venerdì 8 aprile 2011

Padre Cantalamessa: Gesù ha inaugurato “un nuovo genere di amore”: l’amore “di agape”, che “è a circuito aperto: viene da Dio e torna a lui, ma passando per il prossimo”

QUARESIMA IN VATICANO: P. CANTALAMESSA, IL “DOVERE DI AMARE”

Gesù ha inaugurato “un nuovo genere di amore”: l’amore “di agape”, che “è a circuito aperto: viene da Dio e torna a lui, ma passando per il prossimo”.
Lo ha detto padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, nella terza predica di Quaresima degli esercizi spirituali in Vaticano. Tema: il “dovere di amare”, e in particolare il dovere di amare il prossimo. Citando la lettera di san Paolo ai Romani, padre Cantalamessa ha spiegato che la frase iniziale, “la carità non abbia finzioni”, “non è una delle tante esortazioni, ma la matrice da cui derivano tutte le altre”, perché “contiene il segreto della carità”. Il cristiano, in altre parole, deve amare “senza ipocrisia”, poiché “quello che si richiede dall’amore è che sia vero, autentico, non finto”. “La benevolenza viene prima della beneficenza”, ha ammonito il predicatore della Casa Pontificia: “La carità ipocrita è proprio quella che fa del bene, senza voler bene, che mostra all’esterno qualcosa che non ha un corrispettivo nel cuore. In questo caso, si ha una parvenza di carità, che può, al ,limite, nascondere egoismo, ricerca di sé, strumentalizzazione del fratello, o anche semplice rimorso di coscienza”. Non si tratta, ha precisato però padre Cantalamessa, “di attenuare l’importanza delle opere di carità, quanto di assicurare a esse un fondamento sicuro contro l’egoismo e le sue infinite astuzie”.
“Amare sinceramente – ha proseguito padre Cantalamessa à significa amare a questa profondità, là dove non puoi mentire, perché sei solo davanti a te stesso, solo davanti allo specchio della tua coscienza, sotto lo sguardo di Dio”. “La Chiesa ha urgente bisogno di una vampata di carità che risani le sue fratture”, ha esclamato il predicatore della Casa pontificia, ricordando che “il primo ambito di esercizio della carità deve essere la Chiesa e più concretamente ancora la comunità in cui si vive, le persone con cui si hanno relazioni quotidiane”. Quanto al “non giudicare”, altro distintivo del cristiano, “non è tanto il giudizio che si deve togliere dal nostro cuore, quanto il veleno dal nostro giudizio”, cioè “l’astio, la condanna”, i “giudizi negativi che insieme con il peccato condannano anche il peccatore, che mirano più alla punizione che alla correzione del fratello”. Nei rapporti con gli altri, inoltre, bisogna “minimizzare i nostri pregi e i difetti altrui”, cioè “non farsi un’idea troppo alta di se stessi”. Guai anche al “pettegolezzo”, che “oggi ha cambiato nome, si chiama gossip”. “Sembra diventato una cosa innocente, invece è una delle cose che più inquinano il vivere insieme”, ha commentato padre Cantalamessa: “Non basta non sparlare degli altri, bisogna anche impedire che altri lo facciano in nostra presenza, far loro capire, magari silenziosamente, che non si è d’accordo”.

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1 commento:

laura ha detto...

http://www.zenit.org/article-26255?l=italian link del testo integrale