettolose proposte di questi teologi non ne traggono alcuna rivalutazione; invecchiano in fretta come in fretta sono nate. Nasce allora di nuovo un grande desiderio non solo di ripensare intellettualmente la fede in modo leale, ma anche di poterla vivere in modo nuovo.
La vocazione di Karol Wojtyla maturò quando egli lavorava in un'azienda di produzione chimica, durante gli orrori della guerra e dell'occupazione. Egli stesso ha de-finito questo periodo di quattro anni, vissuto nell'ambiente operaio, come la fase formativa più determinante della sua vita. In tale contesto egli ha studiato la filosofia, apprendendola faticosamente dai libri, e il sapere filosofico gli si presentava di primo acchito come una giungla impenetrabile.
Il suo punto di partenza era stato la filologia, l'amore per la lingua, combinata all'applicazione artistica della lingua, in quanto rappresentazione della realtà in una nuova forma di teatro. È sorta così quella specie particolare di "filosofia" caratteristica del Papa attuale. È un pensiero in dialettica con il concreto, un pensiero fondato sulla grande tradizione, ma sempre alla ricerca della sua verifica nella realtà presente. Un pensiero che scaturisce da uno sguardo artistico e, nello stesso tempo, è guidato dalla cura del pastore: rivolto all'uomo per indicargli la via.
Mi sembra interessante scorrere per un momento la serie cronologica degli autori determinanti nei quali egli si imbatté lungo l'iter della sua formazione. Il primo era stato, come lui stesso riferisce nella sua intervista ad André Frossard, un manuale d'introduzione alla metafisica. Se altri studenti tentano solo di comprendere in qualche modo l'intera logica della struttura concettuale esposta nel testo e di fissarsela in mente in vista dell'esame, in lui ebbe inizio invece la lotta per una reale comprensione, cioè per cogliere il rapporto tra concetto ed esperienza, ed effettivamente si accese, dopo due mesi di duro impegno, il cosiddetto "lampo": "Scoprii quale senso profondo aveva tutto ciò che io avevo prima solo vissuto e presagito".
Poi arrivò l'incontro con Max Scheler e, quindi, con la fenomenologia. Questo indirizzo filosofico aveva la preoccupazione, dopo controversie infinite circa i confini e le possibilità del conoscere umano, di vedere di nuovo semplicemente i fenomeni così come appaiono, nella loro varietà e nella loro ricchezza. Questa precisione del vedere, questa intelligenza dell'uomo non a partire da astrazioni e da principi teorici, ma cercando di cogliere nell'amore la sua realtà, è stata ed è rimasta decisiva per il pensiero del Papa. Infine egli scoprì assai presto, prima ancora della vocazione al sacerdozio, l'opera di san Giovanni della Croce, attraverso la quale gli si aprì il mondo dell'interiorità, "dell'anima maturata nella grazia". L'elemento metafisico, quello mistico, quello fenomenologico e quello estetico, collegandosi insieme, spalancano lo sguardo verso le molteplici dimensioni della realtà e diventano alla fine un'unica percezione sintetica, capace di paragonarsi con tutti i fenomeni e di imparare a comprenderli, proprio trascendendoli. La crisi della teologia postconciliare è in larga misura la crisi dei suoi fondamenti filosofici. La filosofia presentata nelle scuole teologiche mancava di ricchezza percettiva; le mancava la fenomenologia, e le mancava la dimensione mistica. Ma, quando i fondamenti filosofici non vengono chiariti, alla teologia viene a mancare il terreno sotto i piedi. Perché allora non è più chiaro fino a che punto l'uomo conosce davvero la realtà, e quali sono le basi a partire da cui egli possa pensare e parlare.
Così pare a me che sia una disposizione della Provvidenza il fatto che, in questo tempo, è salito alla cattedra di Pietro un "filosofo", che fa filosofia non come una scienza da manuale, ma partendo dal travaglio necessario per reggere di fronte alla realtà e dall'incontro con l'uomo che cerca e che domanda. Wojtyla è stato ed è l'uomo. Il suo interesse scientifico fu sempre più contrassegnato dalla sua vocazione di pastore. Di qui si comprende come la sua collaborazione alla Costituzione conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, il cui testo è determinato in modo centrale dalla preoccupazione per l'uomo, è diventata un'esperienza decisiva per il futuro Papa.
"La via della Chiesa è l'uomo". Questa tematica, concretissima e radicalissima nella sua profondità, si è trovata sempre e ancora si trova al centro del suo pensiero che è insieme azione. Ne è risultato che la questione della teologia morale è divenuta il centro del suo interesse teologico. Anche questa era una importante predisposizione umana in ordine al compito del massimo pastore della Chiesa. Giacché la crisi dell'orientamento filosofico si manifesta dal punto di vista teologico soprattutto come crisi della norma teologico-morale. Qui si trova il collegamento tra filosofia e teologia, il ponte fra la ricerca razionale sull'uomo e il compito teologico, ed è così evidente, che non è possibile sottrarvisi.
Dove crolla l'antica metafisica, anche i comandamenti perdono il loro nesso interiore: allora grande diventa la tentazione di ridurli al piano unicamente storico-culturale. Wojtyla aveva imparato da Scheler a indagare, con una sensibilità umana finora ignota, l'essenza della verginità, del matrimonio, della maternità e della paternità, il linguaggio del corpo e, di conseguenza, l'essenza dell'amore. Egli ha assunto nel suo pensiero le nuove scoperte del personalismo, ma proprio così ha anche imparato nuovamente a capire che il corpo stesso parla, che la creazione parla e ci delinea le vie da percorrere: il pensiero dell'età moderna ha dischiuso per la teologia morale una dimensione nuova, e Wojtyla l'ha percepita in una continua implicazione di riflessione e d'esperienza, di vocazione pastorale e speculativa e l'ha compresa nella sua unità con i grandi temi della tradizione.
Un altro elemento ancora è stato importante per questo cammino di vita e di pensiero, per l'unità di esperienza, pensiero e fede. Tutta la battaglia di quest'uomo non si è svolta dentro un cerchio più o meno privato, unicamente nello spazio interno di una fabbrica o in un seminario. Essa era circonfusa dalle fiamme della grande storia.
La presenza di Wojtyla in fabbrica fu conseguenza dell'arresto dei suoi professori universitari. Il tranquillo corso accademico fu interrotto e sostituito da un durissimo tirocinio in mezzo a un popolo oppresso. L'appartenenza al seminario maggiore del cardinal Sapieha era già, in quanto tale, un atto di resistenza. E così la questione della libertà, della dignità e dei diritti dell'uomo, della responsabilità politica della fede, non penetrò nel pensiero del giovane teologo come un semplice problema teorico. Era la necessità, molto reale e concreta, di quel momento storico.
Ancora una volta la situazione particolare della Polonia, situata nel punto d'intersezione tra est e ovest, era diventata il destino di questo Paese. I critici del Papa osservano con frequenza che egli, come polacco, conosce veramente solo la pietà tradizionale, sentimentale, del suo Paese e non può quindi comprendere pienamente le complicate questioni del mondo occidentale.
Nulla è più insensato di una simile osservazione, che tradisce un'ignoranza completa della storia. Basta leggere l'enciclica Slavorum apostoli per derivarne l'idea che precisamente di questa eredità polacca aveva bisogno il Papa per poter pensare all'interno di una molteplicità di culture. Essendo la Polonia un punto di intersezione delle civiltà, in particolare delle tradizioni germaniche, romaniche, slave e greco-bizantine, la questione del dialogo delle varie culture proprio in Polonia è, per molti aspetti, più ardente che altrove. E così proprio questo Papa è un Papa veramente ecumenico e veramente missionario, preparato provvidenzialmente anche in tale senso per affrontare le questioni del tempo successivo al concilio Vaticano II.
Rifacciamoci ancora una volta all'interesse pastorale e antropologico del Papa. "La via della Chiesa è l'uomo". Il significato autentico di questa affermazione, spesso malintesa, dell'enciclica sul "Redentore dell'uomo" si può veramente capire se ci si ricorda che per il Papa "l'uomo" in senso pieno è Gesù Cristo. La sua passione per l'uomo non ha nulla a che fare con un antropocentrismo autosufficiente. Qui l'antropocentrismo è aperto verso l'alto.
Ogni antropocentrismo mirante a cancellare Dio come concorrente dell'uomo si è già da tempo capovolto in noia dell'uomo e per l'uomo. L'uomo non può più considerarsi centro del mondo. Ed ha paura di se stesso a motivo della sua propria potenza distruttiva. Quando l'uomo viene collocato al centro escludendovi Dio, l'equilibrio complessivo viene sconvolto: vale allora la parola della lettera ai Romani (8, 19. 21-22), in cui si dice che il mondo viene trascinato nel dolore e nel gemito dell'uomo; guastato in Adamo, è da allora in attesa della comparsa dei figli di Dio, della loro liberazione. Proprio perché al Papa sta a cuore l'uomo, egli vorrebbe aprire le porte a Cristo. Giacché unicamente con la venuta di Cristo i figli di Adamo possono diventare figli di Dio, e l'uomo e la creazione entrare nella loro libertà.
L'antropocentrismo del Papa è quindi, nel suo nucleo più profondo, teocentrismo. Se la sua prima enciclica è apparsa tutta concentrata sull'uomo, le sue tre grandi encicliche si coordinano naturalmente tra di loro in un grande trittico trinitario: l'antropocentrismo è nel Papa teocentrismo, perché egli vive la sua vocazione pastorale a partire dalla preghiera, fa la sua esperienza dell'uomo nella comunione con Dio e a partire da qui egli ha appreso a comprenderla.
Un'ultima osservazione. Il profondo amore del Papa a Maria è certamente, innanzitutto, un'eredità che gli viene dalla sua patria polacca. Ma l'enciclica mariana dimostra quanto questa pietà mariana è stata in lui biblicamente approfondita nella preghiera e nella vita. Nello stesso modo in cui la sua filosofia era stata resa più concreta e vivificata mediante la fenomenologia, ossia attraverso lo sguardo alla realtà che appare, così anche il rapporto con Cristo non rimane per il Papa nell'astratto delle grandi verità dogmatiche, ma diventa un concreto umano incontrarsi con il Signore in tutta la sua realtà e in tal modo logicamente anche un incontrarsi con la Madre, nella quale l'Israele credente e la Chiesa orante sono diventati persona. Ancora una volta è sempre e solo a partire da questa concreta vicinanza, in cui si vede il mistero di Cristo in tutta la ricchezza della sua pienezza divino-umana, che il rapporto col Signore riceve il suo calore e la sua vitalità. E naturalmente è qualcosa che si ripercuote su tutta l'immagine dell'uomo il fatto che questa risposta della fede ha preso figura per sempre in una donna, in Maria.
Che cosa voglio dire con tutto ciò? Il mio scopo era quello di dimostrare l'unità fra mistero e persona nella figura di Papa Giovanni Paolo II. Egli si è realmente "identificato" con la Chiesa, e ne può quindi essere anche la voce. Tutto ciò non è detto per glorificare una creatura umana, ma per dimostrare che il credere non estingue il pensare e non ha bisogno di mettere fra parentesi l'esperienza del nostro tempo. Al contrario: soltanto la fede dona al pensiero la sua apertura e all'esperienza il suo significato. L'uomo non diventa libero quando diviene un solista, ma quando riesce a trovare il grande contesto al quale appartiene. Dieci anni di pontificato di Giovanni Paolo II. L'ampiezza del suo messaggio appare già ora quasi incalcolabile, immensa. Ho voluto tentare di accennare in pochi tratti alle energie portanti che ne costituiscono la forza profonda, e, insieme, rendere così meglio comprensibile la direzione che egli ci indica. Il Signore voglia conservarci a lungo questo Papa, perché ci sia di guida sulla strada verso il terzo millennio della storia cristiana.
(©L'Osservatore Romano 1° maggio 2011)
Saranno quattro gondolieri ''campionissimi'' del remo a portare il Papa durante la sua prossima visita a Venezia (Ansa)
Papa: Venezia; lo porteranno i gondolieri campionissimi
Coppia fratelli 'Strigheta' assieme a D'Este e Vignotto
(ANSA) - VENEZIA, 30 APR
Saranno quattro gondolieri ''campionissimi'' del remo a portare il Papa durante la sua prossima visita a Venezia (l'8 maggio) a bordo della Dogaressa, la gondola extra-large che un tempo trasportava i Dogi.
A tenere il remo, nel tragitto tra San Marco e la Basilica della Salute, saranno la coppia storica Bruno e Franco Dei Rossi - il cui padre porto' addirittura quattro papi - detti 'Strigheta', ed altri due 'signori del remo', Gianpaolo D'Este e Igor Vignotto, rivali degli 'Strigheta' in tante gare. (ANSA)
Coppia fratelli 'Strigheta' assieme a D'Este e Vignotto
(ANSA) - VENEZIA, 30 APR
Saranno quattro gondolieri ''campionissimi'' del remo a portare il Papa durante la sua prossima visita a Venezia (l'8 maggio) a bordo della Dogaressa, la gondola extra-large che un tempo trasportava i Dogi.
A tenere il remo, nel tragitto tra San Marco e la Basilica della Salute, saranno la coppia storica Bruno e Franco Dei Rossi - il cui padre porto' addirittura quattro papi - detti 'Strigheta', ed altri due 'signori del remo', Gianpaolo D'Este e Igor Vignotto, rivali degli 'Strigheta' in tante gare. (ANSA)
Messaggio autografo di Papa Benedetto sull'Osservatore Romano: beatificazione, grande e universale «festa della fede»
Il 1° maggio, seconda domenica di Pasqua, domenica della Divina misericordia, Benedetto XVI proclama beato il suo immediato predecessore
Festa della fede per aprire le porte a Cristo
Un avvenimento straordinario, senza precedenti negli ultimi dieci secoli della storia della Chiesa. La beatificazione di Karol Wojtyła, Pontefice dal 1978 al 2005 con il nome di Giovanni Paolo II, si annuncia come una grande e universale «festa della fede». La descrive così il suo immediato successore Benedetto XVI — che presiede la solenne concelebrazione eucaristica domenica 1° maggio, in piazza San Pietro — nel messaggio autografo inviato per l’occasione al nostro giornale. Una festa che migliaia di persone giunte a Roma da tutto il mondo si preparano a vivere proprio in queste ore. E che, nell’auspicio dello stesso Papa Ratzinger, costituisce una «preziosa occasione per aprire le porte a Cristo». Ai giovani il compito di inaugurare questa tre giorni di celebrazioni, con la veglia di sabato sera al Circo Massimo, in collegamento con cinque santuari mariani di diversi continenti. Domenica mattina, alle 10, la cerimonia in piazza San Pietro, dove il giorno dopo, alle 10.30, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, celebrerà la messa di ringraziamento in onore del nuovo beato.
