giovedì 17 marzo 2011

Il Messaggio del Papa all'Italia è un contributo alla riflessione, un affresco storico, una rilettura intelligente della nostra storia (Brunelli)

Riceviamo e con grandissimo piacere e gratitudine pubblichiamo questo interessante e ben documentato commento di Lucio Brunelli:

Insieme da secoli per valori e bellezza

Lucio Brunelli

Anche il Papa ha voluto partecipare alla grande festa per i 150 anni dalla proclamazione dell'Unità d'Italia.
Lo ha fatto con un gesto senza precedenti: un messaggio al presidente Napolitano consegnato nelle sue mani, al Quirinale, dal segretario di Stato vaticano cardinale Tarcisio Bertone.
Molta acqua è passata sotto i ponti del Tevere in questo secolo e mezzo: quando Vittorio Emanuele II, da Torino, annunciava la nascita dello Stato unitario, Roma e il Veneto non erano ancora territorio italiano.
Garibaldi, fiero della sua appartenenza alla massoneria, lanciava invettive contro il Vaticano e fremeva per cacciare il Papa dalla Città eterna. Dal canto suo Pio IX minacciava di scomunica chiunque avesse tentato di annettere con la forza ciò che rimaneva dello Stato pontificio. Scomunica poi effettivamente comminata alla monarchia sabauda quando, nel 1870, i bersaglieri del re presero con le armi Roma: Pio IX, proclamato Beato da Wojtyla, si chiuse per protesta nel palazzo apostolico dichiarandosi «prigioniero politico».
E ai cattolici italiani fu fatto divieto, lo storico «non expedit», di partecipare alle elezioni politiche; divieto attenuato solo nel 1913 con il Patto Gentiloni, e solo a livello di votazioni amministrative. Fatti storici, che val la pena ricordare non per rivangare un passato ormai lontano ma per misurare il cammino fatto sia dalla Chiesa sia dallo Stato italiano in 150 anni. Questa mattina, nella basilica di Santa Maria degli angeli, a Roma, le più alte cariche dello Stato sederanno in prima fila alla Messa celebrata dal cardinal Bagnasco.
In ogni celebrazione la retorica è in agguato. Il Papa ha cercato di ridurla al minimo «istituzionale» nel messaggio a Napolitano.
È un messaggio che comunica sentimenti sinceri di affetto e simpatia verso il Paese. Come quando si fanno gli auguri di compleanno a una persona amica. Ma è anche un contributo alla riflessione, un affresco storico, una rilettura intelligente della nostra storia.
La tesi del Papa è questa: l'Italia come nazione non nasce 150 anni fa, ma molti secoli prima. L'unificazione politica fu solo il punto d'arrivo di una storia e di un'identità preesistenti. Fra i padri fondatori, San Francesco d'Assisi, il cui meraviglioso «Cantico delle creature» è il primo testo letterario scritto in italiano.
E poi una lunga filiera di artisti che hanno contribuito alla formazione dell'identità nazionale e la cui opera è intrecciata con la storia della Chiesa: Dante, Giotto, Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Pierluigi da Palestrina, Caravaggio, Scarlatti, Bernini e Borromini. E in effetti, se a un cittadino straniero di media cultura si chiede di fare dei nomi che identificano l'Italia come nazione nella storia, quasi nessuno citerà Garibaldi, Mazzini o Cavour, ma probabilmente tutti citeranno qualcuno almeno dei grandi artisti nominati dal Papa.
Benedetto XVI non sorvola sulle tensioni dell'epoca risorgimentale. Sostiene però che coinvolsero la Chiesa e un'élite intellettuale e politica (spesso imbevuta di pregiudizi laicisti).
Non divisero mai il popolo, che continuò a nutrirsi di una devozione semplice e radicata nei cuori. Ricorda poi il contributo che singole ma autorevoli personalità cattoliche dettero alla temperie risorgimentale, da Alessandro Manzoni a Silvio Pellico (che ritrovò in carcere la fede) passando per il federalismo dell'abate Gioberti. Fino al contributo massiccio dato da un'intera classe dirigente cattolica alla nascita della Repubblica e alla stesura della Costituzione.
Non credo che intenzione del Papa fosse piantare la bandierina cattolica sulle celebrazioni del Tricolore. Sarebbe fare torto alla sua intelligenza.
Benedetto XVI ha portato un contributo di idee alle riflessioni, in effetti così povere, che hanno accompagnato i festeggiamenti. Per ritrovare un sano senso di appartenenza alla comunità che chiamiamo Italia occorre riscoprire i legami, i valori, quella percezione della bellezza che ci uniscono nel profondo. Che ci rendono fieri, anzi semplicemente contenti, di dirci italiani.

© Copyright Eco di Bergamo, 17 marzo 2011

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