giovedì 7 aprile 2011

Tragedia del mare: il dolore del Papa. Riprese le ricerche dei dispersi (R.V.)

Tragedia del mare: il dolore del Papa. Riprese le ricerche dei dispersi

Sono riprese le ricerche dei dispersi, oltre 250, coinvolti nel tragico naufragio di un barcone avvenuto martedì notte a sud di Lampedusa, in acque maltesi, ma le condizioni del mare restano proibitive. Intanto dall’isola sono stati trasferiti i 53 migranti salvati ieri. Una vicenda seguita dal Papa con viva preoccupazione e sgomento. Ascoltiamo la riflessione del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi:

La tragedia della morte in mare di un gran numero di migranti che dalle coste dell’Africa settentrionale cercano di raggiungere l’Europa ha colpito profondamente il Santo Padre, che segue con partecipazione e preoccupazione le vicende dei migranti in questo periodo drammatico. Il Santo Padre e tutta la Chiesa ricordano nella preghiera tutte le vittime di ogni nazionalità e condizione, anche donne e bambini, che perdono la vita nel terribile viaggio per sfuggire alle situazioni di povertà, o di ingiustizia o di violenza da cui sono afflitte, alla ricerca di protezione, accoglienza e condizioni di vita più umane. Ricordiamo che fra le vittime di queste tragedie nel Mediterraneo vi sono migranti eritrei cattolici che si trovavano in Libia e partecipavano anche alla vita della comunità cattolica.

Oggi, intanto, in Italia si è svolta alla Camera l’informativa del ministro dell’Interno Maroni che ribadisce: “l’Europa non può continuare a lasciarci soli”. Quindi ha annunciato il decreto con la concessione del permesso di soggiorno temporaneo a chi è giunto in Italia. Dal canto suo la Francia fissa 5 dure regole per gestire gli ingressi dai Paesi terzi. Sul tema dell’immigrazione è tornata anche la Conferenza episcopale italiana: “l’Italia – dicono i vescovi - rischia di dividersi sull’accoglienza”. Il servizio di Cecilia Seppia

E’ stata la notte del dolore a Lampedusa e insieme delle conferme drammatiche sul naufragio avvenuto in acque maltesi a 39 miglia dall’isola: circa 250 persone risultano ancora disperse. Alle prime luci dell’alba sono riprese le ricerche, con il mare forza 5 e le raffiche di maestrale, ma per ora non c’è traccia di vita in quel cimitero di corpi che è il Mediterraneo. La polemica sulla competenza delle operazioni di soccorso e intervento tra Italia e Malta va avanti, mentre da Agrigento tuona la voce del vescovo, mons. Montenegro: “sono morti che pesano sulla coscienza di tutti, dice il presule - la colpa di questo naufragio – afferma, non è del mare, ma dell’indifferenza e di regole sbagliate”. Intanto i 53 migranti tratti in salvo ieri dalla Guardia costiera italiana sono stati trasferiti con un ponte aereo a Brindisi. Nei loro occhi ancora paura e il dolore per la perdita di parenti e amici: alcuni sopravvissuti hanno raccontato gli istanti prima del dramma: l'euforia alla vista della motovedetta, l’errore di spingersi alzandosi in piedi, la calca per guadagnare un centimetro, mentre le onde inghiottivano uomini, donne e bambini senza pietà. C’è anche il racconto dei soccorritori che dicono di aver visto letteralmente volare a grappoli centinaia di persone in mare. Ci sono poi le lacrime di Ebbi, un papà libico di 19 anni che ha perso suo figlio di appena 3 mesi: “l’acqua me l’ha strappato, ho fatto di tutto” continua a ripetere. Intanto il dibattito politico sull’emergenza immigrazione va avanti. Alla Camera, dove è stato osservato un minuto di silenzio per le vittime, il ministro dell’Interno Maroni ricorda i numeri di quest'ultima immigrazione: da gennaio ci sono stati 390 sbarchi e 25.800 arrivi, poi annuncia la concessione del permesso di soggiorno temporaneo a chi è giunto in Italia, che consentirà di circolare nei Paesi dell’area Schengen. Quindi il titolare dell’Interno ha sollecitato l’adozione da parte dell’Ue di accordi bilaterali con i Paesi nordafricani e ribadito: “l’Europa non ci lasci soli”. Un’appello accorato alla comunità internazionale arriva anche da don Mussie Zerai, sacerdote eritreo presidente dell’Agenzia Abeshia per la Cooperazione allo Sviluppo:

“Se la comunità europea ci avesse ascoltato quando noi, insieme anche al vescovo di Tripoli, lanciavamo l’appello ad evacuare queste persone insieme ai cittadini europei che lasciavano la Libia, non saremmo qui a contare i morti e i dispersi. Quello che noi ci sentiamo di fare ancora oggi è lanciare un appello per un piano di evacuazione, aprendo un corridoio umanitario sia dalla Libia, in Tunisia o in Egitto del Sud. C’è il rischio che queste persone, se non troveranno un sostegno, un’accoglienza da qualche parte, si affideranno, per la disperazione, ai barconi e al mare”.

