giovedì 24 marzo 2011

Dallo Stato Pontificio alla Città del Vaticano. Lo sgabello del papato (Osservatore Romano)

Dallo Stato pontificio alla Città del Vaticano

Lo sgabello del papato

Pubblichiamo la prima e l'ultima parte dell'intervento sul tema "Dallo Stato pontificio alla Città del Vaticano" dell'arcivescovo - che dal 23 marzo è nunzio apostolico in Indonesia - al colloquio storico tenutosi il 19 febbraio scorso nell'Aula vecchia del Sinodo, nell'ambito delle celebrazioni per il quarantennale dell'Associazione Santi Pietro e Paolo.

di ANTONIO GUIDO FILIPAZZI

Il tema "Dallo Stato pontificio alla Città del Vaticano" può essere declinato considerando il tema della sovranità territoriale della Santa Sede, che appunto fino al 1870 si esprimeva nello Stato pontificio come ora nello Stato della Città del Vaticano.
Gli Stati Pontifici nascono nel secolo VIII a partire dal patrimonio di San Pietro, cioè dall'insieme di territori donati al Romano Pontefice, e assumono nel corso dei secoli sempre di più una fisionomia statuale. Tali territori sono percepiti come il presidio sicuro dell'autonomia e della libertà del Papato, che soprattutto nel secondo millennio aveva ben vivo il ricordo di Avignone, cioè il timore di ritornare in qualche momento a essere il "cappellano" di una corte regia. Quindi la sovranità territoriale, all'interno della Chiesa fino al secolo XIX, non viene sostanzialmente messa in discussione, ma è anzi difesa. Possiamo considerare il manifestarsi della sovranità territoriale del Papa durante tre distinte fasi, che vanno, rispettivamente, dalla fondazione della Guardia Palatina (comprendendo però già i decenni precedenti) fino alla data fatidica del 1870, una seconda fase che va dal 1870 al 1929, e una terza fase che, a cominciare dalle trattative dei Patti Lateranensi, arriva a oggi.
Quando il 6 agosto 1926 Francesco Pacelli fu autorizzato da Pio XI a iniziare le conversazioni con il consigliere Domenico Barone, il Pontefice gli affidò il mandato con la clausola del riconoscimento da parte delle altre nazioni della sovranità assoluta del Papa sul territorio che gli sarebbe stato assegnato. Chiedeva cioè un territorio separato da quello italiano e una vera sovranità territoriale, non ritenendo sufficiente un'area di proprietà della Santa Sede e sottratta alla giurisdizione dello Stato italiano (extraterritoriale). Di fatto, meno di tre anni dopo, il Trattato Lateranense recepiva questa esigenza imprescindibile: "L'Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano, com'è attualmente costituito, con tutte le sue pertinenze e dotazioni, creandosi per tal modo la Città del Vaticano" (articolo 3).
Si trattava, inoltre, di stabilire l'entità del territorio soggetto alla sovranità del Pontefice. Agli inizi delle trattative si ipotizzò di incorporare nel futuro stato Villa Doria-Pamphilj (anche se subito molti dei cardinali consultati in merito fecero presente di ritenere sufficiente un territorio il più ridotto possibile; si temevano infatti le difficoltà nel dover amministrare un'area più ampia e con una popolazione consistente). A quest'ipotesi nel gennaio 1928 il consigliere Barone rispose, offrendo la sola sovranità sul Vaticano e l'extraterritorialità per Villa Doria-Pamphilj. Così Pio XI ritenne preferibile restringersi al solo territorio di quella che nella bozza di Trattato del 2 dicembre 1928 era denominata "Città del Vaticano". Anzi, il 10 febbraio 1929, alla vigilia della firma dei Patti, il Papa decise di escludere dal territorio del nascente Stato il Palazzo del Sant'Uffizio, l'Oratorio di San Pietro, il Museo Petriano e le altre adiacenze, per i quali fu previsto il godimento "delle immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di Stati esteri" (articolo 15 del Trattato del Laterano).
Non si può non convenire con Carlo Alberto Biggini, quando afferma che Pio XI mostrò sulla questione del territorio del suo nuovo Stato "una nobile arrendevolezza" (Storia inedita della Conciliazione). Ciò era motivato dal desiderio sia di "calmare e far cadere tutti gli allarmi e rendere addirittura ingiuste, assolutamente irragionevoli, tutte le recriminazioni fatte o da farsi in nome di una, stavamo per dire, superstizione di integrità territoriale del Paese" (sono noti i timori di Vittorio Emanuele III di cessioni consistenti di territorio al Papa), sia di ottenere, oltre alla piena libertà della Santa Sede, anche una regolazione delle "condizioni religiose in Italia, per sì lunga stagione manomesse, sovvertite, devastate in una successione di Governi settari od ubbidienti e ligi ai nemici della Chiesa" (Discorso di Pio XI ai quaresimalisti, 11 febbraio 1929).
