Intervista a monsignor Tejado Muñoz, sotto-segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum
Per una Quaresima di condivisione con i fratelli
di NICOLA GORI
Carità. È la parola d'ordine di questo tempo di Quaresima. Ma non c'è il rischio che si riduca a un'operazione commerciale o a un semplice gesto fatto per tacitare la coscienza? Inoltre, la tradizione cristiana nel periodo quaresimale alla carità affianca la pratica del digiuno e la preghiera. Hanno ancora un senso oggi? A queste domande risponde monsignor Segundo Tejado Muñoz, sotto-segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum, in questa intervista al nostro giornale.
Nel messaggio per la Quaresima 2011, Benedetto XVI ha riproposto le pratiche tradizionali del digiuno, dell'elemosina e della preghiera come espressioni dell'impegno di conversione. Con quale spirito il cristiano deve compierle?
Queste pratiche non sono altro che uno strumento, un aiuto perché si possa realizzare in ognuno di noi la cosa più importante, che è la conversione del cuore, senza la quale ogni percorso diventa semplicemente un moralismo. La conversione è un dono di Dio, ma va ricercata. L'elemosina, il digiuno e la preghiera ci aiutano in questa ricerca. Dicendo "pratiche tradizionali" possiamo pensare a qualcosa di superato, e questo succede perché perdiamo di vista il fine del tempo di Quaresima, che è la Pasqua, la risurrezione di Gesù. Dice san Paolo nella Lettera ai Corinzi che, se Cristo non è davvero risorto, noi "siamo da compiangere più di tutti gli uomini". Ed è vero: queste pratiche, senza la meta della Pasqua e della risurrezione, sembrano azioni prive di senso, vuote, superate. Nella nostra società consumistica, la Quaresima ha via via assunto un significato diverso. In pochi ormai la considerano come il tempo che apre e accompagna il cammino verso la Pasqua di risurrezione. Il riferimento sembra essere piuttosto alla fine del carnevale: si sottolinea non tanto l'allegria della vittoria di Cristo sulla morte, quanto piuttosto la tristezza per l'inizio di un tempo che "costringe" a pratiche che non riscuotono simpatia.
Il Papa ha richiamato la necessità dell'elemosina, quale capacità di condivisione. Come deve essere praticata per non rischiare di farla diventare una scusa per zittire la coscienza?
Molto semplicemente, "in segreto", come dice il Vangelo di Matteo: "La tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà". Anche un altro consiglio ci viene dal Vangelo: "Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra". È tutto molto semplice, in realtà. L'elemosina ha due aspetti: da una parte aiuta chi la compie a fare un gesto per affermare che la cosa più importante nella vita è Dio; e ha anche un'altra dimensione, appunto, di condivisione con il fratello. La "segretezza" di cui parla il Vangelo favorisce il nostro rapporto con Dio, e allo stesso tempo non umilia il nostro fratello bisognoso che la riceve. Normalmente le elemosine fatte per zittire la coscienza si riconoscono perché sono sempre accompagnate da grande clamore e cariche di pubblicità.
Il digiuno non rischia di apparire un elemento ormai superato, forse retaggio di altre epoche?
Assolutamente no. Togliere qualcosa di essenziale dalla nostra quotidianità (cibo, televisione, internet) è un segno che ricorda e conferma al nostro spirito qualcosa di molto profondo: l'uomo non vive di solo pane, la vita non può essere soltanto la ricerca affannosa del mangiare, del bere e del vestire, come ci ricorda Matteo nel discorso della Montagna. Per essere completa, piena, la vita dell'uomo ha bisogno del Pane che viene dal cielo: "Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato, e compiere la sua opera". Cristo si reca nel deserto per compiere un digiuno di quaranta giorni prima di iniziare la missione per la quale è venuto. Così ogni cristiano, chiamato a compiere la propria missione, ha bisogno di affrontare questo piccolo combattimento che è il digiuno per potersi misurare nella vita con i veri combattimenti: la malattia, le difficoltà, la morte. Alla fine dei quaranta giorni nel deserto, lo ricordiamo, gli angeli "servivano" il Signore. E così anche il credente, alla fine del digiuno quaresimale, può giungere e fare personalmente esperienza della vittoria sulla morte, durante la veglia di Pasqua. Come afferma il Papa nel messaggio, "il percorso quaresimale trova il suo compimento nel triduo pasquale, particolarmente nella grande veglia nella notte santa".
