«Il crocifisso in aula non discrimina»
La Corte di Strasburgo assolve definitivamente l’Italia: mai violata la libertà di educazione
Col verdetto si riconosce ai singoli Stati membri la discrezionalità nel conciliare le loro funzioni in materia di istruzione con le convinzioni dei genitori
DA ROMA PIER LUIGI FORNARI
Decisiva ed emblematica correzione di rotta da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che con una sentenza definitiva della Grande Chambre ha assolto ieri lo Stato italiano dalla violazione del diritto di libertà di educazione attuato – questa era la tesi sconcertante del primo pronunciamento – con l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. I giudici che rappresentano il Consiglio d’Europa (47 Stati membri) chiudono così una vicenda avviata nella loro Corte con una condanna del nostro Paese il 3 novembre 2009 (un verdetto emesso all’unanimità da una camera di sette membri), ma proseguita poi con una udienza nel plenum di Strasburgo tenutasi il 30 giugno dello scorso anno. In quella seduta ben dieci Stati membri si erano pronunciati in difesa dell’Italia, e la sentenza emanata ieri ne tiene dettagliatamente conto.
Tant’è che la Grande Chambre afferma di non condividere la sentenza di primo grado, almeno per quanto riguarda l’equiparazione con un caso precedente: la vicenda Dahlab, nella quale si ratificò la decisione della Svizzera di proibire a una insegnante di portare il velo islamico. Significativo, dunque, che la Corte rovesci una decisione presa all’unanimità che sembrava aver irrimediabilmente piegato la giurisdizione europea in senso laicista.
I magistrati di Strasburgo hanno deciso con una maggioranza schiacciante (15 voti contro 2) che con l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche italiane non c’è violazione dell’articolo 2 del primo protocollo aggiuntivo della Convenzione (la carta fondamentale della Corte) che impone agli Stati il dovere di rispettare il diritto dei genitori di assicurare l’educazione conforme al loro credo religioso e filosofico. Una clausola che è stata aggiunta evidentemente pensando a difendere le famiglie credenti allora viventi negli Stati comunisti.
Secondo la Corte non sussistono elementi che attestino l’influenza che il crocifisso possa avere sugli alunni («emotivamente conturbante », secondo la prima sentenza). Si riconosce poi che agli Stati è riservata una discrezionalità («margine di apprezzamento») nel conciliare le funzioni che loro competono in materia di istruzione con le convinzioni dei genitori. In sostanza i magistrati del Consiglio evidenziano l’importanza di rispettare il principio di sussidiarietà in materia religiosa. Anche perché sulla questione della presenza dei simboli religiosi nelle scuole statali non c’è una impostazione unica nei Paesi del vecchio continente.
Per la Corte, inoltre, il fatto che «la normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico » non basta a costituire «un’opera di indottrinamento ». Il concetto viene inoltre ribadito anche a proposito del fatto che al cristianesimo viene accordato nel programma scolastico uno spazio maggiore rispetto alle altre religioni. Anche sotto questo profilo «non c’è opera di indottrinamento».
In merito al caso specifico i magistrati europei osservano che «un crocifisso appeso su un muro è un simbolo essenzialmente passivo, e questo aspetto ha importanza agli occhi della Corte in riguardo in particolare al principio di neutralità ». Non gli si può «ovviamente attribuire un’influenza sugli alunni comparabile a quella che può avere un discorso didattico o la partecipazione a delle attività religiose». Si nota poi che lo spazio educativo delle scuole italiane «è aperto alle altre religioni». Non sussistono elementi che indichino «intolleranza». E poi il diritto della ricorrente contro il governo italiano di orientare i suoi figli «è rimasto intatto».
Secondo la sentenza, poi, non vi è motivo di affrontare la lamentata violazione dell’articolo 14 della Convenzione (non discriminazione) e del 9 (libertà di pensiero), perché, nel caso specifico, il problema si porrebbe solo se si fosse riscontrata la violazione dell’articolo 2 del protocollo 1 . «Questa decisione è estremamente positiva per l’Europa poiché possiede una profonda 'portata unificatrice'», commenta il direttore dell’European Centre for Law and Justice, Grégor Puppinck, una delle terze parti intervenute davanti alla Grande Chambre.
Rifiutando di opporre artificialmente i diritti dell’uomo al cristianesimo, «la Corte ha inteso preservare l’unità profonda e l’interdipendenza che uniscono i valori spirituali e morali fondanti la società europea ». Puppinck, infatti, ricorda che di fronte al rischio di remissione in causa della loro identità profonda, «più di venti Paesi hanno preso pubblicamente posizione in favore della presenza pubblica del simbolo del Cristo nello spazio pubblico europeo».
«Una bella giornata per la libertà religiosa», sottolinea Massimo Introvigne, rappresentante dell’Osce per la lotta all’intolleranza e discriminazione contro i cristiani, sottolineando che «in questa materia è la prima volta che una decisione assunta all’unanimità in primo grado viene rovesciata in sede di ricorso». Infine, secondo il giurista Antonio Gambino, la sentenza «rilancia l’idea che la libertà di religione e l’esercizio del culto è una prerogativa dei credenti proprio quale conseguenza del principio di laicità».
