I due amori
Possidio, amico fedelissimo e primo biografo di Agostino, conclude la Vita del vescovo di Ippona affermando che egli è sempre vivo nelle sue opere. Con un'espressione ripresa dall'epigrafe sconosciuta di un poeta pagano e retorica quanto si vuole, ma innegabilmente confermata dal successo straordinario degli scritti del grande Padre della Chiesa e dalla sua permanente influenza. Che oggi si avverte con chiarezza in Benedetto XVI. Al punto che in molte omelie del Papa sembra davvero risuonare, nel linguaggio di oggi, la parola affascinante ed efficace di sant'Agostino stesso.
Così è stato durante la solenne celebrazione delle Palme, mentre inizia il settimo anno del pontificato.
In un'omelia che è interamente agostiniana. Fin dall'impianto che, come nel De civitate Dei, vede contrapposti i due amori che attraversano e dividono l'anima umana e tutta la storia: l'amore di sé e quello di Dio. Tendenze contrapposte che Benedetto XVI traduce per la mentalità moderna descrivendole come "duplice forza di gravità" e affermando con lucidità che tutto dipende dalla capacità di sottrarsi al campo gravitazionale del male. Perché solo consentire all'attrazione di Dio rende liberi.
L'omelia per la domenica delle Palme sembra uno dei sermones di Agostino anche perché il Papa prende spunto dalla lettura del Passio che apre la settimana più sacra del calendario della Chiesa e l'attualizza, mostrando così il significato più autentico e profondo della liturgia cristiana.
«Ci commuove nuovamente ogni anno, nella Domenica delle Palme, salire assieme a Gesù il monte verso il santuario, accompagnarLo lungo la via verso l'alto. In questo giorno, su tutta la faccia della terra e attraverso tutti i secoli» ha iniziato infatti a dire Benedetto XVI, appuntando il suo sguardo a quella realtà della Chiesa che è la comunione dei santi.
Ma cosa ha a che fare il salire storico di Gesù a Gerusalemme per l'ultima Pasqua della sua vita terrena con l'esistenza nostra, di donne e uomini del XXI secolo? Anche qui il Papa risponde spiegando il testo evangelico -- e non solo le Scritture veterotestamentarie -- oltre la lettera, proprio come Agostino sulla via aperta due secoli prima da Origene. Ecco allora il termine ultimo del pellegrinaggio di Gesù: l'altezza di Dio stesso, «la via alta verso il Dio vivente».
Dio, dunque, è il campo gravitazionale che ci può sottrarre a quella forza di gravità che inesorabilmente attira verso il basso -- «verso l'egoismo, verso la menzogna e verso il male» -- l'essere umano e la sua storia. E anche le «grandi conquiste della tecnica» sono progresso autentico «se in umiltà riconosciamo che dobbiamo essere attirati verso l'alto». Alla ricerca inesausta di quel Dio che ha mostrato il suo volto in Gesù.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 18-19 aprile 2011)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento