IL LIBRO DEL PAPA LETTO DAL CARDINALE VANHOYE
Cristo il nonviolento
Filippo Rizzi
Dal suo studio a Roma, al Pontificio Istituto Biblico, il cardinale gesuita Albert Vanhoye (di cui recentemente Edb ha ripubblicato un famoso studio su L’Epistola agli Ebrei) ha letto con la classica lente dell’esegeta ma anche dell’uomo di fede l’ultima fatica di Benedetto XVI, il Gesù di Nazaret.
E di pagina in pagina si è ritrovato nelle parole del Papateologo per cui la resurrezione è un fatto realmente e storicamente avvenuto.
«In questo secondo volume il Papa è stato molto fedele all’indirizzo preso nel primo – spiega il porporato francese –, ha fatto cioè dell’esegesi credente. Osservando che il compito esegetico delineato dalla Dei Verbum (n. 12) non è stato 'finora purtroppo quasi per nulla affrontato', si è lasciato guidare 'dall’ermeneutica della fede, ma al contempo tenendo conto responsabilmente della ragione storica'. Ha sfruttato una bibliografia abbondante, non soltanto tedesca, ma anche francese, inglese e italiana, però non si è mai lasciato rinchiudere in prospettive di scienza neutrale; ha sempre messo in rilievo il contenuto di fede dei testi. Questa è la costante novità della sua opera. Altre novità non mancano, ad esempio l’attenzione frequente alla storia delle religioni del mondo o i riferimenti ai progressi ulteriori della cristologia».
Un volume che entra nei misteri più profondi della vita terrena di Gesù, quelli della passione. E il Papa-teologo, oltre a ribadire i contenuti fondamentali del messaggio cristiano, esorta a riscoprire la figura del Messia ma anche come «nostro contemporaneo»…
«Effettivamente, il Pontefice attualizza spesso il contenuto dei testi. Ci fa passare 'dalla Cena all’Eucaristia della domenica mattina'; rende presente 'l’appello alla vigilanza' fatto da Gesù al momento della sua agonia. Del grido di Gesù morente ('Ho sete', Gv 19, 28) scrive: 'Questo grido di Gesù è rivolto a ciascuno di noi'. E le ultime due frasi del libro attualizzano egregiamente l’immagine finale che san Luca (24,50) ci dà di Gesù risorto: 'Alzando le sue mani, benedisse' i suoi discepoli. Benedetto XVI commenta: 'Nella fede sappiamo che Gesù, benedicendo, tiene le sue mani stese su di noi. È questa la ragione permanente della gioia cristiana'».
Uno degli aspetti che più ha colpito molti studiosi è che questo libro pone fine al pregiudizio nei confronti degli ebrei e toglie definitivamente l’accusa di «deicidio» nei confronti di Gesù condannato a morte.
«È stato il Concilio a porre fine a tale pregiudizio ( Nostra aetate 4). Ma il Papa abbonda nel senso del Concilio, dicendo che 'la folla' – la quale secondo il Vangelo di Marco (15,8.11.15) chiese la condanna di Gesù – era in realtà 'il gruppo dei sostenitori di Barabba'. Non si trattava quindi di tutto il popolo ebreo; lo diceva già il Concilio. Benedetto XVI ridimensiona poi anche il passo di Matteo (27,25) in cui 'tutto il popolo' si prende la responsabilità della morte di Gesù, osservando che era impossibile che 'tutto il popolo' fosse presente. Queste prese di posizione manifestano una grande preoccupazione di giustizia nei confronti del mondo ebraico».
Uno degli sforzi maggiori di questa ricerca del Papa è quello di approfondire la figura di Gesù come ebreo osservante e di togliere alla figura di Cristo l’abito di un rivoluzionario.
«Sì, il Papa dimostra che la presentazione di Gesù fatta da alcuni autori come un sovversivo politico non regge affatto. Il suo messaggio non era politico ma religioso. Il regno di Dio che il Nazareno annunziava non richiedeva per niente l’uso delle armi, bensì la conversione delle persone. Gesù era preoccupato della nostra relazione con suo Padre. Per mezzo della passione, egli è diventato per noi il 'nuovo santuario', che ci mette in comunicazione profonda con Dio».
Secondo Ratzinger la Lettera agli Ebrei può rappresentare il filo rosso ideale e la lente migliore per comprendere, con gli occhi di oggi, il dramma che vive Gesù nel Getsemani… Può spiegare meglio questo aspetto?
«Con un accenno al corso di esercizi spirituali che ho tenuto in Vaticano dietro sua richiesta nel 2008, il Papa ricorda che la Lettera agli Ebrei esprime l’aspetto sacerdotale dell’agonia di Gesù, durante la quale Gesù 'offrì domande e suppliche' a Dio (Eb 5,7). Tutta la passione è stata un sacrificio di consacrazione sacerdotale con il quale egli è stato 'reso perfetto' (Eb 5,9) nelle due disposizioni che fanno di lui un mediatore perfetto tra Dio e noi, cioè l’obbedienza filiale verso il Padre e la solidarietà fraterna con noi, spinte l’una e l’altra sino alla morte. Quindi all’esito della passione, Cristo è stato 'proclamato da Dio sommo sacerdote' (Eb 5,10)».
Un libro, insomma, quasi pensato per aiutare i credenti comuni ad appropriarsi in modo corretto di ciò che è veramente accaduto in Galilea 2000 anni fa...
«È chiarissimo che con questo libro il Papa aiuta tutti a prendere meglio coscienza della realtà storica della passione e resurrezione di Gesù. Nel contempo, però, ci aiuta ad accoglierne tutto il valore spirituale. Il motivo dell’insistenza sulla storicità della resurrezione viene espresso con grande vigore dall’apostolo Paolo, quando scrive ai Corinzi: 'Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la nostra fede' (1Cor 15,14). La resurrezione di Gesù ci rivela l’immenso valore della sua passione».
© Copyright Avvenire, 23 aprile 2011 consultabile online anche qui.
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