Ma la Francia serra i ranghi e fissa dure regole per l’ingresso da Paesi terzi: soggiorni che non superino tre mesi; essere in possesso del passaporto o di un documento valido emesso da uno stato membro dello spazio Schengen. Titoli e autorizzazioni accettabili solo se notificate alla commissione Ue dallo Stato che li ha emessi; gli stranieri dovranno poi giustificare di avere risorse sufficienti e di non rappresentare una minaccia per l’ordine pubblico, altrimenti – si legge nella nota - verranno riconsegnati allo stato di provenienza. La Cei, da parte sua, torna a ribadire l’importanza dell’accoglienza dei migranti auspicando che l’Italia su questo tema non rischi di dividersi. Ciò che emerge dice il segretario generale della Cei, mons. Crociata, è un eccesso di paura verso lo straniero bisognoso e il diverso, oltre all’incapacità di comprendere quanto sta avvenendo.

Su questa nuova tragedia del mare Fabio Colagrande ha intervistato mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti:

R. - Anzitutto desidero esprimere la mia profonda tristezza per il tragico naufragio, ieri, di un barcone che trasportava 250-300 persone, nessuno lo sa con precisione: uomini, donne e bambini in fuga, naturalmente, da questo nord dell’Africa e soprattutto dalla Libia. Le condizioni proibitive del mare nostrum hanno inghiottito i loro sogni, come quelli di altri che attraversano questo crocevia della disperazione. Purtroppo la scelta dei barconi via mare, in mano - spesso - a contrabbandieri e trafficanti senza scrupolo, è un’estrema alternativa dettata dall’impossibilità di utilizzare altri mezzi, dato che da tempo i Paesi europei hanno chiuso i confini, introducendo norme restrittive sugli ingressi di questi poveri disgraziati.

D. - In Europa aumenta la preoccupazione per l’improvvisa crescita del flusso migratorio proveniente dal Nord Africa verso il Vecchio Continente: un fenomeno epocale che - come in Italia, a Lampedusa - può creare gravi situazioni umanitarie. Quale atteggiamento deve avere la comunità cristiana rispetto a questa vicenda?

R. - Desidero nuovamente fare appello alla solidarietà e all’accoglienza. L’Italia, lo scorso anno, occupava - tra i Paesi industrializzati - il 14.mo posto per l’accoglienza dei rifugiati; i Paesi Bassi, con un territorio più piccolo e una popolazione meno numerosa, hanno accolto il doppio dei rifugiati rispetto all’Italia; anche la Francia ha ospitato più rifugiati, con una percentuale del 13 per cento, mentre l’Italia ha una percentuale di rifugiati di soltanto il 2 per cento. Gli eventi in Italia, certo, possono apparire drammatici, ma sono ancora in un certo contesto e non bisognerebbe esasperare quanto sta accadendo. L’Italia, in fondo, è una grande potenza economica, industriale, sociale: quindi potrebbe avere la possibilità, con certe regole precise, di non spaventarsi troppo di fronte ad un fenomeno che esiste e che disgraziatamente, forse, va aumentando. Quello che veramente si desidererebbe è che l’Europa - non solo l’Italia - prendesse un pochino più a cuore la situazione e studiasse come affrontare e come risolvere questo problema. Non lo si può risolvere solamente con delle leggi punitive: bisogna pure darsi un po’ di pene per vedere come noi, popoli industriali e ricchi, possiamo risolvere questo problema, che esiste! Si possono cacciare, ma rientreranno da un’altra parte. Non c’è niente da fare… In secondo luogo, bisogna distinguere tra coloro che giungono dalla Libia e quanti giungono dalla Tunisia: quelli che provengono dalla Libia, attualmente zona di guerra, non dovrebbero essere respinti; quanti invece arrivano dalla Tunisia rientrano nei flussi di migrazione miste, migranti e rifugiati insieme. Ciascuno di loro dovrebbe essere sottoposto ad uno screening per vagliare il diritto alla protezione, come giustamente si sta orientando a fare l’Italia. In fondo, in questa situazione, l’Italia - sarà perché è la nazione più vicina, sarà anche per la presenza della Chiesa - penso di poter dire che si sta comportando abbastanza bene e il popolo di Lampedusa è stato esemplare. Altrettanto importante è l’adozione del permesso temporaneo, che offre solidarietà a chi ne beneficia, mentre incoraggia la cooperazione sia sul territorio italiano che a livello europeo. L’intervento dei vescovi italiani rispecchia poi il richiamo del Vangelo sull’accoglienza umana e fraterna. I vescovi, come tali e come Cei, hanno messo a disposizione 2.500 posti nelle varie diocesi. L’Europa deve riflettere seriamente su ciò che significa rimanere nella regione dalla quale i rifugiati fuggono: generalmente si afferma che essi dovrebbero recarsi nei Paesi vicini, ma se questo fosse applicato alla Libia comporterebbe che i rifugiati di quel Paese vengano accolti in Europa. Ciò significa che l’Europa deve prendersi le sue responsabilità per assolvere i suoi doveri di protezione dei rifugiati e dimostrare cosa significhi solidarietà e condivisione. L’arrivo degli altri può dare fastidio, ma non è cristiano questo egoismo: dobbiamo aprirci anche agli altri, anche politicamente parlando perché tanto è un fenomeno che non si può fermare. Questo c’è e ci sarà e bisogna darsi una regolata… (mg)

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