Le responsabilità dei media
Il centocinquantesimo anniversario, ricorrenza importante per qualsiasi giornale, tanto più lo è per un foglio singolare qual è «L’Osservatore Romano», come lo definì con esattezza mezzo secolo fa, nel centenario, Giovanni Battista Montini, che due anni dopo sarebbe divenuto Paolo VI.
E questo soprattutto perché il quotidiano storicamente e istituzionalmente è legato alla Santa Sede. Un vincolo che Benedetto XVI ha voluto di nuovo sottolineare con un messaggio e, ancor più, con una visita personalissima e di per sé molto espressiva nella sede del giornale.
Come in altre circostanze da quando, subito dopo i Patti lateranensi, «L’Osservatore Romano» è entrato in Vaticano, il gesto del Papa — vero e proprio incontro dell’editore con la sua testata, dono che rimane nel cuore e nella mente di chi ha l’onore di lavorarvi — ha offerto l’occasione per riflettere sulla responsabilità del giornale, ma più in generale dei media. In un’epoca di radicali trasformazioni e in un momento di crisi, soprattutto di quelli tradizionali: non solo perché sono in affanno di fronte alla concorrenza della televisione e alla crescita rapidissima dell’informazione diffusa nella rete globale, ma anche per il moltiplicarsi di episodi che ne evidenziano una preoccupante degenerazione.
Emblematico di questa tendenza è lo scandalo che nel Regno Unito ha travolto «News of the World» e ne ha causato la chiusura dopo quasi centosettant’anni, ma in generale proprio l’emergere in diversi Paesi degli aspetti più spregiudicati di quel quarto potere raffigurato in modo memorabile da Orson Welles può spiegare in parte la disaffezione di un numero sempre maggiore di lettori, disgustati o delusi. Come sempre, nel panorama generale le luci si alternano alle ombre: la cultura è oggi più diffusa, benché questo comporti un abbassamento del livello anche dei media, la moltiplicazione delle informazioni incalzante e senza precedenti nella storia intacca le capacità critiche, mentre spesso il sensazionalismo e il protagonismo di molte testate non sono bilanciati dai meccanismi di controllo di una politica non di rado troppo debole.
In questo quadro anche l’informazione sulla Chiesa cattolica, sino al Vaticano II ridottissima e da allora divenuta un fenomeno di rilievo, non si sottrae al chiaroscuro. La crescita è stata indubbia, anche se negli ultimi anni sembra molto attenuata la volontà di comprendere una realtà non facile da rappresentare in un mondo globale vasto e variegato, che è però interessato e nello stesso tempo sprovvisto di strumenti interpretativi adeguati di fronte alle religioni.
Alle incomprensioni si sono aggiunte ondate informative — per esempio, a proposito degli abusi commessi su minori da sacerdoti — che, pur non benevole e talvolta degenerate in campagne di stampa ingiuste o sommarie, hanno di fatto aiutato il processo di purificazione e di rinnovamento della Chiesa, sempre necessario, come con coraggio esemplare ha ricordato Benedetto XVI. Altre volte poi il sensazionalismo si accompagna al gusto di presunti retroscena sul governo della Chiesa conditi d’indiscrezioni più o meno innocenti, e così l’informazione, spesso non disinteressata, prescinde dalla semplice logica, e soprattutto dalla realtà.
È invece proprio alla realtà che in generale l’informazione e dunque i media, vecchi e nuovi, devono guardare, nel tentativo di rappresentare un mondo complesso e un panorama internazionale le cui grandi questioni — specialmente quelle estranee alle società occidentali — restano spesso trascurate, se non addirittura ignorate. La responsabilità di tutti è dunque enorme, e a questa bisogna fare fronte. In uno sforzo informativo che deve non soltanto intensificarsi ed estendersi, ma soprattutto aiutare a comprendere ciò che veramente è importante.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 31 luglio 2011)
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