giovedì 7 aprile 2011

Una primavera già finita? Intervista con il card. Antonios Naguib (Sir)

EGITTO

Una primavera già finita?

Intervista con il card. Antonios Naguib

“La corruzione diffusa, la povertà, la crisi sociale, la soffocante atmosfera politica” sono state queste per il card. Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei copti (Egitto), le cause che hanno scatenato le manifestazioni del 25 gennaio che hanno dato vita “al movimento per il rinnovamento” dei giovani di piazza Tahrir che ora “rischia di essere oscurato”. Intervenendo il 6 aprile alla plenaria della Comece, a Bruxelles, dedicata alle Chiese del Maghreb e del Medio Oriente, il cardinale ha avvertito del rischio che “i Fratelli musulmani possano strappare di mano ai giovani egiziani questo rinnovamento. Questi, al contrario dei Fratelli musulmani, non hanno leader riconosciuti, strutture per affrontare con qualche possibilità le prossime elezioni. Hanno bisogno di tempo che non hanno”. A margine dell’incontro il SIR ha posto alcune domande al cardinale.

“La primavera araba” rischia veramente di sfiorire?

“Una primavera cominciata con tanto entusiasmo e ottimismo anche se la situazione è cambiata parecchio. Stiamo assistendo al tentativo di correnti islamiste di prendere la guida del rinnovamento e del movimento che lo ha generato per orientarlo a loro vantaggio. Tuttavia i giovani che sono stati e sono ancora il motore di questa primavera, e quelli che con loro l’hanno condivisa, sono i guardiani di questa rivoluzione. Spero che facciano di tutto per proteggere l’ideale iniziale. Non sarà facile in quanto ora in campo ci sono anche quelle fazioni, che prima erano state messe ai margini della politica, e che vogliono cogliere questa opportunità storica. Non vanno certo condannate ma va colto anche il rischio di un’appropriazione del rinnovamento. Una deriva islamista rappresenta per noi un motivo di preoccupazione”.

Lo è anche per l’Europa che, per questo, potrebbe anche guardare con diffidenza alla transizione egiziana vanificando molti sforzi della popolazione...

“L’importante è che l’Europa, la comunità internazionale seguiti ad incoraggiare e sostenere questi gruppi nascenti, e coloro che ne fanno parte. Costoro devono essere in grado di rafforzare la loro posizione politica e renderla chiara per invogliare altri a seguire la strada della transizione democratica. Ed è quello che vuole fare il movimento in Egitto”.

La situazione è delicata, ogni sostegno internazionale al movimento potrebbe essere letto come un atto d’ingerenza sugli affari interni dell’Egitto. Come agire allora?
“Facendo sentire ai giovani tutto l’appoggio anche da lontano. Da vicino purtroppo non si può fare nulla. Ogni supporto, infatti, sarebbe colto come un’ingerenza in affari interni. Non possono essere sostenuti finanziariamente, poiché la legge non permette nessun aiuto economico dall’estero che si potrebbe prefigurare come un atto d’influenza politica estera. Bisogna far sentire loro la prossimità e Internet potrebbe essere un ottimo strumento per diffondere idee di democrazia”.

Quelle richieste di democrazia, di diritto e partecipazione erano state in qualche modo presentate al Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente che si è rivelato profetico...

“Vero. Il Sinodo è stato profetico nello stabilire i temi della cittadinanza, della laicità e della partecipazione. Era la prima volta che si dava una fisionomia chiara della nostra situazione e della sfida dell’Islam politico. Era ottobre 2010 e da gennaio è accaduto ciò che abbiamo visto. L’appello dei padri sinodali ai cristiani di essere parte positiva per la costruzione e lo sviluppo del Paese, d’incoraggiare i movimenti che tendono all’edificazione di uno Stato civile, laico e democratico, è stato profetico”.

C’è un filo rosso che, a suo parere, lega tutte le rivolte dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo?

“Il filo rosso della primavera araba è quello della libertà, dignità umana, partecipazione reale alla vita sociale e politica, quindi il rispetto della libertà in ogni sua dimensione anche religiosa. Ci deve essere posto per tutti. Sulla base di queste legittime istanze e del diritto si potrà verificare un reale incontro e non scontro tra Medio Oriente ed Europa. Alcuni vescovi dell’Europa dell’Est ci hanno testimoniato tutta la loro vicinanza, qualcuno mi ha detto: ‘Vi capiamo bene perché noi ci siamo passati prima di voi in questa transizione verso la democrazia’”.

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