(©L'Osservatore Romano 1° maggio 2011)
Il Papa: La Santa Sede è consapevole delle potenzialità straordinarie che ha il mondo della comunicazione per il progresso e la crescita delle persone e della società
Mondo arabo/ Papa: Bene l'uso di Facebook a favore della pace
"Superare le distanze culturali, le diffidenze o le paure"
Elogio dei social network nelle rivolte del mondo arabo, da parte del Papa, in un'udienza ai partecipanti alla assemblea delle Radio dell'European Broadcasting Union, ricevuti stamani a Castel Gandolfo. "Vent'anni fa, nel 1991, quando il Venerabile Giovanni Paolo II, che domani avrò la gioia di proclamare Beato, riceveva la vostra Assemblea generale in Vaticano, vi incoraggiava a sviluppare la vostra mutua collaborazione, per favorire la crescita della comunità dei popoli del mondo", ha detto Benedetto XVI ai partecipanti ai partecipanti alla conferenza che si è svolta in questi giorni in Vaticano ospite della 'Radio vaticana', che ha appena compiuto 80 anni.
"Oggi - ha proseguito Ratzinger - penso ai processi in corso in Paesi del Mediterraneo e nel Vicino Oriente, diversi dei quali sono pure membri della vostra Associazione. Sappiamo che le nuove forme di comunicazione hanno svolto e svolgono un ruolo non secondario in questi stessi processi.
Vi auguro di saper mettere i vostri contatti internazionali e le vostre attività al servizio di una riflessione e di un impegno affinché gli strumenti delle comunicazioni sociali servano al dialogo, alla pace e allo sviluppo solidale dei popoli, superando le distanze culturali, le diffidenze o le paure". "La Santa Sede è consapevole delle potenzialità straordinarie che ha il mondo della comunicazione per il progresso e la crescita delle persone e della società", ha detto più in generale il Papa. "Si può dire che tutto l'insegnamento della Chiesa su questo settore, a partire dai discorsi di Pio XII, passando attraverso i documenti del Concilio Vaticano II, fino ai miei più recenti messaggi sulle nuove tecnologie digitali, è attraversato da una vena di ottimismo, di speranza e di simpatia sincera verso coloro che si impegnano in questo campo per favorire l'incontro e il dialogo, servire la comunità umana, contribuire alla crescita pacifica della società".
© Copyright TMNews
"Superare le distanze culturali, le diffidenze o le paure"
Elogio dei social network nelle rivolte del mondo arabo, da parte del Papa, in un'udienza ai partecipanti alla assemblea delle Radio dell'European Broadcasting Union, ricevuti stamani a Castel Gandolfo. "Vent'anni fa, nel 1991, quando il Venerabile Giovanni Paolo II, che domani avrò la gioia di proclamare Beato, riceveva la vostra Assemblea generale in Vaticano, vi incoraggiava a sviluppare la vostra mutua collaborazione, per favorire la crescita della comunità dei popoli del mondo", ha detto Benedetto XVI ai partecipanti ai partecipanti alla conferenza che si è svolta in questi giorni in Vaticano ospite della 'Radio vaticana', che ha appena compiuto 80 anni.
"Oggi - ha proseguito Ratzinger - penso ai processi in corso in Paesi del Mediterraneo e nel Vicino Oriente, diversi dei quali sono pure membri della vostra Associazione. Sappiamo che le nuove forme di comunicazione hanno svolto e svolgono un ruolo non secondario in questi stessi processi.
Vi auguro di saper mettere i vostri contatti internazionali e le vostre attività al servizio di una riflessione e di un impegno affinché gli strumenti delle comunicazioni sociali servano al dialogo, alla pace e allo sviluppo solidale dei popoli, superando le distanze culturali, le diffidenze o le paure". "La Santa Sede è consapevole delle potenzialità straordinarie che ha il mondo della comunicazione per il progresso e la crescita delle persone e della società", ha detto più in generale il Papa. "Si può dire che tutto l'insegnamento della Chiesa su questo settore, a partire dai discorsi di Pio XII, passando attraverso i documenti del Concilio Vaticano II, fino ai miei più recenti messaggi sulle nuove tecnologie digitali, è attraversato da una vena di ottimismo, di speranza e di simpatia sincera verso coloro che si impegnano in questo campo per favorire l'incontro e il dialogo, servire la comunità umana, contribuire alla crescita pacifica della società".
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Benedetto XVI: radio e tv nazionali difendano il valore del dialogo, della pace e dello sviluppo, non dell'audience (R.V.)
Benedetto XVI: radio e tv nazionali difendano il valore del dialogo, della pace e dello sviluppo, non dell'audience
Gli strumenti della comunicazione servano “al dialogo, alla pace, e allo sviluppo solidale dei popoli”. L’auspicio è stato espresso questa mattina da Benedetto XVI durante l’udienza concessa in Vaticano ai circa 150 partecipanti all'Assemblea delle Radio dell’“European Broadcasting Union” (Ebu), organizzata nei giorni scorsi dalla Radio Vaticana in occasione del suo 80.mo di fondazione. Un anniversario sottolineato anche dal Papa, che ha ricordato la “grande importanza” dei messaggi comunicati dai suoi predecessori grazie ai microfoni dell’emittente pontificia. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Di qua, l’idea, anzi l’ideale, di una comunicazione che serva ad avvicinare i popoli; di là, la brama di piegarla a interessi di parte. Di qua, un mass media che diradi la nebbia delle differenze e delle diffidenze per servire la causa della pace; di là, tv o radio che si fanno la guerra per obbedire alla tirannia dell’audience. La Chiesa, ha affermato Benedetto XVI, ha sempre guardato con “ottimismo” e “simpatia” agli operatori della comunicazione sociale, ma è innegabile che problemi e condizionamenti pesino sul prodotto finale, e che comunque ciò che esce da uno schermo o da un microfono finisce per trascinare l’opinione pubblica. L’onda di conflitti che da mesi sta sconvolgendo il Nord Africa e il Medio Oriente ne è una prova evidente e il Papa l’ha ricordata dando peso soprattutto al ruolo rivestito in queste sollevazioni dai nuovi media, specie i social network:
“Sappiamo che le nuove forme di comunicazione hanno svolto e svolgono un ruolo non secondario in questi stessi processi. Vi auguro di saper mettere i vostri contatti internazionali e le vostre attività al servizio di una riflessione e di un impegno affinché gli strumenti delle comunicazioni sociali servano al dialogo, alla pace e allo sviluppo solidale dei popoli, superando le distanze culturali, le diffidenze o le paure”.
Obiettivi alti ma non certo fuori orizzonte per emittenti di “servizio pubblico”, come quelle rappresentate nella Sala degli Svizzeri a Castel Gandolfo, presentate al Papa dal direttore generale della Radio Vaticana, padre Federico Lombardi, e dal presidente dell'Ebu, Jean Paul Philippot. “So bene – ha riconosciuto con schiettezza il Papa – che questo servizio incontra difficoltà, con differenti aspetti e proporzioni nei diversi Paesi”:
“Vi possono essere la sfida della concorrenza da parte dell’emittenza commerciale; il condizionamento di una politica vissuta come spartizione del potere invece che come servizio del bene comune; la scarsezza di risorse economiche accentuata da situazioni di crisi; l’impatto degli sviluppi delle nuove tecnologie di comunicazione; la ricerca affannosa dell’audience. Ma troppo grandi e urgenti sono le sfide del mondo odierno di cui dovete occuparvi, per lasciarvi scoraggiare e arrendervi di fronte a queste difficoltà”.
Poco prima, Benedetto XVI aveva ricordato che chi opera nelle comunicazioni sociali è coinvolto in prima linea dal confronto con quei “valori basilari” che formano la coscienza di una società e che la Chiesa sempre difende: la vita, la famiglia, i diritti dei singoli e dei popoli, quelli dei migranti, assieme alle sfide rappresentate da vecchie e nuove povertà, dalla lotta alle discriminazioni, dal disarmo, dalle violazioni della libertà religiosa. “È compito delle radio come pure delle televisioni”, ha detto chiaramente il Papa, “alimentare ogni giorno una corretta ed equilibrata informazione e un approfondito dibattito per trovare le migliori soluzioni condivise”:
“E’ un compito che richiede alta onestà professionale, correttezza e rispetto, apertura alle prospettive diverse, chiarezza nell’affrontare i problemi, libertà da steccati ideologici, consapevolezza della complessità dei problemi. Si tratta di una ricerca paziente di quella 'verità quotidiana' che meglio traduce i valori nella vita e meglio orienta il cammino della società, e che va cercata insieme con umiltà”.
Nell’esprimere apprezzamento ai membri dell’Ebu per il loro lavoro, Benedetto XVI ha ricordato il rapporto che la Chiesa ha sempre avuto con i media, in particolare con le tecnologie che li supportano, delle quali la Radio Vaticana è un segno evidente e storico:
“Quando il mio predecessore Pio XI si rivolse a Guglielmo Marconi perché dotasse lo Stato della Città del Vaticano di una Stazione radio all’altezza della migliore tecnologia disponibile a quel tempo, dimostrò di aver intuito con acutezza in quale direzione si stava sviluppando il mondo delle comunicazioni e quali potenzialità la radio poteva offrire per il servizio della missione della Chiesa”.
I grandi messaggi di Pio XII durante la guerra combattuta e quelli di Giovanni XXIII durante la Guerra fredda – o il servizio in favore dei prigionieri di guerra o quello a sostegno dei cristiani durante l’epoca delle persecuzioni totalitaristiche – sono segno, ha detto il Pontefice, della consapevolezza che la Santa Sede ha delle “potenzialità straordinarie” del mondo della comunicazione “per il progresso e la crescita delle persone e della società”:
“Si può dire che tutto l’insegnamento della Chiesa su questo settore, a partire dai discorsi di Pio XII, passando attraverso i documenti del Concilio Vaticano II, fino ai miei più recenti messaggi sulle nuove tecnologie digitali, è attraversato da una vena di ottimismo, di speranza e di simpatia sincera verso coloro che si impegnano in questo campo per favorire l’incontro e il dialogo, servire la comunità umana, contribuire alla crescita pacifica della società”.
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Gli strumenti della comunicazione servano “al dialogo, alla pace, e allo sviluppo solidale dei popoli”. L’auspicio è stato espresso questa mattina da Benedetto XVI durante l’udienza concessa in Vaticano ai circa 150 partecipanti all'Assemblea delle Radio dell’“European Broadcasting Union” (Ebu), organizzata nei giorni scorsi dalla Radio Vaticana in occasione del suo 80.mo di fondazione. Un anniversario sottolineato anche dal Papa, che ha ricordato la “grande importanza” dei messaggi comunicati dai suoi predecessori grazie ai microfoni dell’emittente pontificia. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Di qua, l’idea, anzi l’ideale, di una comunicazione che serva ad avvicinare i popoli; di là, la brama di piegarla a interessi di parte. Di qua, un mass media che diradi la nebbia delle differenze e delle diffidenze per servire la causa della pace; di là, tv o radio che si fanno la guerra per obbedire alla tirannia dell’audience. La Chiesa, ha affermato Benedetto XVI, ha sempre guardato con “ottimismo” e “simpatia” agli operatori della comunicazione sociale, ma è innegabile che problemi e condizionamenti pesino sul prodotto finale, e che comunque ciò che esce da uno schermo o da un microfono finisce per trascinare l’opinione pubblica. L’onda di conflitti che da mesi sta sconvolgendo il Nord Africa e il Medio Oriente ne è una prova evidente e il Papa l’ha ricordata dando peso soprattutto al ruolo rivestito in queste sollevazioni dai nuovi media, specie i social network:
“Sappiamo che le nuove forme di comunicazione hanno svolto e svolgono un ruolo non secondario in questi stessi processi. Vi auguro di saper mettere i vostri contatti internazionali e le vostre attività al servizio di una riflessione e di un impegno affinché gli strumenti delle comunicazioni sociali servano al dialogo, alla pace e allo sviluppo solidale dei popoli, superando le distanze culturali, le diffidenze o le paure”.
Obiettivi alti ma non certo fuori orizzonte per emittenti di “servizio pubblico”, come quelle rappresentate nella Sala degli Svizzeri a Castel Gandolfo, presentate al Papa dal direttore generale della Radio Vaticana, padre Federico Lombardi, e dal presidente dell'Ebu, Jean Paul Philippot. “So bene – ha riconosciuto con schiettezza il Papa – che questo servizio incontra difficoltà, con differenti aspetti e proporzioni nei diversi Paesi”:
“Vi possono essere la sfida della concorrenza da parte dell’emittenza commerciale; il condizionamento di una politica vissuta come spartizione del potere invece che come servizio del bene comune; la scarsezza di risorse economiche accentuata da situazioni di crisi; l’impatto degli sviluppi delle nuove tecnologie di comunicazione; la ricerca affannosa dell’audience. Ma troppo grandi e urgenti sono le sfide del mondo odierno di cui dovete occuparvi, per lasciarvi scoraggiare e arrendervi di fronte a queste difficoltà”.
