domenica 10 aprile 2011

L'Osservatore Romano ricorda le nuotate di Papa Wojtyla a Castelgandolfo (Izzo e Ponzi)

WOJTYLA: OSSERVATORE RICORDA NUOTATE A CASTELGANDOLFO

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 9 apr.

Se in Valle d'Aosta e sulle dolomiti venete si cimentava con impegnative escursioni in quota, "a Castelgandolfo, Giovanni Paolo II passeggiava tanto e nuotava tanto, dopo che abbiamo costruito la piscina per lui".
Lo rivela il direttore delle Ville Pontificie, dottor Saverio Petrillo, sull'Osservatore Romano, che sottolinea il grande cambiamento apportato dal Pontefice polacco: come ai tempi di Pio XII, racconta, "inizialmente spiavamo un po' tutti il passaggio del nuovo Papa da dietro le persiane. Gli operai impegnati nella Villa si defilavano al suo passaggio. Sino a quando un giorno uno dei suoi segretari, chiamo' il direttore e manifesto' il desiderio del Papa di non vedere piu' persone nascondersi al suo passaggio. Perche' voleva incontrarle, conoscerle, sapere del loro lavoro. Ando' anche a far visita ad alcuni nelle loro case. Gli offrivano quello che avevano, una bibita, un caffe', un te' con i pasticcini, come si fa con un ospite caro. E non erano visite annunciate. Quando passava davanti a una casa, bussava e aspettava che gli aprissero. Divenne familiare ai bambini, figli dei dipendenti. Quando si avvicinava l'ora della passeggiata, si mettevano di guardia e vedendolo arrivare da lontano si nascondevano per poi saltare fuori all'improvviso". Ma a impressionare dipendenti e collaboratori di quello che Papa Wojtyla era soprattutto l'intensita' della sua vita spirituale. "Vederlo pregare - afferma - faceva venire i brividi; si rimaneva colpiti dall'intensita' della preghiera. I suoi occhi sembravano chiudersi al mondo tanto erano serrati; il volto si trasformava completamente". "Al termine di un viale, qui nelle Ville - ricorda Petrillo - c'e' una statua della Madonna. Ai suoi piedi hanno pregato tutti i Papi, soprattutto Pio XII. Giovanni Paolo II era solito passeggiare da solo lungo questi viali. Percorreva anche dieci, dodici chilometri al giorno. Una volta lo vedemmo inginocchiato sui basoli romani davanti a quella statua della Vergine. E non era certo un pavimento soffice o levigato. Non so quanto, ma certamente rimase assorto nella preghiera per tanto tempo, senza muovere un muscolo". "Da quel giorno - rivela il direttore delle Ville - sistemammo li' davanti un inginocchiatoio. Ogni volta che arrivava in elicottero la prima sosta era dinanzi a quella statua. Cosi' come era la meta dell'ultima visita prima di ripartire. Negli ultimi anni, quando ormai non poteva più camminare, faceva fermare l'auto all'inizio della rampa, si faceva aprire lo sportello e pregava. Poi chiedeva di ripartire. La preghiera scandiva comunque ogni ora del suo soggiorno a Castelgandolfo". Il Papa, ricorda ancora il dottor Petrillo, "generalmente era solito leggere, ma anche scrivere, nei giardini. Si faceva portare scrivania e sedia tra gli alberi e il verde. Era il suo modo di offrire la preghiera a Dio tra le opere del creato, condividendone lo spazio e la bellezza. Nel suo appartamento, cosi' come in quello del Palazzo Apostolico in Vaticano, aveva fatto sistemare la scrivania in modo da avere di fronte la sua cappella privata. La porta era sempre aperta per consentirgli di avere sempre davanti il tabernacolo con il Santissimo. A volte rimaneva giornate intere chiuso nel suo appartamento".
"Ci fu un periodo - rivela Petrillo - durante il quale non usci' neppure di sera, come a volte faceva. In Villa si era diffusa anche una certa preoccupazione per la sua salute. Di li' a poco fu pubblicato il libro "Dono e mistero" (scritto in collaborazione con Gianfranco Svidercoschi, ndr) e fu tutto chiaro".