Come si riesce concretamente a "prendere le distanze dal rumore del quotidiano" - secondo l'invito del Pontefice - e a ritagliare momenti per mettersi in contatto con la Parola di Dio?
Anche qui il Vangelo torna a esserci di aiuto con il concetto di "segreto". Sempre nel brano del discorso della Montagna, Gesù, parlando di questo argomento, afferma: "Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà". È necessario chiudere materialmente la porta della nostra camera - che è anche la porta del nostro cuore - anche se è difficile non venire sollecitati dalle nostre occupazioni quotidiane (interne ed esterne). C'è uno spazio dentro di noi che facciamo molta fatica a chiudere, perché abbiamo paura della solitudine. Dio è sempre pronto a entrare in questo nostro spazio interiore. Come ci ricordano le Scritture - attraverso diverse figure come il cieco di Gerico, la vedova importuna, il pubblicano che si mette in fondo al tempio a pregare - la preghiera è un grido, una richiesta insistente, un mettersi umilmente all'ascolto di un "altro".
Benedetto XVI invita i cristiani a liberare il cuore dal peso delle cose materiali per essere più disponibili a Dio e al prossimo. Quali sono i "pesi" più gravosi. che soffocano l'animo dell'uomo di oggi?
La beata Teresa di Calcutta diceva spesso: "Tutto ciò che non mi serve, mi pesa, mi pesa sul cuore". Si riferiva senz'altro a queste "cose materiali". E anche se le forme sono mutate, mi sembra che l'uomo di oggi abbia gli stessi gravosi pesi dell'uomo di ieri: la spasmodica ricerca di dare e ricevere amore, di trovare il senso della vita, che tante volte deve essere invece riempita ricorrendo a degli ideali ingannevoli. Nella ricerca di questo "senso profondo della vita", di amare ed essere amato, l'uomo è invitato e quasi "trascinato" da ciò che lo circonda a "vivere per se stesso". Il tempo di Quaresima e la Pasqua ci ricordano invece che noi siamo chiamati a vivere una vita piena, ed è Cristo stesso che ha guadagnato per noi la possibilità di vivere così: non più per noi stessi, ma per Colui che è morto e risorto per noi, e quindi, per il nostro prossimo, come ci ricorda san Paolo nella Lettera ai Corinzi. L'uomo può in effetti cambiare strada, cambiare vita.
L'idolatria dei beni allontana l'uomo dai suoi simili, scrive Benedetto XVI. Di fronte a una società troppo spesso individualista c'è ancora spazio per la solidarietà oppure occorre trovare nuove forme di condivisione?
È chiaro che c'è sempre modo di trovare nuove forme, perché ci sarà sempre lo spazio per fare del bene. Ma di quale bene parliamo? Il Papa nel messaggio dice una cosa molto semplice: è la vita cristiana, per ciascuno, la sorgente di questo bene. È la vita del nostro battesimo, fatto fruttificare, che apre la strada a questo bene. È la partecipazione alla vita della Chiesa tramite l'ascolto della Parola di Dio, la partecipazione ai sacramenti, che permette alle singole persone come alle comunità cristiane di vivere e sperimentare fattivamente questa carità. Senza Dio la nostra carità diventa un'attività volontaristica, una filantropia. La carità è un dono di Dio, una virtù teologale che l'uomo non può dare a se stesso. Partecipando della vita di Cristo nella Chiesa, io posso chiedere e ricevere questo dono. Questo mi sembra il cuore del messaggio del Papa. Non si tratta tanto di trovare nuove formule per concretizzare questa solidarietà, ma piuttosto di riattivare il nostro battesimo; perché, "smuovendo" questa sorgente, scaturiscono i diversi doni, i carismi, la novità di "forme" di condivisione. La storia della Chiesa, infatti, ci insegna che a un forte impegno ecclesiale in campo caritativo, ha sempre corrisposto una fioritura di santi. Penso al XIX secolo che ha visto una presenza molto forte della Chiesa in quest'ambito, attraverso figure come san Giovanni Bosco o santa Francesca Saverio Cabrini.
