giovedì 14 aprile 2011

Wojtyla, Osservatore: all'inizio la stampa fu ostile anche contro di lui. La sua visione del sacerdozio non era clericale (Izzo e Svidercoschi)

WOJTYLA: ALL'INIZIO LA STAMPA FU OSTILE ANCHE CONTRO DI LUI

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 14 apr.

Alla vigilia della beatificazione del Papa polacco, come negli ultimi tempi del suo Pontificato, i giornali fanno a gara per osannarlo come merita.
Ma l'Osservatore Romano, in un saggio a firma dell'ex vicedirettore Gianfranco Svidercoschi, ricorda che come per Benedetto XVI anche per Giovanni Paolo II "a dire la verita', gli inizi non furono per niente facili" quanto al rapporto con la stampa.
"Gia' nei primi mesi del pontificato - ricorda il giornale della Santa Sede - si scateno' una violenta campagna contro il nuovo Papa e il suo presunto tentativo di voler imporre il 'modello polacco' di sacerdozio all'intera Chiesa universale". "Giovanni Paolo II - sottolinea Svidercoschi - rispose con molta fermezza durante il suo primo ritorno nella terra natale, nel giugno del 1979, parlando al clero a Czestochowa. Ma, di quella risposta, un po' tutti i commentatori si limitarono a prendere in considerazione soltanto la parte relativa al celibato".

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WOJTYLA: OSSERVATORE, SUA VISIONE NON ERA CLERICALE

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 14 apr.

"Per Karol Wojtyla il sacerdozio aveva poco o niente di clericale". Lo scrive oggi l'Osservatore Romano che in vista della beatificazione pubblica un ricordo del Papa polacco a fira dell'ex vicedirettore Gianfranco Svidercoschi che lo intervisto' per il libro "Dono e mistero" che torna nelle librerie in questi giorni. Per Giovanni Paolo II la Chiesa, ricorda il giornalista nella premessa alla nuova edizione, "non era assolutamente una casta a parte, separata dagli uomini, lontana dai loro problemi quotidiani". Nella sua visione, "i fedeli, come aveva detto in una intervista del 1972, quand'era ancora arcivescovo di Cracovia, non hanno bisogno di funzionari della Chiesa o di efficienti dirigenti amministrativi, ma di guide spirituali, di educatori".
Dedicato alla sua vocazione sacerdotale maturata anche nel periodo in cui era stato un operaio, Papa Wojtyla in "Dono e Mistero" e' riuscito, scrive il coautore, "a mettere nel giusto risalto la continuita', una straordinaria continuita', che esiste tra il periodo della preparazione al sacerdozio, del ministero presbiterale-episcopale, e il periodo del pontificato".
Ed e' impossibile, conclude Svidercoschi, "comprendere la figura di Giovanni Paolo II, e la sua opera alla guida della Chiesa universale, se non si tiene presente il retaggio di fede, di cultura e di storia, una storia spesso tragica, che ha recato con se' dalla sua Patria. E neppure si puo' capirlo, questo pontificato, senza risalire alle radici della vocazione di Karol Wojtyła, alle esperienze che ha vissuto, alle prove che ha affrontato: la famiglia anzitutto, e lo scenario sia religioso che culturale-sociale della Polonia degli anni Trenta, e la ricerca teologica e filosofica, il teatro, il lavoro, e quindi la guerra, la Shoa', l'aver conosciuto in prima persona i totalitarismi del XX secolo, infine il ministero pastorale, l'episcopato, la partecipazione al Concilio".

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Nuova edizione di "Dono e Mistero"

Il filo rosso di Karol Wojtyla

Pubblichiamo ampi stralci della prefazione alla riedizione di Dono e Mistero, libro scritto da Giovanni Paolo II nel 1996, in occasione del suo 50° anniversario di ordinazione sacerdotale (Città del Vaticano - Milano, Libreria Editrice Vaticana - Jaca Book, 2011, pagine 124, euro 9).