© Copyright (AGI)

Giovanni Paolo II a Castel Gandolfo nella testimonianza del direttore delle Ville Pontificie

Preghiera e lavoro nel «secondo Vaticano»

di Mario Ponzi

«Solo a Castel Gandolfo mi è possibile tirare fuori l'anima dal torchio».
A scrivere così era Benedetto XIV. Pio XII era solito trascorrervi almeno quattro mesi all'anno, con l'unica eccezione del periodo del conflitto mondiale, quando rinunciò ad andarvi per consentire l'allargamento degli spazi da destinare all'accoglienza di quanti cercavano rifugio e protezione. Giovanni Paolo II parlava delle Ville Pontificie come del «secondo Vaticano», dove -- amava ripetere -- «si lavora riposando o, se si vuole, ci si riposa lavorando»; ma dove soprattutto «sembra di unire la propria preghiera alle lodi del creato verso il Creatore, tanto è bella la natura che ti circonda». Il lavoro e la preghiera: i due elementi che hanno reso il sentimento di Giovanni Paolo II verso le Ville Pontificie simile a quello di Papa Pacelli. Non a caso sono proprio loro i Pontefici che vi hanno soggiornato più a lungo: quattro anni e quattro mesi Pio XII, cinque anni e sedici giorni Papa Wojtyła, il cui pontificato è stato però di circa otto anni più lungo di quello del predecessore. Al suo prossimo soggiorno Benedetto XVI taglierà il traguardo del primo anno. Statistiche singolari che tiene annotate il direttore delle Ville, Saverio Petrillo, il quale ha vissuto la sua esperienza soprattutto accanto a Giovanni Paolo II. Ce ne parla in questa intervista.

Cosa hanno rappresentato le Ville per Karol Wojtyła?

Direi quello che hanno rappresentato un po' per tutti i Pontefici, cioè la possibilità di ritrovarsi più a lungo con se stessi, di riflettere, di lavorare lontano dai rumori, di pregare a lungo. Per Giovanni Paolo II aggiungerei la possibilità di vivere più direttamente la necessità di sentirsi uomo tra gli uomini, di avvertire il calore della gente attorno a sé. Da quello che mi ha raccontato il mio predecessore, Carlo Ponti, e da quanto ho potuto leggere nella nutrita documentazione che qui si conserva, mi rimane difficile pensare che i Papi venissero a Castel Gandolfo per trascorrere le vacanze.

Cosa è rimasto più impresso nelle Ville della presenza di Giovanni Paolo II?

Il suo modo di pregare. Vederlo pregare faceva venire i brividi; si rimaneva colpiti dall'intensità della preghiera. I suoi occhi sembravano chiudersi al mondo tanto erano serrati; il volto si trasformava completamente. Al termine di un viale, qui nelle Ville, c'è una statua della Madonna. Ai suoi piedi hanno pregato tutti i Papi, soprattutto Pio XII. Giovanni Paolo II era solito passeggiare da solo lungo questi viali. Percorreva anche dieci, dodici chilometri al giorno. Una volta lo vedemmo inginocchiato sui basoli romani davanti a quella statua della Vergine. E non era certo un pavimento soffice o levigato. Non so quanto, ma certamente rimase assorto nella preghiera per tanto tempo, senza muovere un muscolo. Da quel giorno sistemammo lì davanti un inginocchiatoio. Ogni volta che arrivava in elicottero la prima sosta era dinanzi a quella statua. Così come era la meta dell'ultima visita prima di ripartire. Negli ultimi anni, quando ormai non poteva più camminare, faceva fermare l'auto all'inizio della rampa, si faceva aprire lo sportello e pregava. Poi chiedeva di ripartire. La preghiera scandiva comunque ogni ora del suo soggiorno a Castel Gandolfo.

Anche quando lavorava?

Soprattutto quando lavorava. Generalmente era solito leggere -- ma anche scrivere -- nei giardini. Si faceva portare scrivania e sedia tra gli alberi e il verde. Era il suo modo di offrire la preghiera a Dio tra le opere del creato, condividendone lo spazio e la bellezza. Nel suo appartamento, così come in quello del Palazzo Apostolico in Vaticano, aveva fatto sistemare la scrivania in modo da avere di fronte la sua cappella privata. La porta era sempre aperta per consentirgli di avere sempre davanti il tabernacolo con il Santissimo. A volte rimaneva giornate intere chiuso nel suo appartamento. Ci fu un periodo durante il quale non uscì neppure di sera, come a volte faceva. In Villa si era diffusa anche una certa preoccupazione per la sua salute. Di lì a poco fu pubblicato il libro Dono e mistero e fu tutto chiaro.

Ma era così frequente incontrarlo per i viali delle Ville?

Direi che era normale. Inizialmente spiavamo un po' tutti da dietro le persiane. Gli operai impegnati nella Villa si defilavano al suo passaggio. Sino a quando un giorno monsignor John Magee, uno dei suoi segretari, chiamò il direttore e manifestò il desiderio del Papa di non vedere più persone nascondersi al suo passaggio. Perché voleva incontrarle, conoscerle, sapere del loro lavoro. Andò anche a far visita ad alcuni nelle loro case. Gli offrivano quello che avevano, una bibita, un caffè, un tè con i pasticcini, come si fa con un ospite caro. E non erano visite annunciate. Quando passava davanti a una casa, bussava e aspettava che gli aprissero. Divenne familiare ai bambini, figli dei dipendenti. Quando si avvicinava l'ora della passeggiata, si mettevano di guardia e vedendolo arrivare da lontano si nascondevano per poi saltare fuori all'improvviso.