Poco prima, Benedetto XVI aveva ricordato che chi opera nelle comunicazioni sociali è coinvolto in prima linea dal confronto con quei “valori basilari” che formano la coscienza di una società e che la Chiesa sempre difende: la vita, la famiglia, i diritti dei singoli e dei popoli, quelli dei migranti, assieme alle sfide rappresentate da vecchie e nuove povertà, dalla lotta alle discriminazioni, dal disarmo, dalle violazioni della libertà religiosa. “È compito delle radio come pure delle televisioni”, ha detto chiaramente il Papa, “alimentare ogni giorno una corretta ed equilibrata informazione e un approfondito dibattito per trovare le migliori soluzioni condivise”:
“E’ un compito che richiede alta onestà professionale, correttezza e rispetto, apertura alle prospettive diverse, chiarezza nell’affrontare i problemi, libertà da steccati ideologici, consapevolezza della complessità dei problemi. Si tratta di una ricerca paziente di quella 'verità quotidiana' che meglio traduce i valori nella vita e meglio orienta il cammino della società, e che va cercata insieme con umiltà”.
Nell’esprimere apprezzamento ai membri dell’Ebu per il loro lavoro, Benedetto XVI ha ricordato il rapporto che la Chiesa ha sempre avuto con i media, in particolare con le tecnologie che li supportano, delle quali la Radio Vaticana è un segno evidente e storico:
“Quando il mio predecessore Pio XI si rivolse a Guglielmo Marconi perché dotasse lo Stato della Città del Vaticano di una Stazione radio all’altezza della migliore tecnologia disponibile a quel tempo, dimostrò di aver intuito con acutezza in quale direzione si stava sviluppando il mondo delle comunicazioni e quali potenzialità la radio poteva offrire per il servizio della missione della Chiesa”.
I grandi messaggi di Pio XII durante la guerra combattuta e quelli di Giovanni XXIII durante la Guerra fredda – o il servizio in favore dei prigionieri di guerra o quello a sostegno dei cristiani durante l’epoca delle persecuzioni totalitaristiche – sono segno, ha detto il Pontefice, della consapevolezza che la Santa Sede ha delle “potenzialità straordinarie” del mondo della comunicazione “per il progresso e la crescita delle persone e della società”:
“Si può dire che tutto l’insegnamento della Chiesa su questo settore, a partire dai discorsi di Pio XII, passando attraverso i documenti del Concilio Vaticano II, fino ai miei più recenti messaggi sulle nuove tecnologie digitali, è attraversato da una vena di ottimismo, di speranza e di simpatia sincera verso coloro che si impegnano in questo campo per favorire l’incontro e il dialogo, servire la comunità umana, contribuire alla crescita pacifica della società”.
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Alla vigilia della beatificazione di Giovanni Paolo II. Nella dimensione di Dio (Di Cicco)
Alla vigilia della beatificazione di Giovanni Paolo II
Nella dimensione di Dio
Riflettere interiormente su una beatificazione come quella di Giovanni Paolo II aiuta a entrare, con interiore libertà, nella dimensione di Dio: alla quale i beati e i santi della Chiesa cattolica necessariamente rimandano e nella quale trovano senso. Spazi di silenzio aiutano a percepire il carattere spirituale di avvenimenti religiosi collettivi e a viverli personalmente.
La sorpresa più grande che Giovanni Paolo II ci lascia in eredità non è tanto la scoperta di un'intuizione di governo pastorale, lo stile personalissimo e mai solo protocollare nel ministero di successore di Pietro, quanto piuttosto la sua capacità di vivere il rapporto con Dio. Dal processo canonico sulla sua pratica eroica delle virtù cristiane e dal carattere miracoloso della guarigione dal morbo di Parkinson della religiosa attribuita alla sua intercessione emerge una voce comune: l'unione con Dio in tutta la vita di Karol Wojtyla era tanto normale da sembrare una sua seconda natura. Egli appare un'anima che ha cercato di adeguarsi alla santità di Dio, alla cui presenza ordinariamente respirava e agiva. Esprimendo una tensione verso l'alto cresciuta negli anni e divenuta impressionante nell'ultimo decennio di pontificato, quando la malattia inarrestabile ha progressivamente minato le sue forze fisiche.
Del resto, mentre nel primo periodo del suo pontificato prevaleva l'ammirazione, una volta divenuto debole e fragile agli occhi del mondo - così esigente nella cura dell'immagine - Giovanni Paolo II è diventato familiare ed è stato percepito da credenti e non credenti come un testimone credibile e umano del Vangelo predicato senza sosta in tutto il mondo.
L'invito ad aprire le porte a Cristo senza paura, lanciato all'inizio del suo pontificato, è stato poi incarnato nella sofferenza. Affrontata con serena pazienza perché in compagnia di Cristo e insieme a milioni di uomini e donne accomunati da analoghi patimenti. Le parole predicate apparivano verificate dalla sua testimonianza semplicemente cristiana. Nella massima debolezza fisica, mai nascosta, il successore di Pietro è apparso ancora più amato perché ancora più simile al Buon Pastore che dà la sua vita, e così incoraggia a vivere. Era diffusa la convinzione che il Papa capisse la piccola vita quotidiana di quanti faticano a tirare avanti: tutta questa gente ai margini dei riflettori cercava di carpire il segreto della forza interiore che sprigionava da Giovanni Paolo II.
Quando, dopo l'imposizione della berretta rossa, sul sagrato della basilica Vaticana i nuovi cardinali si scambiavano il saluto tra loro e con gli altri porporati più anziani in un clima festoso, Papa Wojtyla - era il suo ultimo concistoro nell'ottobre del 2003 e il Parkinson era ormai evidentissimo - guardava in silenzio, quasi con un occhio di congedo da questa vita. Sembrò d'improvviso come appartato in un'altra dimensione che, in quel momento lieto e importante, si rivelava essere un ritiro abituale del suo spirito. Sempre presente a tutto e a tutti mentre la sua anima risiedeva altrove, in un rifugio interiore ove avveniva un colloquio ininterrotto con Dio. Lì era la fonte della sua amabilità, della sua energia, del coraggio pastorale.
La necessità di riaprire nella Chiesa e nel tempo presente - secolare e globalizzato - l'interesse a Dio, il Vivente, per tornare a edificare società libere e fraterne, ha abitato il suo insegnamento e costituito il segreto della sua vita quotidiana.
È l'eredità che lascia Giovanni Paolo II, questione moderna per eccellenza. Non a caso, Benedetto XVI ne ha fatto la ragione stessa del suo pontificato.
c. d. c.
(©L'Osservatore Romano 30 aprile 2011)
Nella dimensione di Dio
Riflettere interiormente su una beatificazione come quella di Giovanni Paolo II aiuta a entrare, con interiore libertà, nella dimensione di Dio: alla quale i beati e i santi della Chiesa cattolica necessariamente rimandano e nella quale trovano senso. Spazi di silenzio aiutano a percepire il carattere spirituale di avvenimenti religiosi collettivi e a viverli personalmente.
La sorpresa più grande che Giovanni Paolo II ci lascia in eredità non è tanto la scoperta di un'intuizione di governo pastorale, lo stile personalissimo e mai solo protocollare nel ministero di successore di Pietro, quanto piuttosto la sua capacità di vivere il rapporto con Dio. Dal processo canonico sulla sua pratica eroica delle virtù cristiane e dal carattere miracoloso della guarigione dal morbo di Parkinson della religiosa attribuita alla sua intercessione emerge una voce comune: l'unione con Dio in tutta la vita di Karol Wojtyla era tanto normale da sembrare una sua seconda natura. Egli appare un'anima che ha cercato di adeguarsi alla santità di Dio, alla cui presenza ordinariamente respirava e agiva. Esprimendo una tensione verso l'alto cresciuta negli anni e divenuta impressionante nell'ultimo decennio di pontificato, quando la malattia inarrestabile ha progressivamente minato le sue forze fisiche.
Del resto, mentre nel primo periodo del suo pontificato prevaleva l'ammirazione, una volta divenuto debole e fragile agli occhi del mondo - così esigente nella cura dell'immagine - Giovanni Paolo II è diventato familiare ed è stato percepito da credenti e non credenti come un testimone credibile e umano del Vangelo predicato senza sosta in tutto il mondo.
L'invito ad aprire le porte a Cristo senza paura, lanciato all'inizio del suo pontificato, è stato poi incarnato nella sofferenza. Affrontata con serena pazienza perché in compagnia di Cristo e insieme a milioni di uomini e donne accomunati da analoghi patimenti. Le parole predicate apparivano verificate dalla sua testimonianza semplicemente cristiana. Nella massima debolezza fisica, mai nascosta, il successore di Pietro è apparso ancora più amato perché ancora più simile al Buon Pastore che dà la sua vita, e così incoraggia a vivere. Era diffusa la convinzione che il Papa capisse la piccola vita quotidiana di quanti faticano a tirare avanti: tutta questa gente ai margini dei riflettori cercava di carpire il segreto della forza interiore che sprigionava da Giovanni Paolo II.
Quando, dopo l'imposizione della berretta rossa, sul sagrato della basilica Vaticana i nuovi cardinali si scambiavano il saluto tra loro e con gli altri porporati più anziani in un clima festoso, Papa Wojtyla - era il suo ultimo concistoro nell'ottobre del 2003 e il Parkinson era ormai evidentissimo - guardava in silenzio, quasi con un occhio di congedo da questa vita. Sembrò d'improvviso come appartato in un'altra dimensione che, in quel momento lieto e importante, si rivelava essere un ritiro abituale del suo spirito. Sempre presente a tutto e a tutti mentre la sua anima risiedeva altrove, in un rifugio interiore ove avveniva un colloquio ininterrotto con Dio. Lì era la fonte della sua amabilità, della sua energia, del coraggio pastorale.
La necessità di riaprire nella Chiesa e nel tempo presente - secolare e globalizzato - l'interesse a Dio, il Vivente, per tornare a edificare società libere e fraterne, ha abitato il suo insegnamento e costituito il segreto della sua vita quotidiana.
È l'eredità che lascia Giovanni Paolo II, questione moderna per eccellenza. Non a caso, Benedetto XVI ne ha fatto la ragione stessa del suo pontificato.
c. d. c.
(©L'Osservatore Romano 30 aprile 2011)
Politi: "Se Ratzinger avesse avuto coraggio avrebbe fatto subito santo Wojtyla" (Raiuno)
Sentito poco fa su Raiuno in attesa del TG1 delle ore 7. Mi domando se e' proprio necessario offendere Papa Benedetto di fronte alla platea televisiva, ma pazienza...
Svidercoschi: "Così Wojtyla mi raccontò i suoi viaggi" (Scaramuzzi). Amarezza per le "velate" critiche a Papa Benedetto
Clicca qui per leggere l'intervista.
Dispiace moltissimo leggere critiche, seppur velate, a Papa Benedetto. Mi chiedo se sia davvero necessario fare operazioni del genere quando occorrerebbe solo essere grati al Pontefice regnante. Segnalo anche questo commento di Silini, sommamente ingiusto e fuori luogo.
Dispiace moltissimo leggere critiche, seppur velate, a Papa Benedetto. Mi chiedo se sia davvero necessario fare operazioni del genere quando occorrerebbe solo essere grati al Pontefice regnante. Segnalo anche questo commento di Silini, sommamente ingiusto e fuori luogo.
Wojtyla, Cei: con veemenza ha scosso le coscienze. Card. Saraiva: per farlo santo servirà un miracolo dopo il 1° maggio. Card. Amato: presto santo, le grazie si susseguono (Izzo)
WOJTYLA: CEI, CON VEEMENZA HA SCOSSO LE COSCIENZE
(AGI) - CdV, 29 apr.
(di Salvatore Izzo)
"Con veemenza, Giovanni Paolo II ha scosso le coscienze per renderle consapevoli di quanto sia disumana la pretesa di costruire la citta' senza Dio". Non e' un messaggio di maniera quello della presidenza Cei per la beatificazione del Papa polacco, che ricorda come il Pontefice abbia criticato alla radice sia "la torre di Babele dell'ideologia marxista, che ha imbrigliato interi popoli nelle maglie di un sistema dittatoriale" sia "la deriva del capitalismo, che spinge a un individualismo alieno all'orizzonte del bene comune".
"E' impossibile - ammette la Conferenza Episcopale Italiana - delineare in poche righe una figura cosi' imponente: il suo insegnamento parla in tanti incontri, interventi e documenti con cui ha interpretato la Chiesa e la sua missione nella storia". Il nuovo beato, infatti, "parla, soprattutto, attraverso una vita che e' stata il suo messaggio piu' efficace, fatto di sguardi, gesti e segni che hanno toccato i cuori". "In un mondo spesso smarrito, egli ha costituito un riferimento sicuro, un profeta che non ha mai smesso di additare la via di una speranza affidabile, di un amore alla portata di ogni uomo".
I vescovi ripetono l'esortazione del Papa "non abbiate paura, aprite le porte a Cristo" e ricordano che "Karol Wojtyla e' stato il primo Pontefice a coprirsi il capo per entrare in una sinagoga e pregare con i nostri 'fratelli maggiori', gli ebrei. Ed e' stato anche il primo a togliersi le scarpe per varcare la soglia di una moschea e incontrare i 'fratelli' musulmani, nella memoria della comune radice in Abramo". Lo ricordano i vescovi italiani nel moro messaggio per la beatificazione di Giovanni Paolo II che, afferma il docimento, "senza confusioni, ha invitato i rappresentanti di tutte le religioni a pregare per la pace, nella certezza che essa e' dono di Dio e che la guerra offende Dio, chi la soffre e chi la pratica".
"Negli innumerevoli viaggi in Italia e in ogni parte del mondo - testimoniano i vescovi - ci ha resi attenti ai popoli condannati al sottosviluppo dalla brama esclusiva di profitto e dalla sete di potere, da situazioni che invocano la giustizia, la remissione del debito e quella solidarieta' che per i cristiani arriva al dono della vita".
"Non abbiate paura" esortava il Papa, ricorda il testo approvato dalla presidenza Cei, "nel riconoscere ritardi e responsabilita'. E il suo amore per la Chiesa e' stato tale da indurlo a chiedere perdono per le mancanze commesse dai credenti. A sua volta, ha assicurato il perdono dei cattolici per quello che essi hanno patito nella storia, impegnandosi, a nome dei credenti, a tendere con ogni forza alla fraternita' universale".