di GIAN FRANCO SVIDERCOSCHI

All'inizio di Dono e Mistero, Giovanni Paolo II raccontava la sua prima esperienza come operaio, a 20 anni, nella cava di pietra di Zakrzowek, a Cracovia. Esperienza che, dopo l'invasione della Polonia da parte delle truppe di Hitler, e dopo la chiusura dell'università, era stato obbligato a fare per non rischiare di finire in un campo di concentramento. E, nel ricordare quella vicenda, il Papa parlava di Franciszek ?abus, l'uomo incaricato di far brillare le mine e del quale lui era diventato l'aiutante.
?abus era una delle oltre 140 persone - tra famigliari, amici, maestri e guide spirituali, sacerdoti, vescovi, cardinali, pensatori, filosofi e santi - che Karol Wojtyla citava nel libro per nome e cognome. E lo faceva perché tutte queste persone, direttamente o anche solo indirettamente, avevano esercitato un qualche influsso nella formazione e nella maturazione della sua vocazione sacerdotale. Ebbene, ?abus a prima vista potrebbe sembrare una figura di secondo piano, se non insignificante, al confronto con l'arcivescovo Adam Stefan Sapieha, l'"amato Principe Metropolita", nella cui vita Karol vedeva inscritta la storia stessa della Patria. O, più ancora, al confronto con quelli che erano stati per eccellenza i "modelli" del giovane Wojtyla: san Giovanni della Croce, frate Alberto, Adam Chmielowski, san Luigi Maria Grignion de Montfort e il Curato d'Ars, san Giovanni Maria Vianney. Invece, anche il brillatore, l'umile sconosciuto brillatore di Zakrzowek, aveva avuto una grande importanza per Karol. E non solo nella decisione di diventare sacerdote, ma anche e soprattutto per quanto concerneva l'ideale stesso di sacerdozio in cui Karol si sarebbe identificato, e che avrebbe poi ispirato la sua missione di vescovo, e infine di Pontefice.
Rileggiamo quanto Wojtyla scriveva di Franciszek ?abus: "Lo ricordo perché, qualche volta, si rivolgeva a me con parole di questo genere: "Karol, tu dovresti fare il prete. Canterai bene, perché hai una bella voce e starai bene...". Lo diceva con tutta semplicità, esprimendo così una convinzione abbastanza diffusa nella società circa la condizione del sacerdote. Le parole del vecchio operaio mi si sono impresse nella memoria". Non aggiungeva altro, Giovanni Paolo II. Ma si capiva bene quel che intendesse dire. ?abus, senza cattiveria, senza malanimo, gli aveva dipinto una immagine di prete che forse in quei tempi, oltretutto tempi di guerra, andava per la maggiore; ma che era, quella immagine, tutto il contrario di come Karol Wojtyla riteneva dovesse essere un sacerdote.
Per Karol Wojtyla, dunque, il sacerdozio aveva poco o niente di clericale. Non era assolutamente una casta a parte, separata dagli uomini, lontana dai loro problemi quotidiani. "I fedeli - aveva detto in una intervista del 1972, quand'era ancora arcivescovo di Cracovia - non hanno bisogno di funzionari della Chiesa o di efficienti dirigenti amministrativi, ma di guide spirituali, di educatori".
A dire la verità, però, gli inizi non furono per niente facili. Già nei primi mesi del pontificato, si scatenò una violenta campagna contro il nuovo Papa e il suo presunto tentativo di voler imporre il "modello polacco" di sacerdozio all'intera Chiesa universale. Giovanni Paolo II rispose con molta fermezza durante il suo primo ritorno nella terra natale, nel giugno del 1979, parlando al clero a Cz?stochowa. Ma, di quella risposta, un po' tutti i commentatori si limitarono a prendere in considerazione soltanto la parte relativa alla questione sacerdotale, al celibato. E non anche quella, decisamente importante, dove il Papa respingeva - come disse testualmente - una "visione clericale della Chiesa".
Ecco perché, rileggendo dopo quindici anni la vicenda di Franciszek ?abus, e le parole rivolte dal brillatore della cava di pietra al giovane operaio che l'aiutava, si può percepire ancora meglio un altro dei grandi meriti di questo libro. Dono e Mistero è riuscito a mettere nel giusto risalto la continuità, una straordinaria continuità, che esiste tra il periodo della preparazione al sacerdozio, del ministero presbiterale-episcopale, e il periodo del pontificato.
Impossibile infatti comprendere la figura di Giovanni Paolo II, e la sua opera alla guida della Chiesa universale, se non si tiene presente il retaggio di fede, di cultura e di storia, una storia spesso tragica, che ha recato con sé dalla sua Patria. E neppure si può capirlo, questo pontificato, senza risalire alle radici della vocazione di Karol Wojtyla, alle esperienze che ha vissuto, alle prove che ha affrontato: la famiglia anzitutto, e lo scenario sia religioso che culturale-sociale della Polonia degli anni Trenta, e la ricerca teologica e filosofica, il teatro, il lavoro, e quindi la guerra, la Shoà, l'aver conosciuto in prima persona i totalitarismi del XX secolo, infine il ministero pastorale, l'episcopato, la partecipazione al Concilio.
Ogni momento, ogni situazione vissuta, ogni scelta compiuta, ogni gesto imparato - come quello del bacio alla terra, seguendo l'esempio del Curato d'Ars - ha avuto il suo peso specifico, la sua rilevanza, nella crescita umana e spirituale di Karol Wojtyla. C'è come un "filo rosso" che li attraversa tutti, momenti, situazioni, scelte, gesti, ed è come se li facesse confluire verso un obiettivo prestabilito. In altre parole, quando l'arcivescovo di Cracovia entrò in conclave, portandosi dietro la memoria viva della storia e delle vicende della sua Patria, sembrava essere già "preparato" alla grande responsabilità del papato, e quindi a calarsi immediatamente, con estrema naturalezza, nella realtà e nei problemi dell'intero mondo cattolico. E così, dall'"innesto" delle esperienze polacche sulla dimensione universale del servizio petrino, e, si potrebbe anche dire, dalla loro sintesi, scaturì quella che - almeno io personalmente - ritengo essere stata la grande novità di questo pontificato in quanto "segno di cambiamento".
Un esempio su tutti. I Pontefici, specialmente quelli dell'età moderna, avevano sempre tenacemente difeso - in nome del Vangelo - l'uomo e i suoi diritti. Ma forse nessuno lo aveva fatto con tanta forza, con tanta passione, e soprattutto con una così profonda conoscenza delle minacce contro l'uomo e contro la dignità umana, come appunto ha fatto Giovanni Paolo II. Una conoscenza cominciata drammaticamente, in prima persona, il 1° settembre del 1939, con l'occupazione tedesca della Polonia che dava il via alla seconda guerra mondiale. Furono quei tragici eventi a far diventare sempre più chiaro, nel giovane Karol, "il senso del sacerdozio e della sua missione nel mondo".
Leggendo Dono e Mistero, si avverte subito come il racconto di quei mesi, di quegli anni, venisse da occhi inorriditi, impauriti, occhi che avevano visto l'orrore, le atrocità. La deportazione dei professori dell'università Jaghellonica in un campo di sterminio. L'adesione di Karol al movimento "Unia", un movimento di resistenza anche culturale al nazismo, e il suo impegno nel teatro clandestino. Il lavoro alla Solvay. La morte del padre. L'angoscia nel venire a sapere della scomparsa di molti suoi compagni di liceo, e in particolare di amici ebrei, sui campi di battaglia. E intanto, la crescente sensazione, ugualmente angosciosa, che a lui invece, chissà perché, fosse stato "risparmiato molto". Anche se, ricordava, "ogni giorno avrei potuto essere prelevato dalla casa, dalla cava di marmo, dalla fabbrica per essere portato in un campo di concentramento".
Tacquero finalmente le armi. Cracovia liberata. Il grande momento dell'ordinazione sacerdotale, della prima messa. Il viaggio a Roma, per completare gli studi. E, due anni dopo, il ritorno in una Polonia nuovamente occupata, questa volta dal regime comunista. Dopo l'esperienza in una parrocchia della periferia, a Niegowic, il ritorno di Karol a Cracovia, e quegli incontri con gli studenti universitari che gli cambiarono la vita, marcarono fortemente la sua stessa missione sacerdotale.
Passarono gli anni. Arrivò, un po' a sorpresa, la nomina a vescovo. Quindi, a Roma, l'avvio del Vaticano II, un'occasione irripetibile per un profondo aggiornamento pastorale e teologico. Ma anche, quando monsignor Wojtyla tornava a Cracovia, il confronto, sempre più duro, sempre più diretto, con l'ateismo militante; e con le minacce, le ingiustizie, le repressioni di una dittatura, che soffocava ogni più piccola protesta giovanile, mandava i carri armati contro gli operai che rivendicavano i loro diritti, e impediva la costruzione di nuove chiese ricorrendo addirittura alla forza.
La Polonia era esausta. Prima il nazismo, poi il comunismo. I due totalitarismi, scriveva il Papa nel suo libro, "ho potuto conoscerli, per così dire, dall'interno. È facile quindi capire la mia sensibilità per la dignità di ogni persona umana e per il rispetto dei suoi diritti, a partire dal diritto alla vita...". E tuttavia, Giovanni Paolo II dovette ripeterlo ad Auschwitz (Oswiecim), nel primo viaggio di ritorno in Polonia. "Può ancora meravigliarsi qualcuno che il Papa, nato ed educato in questa terra, il Papa che è venuto alla sede di San Pietro dalla diocesi nel cui territorio si trova il campo di Oswiecim, abbia iniziato la sua prima enciclica con le parole Redemptor hominis e che l'abbia dedicata nell'insieme alla causa dell'uomo?". Dono e Mistero, in definitiva, offriva - e offre tuttora ai nuovi lettori - due chiavi di lettura della figura, della vita e del magistero di Giovanni Paolo II. La prima riguarda maggiormente la dimensione religiosa, spirituale, cancellando quel sovraccarico di politicizzazione che troppe volte, strumentalmente o anche solo superficialmente, era stato addossato al Papa polacco; e rivelando invece, a chi non lo avesse ancora ben conosciuto, la sua umanità, la giovinezza del suo cuore nel saper stupirsi ogni giorno per ciò che la Provvidenza metteva sul suo cammino.
Mentre la seconda chiave di lettura permette di entrare nella storia di un Papa e di un pontificato portatori di grandi speranze e di grandi novità. E - per come si è costantemente caratterizzata nella difesa dell'uomo, di ogni uomo, della sua dignità, dei suoi diritti inalienabili, inviolabili - è una storia che è stata sempre strettamente intrecciata, tragedia dopo tragedia, successo dopo successo, con la storia stessa dell'umanità nel passaggio di millennio.

(©L'Osservatore Romano 15 aprile 2011)

5 commenti:

Anonimo ha detto...

la stampa fu ostile anche contro wojtyla ma mantenne un certo qual rispetto.
il papa non fu accusato di essere un nazista,un protettore di pedofili,un uomo freddo,un teologo ma non un pastore,il responsabile di tutti i mali della chiesa.
wojtyla non reggeva la croce da solo.
a ratzinger non viene risparmiato nulla e sabato avrà 84 anni.
max2

Anonimo ha detto...

Si trattasse solo di un difficile rapporto con la stampa. GP2 non ha mai subito il fango che si riversa sul suo successore dall'interno della Chiesa stessa. E poi, non dimentichiamo, era validamamente supportato e difeso dal suo inner circle e in sala stampa c'era Navarro Valls che non prendeva ordini da nessuno.
Alessia

Anonimo ha detto...

Se l'O.R. dimentica di ricordare l'opera del Papa contro la pedofilia il quotidiano cattolico on line "Più Voce" lo evidenzia. maria Pia
http://www.piuvoce.net/newsite/sussurriegrida.php?id=689

Anonimo ha detto...

dai,una cosa è il cattivo rapporto con la stampa,un'altra sono gli insulti e il fango gettato persino contro il fratello del papa.

Anonimo ha detto...

Non mi sembra che l?osservatore Romano sia intervenuto tempestivamente per difendere il Santo Padre.Quando è intervenuto l'ha sempre fatto maldestramente e in ritardo...mala tempora currunt.Vivono in un mondo virtuale...la Chiesa è allo sfascio ma loro continuano col trionfalismo dei megaraduni...finché dura.
Prego e piango per Papa Benedetto trattato da questi ipocriti e falsi cristiani come uno zerbino. Giovanni Paolo II non è Cristo!