Veniva così creato uno Stato di dimensioni molto ridotte. Come affermò lo stesso Pio XI, "volevamo mostrare in un modo perentorio che nessuna cupidità terrena muove il Vicario di Gesù Cristo, ma soltanto la coscienza di ciò che non è possibile non chiedere; perché una qualche sovranità territoriale è condizione universalmente riconosciuta indispensabile ad ogni vera sovranità giurisdizionale: dunque almeno quel tanto di territorio che basti come supporto della sovranità stessa".
Lo Stato della Città del Vaticano, per la sua conformazione territoriale, è uno Stato-enclave, cioè completamente circondato dal territorio italiano e per molti versi non viabile senza l'impegno internazionalmente assunto dall'Italia di garantirgli tutta una serie di servizi necessari alla sua esistenza e attività (al riguardo basta leggere l'articolo 6 del Trattato Lateranense, secondo il quale l'Italia deve provvedere alla Città del Vaticano un'adeguata dotazione di acque, la comunicazione con le ferrovie dello Stato italiano e il collegamento dei servizi telegrafici, telefonici, radiotelegrafici, radiotelefonici e postali nella Città del Vaticano con l'Italia e con l'estero).
Quanto alle dimensioni ridotte del nuovo Stato, esse vengono in qualche modo compensate dalle garanzie personali e reali che il Trattato Lateranense riconosce alla Santa Sede. Quest'ultima può così disporre di varie aree in Roma nelle quali collocare la sede dei suoi organismi senza mettere in pericolo l'indipendenza della sua azione di governo della Chiesa universale.
Attualmente si sta delineando un quadro in parte nuovo rispetto a quello sancito dal Trattato del 1929. Infatti, il processo d'integrazione europea ha fatto sì che quando si varcano i confini dello Stato della Città del Vaticano, ci si trova non più solo in Italia, ma si entra anche nel territorio dell'Unione europea. E ciò comporta una rimodulazione di quei rapporti che garantiscono la vita e l'attività dello Stato della Città del Vaticano. Basti ricordare, ad esempio, che il 17 dicembre 2009 è stata sottoscritta una Convenzione monetaria non più con l'Italia, ma tra lo Stato della Città del Vaticano e l'Unione europea. Si è quindi in qualche modo aperta una fase nuova, per certi versi non ancora del tutto definita nelle sue caratteristiche, per la sovranità della Santa Sede e anche per la sua sovranità territoriale, cioè per lo Stato vaticano. Nel 1962 - riprendendo un'espressione usata da Papa Ratti nel 1929 a proposito del territorio riconosciuto al Pontefice ("quel tanto di territorio che basti come supporto della sovranità stessa; quel tanto di territorio, senza del quale questa non potrebbe sussistere, perché non avrebbe dove poggiare") - l'allora cardinale Giovanni Battista Montini, in un discorso pronunciato alla vigilia dell'apertura del concilio Vaticano II (10 ottobre 1962), distingueva "la secolare istituzione pontificia" e lo "sgabello terreno sul quale appoggiava da tanti secoli i suoi piedi". Si tratta di un'immagine molto significativa, perché esprime bene i rapporti che intercorrono fra la Santa Sede con quella sovranità territoriale, che pur ridotta, talvolta delicata nel suo esercizio, è tuttavia finora il presidio sicuro della libertà della missione affidata da Cristo al Successore di Pietro.

(©L'Osservatore Romano 25 marzo 2011)

1 commento:

Anonimo ha detto...

l'amnesia di Vian e company.
Quel lembo di Stato fu salvato grazie al coraggio e alla determinazione di Pio IX e del card. Antonelli !
Quel giornale non ha speso una parola per commemorare il grande Primo ministro di Pio IX Pellegrino Rossi ucciso barbaramente a pugnalate sullo scalone del palazzo della Cancelleria dai settari massoni i cui neri e malvagi vessilli son stati benedetti da Bertone a Porta Pia...
Oh gente senza cervello!
Viva il grande Pio IX!