Da anziano e sofferente, continua il messaggio,il Papa ha testimoniato in prima persona un totale rispetto per essa". "Non abbiate paura mai della vita da quella nascente, fin dal concepimento, a quella segnata dalla vecchiaia, ugualmente sacra e inviolabile", e' stato uno degli incoraggiamenti di Giovanni Paolo II alla Chiesa Italiana. Un Papa, conclude la nota, che "Benedetto XVI ci affida oggi come testimone: un'eredita' che con gratitudine ci impegniamo a raccogliere e a fare sempre piu' nostra". Infatti, "a nostra volta - assicurano i vescovi - non ci stanchiamo di chiedere che ne sia sempre rispettata la vita e promossi la dignita' e il diritto alla famiglia, al lavoro, alla liberta' religiosa" che "sono le linee sulle quali, particolarmente in questo decennio dedicato all'educazione, rilanciamo il nostro impegno missionario, convinti di svolgere cosi' un servizio indispensabile all'unita' e al bene del Paese".
Per il cardinale Bagnasco, che ha parlato con una tv locale di Genova, "Giovanni Paolo II e' stato il Papa della dignita' di ogni uomo e dei diritti umani, che hanno sempre attraversato la predicazione in qualsiasi Paese e regime si sia recato. Per lui - ha aggiunto il presidente della Cei - il tema non era assolutamente di ordine sociologico ma religioso. Perche'era ancorato e discendente da Cristo, figlio di Dio". "Era un Papa dall'anima mistica - ha ricordato - e anche eroica, di quell'eroismo coraggioso che viene dalla storia della Polonia che ha tanto ispirato le sue azioni e la sua parola. Era un mistico, perche' aveva il senso fortissimo di Dio e della Provvidenza. E nello stesso tempo, avendo anche un senso fortissimo della storia, al di la' dei singoli eventi riusciva a vedere l'insieme delle cose alla luce della Provvidenza". Il presidente della Cei ha raccontato di essere stato presente in piazza San Pietro la sera della morte di Papa Giovanni Paolo II. "Ricordo - ha confidato - un grande silenzio e una grande preghiera. Poi l'annuncio che Giovanni Paolo II era salito verso il Padre". "La voce che serpeggiava e che di li' a poco - ha raccontato - e' diventata grido, invocazione, auspicio: santo subito, al quale la Chiesa ha risposto con la sua prudenza e saggezza, consentendo l'apertura del processo prima che trascorresssero i cinque anni canonici, ma rispettando poi le procedure". "Papa Benedetto XVI non e' stato sordo a questo appello - ha aggiunto il cardinale - senza abbandonare la prudenza tradizionale della Chiesa: sono stati rispettati alcuni tempi, ma sono state anche create delle corsie preferenziali. E i cinque anni normalmente previsti prima di aprire un processo canonico di beatificazione, in questo caso sono stati accorciati". "La santita' - ha spiegato - si costruisce nella vita e nel tempo, con la grazie di Dio. E la santita' di Giovanni Paolo poteva essere toccata dalla folla, dai giovani, dalle moltitudini che lo hanno incontrato in vita e hanno sentito il fascino della sua bonta'".
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WOJTYLA: CARDINAL SARAIVA, PER FARLO SANTO SERVIRA' MIRACOLO DOPO IL PRIMO MAGGIO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 29 apr.
Per la canonizzazione di Giovanni Paolo II servira' un nuovo miracolo attribuito alla intercessione del Pontefice polacco, che dovra' essere successivo alla beatificazione del prossimo primo maggio. Lo chiarisce il cardinale Jose' Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle cause dei santi. Sul punto si e' ingenerata una certa confusione sui media per il susseguirsi delle notizie su nuove "grazie" (si chiamano cosi' i fatti straordinari ma non verificati scientificamente e dal punto di vista teologico dalle commissioni ecclesiastiche) che vengono praticamente ogni giorno attribuite a Papa Wojtyla in tanti Paesi del mondo (fino all'aprile 2009 erano 271 i casi segnalati da vescovi e sacerdoti alla Congregazione e negli ultimi mesi sono ancora aumentati). Queste grazie non sono pero' utilizzabili ai fini della causa, pur restando a tutti gli effetti grandi testimonianze della santita' del Pontefice polacco. "Il numero richiesto per la beatificazione e la canonizzazione - ricorda il porporato - e' variato nella storia del diritto ecclesiastico. Nella legislazione del Codice di diritto canonico del 1917, per la beatificazione si richiedevano due miracoli (e in certi casi perfino tre o quattro), con la possibilita' di dispensa nel caso si trattasse di un martire, il cui martirio fosse evidente. Dall'Anno Santo del 1975 si e' cominciato a dispensare dal secondo miracolo per la beatificazione e si e' cosi' arrivati all'attuale prassi di un solo miracolo per la beatificazione e di un altro successivo per la canonizzazione".
L'esame di un miracolo - ricorda il prefetto emerito delle Cause dei Santi riferendosi alle guarigioni inspiegabili che sono il caso piu' frequente - comincia con il processo diocesano, i cui risultati sono oggetto di studio per la Consulta medica, alla quale partecipano cinque specialisti nella materia di cui si tratta: essi devono dare il loro giudizio tecnico sul fatto che la guarigione sia scientificamente inspiegabile. La Posizione stampata passa successivamente alla riunione dei sei consultori teologi, insieme con il promotore generale della fede, che hanno dovuto dare previamente un parere per iscritto. Segue l'esame da parte dei cardinali e dei vescovi membri della congregazione, e anche in questo caso il risultato si sottomette alla decisione del Papa che puo' ordinare la promulgazione del decreto sopra il miracolo".
Papa Benedetto XIV, ricostruisce il cardinale Saraiva Martins in un'intervista pubblicata nel libro "Il miracolo di Karol" scritto da Saverio Gaeta per la Rizzoli, "ad aver insistito sui miracoli per avere la conferma divina per un non-martire. Nel miracolo - spiega il prefetto emerito - la Chiesa vede il 'sigillo di Dio' sulla propria riflessione e sul proprio lavoro. Le ricerche testimoniali, gli esami clinici, le Consulte teologiche si svolgono sempre con serieta' e accuratezza, fino a raggiungere la certezza morale: in questa resta sempre, pero', la valutazione umana". "Cosciente di questa precarieta', e in spirito di umile e fiduciosa attesa, la Chiesa - afferma il cardinale portoghese - invoca un segno dall'Alto. Il miracolo, quindi, va recepito come conferma della fede, come una specie di timbro apposto da Dio tramite il quale egli garantisce la santita' del candidato agli altari".
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WOJTYLA: CARDINALE AMATO, PRESTO SANTO, GRAZIE SI SUSSEGUONO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 29 apr.
"Per la canonizzazione ci vuole un altro miracolo. Non credo che si possa fare una previsione precisa sulla data. Si puo' solo dire che dopo la beatificazione la postulazione si mettera' all'opera per la raccolta delle grazie e per una loro eventuale valutazione". Lo afferma il cardinale Angelo Amato, prefetto delle cause dei santi, in un'intervista alla Radio Vaticana. Finora, sottolinea, "la causa di Giovanni Paolo II e' stata facilitata sia da una diffusissima fama sanctitatis, sia anche da un'altrettanto solida fama signorum. Sono infatti innumerevoli le grazie - tra esse c'e' anche il miracolo ottenuto da Suor Marie Simon Pierre - che i fedeli di tutto il mondo hanno ricevuto con l'intercessione di Papa Wojtyla". "Ancora oggi - assicura il cardinale salesiano - arrivano testimonianze in tal senso. Proprio ieri mattina sul Giornale e' stata pubblicata la testimonianza della scrittrice Margherita Enrico che in un suo libro narra, fra l'altro, anche la guarigione miracolosa ottenuta dal suo bambino".
"Una volta individuata una grazia, che potrebbe configurarsi come straordinaria, dopo l'indagine diocesana, ci sara' - promette il cardinale Amato - il processo romano, che comprende alcuni passaggi obbligati: commissione scientifica, consulta teologica, voti dei Padri Cardinali e Vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi. Se tutto va bene, il Prefetto porta la documentazione dal Santo Padre per il suo consenso. Una volta espletata la procedura canonica, il Papa indice un concistoro pubblico, nel quale annuncia la data della canonizzazione". In proposito, Amato non fa previsioni sui tempi, ma rileva che "c'e' in tutti una grande aspettativa di urgenza". "E' questa - spiega - una realta' positiva. Vorrei solo aggiungere - conclude - che il tempo in vista della canonizzazione non dovrebbe essere considerato tempo vuoto o semplice tempo di attesa. Questi mesi, questi anni sono un tempo provvidenziale per conoscere meglio la figura del Beato, per corrispondere con piu' fedelta' ai suoi esempi e insegnamenti. Questo tempo di attesa e' quindi un tempo da riempire sia con la contemplazione del Beato sia con l'imitazione delle sue virtu'. Un Santo non e' solo da celebrare, ma soprattutto da imitare".
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(AGI) - CdV, 29 apr.
(di Salvatore Izzo)
"Con veemenza, Giovanni Paolo II ha scosso le coscienze per renderle consapevoli di quanto sia disumana la pretesa di costruire la citta' senza Dio". Non e' un messaggio di maniera quello della presidenza Cei per la beatificazione del Papa polacco, che ricorda come il Pontefice abbia criticato alla radice sia "la torre di Babele dell'ideologia marxista, che ha imbrigliato interi popoli nelle maglie di un sistema dittatoriale" sia "la deriva del capitalismo, che spinge a un individualismo alieno all'orizzonte del bene comune".
"E' impossibile - ammette la Conferenza Episcopale Italiana - delineare in poche righe una figura cosi' imponente: il suo insegnamento parla in tanti incontri, interventi e documenti con cui ha interpretato la Chiesa e la sua missione nella storia". Il nuovo beato, infatti, "parla, soprattutto, attraverso una vita che e' stata il suo messaggio piu' efficace, fatto di sguardi, gesti e segni che hanno toccato i cuori". "In un mondo spesso smarrito, egli ha costituito un riferimento sicuro, un profeta che non ha mai smesso di additare la via di una speranza affidabile, di un amore alla portata di ogni uomo".
I vescovi ripetono l'esortazione del Papa "non abbiate paura, aprite le porte a Cristo" e ricordano che "Karol Wojtyla e' stato il primo Pontefice a coprirsi il capo per entrare in una sinagoga e pregare con i nostri 'fratelli maggiori', gli ebrei. Ed e' stato anche il primo a togliersi le scarpe per varcare la soglia di una moschea e incontrare i 'fratelli' musulmani, nella memoria della comune radice in Abramo". Lo ricordano i vescovi italiani nel moro messaggio per la beatificazione di Giovanni Paolo II che, afferma il docimento, "senza confusioni, ha invitato i rappresentanti di tutte le religioni a pregare per la pace, nella certezza che essa e' dono di Dio e che la guerra offende Dio, chi la soffre e chi la pratica".
"Negli innumerevoli viaggi in Italia e in ogni parte del mondo - testimoniano i vescovi - ci ha resi attenti ai popoli condannati al sottosviluppo dalla brama esclusiva di profitto e dalla sete di potere, da situazioni che invocano la giustizia, la remissione del debito e quella solidarieta' che per i cristiani arriva al dono della vita".
"Non abbiate paura" esortava il Papa, ricorda il testo approvato dalla presidenza Cei, "nel riconoscere ritardi e responsabilita'. E il suo amore per la Chiesa e' stato tale da indurlo a chiedere perdono per le mancanze commesse dai credenti. A sua volta, ha assicurato il perdono dei cattolici per quello che essi hanno patito nella storia, impegnandosi, a nome dei credenti, a tendere con ogni forza alla fraternita' universale".
Da anziano e sofferente, continua il messaggio,il Papa ha testimoniato in prima persona un totale rispetto per essa". "Non abbiate paura mai della vita da quella nascente, fin dal concepimento, a quella segnata dalla vecchiaia, ugualmente sacra e inviolabile", e' stato uno degli incoraggiamenti di Giovanni Paolo II alla Chiesa Italiana. Un Papa, conclude la nota, che "Benedetto XVI ci affida oggi come testimone: un'eredita' che con gratitudine ci impegniamo a raccogliere e a fare sempre piu' nostra". Infatti, "a nostra volta - assicurano i vescovi - non ci stanchiamo di chiedere che ne sia sempre rispettata la vita e promossi la dignita' e il diritto alla famiglia, al lavoro, alla liberta' religiosa" che "sono le linee sulle quali, particolarmente in questo decennio dedicato all'educazione, rilanciamo il nostro impegno missionario, convinti di svolgere cosi' un servizio indispensabile all'unita' e al bene del Paese".
Per il cardinale Bagnasco, che ha parlato con una tv locale di Genova, "Giovanni Paolo II e' stato il Papa della dignita' di ogni uomo e dei diritti umani, che hanno sempre attraversato la predicazione in qualsiasi Paese e regime si sia recato. Per lui - ha aggiunto il presidente della Cei - il tema non era assolutamente di ordine sociologico ma religioso. Perche'era ancorato e discendente da Cristo, figlio di Dio". "Era un Papa dall'anima mistica - ha ricordato - e anche eroica, di quell'eroismo coraggioso che viene dalla storia della Polonia che ha tanto ispirato le sue azioni e la sua parola. Era un mistico, perche' aveva il senso fortissimo di Dio e della Provvidenza. E nello stesso tempo, avendo anche un senso fortissimo della storia, al di la' dei singoli eventi riusciva a vedere l'insieme delle cose alla luce della Provvidenza". Il presidente della Cei ha raccontato di essere stato presente in piazza San Pietro la sera della morte di Papa Giovanni Paolo II. "Ricordo - ha confidato - un grande silenzio e una grande preghiera. Poi l'annuncio che Giovanni Paolo II era salito verso il Padre". "La voce che serpeggiava e che di li' a poco - ha raccontato - e' diventata grido, invocazione, auspicio: santo subito, al quale la Chiesa ha risposto con la sua prudenza e saggezza, consentendo l'apertura del processo prima che trascorresssero i cinque anni canonici, ma rispettando poi le procedure". "Papa Benedetto XVI non e' stato sordo a questo appello - ha aggiunto il cardinale - senza abbandonare la prudenza tradizionale della Chiesa: sono stati rispettati alcuni tempi, ma sono state anche create delle corsie preferenziali. E i cinque anni normalmente previsti prima di aprire un processo canonico di beatificazione, in questo caso sono stati accorciati". "La santita' - ha spiegato - si costruisce nella vita e nel tempo, con la grazie di Dio. E la santita' di Giovanni Paolo poteva essere toccata dalla folla, dai giovani, dalle moltitudini che lo hanno incontrato in vita e hanno sentito il fascino della sua bonta'".
