Il crocifisso «salvato» dal giurista ebreo
Il crocifisso non genera nessuna discriminazione
ANDREA GAGLIARDUCCI
"Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente… Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli scolari ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato morto nel martirio come milioni di ebrei nei lager? Nessuno prima di lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli. A me sembra un bene che i bambini, i ragazzi lo sappiano fin dai banchi di scuola".
Chi lo ha scritto? Natalia Ginzburg, ebrea ed atea, durante gli anni Ottanta.
Un altro ebreo, Joseph Weiler, avvocato statunitense, ebreo osservante e professore di Ebraismo alla New York University, era tra gli avvocati che sono intervenuti a sostegno delle memorie dei nove Paesi membri che si sono associati all'Italia nel ricorso alla Grand Chambre della Corte Europea di Strasburgo sulla presenza del crocifisso a scuola. Weiler si diceva critico: «Non mi è piaciuta, stando a una prima impressione, la linea di difesa tenuta dal Governo italiano, il quale ha tentato di presentare il crocefisso come un simbolo che trascende le sue origini religiose e che ha un significato laico. Un tale ragionamento si può fare di sicuro in altre ipotesi, come per la Croce Rossa, però non è un argomento appropriato su cui fondare una difesa in questo caso».
Un argomento condiviso anche da alcuni giuristi della Santa Sede.
I fatti sono noti: i coniugi Albertin-Lautsi dal 2002 hanno contestato la presenza del crocifisso nella scuola frequentata dai loro due figli. Hanno sollevato prima la questione al Consiglio d'Istituto, che ha respinto la mozione. Quindi al Tar del Veneto, che ha prima rimandato la questione alla Corte Costituzionale, poi (dopo che ha rimandato tutto al Tar) si è pronunciato contro il ricorso. I coniugi hanno fatto quindi ricorso al Consiglio di Stato (altro parere negativo) e poi alla Corte Europea che, nel novembre del 2009, diede sostanzialmente ragione alla signora Lautsi, affermando la violazione da parte dell'Italia di norme fondamentali sulla libertà di pensiero, convinzione e religione e scatenando un'ondata d'indignazione. Il Governo italiano, a quel punto, ha domandato il rinvio alla Grande Chambre della Corte, ritenendo la sentenza 2009 lesiva della libertà religiosa individuale e collettiva come riconosciuta dallo Stato italiano.
Allo Stato italiano si sono uniti altri nove Paesi europei, curiosamente nessuno facente parte della vecchia Europa. La sentenza finale - e inappellabile - della Grande Chambre sottolinea che non ci sono evidenze che attestino che il crocifisso appeso in aula porti a un indottrinamento alla fede cattolica. Non si pronuncia sul dibattito sul valore del simbolo del crocifisso. Lo ritiene comunque un simbolo "passivo", che non muta le opinioni della classe. Tanto più - nota la Grande Chambre - che in Italia lo spazio scolastico è aperto anche ad altre confessioni religiose, e tra l'altro "i ricorrenti non si lamentano del fatto che la presenza del crocifisso in classe abbia implicato delle pratiche di insegnamento volte al proselitismo o che i figli della ricorrente siano stati confrontati a un insegnamento condizionato da tale presenza".
© Copyright La Sicilia, 19 marzo 2011
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1 commento:
Un grazie all'avv. Weiler e ai tantissimi ebrei che ci hanno difeso in questa lotta epica.
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