C'erano altri momenti d'incontro con la comunità delle Ville?

Il primo era al suo arrivo per il periodo estivo. La mattina successiva celebrava la messa per la nostra grande famiglia. La cerimonia si svolgeva all'aperto, in qualche angolo delle Ville. C'eravamo tutti con i nostri familiari. Poi c'era il momento della pesca di beneficenza: distribuiva doni ai dipendenti estraendo a sorte i regali. Era lui stesso a farlo personalmente. E se per caso si trovava qui nel periodo di carnevale, riceveva, con i bambini di Castel Gandolfo, anche i nostri figli in maschera. Era una vera e propria festa, con tanto di coriandoli e stelle filanti.

Il Papa riceveva anche molte persone?

Tutti i giorni. I primi anni anche di sera. E se si trattava di giovani gli incontri si protraevano sino a oltre la mezzanotte, come accadde quando nel 1982 ricevette per la prima volta gli scout. Erano francesi. Fecero un grande falò davanti a Villa Cybo e rimasero a parlare sino a ben oltre la mezzanotte.

Può essere nata quella sera l'idea delle Giornate mondiali della gioventù?

Se sia nata proprio quella sera è difficile a dirsi. Di certo fu da quella sera che gli incontri con i giovani si intensificarono sino ad assumere cadenza settimanale. E il giorno successivo solitamente il Papa lo passava a scrivere. Cosa, non lo so, ma nella quiete di queste Ville sono maturate tante idee.

Anche le encicliche?

Certamente per la Laborem exercens ha avuto qui grandi ispirazioni. Per il resto l'unica cosa che si può dire è che di lavoro in questo luogo ne ha svolto tanto.

Ma si sarà anche rilassato qualche momento.

Passeggiava tanto. E nuotava anche molto, da quando abbiamo costruito la piscina. Mi resta però difficile ricordarlo impegnato in un passatempo. Sembrava quasi un atleta che si allenava per tenere il fisico sempre pronto a rispondere alle sollecitazioni. Le sue non erano certo ambizioni di carattere sportivo. Era cosciente di dover sopportare il peso di una missione che aveva scelto di compiere sulle strade del mondo, per andare a incontrare l'uomo ovunque vivesse. Aveva bisogno di alimentare continuamente il suo spirito con la riflessione e con la preghiera.

Qualche volta però si è reso protagonista anche di piccole fughe all'esterno.

Sì, soprattutto quando sentiva il bisogno di salire sino alla vetta di un monte o a un luogo sacro, come un santuario. Il Gran Sasso e la Mentorella, come è noto, erano le sue mete preferite. Usciva in incognito. Il più delle volte rimaneva tale. Altre volte invece la notizia si diffondeva. Ma non c'era volontà di stupire o di sottrarsi ai controlli. Voleva solo evitare di disturbare.

Come è cambiato, se è cambiato, il suo rapporto con le Ville nei momenti della sofferenza?

Questo è un altro capitolo. Più volte lo abbiamo ospitato come convalescente. Ma le lezioni più toccanti ce le ha date negli ultimi anni di vita. Ha vissuto questi momenti con esemplare dignità. Non si è mai vergognato di manifestare la sua debolezza. L'ultima estate si è rivelata la più tormentata. Ormai non si muoveva più autonomamente. Girava in carrozzella e quando doveva recarsi a Roma, il mercoledì per l'udienza generale, veniva issato sull'elicottero con la sedia a rotelle con un carrello elevatore. Chiedendo scusa «per l'ulteriore fastidio».

Come la famiglia delle Ville ha accompagnato questi momenti?

Con grande discrezione. Tutti pronti a collaborare per cercare di creare le condizioni migliori perché il Papa potesse muoversi in modo più agevole. Non c'erano limiti agli accorgimenti: uno scivolo per evitare i gradini, una porta più larga per agevolare il passaggio.

Eravate anche voi in piazza San Pietro per le esequie, quando la folla ha gridato «santo subito»?

In molti eravamo lì. E sapevamo perché si gridava con gli altri. La sera del 2 aprile 2005, senza bisogno di richiamo, tutta la popolazione di Castel Gandolfo si riversò nella chiesa parrocchiale di San Tommaso da Villanova, davanti al Palazzo. La preghiera nacque senza alcuna guida e continuò spontanea per ore.

(©L'Osservatore Romano 10 aprile 2011)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Uffaa, sempre le stesse cose dette e ridette, sapute e strasapute. Dire qualcosa di nuovo mai? Scusa l'acidità, Raffa, sono un po' nervosa e non è difficile immaginarne il motivo (eheheheh).
Alessia

sonny ha detto...

Come ti capisco, cara Alessia......

euge ha detto...

Che Strazio!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Anonimo ha detto...

ma non vi è obbligo di lettura.

Antonio.