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WOJTYLA: CARDINAL SARAIVA, PER FARLO SANTO SERVIRA' MIRACOLO DOPO IL PRIMO MAGGIO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 29 apr.
Per la canonizzazione di Giovanni Paolo II servira' un nuovo miracolo attribuito alla intercessione del Pontefice polacco, che dovra' essere successivo alla beatificazione del prossimo primo maggio. Lo chiarisce il cardinale Jose' Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle cause dei santi. Sul punto si e' ingenerata una certa confusione sui media per il susseguirsi delle notizie su nuove "grazie" (si chiamano cosi' i fatti straordinari ma non verificati scientificamente e dal punto di vista teologico dalle commissioni ecclesiastiche) che vengono praticamente ogni giorno attribuite a Papa Wojtyla in tanti Paesi del mondo (fino all'aprile 2009 erano 271 i casi segnalati da vescovi e sacerdoti alla Congregazione e negli ultimi mesi sono ancora aumentati). Queste grazie non sono pero' utilizzabili ai fini della causa, pur restando a tutti gli effetti grandi testimonianze della santita' del Pontefice polacco. "Il numero richiesto per la beatificazione e la canonizzazione - ricorda il porporato - e' variato nella storia del diritto ecclesiastico. Nella legislazione del Codice di diritto canonico del 1917, per la beatificazione si richiedevano due miracoli (e in certi casi perfino tre o quattro), con la possibilita' di dispensa nel caso si trattasse di un martire, il cui martirio fosse evidente. Dall'Anno Santo del 1975 si e' cominciato a dispensare dal secondo miracolo per la beatificazione e si e' cosi' arrivati all'attuale prassi di un solo miracolo per la beatificazione e di un altro successivo per la canonizzazione".
L'esame di un miracolo - ricorda il prefetto emerito delle Cause dei Santi riferendosi alle guarigioni inspiegabili che sono il caso piu' frequente - comincia con il processo diocesano, i cui risultati sono oggetto di studio per la Consulta medica, alla quale partecipano cinque specialisti nella materia di cui si tratta: essi devono dare il loro giudizio tecnico sul fatto che la guarigione sia scientificamente inspiegabile. La Posizione stampata passa successivamente alla riunione dei sei consultori teologi, insieme con il promotore generale della fede, che hanno dovuto dare previamente un parere per iscritto. Segue l'esame da parte dei cardinali e dei vescovi membri della congregazione, e anche in questo caso il risultato si sottomette alla decisione del Papa che puo' ordinare la promulgazione del decreto sopra il miracolo".
Papa Benedetto XIV, ricostruisce il cardinale Saraiva Martins in un'intervista pubblicata nel libro "Il miracolo di Karol" scritto da Saverio Gaeta per la Rizzoli, "ad aver insistito sui miracoli per avere la conferma divina per un non-martire. Nel miracolo - spiega il prefetto emerito - la Chiesa vede il 'sigillo di Dio' sulla propria riflessione e sul proprio lavoro. Le ricerche testimoniali, gli esami clinici, le Consulte teologiche si svolgono sempre con serieta' e accuratezza, fino a raggiungere la certezza morale: in questa resta sempre, pero', la valutazione umana". "Cosciente di questa precarieta', e in spirito di umile e fiduciosa attesa, la Chiesa - afferma il cardinale portoghese - invoca un segno dall'Alto. Il miracolo, quindi, va recepito come conferma della fede, come una specie di timbro apposto da Dio tramite il quale egli garantisce la santita' del candidato agli altari".
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WOJTYLA: CARDINALE AMATO, PRESTO SANTO, GRAZIE SI SUSSEGUONO
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 29 apr.
"Per la canonizzazione ci vuole un altro miracolo. Non credo che si possa fare una previsione precisa sulla data. Si puo' solo dire che dopo la beatificazione la postulazione si mettera' all'opera per la raccolta delle grazie e per una loro eventuale valutazione". Lo afferma il cardinale Angelo Amato, prefetto delle cause dei santi, in un'intervista alla Radio Vaticana. Finora, sottolinea, "la causa di Giovanni Paolo II e' stata facilitata sia da una diffusissima fama sanctitatis, sia anche da un'altrettanto solida fama signorum. Sono infatti innumerevoli le grazie - tra esse c'e' anche il miracolo ottenuto da Suor Marie Simon Pierre - che i fedeli di tutto il mondo hanno ricevuto con l'intercessione di Papa Wojtyla". "Ancora oggi - assicura il cardinale salesiano - arrivano testimonianze in tal senso. Proprio ieri mattina sul Giornale e' stata pubblicata la testimonianza della scrittrice Margherita Enrico che in un suo libro narra, fra l'altro, anche la guarigione miracolosa ottenuta dal suo bambino".
"Una volta individuata una grazia, che potrebbe configurarsi come straordinaria, dopo l'indagine diocesana, ci sara' - promette il cardinale Amato - il processo romano, che comprende alcuni passaggi obbligati: commissione scientifica, consulta teologica, voti dei Padri Cardinali e Vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi. Se tutto va bene, il Prefetto porta la documentazione dal Santo Padre per il suo consenso. Una volta espletata la procedura canonica, il Papa indice un concistoro pubblico, nel quale annuncia la data della canonizzazione". In proposito, Amato non fa previsioni sui tempi, ma rileva che "c'e' in tutti una grande aspettativa di urgenza". "E' questa - spiega - una realta' positiva. Vorrei solo aggiungere - conclude - che il tempo in vista della canonizzazione non dovrebbe essere considerato tempo vuoto o semplice tempo di attesa. Questi mesi, questi anni sono un tempo provvidenziale per conoscere meglio la figura del Beato, per corrispondere con piu' fedelta' ai suoi esempi e insegnamenti. Questo tempo di attesa e' quindi un tempo da riempire sia con la contemplazione del Beato sia con l'imitazione delle sue virtu'. Un Santo non e' solo da celebrare, ma soprattutto da imitare".
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venerdì 29 aprile 2011
Ratzinger e predecessore tra continuità e discontinuità (TMNews)
Wojtyla/ Ratzinger e predecessore tra continuità e discontinuità
A lungo collaboratore,negli anni emergono differenze e divergenze
Sui due Pontefici differenze anche di stile
La scelta di Ratzinger di beatificare Giovanni Paolo II è un omaggio del Papa al suo predecessore, oltre che una risposta alla diffusa devozione di cui è circondato Wojtyla a sei anni dalla morte.
Ma più passa il tempo e più il Pontificato di Benedetto XVI assume una fisionomia propria, marcando anche profonde differenze, se non divergenze, rispetto al lungo Pontificato precedente. Tra Ratzinger e Wojtyla, di certo, c'è stato grande affetto e stretta collaborazione.
Eletto Papa nel 1978, Giovanni Paolo II chiamò a Roma l'allora arcivescovo di Monaco a novembre del 1981, pochi mesi dopo l'attentato di Ali Agca che gli fece rischiare la vita e lo lasciò a lungo debilitato. Dal 1982, quando assunse l'incarico di Prefetto della Congregazione della Dottrina della fede, Ratzinger fu il 'guardiano della fede' del Pontificato di Wojtyla. Per alcuni fu l'ideologo del Papa polacco, sebbene in realtà Giovanni Paolo II avesse una solida formazione teologica e prendesse le decisioni autonomamente.
Lo ha spiegato di recente anche il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano di Ratzinger che ha raccontato, in un libro-intervista su Wojtyla, la vicenda della controversa dichiarazione dottrinale Dominus Iesus: "Il Papa stesso ha voluto in prima persona la dichiarazione dogmatica circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (Dominus Jesus), nonostante le dicerie che hanno attribuito a una 'fissazione' del cardinale Ratzinger o della Congregazione per la Dottrina della Fede il fatto di aver voluto questa famosa dichiarazione, dicerie che si erano propagate anche in campo cattolico".
Fu Ratzinger, ad ogni modo, a supervisionare il lavoro dottrinale di tutto il Pontificato Wojtyla, dalle indicazioni sulla teologia della liberazione al primo giro di vite sulla pedofilia.
Tanto è stata la riconoscenza di Ratzinger che, ancora di recente, gli è capitato di parlare ad alcuni interlocutori di Wojtyla come "il" Papa.
Ciononostante non mancarono, già durante gli anni del Pontificato wojtyliano, sottili distinguo di Ratzinger. Chi lo conosceva bene raccontò che, pur senza prese di distanza plateali, il porporato tedesco non era in perfetto accordo con Wojtyla sull'incontro interreligioso di Assisi del 1986 e avrebbe preferito altre puntualizzazioni sui 'mea culpa' di Giovanni Paolo II. Ma non gradì neppure lo stile grandioso che accompagnò il Giubileo del 2000.
Quanto alla pedofilia, fu tra i più fermi nell'affrontare con decisione lo scandalo e si scontrò, per questo, con altri settori della Curia romana pur vicini a Wojtyla. Anche per quanto riguarda i due filoni di indagine che hanno toccato il Vaticano l'ultimo anno - gli immobili di Propaganda fide nel quadro delle inchieste sugli appalti pubblici e i movimenti sospetti dello Ior - si è trattato di vicende che hanno le loro radici negli anni di Wojtyla e che, sotto Ratzinger, sono state man mano gestite con rigore diverso.
Gli attriti con il mondo ebraico e con il mondo musulmano nati da alcune prese di posizione del Papa tedesco - quando malaccorte, quando mal comprese - hanno determinato, nel corso degli anni, un rapporto meno facile, ancorché molto franco, con le altre due religioni abramitiche.
Meno sensibile ai grandi scenari geopolitici, inoltre, Ratzinger si è differenziato da Wojtyla anche per interventi meno vigorosi su vicende come la pace e la guerra, che pure ha citato a più riprese nei suoi discorsi, nelle sue encicliche e nei suoi messaggi. Proprio per commemorare i 25 anni dall'incontro di Assisi fortemente voluto da Wojtyla e sostenuto dalla comunità di Sant'Egidio, poi, Ratzinger ha deciso di recarsi nella cittadina umbra che ha dato i natali a San Francesco il prossimo ottobre. Le differenze tra i due Papi sono anche questione di stile. Ne ha parlato senza infingimenti lo stesso Benedetto XVI nel suo recente libro-intervista 'Luce del mondo' con Peter Seewald.
Se Wojtyla conquistò moltitudini e platee, Ratzinger si domanda "se sia veramente giusto offrirsi sempre alle folle e farsi acclamare come una star". Quando l'intervistatore fa l'esempio dei lunghi viaggi di Giovanni Paolo II in giro per il mondo, Benedetto XVI ammette candidamente: "Le visite pastorali chiedono tanto ad uno come me".
Il paragone con Wojtyla è un problema? "Mi sono semplicemente detto che sono quel che sono. Non cerco di essere un altro. Quel che posso dare dò, e quel che non posso non cerco nemmeno di darlo".
Siderale la distanza tra i due Papi in rapporto all'attività fisica. Wojtyla sciava, arrampicava, nuotava.
Lo sport? "Non ne ho proprio il tempo e, ringranziando Iddio, in questo momento nemmeno mi serve", risponde Ratzinger. Al di là dell'aneddotica, però, è anche su questioni di sostanza che si misura la differenza tra i due Pontefici. Anche Wojtyla pensò, con l'avanzare della malattia, a dimettersi. Ma non lo disse mai in pubblico.
Ora Benedetto XVI ammette che un Papa può dimettersi quando "non ce la fa più". Se il Papa polacco contrastò con tutte le sue forze i sacerdoti che abbandonavano l'abito talare per una donna, ora il Pontefice tedesco spiega, molto semplicemente, che se un prete vuole davvero sposarsi è bene che lo faccia. Quanto alla pedofilia, infine, Ratzinger risponde a domande che riguardano anche il caso forse più clamoroso, quello del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel, sacerdote messicano pedofilo, tossicodipendente e padre di diversi figli illegittimi. Nell'entourage di Wojtyla c'è chi lo difese strenuamente.
Oggi Ratzinger ammette: "Purtroppo abbiamo affrontato la questione solo con molta lentezza e con grande ritardo. In qualche modo era molto ben coperta e solo dal 2000 abbiamo iniziato ad avere dei punti di riferimento concreti".
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A lungo collaboratore,negli anni emergono differenze e divergenze
Sui due Pontefici differenze anche di stile
La scelta di Ratzinger di beatificare Giovanni Paolo II è un omaggio del Papa al suo predecessore, oltre che una risposta alla diffusa devozione di cui è circondato Wojtyla a sei anni dalla morte.
Ma più passa il tempo e più il Pontificato di Benedetto XVI assume una fisionomia propria, marcando anche profonde differenze, se non divergenze, rispetto al lungo Pontificato precedente. Tra Ratzinger e Wojtyla, di certo, c'è stato grande affetto e stretta collaborazione.
Eletto Papa nel 1978, Giovanni Paolo II chiamò a Roma l'allora arcivescovo di Monaco a novembre del 1981, pochi mesi dopo l'attentato di Ali Agca che gli fece rischiare la vita e lo lasciò a lungo debilitato. Dal 1982, quando assunse l'incarico di Prefetto della Congregazione della Dottrina della fede, Ratzinger fu il 'guardiano della fede' del Pontificato di Wojtyla. Per alcuni fu l'ideologo del Papa polacco, sebbene in realtà Giovanni Paolo II avesse una solida formazione teologica e prendesse le decisioni autonomamente.
Lo ha spiegato di recente anche il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano di Ratzinger che ha raccontato, in un libro-intervista su Wojtyla, la vicenda della controversa dichiarazione dottrinale Dominus Iesus: "Il Papa stesso ha voluto in prima persona la dichiarazione dogmatica circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (Dominus Jesus), nonostante le dicerie che hanno attribuito a una 'fissazione' del cardinale Ratzinger o della Congregazione per la Dottrina della Fede il fatto di aver voluto questa famosa dichiarazione, dicerie che si erano propagate anche in campo cattolico".