La preghiera è una pratica essenziale per la Quaresima. Non c'è però il rischio di ripiegarsi sul nostro "io" e dimenticare Dio e i fratelli?
Anche questa volta ci può venire in aiuto la beata Teresa di Calcutta. Quando toccava i corpi deturpati dei poveri, per lei era come toccare il corpo stesso di Cristo. Lei ha sempre messo in relazione le opere di misericordia nei confronti di questi fratelli e sorelle con l'adorazione eucaristica, che è la presenza reale di Gesù. La preghiera contemplativa e l'azione caritatevole sono così fuse in un tutt'uno. Certo, esiste sempre il rischio di ripiegarci su noi stessi. Ma non possiamo parlare di preghiera cristiana se in questa preghiera non si trova inclusa tutta l'umanità, e soprattutto gli uomini che soffrono. La vera preghiera cristiana apre il cuore e lo fa entrare in comunione con ogni uomo e con Dio. È impressionante visitare i conventi di clausura, in cui nella preghiera quotidiana, incessante, troviamo una comunione molto profonda con tutti gli uomini.
La Quaresima è tradizionalmente un tempo propizio per riscoprire la carità. In base alla sua esperienza concreta nel Pontificio Consiglio e in altri organismi internazionali - come la Caritas e la fondazione Populorum Progressio - nota un incremento di questa pratica durante il periodo quaresimale?
Le diverse Caritas fanno un lavoro stupendo, aiutando le comunità cristiane a rendere effettiva questa carità. A gennaio ho accompagnato ad Haiti il cardinale Robert Sarah, presidente di Cor Unum. Ho visto con i miei occhi l'immenso lavoro fatto dalle Caritas e anche dalle altre organizzazioni cattoliche. C'è tanto da fare. Ci sono tanti nostri fratelli e sorelle che soffrono e che hanno bisogno del nostro aiuto. La Caritas è uno strumento validissimo nella Chiesa, ed è attraverso le Caritas che stiamo cercando di diffondere questo messaggio.
Che iniziative concrete ha in programma il dicastero per dare nuovo impulso alla carità in questo tempo?
Cor Unum ha due missioni: da una parte un lavoro che possiamo definire ad intra, cioè la diffusione della catechesi della carità e l'aiuto e il coordinamento delle organizzazioni umanitarie cattoliche per sviluppare sempre di più la loro identità ecclesiale. A questo proposito, è intenzione del nostro presidente continuare a offrire ai responsabili di queste organizzazioni l'esperienza degli esercizi spirituali come quelli già proposti in America nel 2008, in Asia nel 2009 e in Europa nel 2010. Vogliamo presentare questa esperienza anche in Africa e Oceania, vedremo in che modi e tempi. Dall'altra parte, il nostro dicastero si fa presente concretamente, a nome del Papa, nei luoghi colpiti da disastri naturali o emergenze umanitarie. Ultimamente, nel nostro viaggio ad Haiti, abbiamo portato un aiuto concreto di 900.000 euro per la costruzione di una scuola elementare e di 400.000 euro per la ricostruzione di una cappella. Con questi gesti abbiamo voluto sottolineare ciò di cui parlavo prima, cioè la "formazione integrale" dell'uomo, che considera l'aspetto orizzontale e l'aspetto verticale come due componenti necessarie per il suo sviluppo. Tra l'altro, di recente siamo stati presenti, sempre a nome del Papa, anche nelle zone colpite dal terremoto in Nuova Zelanda.
(©L'Osservatore Romano 1 aprile 2011)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento