venerdì 28 ottobre 2011

Assisi, il giorno dopo. Perché un incontro per la pace abbia memoria e futuro (Bromuri)

ASSISI 2011, IL GIORNO DOPO

Tendere insieme la mano alla verità
Perché un incontro per la pace abbia memoria e futuro


Elio Bromuri

Durante la fase finale della celebrazione per la pace nella piazza antistante la basilica inferiore di san Francesco, illuminata da un tenero sole autunnale, una splendida colomba bianca si è posata su un membro della delegazione, il buddista che le ha teso la mano e l'ha a lungo mostrata innalzandola sopra all'assemblea. È sembrato un piccolo segno, non tanto del buddista, che la colomba non aveva mai visto, ma della mano tesa, aperta per l'appoggio. Chi ha partecipato a questa Giornata, prolungata nel prima e nel dopo da veglie di preghiera, ha percepito che la pace esiste nelle dichiarazioni, nelle aspirazioni, nelle proclamazioni, nelle speranze e anche nelle possibilità. Tutti i discorsi sono stati bellissime illustrazioni del significato della pace, del pellegrinaggio, della verità, e vi sono stati il riconoscimento e l'esplicita espressione di gratitudine verso Giovanni Paolo II, che con l'iniziativa di 25 anni fa ha indotto tutti a considerare la pace non come un problema pragmatico, ma teologico e antropologico, in tutta la ricchezza e profondità dei suoi significati.
Il tema della pace, pertanto, coinvolge il pellegrinaggio verso la verità, l'impegno per la giustizia, la conversione del cuore. Questi presupposti, in questi venticinque anni, sono stati oggetto di riflessione ovunque nel mondo da parte di uomini legati per fede e professione alle religioni, in studi, ricerche, dibattiti, seminari e convegni. Una letteratura di altissimo livello di cui i discorsi di Assisi possono essere un degno documento. Ciò che manca è la mano tesa del buddista. Altre colombe sono volate via lontano o si sono messe ferme a guardare lo spettacolo. Uomini disposti a tendere la mano e accogliere il dono dello "spirito di Assisi" è e dovrebbe essere il frutto della Giornata appena trascorsa.
Da molti è stata infelicemente chiamata di commemorazione della prima, del 1986, ma, pur prendendo occasione per fare memoria, ad Assisi si è fatta storia facendo proseguire e convalidando il dialogo già avviato e aprendo altri orizzonti di comune ricerca di verità e di pace, anche con altre componenti della famiglia umana, dando al tema un carattere di maggiore universalità senza esclusione di persone.
Onestamente si deve dire che di verità si è parlato poco. La parola è alta, stringente, impegnativa oltre ogni dire. Ma la prima verità che supporta ogni progetto di pace e che lega tutti i dialoganti non è quella delle parole o dei sentimenti, ma quella dell'essere. Siamo e dobbiamo essere uniti, considerandoci non gli uni contro gli altri e neppure soltanto gli uni accanto agli altri, ma gli uni insieme agli altri e per gli altri. Non tanto per quello che pensiamo e neppure per quello che crediamo, ma per quello che siamo, in quanto siamo. Creature di Dio, fatte a sua immagine e somiglianza. Il pellegrinaggio della verità deve essere interiore e convertire le menti e i cuori. Dalla consapevolezza del proprio essere nascono i pensieri e i sentimenti più forti e resistenti a ogni variazione di cultura e di situazione.
La pace non approda nelle piazze e non si annida nelle case degli uomini perché non si fa spazio ai sentimenti scaturiti dall'essere, ma dal potere, dal prestigio, dal dominio sugli altri. Un sentimento, che non affiora in modo rilevante nei testi letti nella basilica della Porziuncola di Santa Maria degli Angeli, mentre è esplicito e marcato dal tono della voce di Benedetto XVI, è la "vergogna". Nessun altro si deve vergognare per l'uso della forza, o per azioni violente, per ingiustizie e soprusi collettivi, persino per genocidi compiuti o tollerati in nome e per conto della religione? Finché le religioni e gli uomini che vogliono la pace, religiosi e atei, non si vergognano o almeno non verificano i limiti e le storture delle loro storie, non ci sarà spazio per la riconciliazione e neppure per le ragioni degli altri. Questo si chiama purificazione e riconciliazione delle memorie.
Una straordinaria occasione di unità, non dichiarata ma vissuta nella profondità delle essenze, è stata il minuto di preghiera muta dell'intera assemblea. Altro momento forte è stato il canto della preghiera semplice: "Signore, fa' di me uno strumento della tua pace". Un'invocazione, come tutti sanno, non uscita dalla penna di san Francesco, ma dalla sua anima interpretata da un pastore evangelico che l'ha stampata su un santino con l'immagine, appunto, di san Francesco. Una preghiera non solo semplice ma essenziale per la pace, se detta in verità e sincerità di cuore.

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