Fu Ratzinger, ad ogni modo, a supervisionare il lavoro dottrinale di tutto il Pontificato Wojtyla, dalle indicazioni sulla teologia della liberazione al primo giro di vite sulla pedofilia.
Tanto è stata la riconoscenza di Ratzinger che, ancora di recente, gli è capitato di parlare ad alcuni interlocutori di Wojtyla come "il" Papa.
Ciononostante non mancarono, già durante gli anni del Pontificato wojtyliano, sottili distinguo di Ratzinger. Chi lo conosceva bene raccontò che, pur senza prese di distanza plateali, il porporato tedesco non era in perfetto accordo con Wojtyla sull'incontro interreligioso di Assisi del 1986 e avrebbe preferito altre puntualizzazioni sui 'mea culpa' di Giovanni Paolo II. Ma non gradì neppure lo stile grandioso che accompagnò il Giubileo del 2000.
Quanto alla pedofilia, fu tra i più fermi nell'affrontare con decisione lo scandalo e si scontrò, per questo, con altri settori della Curia romana pur vicini a Wojtyla. Anche per quanto riguarda i due filoni di indagine che hanno toccato il Vaticano l'ultimo anno - gli immobili di Propaganda fide nel quadro delle inchieste sugli appalti pubblici e i movimenti sospetti dello Ior - si è trattato di vicende che hanno le loro radici negli anni di Wojtyla e che, sotto Ratzinger, sono state man mano gestite con rigore diverso.
Gli attriti con il mondo ebraico e con il mondo musulmano nati da alcune prese di posizione del Papa tedesco - quando malaccorte, quando mal comprese - hanno determinato, nel corso degli anni, un rapporto meno facile, ancorché molto franco, con le altre due religioni abramitiche.
Meno sensibile ai grandi scenari geopolitici, inoltre, Ratzinger si è differenziato da Wojtyla anche per interventi meno vigorosi su vicende come la pace e la guerra, che pure ha citato a più riprese nei suoi discorsi, nelle sue encicliche e nei suoi messaggi. Proprio per commemorare i 25 anni dall'incontro di Assisi fortemente voluto da Wojtyla e sostenuto dalla comunità di Sant'Egidio, poi, Ratzinger ha deciso di recarsi nella cittadina umbra che ha dato i natali a San Francesco il prossimo ottobre. Le differenze tra i due Papi sono anche questione di stile. Ne ha parlato senza infingimenti lo stesso Benedetto XVI nel suo recente libro-intervista 'Luce del mondo' con Peter Seewald.
Se Wojtyla conquistò moltitudini e platee, Ratzinger si domanda "se sia veramente giusto offrirsi sempre alle folle e farsi acclamare come una star". Quando l'intervistatore fa l'esempio dei lunghi viaggi di Giovanni Paolo II in giro per il mondo, Benedetto XVI ammette candidamente: "Le visite pastorali chiedono tanto ad uno come me".
Il paragone con Wojtyla è un problema? "Mi sono semplicemente detto che sono quel che sono. Non cerco di essere un altro. Quel che posso dare dò, e quel che non posso non cerco nemmeno di darlo".
Siderale la distanza tra i due Papi in rapporto all'attività fisica. Wojtyla sciava, arrampicava, nuotava.
Lo sport? "Non ne ho proprio il tempo e, ringranziando Iddio, in questo momento nemmeno mi serve", risponde Ratzinger. Al di là dell'aneddotica, però, è anche su questioni di sostanza che si misura la differenza tra i due Pontefici. Anche Wojtyla pensò, con l'avanzare della malattia, a dimettersi. Ma non lo disse mai in pubblico.
Ora Benedetto XVI ammette che un Papa può dimettersi quando "non ce la fa più". Se il Papa polacco contrastò con tutte le sue forze i sacerdoti che abbandonavano l'abito talare per una donna, ora il Pontefice tedesco spiega, molto semplicemente, che se un prete vuole davvero sposarsi è bene che lo faccia. Quanto alla pedofilia, infine, Ratzinger risponde a domande che riguardano anche il caso forse più clamoroso, quello del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel, sacerdote messicano pedofilo, tossicodipendente e padre di diversi figli illegittimi. Nell'entourage di Wojtyla c'è chi lo difese strenuamente.
Oggi Ratzinger ammette: "Purtroppo abbiamo affrontato la questione solo con molta lentezza e con grande ritardo. In qualche modo era molto ben coperta e solo dal 2000 abbiamo iniziato ad avere dei punti di riferimento concreti".
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Il nuovo vice di Bertone, Angelo Becciu, arriva dall’Ostpolitik a Cuba (Rodari)
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Wojtyla, dopo beato anche santo? Tra frenate e accelerazioni. Il Washington Post si appella al Papa per la canonizzazione di Roncalli (TMNews)
Wojtyla/ Dopo beato anche santo? Tra frenate e accelerazioni
Amato: Ci vorranno anni. 'Washington Post': Prima Giovanni XXIII
Dubbi sul rischio di discriminare figure di altri Papi del '900
Non è stato santo subito, ma è stato comunque presto beato. Al funerale di Giovanni Paolo II spuntarono tra la folla gli striscioni che invocavano la sua immediata canonizzazione. Il dubbio che quelle manifestazioni fossero orchestrate da cardinali vicini allo stesso Wojtyla, ipotizzato anche da qualche uomo di Chiesa, non toglie molto al fatto che il Papa polacco godesse di una ampia devozione popolare, la cosiddetta 'fama sanctitatis'. E il suo successore, Benedetto XVI, ne ha tenuto conto quando, pur non accogliendo la richiesta di alcuni cardinali di una procedura fulminea, ha comunque deciso di accorciare le procedure ed ha avviato la causa di beatificazione senza attendere i cinque anni che passano di norma tra la morte e l'avvio dell'istruttoria.
La causa non ha avuto "facilitazioni" ma è stata pienamente rispettata la procedura prevista con "accuratezza" e "rigore" e "non ci sono stati sconti", ha avuto a spiegare il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, per rispondere ai dubbi di favoritismo. Secondo il porporato salesiano, anzi, proprio "per onorare" la memoria "di questo grande pontefice" la causa "è stata sottoposta a uno scrutinio particolarmente accurato, per fugare ogni dubbio e superare ogni difficoltà". Di certo, a un certo punto il processo sembrò arenarsi. Stava emergendo in tutto il mondo lo scandalo di alcuni preti pedofili, ma anche su altri fronti - le inchieste della procura di Roma su alcuni conti sospetti dello Ior, le indagini sugli immobili di Propaganda fide e la "cricca" che ruotava attorno agli appalti pubblici e, dal passato, i fondi neri verso il sindacato polacco Solidarnosc - il Vaticano di Wojtyla veniva coperto da ombre e sospetti. Anche tra i collaboratori di Giovanni Paolo II ci fu chi non avrebbe gradito tanta solerzia nel concludere il processo. Si disse addirittura che i cardinali Angelo Sodano e Leonardo Sandri non avessero voluto testimoniare - ipotesi poi smentita pubblicamente dallo stesso card. Amato. Formalmente, però, non furono questi i motivi della decelerazione.
Dai Sacri Palazzi, invece, filtrarono dubbi sul miracolo inizialmente scelto per la beatificazione. Suor Marie Simon Pierre, religiosa francese malata di Parkinson, era guarita in seguito alle preghiere di intercessione a Wojtyla. Ma un medico consultato dal Vaticano - è quanto affiorò - sollevò dei dubbi sul fatto che si fosse trattato proprio di Parkinson e non di malattie assimilabili ma non altrettanto gravi, i cosiddetti parkinsonismi. Dubbi poi sciolti, tanto che Ratzinger, a dicembre del 2009, ha firmato il decreto sulle eroiche virtù necessario a fare ascendere Wojtyla agli onori degli altari. E suor Marie sarà sul palco della veglia della beatificazione, domani al Circo Massimo.
A partire dal 2 maggio, però, si riproporrà il problema di quando e se Giovanni Paolo II, dopo essere stato proclamato beato, diventerà anche santo.
"Per la canonizzazione ci vuole un altro miracolo. Non credo che si possa fare una previsione precisa sulla data. Si può solo dire che dopo la beatificazione la postulazione si metterà all'opera per la raccolta delle grazie e per una loro eventuale valutazione", ha affermato oggi a 'Radio vaticana' lo stesso cardinale Amato. L'evento miracoloso, in questo senso, deve avvenire non prima del prossimo primo maggio. Il porporato salesiano alla testa della congregazione dei santi ha poi spiegato: "Una volta individuata una grazia, che potrebbe configurarsi come straordinaria, dopo l'indagine diocesana, ci sarà il processo romano, che comprende alcuni passaggi obbligati: commissione scientifica, consulta teologica, voti dei Padri Cardinali e Vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi. Se tutto va bene, il Prefetto porta la documentazione dal Santo Padre per il suo consenso. Una volta espletata la procedura canonica, il Papa indice un concistoro pubblico, nel quale annuncia la data della canonizzazione. Vorrei fare una considerazione sul tempo. C'è in tutti una grande aspettativa di urgenza. E' una realtà positiva. Vorrei solo aggiungere che il tempo in vista della canonizzazione non dovrebbe essere considerato tempo vuoto o semplice tempo di attesa. Questi mesi, questi anni - ha sottolineato Amato - sono un tempo provvidenziale per conoscere meglio la figura del Beato, per corrispondere con più fedeltà ai suoi esempi e insegnamenti".
Nel frattempo già è cominciato, sottotraccia, un dibattito, dentro e fuori il Vaticano, sull'opportunità di procedere nel processo di canonizzazione. Tra i dubbi che circondano questa ipotesi, c'è il rischio di discriminare le figure degli altri Papi del Novecento. Un Pontefice altrettanto grandioso come Paolo VI non è stato neppure beatificato. Se per la personalità controversa Pio XII, al contrario, Ratzinger ha firmato il decreto che spiana la strada per l'onore degli altari lo stesso giorno in cui ha firmato il decreto di Wojtyla, il 19 dicembre del 2009, la sua data di beatificazione non è stata neppure fissata. Il Papa anti-liberale Pio IX fu beatificato proprio da Wojtyla insieme al Papa del Concilio Giovanni XXIII, quasi a dare un segno di equilibrio agli ambienti conservatori e a quelli progressisti della Chiesa. Ma ora diverranno anch'essi santi?
Sul 'Washington Post' J. Dionne Jr. Scrive, in merito ai dubbi sulla beatificazione di Wojtyla: "C'è un rimedio molto semplice che potrebbe mettere d'accordo i cattolici che si trovano su posizioni diverse e mandare un messaggio più corretto sull'atteggiamento della chiesa nei confronti del mondo moderno: è ora di dichiarare santo Papa Giovanni XXIII". Gli fa eco il gesuita James Martin che, sulla rivista 'America', scrive: "Visto che ci siamo: l'arcivescovo Oscar Romero, il cui martirio dovrebbe averlo posto in prima linea (per la canonizzazione, ndr.). Come Maura Clarke, Jean Donovan, Dorothy Kazel e Ita Ford. Come i gesuiti martiri dell'Università del Centro America. Tutti questi martiri avrebbero dovuto essere canonizzati molto tempo fa. Santi subito!".
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Amato: Ci vorranno anni. 'Washington Post': Prima Giovanni XXIII
Dubbi sul rischio di discriminare figure di altri Papi del '900
Non è stato santo subito, ma è stato comunque presto beato. Al funerale di Giovanni Paolo II spuntarono tra la folla gli striscioni che invocavano la sua immediata canonizzazione. Il dubbio che quelle manifestazioni fossero orchestrate da cardinali vicini allo stesso Wojtyla, ipotizzato anche da qualche uomo di Chiesa, non toglie molto al fatto che il Papa polacco godesse di una ampia devozione popolare, la cosiddetta 'fama sanctitatis'. E il suo successore, Benedetto XVI, ne ha tenuto conto quando, pur non accogliendo la richiesta di alcuni cardinali di una procedura fulminea, ha comunque deciso di accorciare le procedure ed ha avviato la causa di beatificazione senza attendere i cinque anni che passano di norma tra la morte e l'avvio dell'istruttoria.
La causa non ha avuto "facilitazioni" ma è stata pienamente rispettata la procedura prevista con "accuratezza" e "rigore" e "non ci sono stati sconti", ha avuto a spiegare il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, per rispondere ai dubbi di favoritismo. Secondo il porporato salesiano, anzi, proprio "per onorare" la memoria "di questo grande pontefice" la causa "è stata sottoposta a uno scrutinio particolarmente accurato, per fugare ogni dubbio e superare ogni difficoltà". Di certo, a un certo punto il processo sembrò arenarsi. Stava emergendo in tutto il mondo lo scandalo di alcuni preti pedofili, ma anche su altri fronti - le inchieste della procura di Roma su alcuni conti sospetti dello Ior, le indagini sugli immobili di Propaganda fide e la "cricca" che ruotava attorno agli appalti pubblici e, dal passato, i fondi neri verso il sindacato polacco Solidarnosc - il Vaticano di Wojtyla veniva coperto da ombre e sospetti. Anche tra i collaboratori di Giovanni Paolo II ci fu chi non avrebbe gradito tanta solerzia nel concludere il processo. Si disse addirittura che i cardinali Angelo Sodano e Leonardo Sandri non avessero voluto testimoniare - ipotesi poi smentita pubblicamente dallo stesso card. Amato. Formalmente, però, non furono questi i motivi della decelerazione.
Dai Sacri Palazzi, invece, filtrarono dubbi sul miracolo inizialmente scelto per la beatificazione. Suor Marie Simon Pierre, religiosa francese malata di Parkinson, era guarita in seguito alle preghiere di intercessione a Wojtyla. Ma un medico consultato dal Vaticano - è quanto affiorò - sollevò dei dubbi sul fatto che si fosse trattato proprio di Parkinson e non di malattie assimilabili ma non altrettanto gravi, i cosiddetti parkinsonismi. Dubbi poi sciolti, tanto che Ratzinger, a dicembre del 2009, ha firmato il decreto sulle eroiche virtù necessario a fare ascendere Wojtyla agli onori degli altari. E suor Marie sarà sul palco della veglia della beatificazione, domani al Circo Massimo.
A partire dal 2 maggio, però, si riproporrà il problema di quando e se Giovanni Paolo II, dopo essere stato proclamato beato, diventerà anche santo.
"Per la canonizzazione ci vuole un altro miracolo. Non credo che si possa fare una previsione precisa sulla data. Si può solo dire che dopo la beatificazione la postulazione si metterà all'opera per la raccolta delle grazie e per una loro eventuale valutazione", ha affermato oggi a 'Radio vaticana' lo stesso cardinale Amato. L'evento miracoloso, in questo senso, deve avvenire non prima del prossimo primo maggio. Il porporato salesiano alla testa della congregazione dei santi ha poi spiegato: "Una volta individuata una grazia, che potrebbe configurarsi come straordinaria, dopo l'indagine diocesana, ci sarà il processo romano, che comprende alcuni passaggi obbligati: commissione scientifica, consulta teologica, voti dei Padri Cardinali e Vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi. Se tutto va bene, il Prefetto porta la documentazione dal Santo Padre per il suo consenso. Una volta espletata la procedura canonica, il Papa indice un concistoro pubblico, nel quale annuncia la data della canonizzazione. Vorrei fare una considerazione sul tempo. C'è in tutti una grande aspettativa di urgenza. E' una realtà positiva. Vorrei solo aggiungere che il tempo in vista della canonizzazione non dovrebbe essere considerato tempo vuoto o semplice tempo di attesa. Questi mesi, questi anni - ha sottolineato Amato - sono un tempo provvidenziale per conoscere meglio la figura del Beato, per corrispondere con più fedeltà ai suoi esempi e insegnamenti".
Nel frattempo già è cominciato, sottotraccia, un dibattito, dentro e fuori il Vaticano, sull'opportunità di procedere nel processo di canonizzazione. Tra i dubbi che circondano questa ipotesi, c'è il rischio di discriminare le figure degli altri Papi del Novecento. Un Pontefice altrettanto grandioso come Paolo VI non è stato neppure beatificato. Se per la personalità controversa Pio XII, al contrario, Ratzinger ha firmato il decreto che spiana la strada per l'onore degli altari lo stesso giorno in cui ha firmato il decreto di Wojtyla, il 19 dicembre del 2009, la sua data di beatificazione non è stata neppure fissata. Il Papa anti-liberale Pio IX fu beatificato proprio da Wojtyla insieme al Papa del Concilio Giovanni XXIII, quasi a dare un segno di equilibrio agli ambienti conservatori e a quelli progressisti della Chiesa. Ma ora diverranno anch'essi santi?
Sul 'Washington Post' J. Dionne Jr. Scrive, in merito ai dubbi sulla beatificazione di Wojtyla: "C'è un rimedio molto semplice che potrebbe mettere d'accordo i cattolici che si trovano su posizioni diverse e mandare un messaggio più corretto sull'atteggiamento della chiesa nei confronti del mondo moderno: è ora di dichiarare santo Papa Giovanni XXIII". Gli fa eco il gesuita James Martin che, sulla rivista 'America', scrive: "Visto che ci siamo: l'arcivescovo Oscar Romero, il cui martirio dovrebbe averlo posto in prima linea (per la canonizzazione, ndr.). Come Maura Clarke, Jean Donovan, Dorothy Kazel e Ita Ford. Come i gesuiti martiri dell'Università del Centro America. Tutti questi martiri avrebbero dovuto essere canonizzati molto tempo fa. Santi subito!".
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Appello di E. J. Dionne Jr. a Papa Benedetto: È ora di accelerare la santificazione di Papa Giovanni XXIII
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Nuovo sito su Giovanni Paolo II realizzato in sinergia dai media vaticani (R.V.)
Nuovo sito su Giovanni Paolo II realizzato in sinergia dai media vaticani
www.giovannipaoloii.va: in occasione della Beatificazione di Giovanni Paolo II, domenica primo maggio, è stato pubblicato su Internet un nuovo spazio web , realizzato grazie al coinvolgimento di varie istituzioni vaticane (Servizio Internet Vaticano, Direzione delle Telecomunicazioni, Servizio Fotografico de L’Osservatore Romano, Radio Vaticana, Centro Televisivo Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, Sala Stampa, Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, Opera Romana Pellegrinaggi e Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli). Nel sito Sono presenti 500 foto, 30 video e 400 frasi in sei diverse lingue che ripercorrono alcuni dei momenti più significativi della vita e del Pontificato di Papa Karol Wojtyla. Ogni argomento viene presentato in forma di libro da sfogliare. La sezione dedicata al Pontificato è realizzata elusivamente attraverso video. Un’altra è interamente dedicata alle preghiere di Papa Wojtyla. Sarà anche possibile seguire in diretta tutti gli eventi legati alla Beatificazione attraverso il servizio di streaming. (A.L.)
© Copyright Radio Vaticana
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Media di tutto il mondo pronti per la Beatificazione di Papa Wojtyla, 87 le delegazioni attese per il primo maggio
Il cardinale Angelo Amato: Wojtyla Beato, la Chiesa è in festa in ogni parte del mondo
Le testimonianze dei cardinali Grocholewski, Etchegaray e Tucci: "Karol Wojtyla, tanti anni con lui e ora lo chiamiamo Beato"
Aperta in Vaticano la Mostra-omaggio di Benedetto XVI a Giovanni Paolo II
www.giovannipaoloii.va: in occasione della Beatificazione di Giovanni Paolo II, domenica primo maggio, è stato pubblicato su Internet un nuovo spazio web , realizzato grazie al coinvolgimento di varie istituzioni vaticane (Servizio Internet Vaticano, Direzione delle Telecomunicazioni, Servizio Fotografico de L’Osservatore Romano, Radio Vaticana, Centro Televisivo Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, Sala Stampa, Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, Opera Romana Pellegrinaggi e Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli). Nel sito Sono presenti 500 foto, 30 video e 400 frasi in sei diverse lingue che ripercorrono alcuni dei momenti più significativi della vita e del Pontificato di Papa Karol Wojtyla. Ogni argomento viene presentato in forma di libro da sfogliare. La sezione dedicata al Pontificato è realizzata elusivamente attraverso video. Un’altra è interamente dedicata alle preghiere di Papa Wojtyla. Sarà anche possibile seguire in diretta tutti gli eventi legati alla Beatificazione attraverso il servizio di streaming. (A.L.)
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Il Cristianesimo per Joseph Ratzinger, il teologo divenuto Pontefice, è soprattutto «Fede, Verità, Tolleranza» (Cortese)
L'EDITORIALE
Il traghettatore e il Nordest
Giandomenico Cortese
«Conoscere per amare ». E «amare per conoscere ». Si rifà alla regola di Sant’Agostino per indicare un metodo di relazione.
Papa Ratzinger sta per raggiungere il Nordest e definisce il suo progetto di comunicazione, in cerca di quella «veneta serenità» che ci distingue. Parte da Aquileia e attraverso Altino raggiunge le isole di Venezia, intrecciate dai ponti ma soprattutto dall’ombra delle sue chiese e dei suoi campanili, con un dichiarato obiettivo: una nuova evangelizzazione.
Il cristianesimo per Joseph Ratzinger, il teologo divenuto pontefice, da molti un tempo considerato quale «Grande Inquisitore», è soprattutto «Fede, Verità, Tolleranza» (come detta uno dei suoi ultimi saggi prima di essere eletto al soglio di Pietro), qualità, forse virtù, praticate nella loro lunga storia dalle comunità venete, fatte ricche di esperienza quotidianità.
Il cardinal Scola, con gli altri vescovi della Conferenza triveneta, sta mettendo a punto l’organizzazione della visita, con puntigliosa meticolosità, con impegni gravosi, anche finanziari, per i quali fa appello alla generosità di quanti possono intervenire, ma soprattutto tiene a curare gli aspetti più educativi e formativi, quelli che, al di là dei segni esteriori, propongono un cammino da riprendere, oltre la visita papale.
Quale sarà la risposta a papa Benedetto da parte dei Veneti, fedeli e non? E’ difficile prevederlo. I tempi paradossali che stiamo vivendo fanno auspicare a padre Bartolomeo Sorge, intellettuale gesuita nativo di Castelfranco Veneto (papa Luciani, nel lontano 1978, lo avrebbe voluto suo sostituto al Patriarcato di San Marco), che da qui nascano altri generosi «traghettatori» a condurre la «traversata» dei cattolici italiani che ripartirà da Aquileia. Papa Ratzinger conta sugli uomini, e le donne di questa regione, generosa di santi della carità, di pontefici illuminati (da Pio X a Giovanni XXIII, al Papa del Sorriso, Albino Luciani, soltanto nel secolo scorso), sui profeti del solidarismo e della cooperazione, sui volontari che esperimentano, di generazione in generazione, i segni della fede e della fedeltà, della autentica e faticosa ricerca e proclamazione della verità e della giustizia, soprattutto, ora, della tolleranza che non teme confini. La visita e l’incontro con Venezia e le sue genti sarà una ulteriore occasione per il pontefice tedesco di saggiare, di prima mano, il gusto e l’accoglienza di cui siamo capaci. Proprio conoscendo meglio, in tutte le sue sfumature, una terra e i suoi abitanti, si può cogliere appieno il grande entusiasmo e la partecipazione convinta che li animano e la testimonianza che producono. Suggeriva don Primo Mazzolari, un prete che da queste parti ha molto influito con i suoi pensieri: «il cuore indurisce alla svelta, se non si dispone a dare». Un vecchio proverbio (che non vorremmo adattare ai veneti d’oggi) ricorda: «Non è che manchi spazio nella casa, sono i cuori a essere stretti».
© Copyright Corriere del Veneto, 29 aprile 2011 consultabile online anche qui.
Il traghettatore e il Nordest
Giandomenico Cortese
«Conoscere per amare ». E «amare per conoscere ». Si rifà alla regola di Sant’Agostino per indicare un metodo di relazione.
Papa Ratzinger sta per raggiungere il Nordest e definisce il suo progetto di comunicazione, in cerca di quella «veneta serenità» che ci distingue. Parte da Aquileia e attraverso Altino raggiunge le isole di Venezia, intrecciate dai ponti ma soprattutto dall’ombra delle sue chiese e dei suoi campanili, con un dichiarato obiettivo: una nuova evangelizzazione.
Il cristianesimo per Joseph Ratzinger, il teologo divenuto pontefice, da molti un tempo considerato quale «Grande Inquisitore», è soprattutto «Fede, Verità, Tolleranza» (come detta uno dei suoi ultimi saggi prima di essere eletto al soglio di Pietro), qualità, forse virtù, praticate nella loro lunga storia dalle comunità venete, fatte ricche di esperienza quotidianità.
Il cardinal Scola, con gli altri vescovi della Conferenza triveneta, sta mettendo a punto l’organizzazione della visita, con puntigliosa meticolosità, con impegni gravosi, anche finanziari, per i quali fa appello alla generosità di quanti possono intervenire, ma soprattutto tiene a curare gli aspetti più educativi e formativi, quelli che, al di là dei segni esteriori, propongono un cammino da riprendere, oltre la visita papale.
Quale sarà la risposta a papa Benedetto da parte dei Veneti, fedeli e non? E’ difficile prevederlo. I tempi paradossali che stiamo vivendo fanno auspicare a padre Bartolomeo Sorge, intellettuale gesuita nativo di Castelfranco Veneto (papa Luciani, nel lontano 1978, lo avrebbe voluto suo sostituto al Patriarcato di San Marco), che da qui nascano altri generosi «traghettatori» a condurre la «traversata» dei cattolici italiani che ripartirà da Aquileia. Papa Ratzinger conta sugli uomini, e le donne di questa regione, generosa di santi della carità, di pontefici illuminati (da Pio X a Giovanni XXIII, al Papa del Sorriso, Albino Luciani, soltanto nel secolo scorso), sui profeti del solidarismo e della cooperazione, sui volontari che esperimentano, di generazione in generazione, i segni della fede e della fedeltà, della autentica e faticosa ricerca e proclamazione della verità e della giustizia, soprattutto, ora, della tolleranza che non teme confini. La visita e l’incontro con Venezia e le sue genti sarà una ulteriore occasione per il pontefice tedesco di saggiare, di prima mano, il gusto e l’accoglienza di cui siamo capaci. Proprio conoscendo meglio, in tutte le sue sfumature, una terra e i suoi abitanti, si può cogliere appieno il grande entusiasmo e la partecipazione convinta che li animano e la testimonianza che producono. Suggeriva don Primo Mazzolari, un prete che da queste parti ha molto influito con i suoi pensieri: «il cuore indurisce alla svelta, se non si dispone a dare». Un vecchio proverbio (che non vorremmo adattare ai veneti d’oggi) ricorda: «Non è che manchi spazio nella casa, sono i cuori a essere stretti».
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In arrivo un nuovo Sostituto alla Segreteria di Stato (Tornielli)
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La teca contentente il corpo di Papa Wojtyla estratta dalla tomba. Sarà in San Pietro dopo la Beatificazione per l'omaggio dei fedeli (R.V.)
La teca contentente il corpo di Papa Wojtyla estratta dalla tomba. Sarà in San Pietro dopo la Beatificazione per l'omaggio dei fedeli
In vista dell’omaggio che le verrà dedicato subito dopo la cerimonia di Beatificazione, e della successiva reposizione in San Pietro, stamattina la teca contenente il corpo di Giovanni Paolo II è stata estratta dalla tomba che la custodiva nelle Grotte Vaticane. Le operazioni di apertura della tomba, informa una nota ufficiale della Sala Stampa Vaticana, sono iniziate questa mattina presto finché verso le 9 ha avuto luogo un breve momento di preghiera, con il il cardinale Angelo Comastri che ha intonato il canto delle litanie. Tra i presenti, vi erano anche il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, il cardinale Giovanni Lajolo e il cardinale Stanislao Dziwisz, oltre a personalità di Curia, alle suore dell’appartamento pontificio di Giovanni Paolo II e ai responsabili della Gendarmenia e della Guardia Svizzera. Poco dopo, sempre al canto delle litanie, la teca – posta su un carrello – è stata portata con un percorso brevissimo davanti alla tomba di San Pietro, sempre al livello delle Grotte Vaticane e ricoperta da un ampio drappo ricamato in oro. Lì, il cardinale Bertone ha recitato una breve preghiera conclusiva e l’assemblea si è sciolta verso le 9.15.
La nota ufficiale ricorda, che le spoglie del prossimo Beato erano state sepolte all’interno di tre casse. La prima, di legno, esposta durante il funerale; la seconda di piombo e sigillata; la terza, ancora in legno, è quella più esterna e visibile, estratta questa mattina dalla tomba: il suo stato di conservazione, specifica la nota, è “buono” pur “manifestando alcuni segni del tempo”. “La grande lapide tombale, rimossa e posta in altra parte delle Grotte è conservata intatta e sarà trasportata a Cracovia per essere poi collocata – informa ancora il comunicato – in una nuova chiesa da dedicare al Beato”. La teca rimarrà invece nelle Grotte Vaticane fino a domenica mattina, quando sarà portata nella Basilica, davanti all’altare centrale, per l’omaggio del Santo Padre e dei fedeli dopo la Beatificazione. Nel frattempo, le Grotte restano chiuse al pubblico. “La reposizione stabile del corpo del Beato sotto l’altare della cappella di San Sebastiano – conclude la nota – avverrà probabilmente la sera di lunedì 2 maggio dopo la chiusura serale della Basilica”. (A cura di Alessandro De Carolis)
© Copyright Radio Vaticana
In vista dell’omaggio che le verrà dedicato subito dopo la cerimonia di Beatificazione, e della successiva reposizione in San Pietro, stamattina la teca contenente il corpo di Giovanni Paolo II è stata estratta dalla tomba che la custodiva nelle Grotte Vaticane. Le operazioni di apertura della tomba, informa una nota ufficiale della Sala Stampa Vaticana, sono iniziate questa mattina presto finché verso le 9 ha avuto luogo un breve momento di preghiera, con il il cardinale Angelo Comastri che ha intonato il canto delle litanie. Tra i presenti, vi erano anche il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, il cardinale Giovanni Lajolo e il cardinale Stanislao Dziwisz, oltre a personalità di Curia, alle suore dell’appartamento pontificio di Giovanni Paolo II e ai responsabili della Gendarmenia e della Guardia Svizzera. Poco dopo, sempre al canto delle litanie, la teca – posta su un carrello – è stata portata con un percorso brevissimo davanti alla tomba di San Pietro, sempre al livello delle Grotte Vaticane e ricoperta da un ampio drappo ricamato in oro. Lì, il cardinale Bertone ha recitato una breve preghiera conclusiva e l’assemblea si è sciolta verso le 9.15.
La nota ufficiale ricorda, che le spoglie del prossimo Beato erano state sepolte all’interno di tre casse. La prima, di legno, esposta durante il funerale; la seconda di piombo e sigillata; la terza, ancora in legno, è quella più esterna e visibile, estratta questa mattina dalla tomba: il suo stato di conservazione, specifica la nota, è “buono” pur “manifestando alcuni segni del tempo”. “La grande lapide tombale, rimossa e posta in altra parte delle Grotte è conservata intatta e sarà trasportata a Cracovia per essere poi collocata – informa ancora il comunicato – in una nuova chiesa da dedicare al Beato”. La teca rimarrà invece nelle Grotte Vaticane fino a domenica mattina, quando sarà portata nella Basilica, davanti all’altare centrale, per l’omaggio del Santo Padre e dei fedeli dopo la Beatificazione. Nel frattempo, le Grotte restano chiuse al pubblico. “La reposizione stabile del corpo del Beato sotto l’altare della cappella di San Sebastiano – conclude la nota – avverrà probabilmente la sera di lunedì 2 maggio dopo la chiusura serale della Basilica”. (A cura di Alessandro De Carolis)
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Il Papa all'udienza generale: La cupidigia è radice di ogni peccato. Ogni Cristiano deve essere fermento di cambiamenti (Izzo)
PAPA: LA CUPIDIGIA E' LA RADICE DI OGNI PECCATO
Salvatore Izzo
(AGI) CdV, 27 apr.
"La cupidigia è radice di ogni peccato". Benedetto XVI ha citato queste parole di San Paolo nell'Udienza Generale tenuta in piazza San Pietro.
"Occorre - ha detto ai circa 35mila fedeli presenti in piazza San Pietro - vivere il mistero pasquale nella quotidianita' della nostra vita. Ed evitare le cose della terra", che il Papa teologo ha poi elencato sempre citando l'Apostolo dei gentili: "impurita', immoralita', passioni e desideri cattivi, idolatria e la cupidigia, cioe' il desiderio insaziabile dei beni materiali".
"La fede nel Cristo risorto - scandisce il Pontefice - trasforma l'esistenza, operando in noi una continua risurrezione". Come possiamo allora far diventare "vita" la Pasqua? Come puo' assumere una "forma" pasquale tutta la nostra esistenza interiore ed esteriore? Secondo il Papa, "dobbiamo partire dalla comprensione autentica della risurrezione di Gesu': tale evento non e' un semplice ritorno alla vita precedente, come lo fu per Lazzaro, per la figlia di Giairo o per il giovane di Nain, ma e' qualcosa di completamente nuovo e diverso". La risurrezione di Cristo, ha osservato il Pontefice, "e' l'approdo verso una vita non piu' sottomessa alla caducita' del tempo, una vita immersa nell'eternita' di Dio". "Nella risurrezione di Gesu' - avverte Benedetto XVI - inizia una nuova condizione dell'essere uomini, che illumina e trasforma il nostro cammino di ogni giorno e apre un futuro qualitativamente diverso e nuovo per l'intera umanita'. Per questo, san Paolo non solo lega in maniera inscindibile la risurrezione dei cristiani a quella di Gesu', ma indica anche come si deve vivere il mistero pasquale nella quotidianita' della nostra vita".
"San Paolo ci indica anche quali sono le "cose di lassu'", che il cristiano deve invece cercare e gustare. "Esse - spiega il Papa teologo - riguardano cio' che appartiene all''uomo nuovo', che si e' rivestito di Cristo una volta per tutte nel Battesimo, ma che ha sempre bisogno di rinnovarsi 'ad immagine di Colui che lo ha creato'". San Paolo e' "ben lontano dall'invitare i cristiani, ciascuno di noi, ad evadere dal mondo nel quale Dio ci ha posti. E' vero che noi siamo cittadini di un'altra 'citta'', dove si trova la nostra vera patria, ma il cammino verso questa meta dobbiamo percorrerlo quotidianamente su questa terra. Partecipando fin d'ora alla vita del Cristo risorto dobbiamo vivere da uomini nuovi in questo mondo, nel cuore della citta' terrena". Per il Papa teologo, questa "e' la via non solo per trasformare noi stessi, ma per trasformare il mondo, per dare alla citta' terrena un volto nuovo che favorisca lo sviluppo dell'uomo e della societa' secondo la logica della solidarieta', della bonta', nel profondo rispetto della dignita' propria di ciascuno". L'Apostolo "ci ricorda quali sono le virtu' che devono accompagnare la vita cristiana; al vertice c'e' la carita', alla quale tutte le altre sono correlate come alla fonte e alla matrice. Essa riassume e compendia 'le cose del cielo': la carita' che, con la fede e la speranza, rappresenta la grande regola di vita del cristiano e ne definisce la natura profonda". "La Pasqua - conclude Benedetto XVI - porta la novita' di un passaggio profondo e totale da una vita soggetta alla schiavitu' del peccato ad una vita di liberta', animata dall'amore, forza che abbatte ogni barriera".
© Copyright (AGI)
PAPA: OGNI CRISTIANO DEVE ESSERE FERMENTO DI CAMBIAMENTI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 27 apr.
Ogni cristiano "se vive l'esperienza della Pasqua di Risurrezione, non puo' non essere fermento nuovo nel mondo, donandosi senza riserve per le cause piu' urgenti e piu' giuste, come dimostrano le testimonianze dei Santi in ogni epoca e in ogni luogo".
Lo afferma Benedetto XVI nel discorso all'udienza Generale, tenuta in piazza san Pietro per oltre 35mila fedeli.
Per il Papa, "sono tante anche le attese del nostro tempo: noi cristiani, credendo fermamente che la risurrezione di Cristo ha rinnovato l'uomo senza toglierlo dal mondo in cui costruisce la sua storia, dobbiamo essere i testimoni luminosi di questa vita nuova che la Pasqua ha portato". La Pasqua e' dunque "dono da accogliere sempre piu' profondamente nella fede, per poter operare in ogni situazione, con la grazia di Cristo, secondo la logica di Dio, la logica dell'amore. La luce della risurrezione di Cristo deve penetrare questo nostro mondo, deve giungere come messaggio di verita' e di vita a tutti gli uomini attraverso la nostra testimonianza quotidiana". "E' il nostro compito e la nostra missione - conclude Ratzinger - far risorgere nel cuore del prossimo la speranza dove c'e' disperazione, la gioia dove c'e' tristezza, la vita dove c'e' morte".
© Copyright (AGI)
Salvatore Izzo
(AGI) CdV, 27 apr.
"La cupidigia è radice di ogni peccato". Benedetto XVI ha citato queste parole di San Paolo nell'Udienza Generale tenuta in piazza San Pietro.
"Occorre - ha detto ai circa 35mila fedeli presenti in piazza San Pietro - vivere il mistero pasquale nella quotidianita' della nostra vita. Ed evitare le cose della terra", che il Papa teologo ha poi elencato sempre citando l'Apostolo dei gentili: "impurita', immoralita', passioni e desideri cattivi, idolatria e la cupidigia, cioe' il desiderio insaziabile dei beni materiali".
"La fede nel Cristo risorto - scandisce il Pontefice - trasforma l'esistenza, operando in noi una continua risurrezione". Come possiamo allora far diventare "vita" la Pasqua? Come puo' assumere una "forma" pasquale tutta la nostra esistenza interiore ed esteriore? Secondo il Papa, "dobbiamo partire dalla comprensione autentica della risurrezione di Gesu': tale evento non e' un semplice ritorno alla vita precedente, come lo fu per Lazzaro, per la figlia di Giairo o per il giovane di Nain, ma e' qualcosa di completamente nuovo e diverso". La risurrezione di Cristo, ha osservato il Pontefice, "e' l'approdo verso una vita non piu' sottomessa alla caducita' del tempo, una vita immersa nell'eternita' di Dio". "Nella risurrezione di Gesu' - avverte Benedetto XVI - inizia una nuova condizione dell'essere uomini, che illumina e trasforma il nostro cammino di ogni giorno e apre un futuro qualitativamente diverso e nuovo per l'intera umanita'. Per questo, san Paolo non solo lega in maniera inscindibile la risurrezione dei cristiani a quella di Gesu', ma indica anche come si deve vivere il mistero pasquale nella quotidianita' della nostra vita".
"San Paolo ci indica anche quali sono le "cose di lassu'", che il cristiano deve invece cercare e gustare. "Esse - spiega il Papa teologo - riguardano cio' che appartiene all''uomo nuovo', che si e' rivestito di Cristo una volta per tutte nel Battesimo, ma che ha sempre bisogno di rinnovarsi 'ad immagine di Colui che lo ha creato'". San Paolo e' "ben lontano dall'invitare i cristiani, ciascuno di noi, ad evadere dal mondo nel quale Dio ci ha posti. E' vero che noi siamo cittadini di un'altra 'citta'', dove si trova la nostra vera patria, ma il cammino verso questa meta dobbiamo percorrerlo quotidianamente su questa terra. Partecipando fin d'ora alla vita del Cristo risorto dobbiamo vivere da uomini nuovi in questo mondo, nel cuore della citta' terrena". Per il Papa teologo, questa "e' la via non solo per trasformare noi stessi, ma per trasformare il mondo, per dare alla citta' terrena un volto nuovo che favorisca lo sviluppo dell'uomo e della societa' secondo la logica della solidarieta', della bonta', nel profondo rispetto della dignita' propria di ciascuno". L'Apostolo "ci ricorda quali sono le virtu' che devono accompagnare la vita cristiana; al vertice c'e' la carita', alla quale tutte le altre sono correlate come alla fonte e alla matrice. Essa riassume e compendia 'le cose del cielo': la carita' che, con la fede e la speranza, rappresenta la grande regola di vita del cristiano e ne definisce la natura profonda". "La Pasqua - conclude Benedetto XVI - porta la novita' di un passaggio profondo e totale da una vita soggetta alla schiavitu' del peccato ad una vita di liberta', animata dall'amore, forza che abbatte ogni barriera".
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PAPA: OGNI CRISTIANO DEVE ESSERE FERMENTO DI CAMBIAMENTI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 27 apr.
Ogni cristiano "se vive l'esperienza della Pasqua di Risurrezione, non puo' non essere fermento nuovo nel mondo, donandosi senza riserve per le cause piu' urgenti e piu' giuste, come dimostrano le testimonianze dei Santi in ogni epoca e in ogni luogo".
Lo afferma Benedetto XVI nel discorso all'udienza Generale, tenuta in piazza san Pietro per oltre 35mila fedeli.
Per il Papa, "sono tante anche le attese del nostro tempo: noi cristiani, credendo fermamente che la risurrezione di Cristo ha rinnovato l'uomo senza toglierlo dal mondo in cui costruisce la sua storia, dobbiamo essere i testimoni luminosi di questa vita nuova che la Pasqua ha portato". La Pasqua e' dunque "dono da accogliere sempre piu' profondamente nella fede, per poter operare in ogni situazione, con la grazia di Cristo, secondo la logica di Dio, la logica dell'amore. La luce della risurrezione di Cristo deve penetrare questo nostro mondo, deve giungere come messaggio di verita' e di vita a tutti gli uomini attraverso la nostra testimonianza quotidiana". "E' il nostro compito e la nostra missione - conclude Ratzinger - far risorgere nel cuore del prossimo la speranza dove c'e' disperazione, la gioia dove c'e' tristezza, la vita dove c'e' morte".
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