© Copyright Avvenire, 19 marzo 2011
Italia, vincente il gioco di squadra
DA ROMA
Il ministro degli Esteri Franco Frattini parla di un «primo segnale, dopo molto tempo, del risveglio dell’Europa che è apparsa, in passato, lontana dal vero sentire dei cittadini europei». Accanto a lui siede il sottosegretario al la presidenza del Consiglio Gianni Letta. Con loro gli esponenti dell’associazione «Umanesimo cristiano » che ha organizzato ieri sera un incontro- conferenza stampa per commentare a caldo la sentenza. Per la quale si è mobilitato il governo, ma anche il sodalizio presieduto da Claudio Zucchelli, consigliere di Stato. Elogi al lavoro di squadra e soddisfazione sono venuti da Letta: «Tanto ci aveva fatto soffrire nel 2009 una sentenza che ritenevamo ingiusta, tanto possiamo esultare oggi», ha notato. C’era anche il ministro della Giustizia Angelino Alfano, che anche lui si è riferito al precedente pronunciamento, definito «triste vicenda», ricordando come nel collegio che vietò il crocifisso c’erano anche «insigni giuristi italiani ». L’«assurda accusa – ha proseguito – era che fossimo di fronte alla violazione dei diritti dell’uomo. La sentenza di Strasburgo afferma che essa mai può esserci dietro la croce».
Dal canto suo il responsabile della nostra diplomazia, rispondendo a una domanda, ha notato che ad appoggiare formalmente l’Italia nella battaglia sono stati Paesi della «giovane Europa», non Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, anch’essi di tradizione cristiana. Non solo. Ha rievocato dapprima il dibattito sulle radici cristiane, poi le difficoltà dell’Ue a riconoscere le persecuzioni verso i cristiani. «Oggi si afferma il principio della sussidiarietà, superando la paura dell’indottrinamento, che nessuno di noi vuole. Una risposta importante a chi credeva che il dibattito sull’identità cristiana fosse definitivamente seppellito», ha concluso Frattini.
Per Zucchelli la sentenza istituisce una sorta di «foro interno delle nazioni». L’autonomia di decidere a partire dai propri valori. Umberto De Augustinis, coordinatore delle difese nel processo, ha spiegato la sentenza, rilevando come sia raro che le decisioni della Corte europea vengano riviste (e l’Italia spesso è trattata in modo «severo»). Sono stati ricordati i chiari interventi del Papa e del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E il moderatore, il vaticanista Piero Schiavazzi, ha concluso con un’immagine: «Dal Reno ci aspettavamo una sentenza illuministica, ne è arrivata una illuminata». (G.San.)
© Copyright Avvenire, 19 marzo 2011
HANNO DETTO
Schifani: il crocifisso non riduce le libertà
«Questa sentenza è importante per i popoli, le tradizioni, le istituzioni nazionali ed europee.
Rafforza processi virtuosi di pacificazione e integrazione», dice il presidente del Senato, Renato Schifani: «Il valore simbolico del crocifisso non comprime alcuna libertà».
Chiti (Pd): non è simbolo di intolleranza «Grande soddisfazione» è espressa dal vice presidente del Senato Vannino Chiti: «La Corte ha adottato la scelta più giusta. Il crocifisso non contrasta in nessun modo con la libertà di religione o di educazione. Non può rappresentare per nessuno ragione di oppressione, costrizione o intolleranza».
Buttiglione (Udc): valore non confessionale «Con questa sentenza viene battuta una posizione culturale di laicità negativa» che vuole «dare un privilegio a chi è ateo mettendo a sua esclusiva disposizione lo spazio pubblico», per il vicepresidente della Camera Rocco Buttiglione. Si afferma che in Europa i simboli cristiani» sono «un valore che non è confessionale ed impositivo».
Santolini (Udc): chiuse tutte le polemiche «Questa sentenza chiude definitivamente le polemiche strumentali e infondate sull’accusa di violazione della libertà religiosa», per la deputata Luisa Capitanio Santolini: «In realtà si trattava dell’ennesimo attacco alle radici dell’Italia e dell’Europa».
Mauro (Pdl): il vento sta cambiando «Voglio esprimere la mia più grande soddisfazione», fa sapere il presidente degli eurodeputati Pdl, Mario Mauro: «Il vento in Europa sta cambiando in favore di una presa di coscienza e riscoperta della propria identità e delle proprie radici cristiane».
Farinone (Pd): queste sono le nostre origini «Si mette fine a una battaglia caratterizzatasi per troppi eccessi», secondo Enrico Farinone, vicepresidente della Commissione Affari europei: «Una cosa è la laicità, un’altra è pretendere che dalla nostra vita scompaiano i simboli religiosi, che ci richiamano alle nostre origini».
Orlando (Idv): la croce sintesi di tolleranza «Il crocifisso è la sintesi della tolleranza, del rispetto e dell’amore universale», sottolinea il portavoce dell’Idv, Leoluca Orlando: «Bene ha fatto la Corte europea a dare ragione all’Italia. Chiunque combatte contro il crocifisso combatte contro se stesso, la propria storia e diffonde odio e intolleranza».
© Copyright Avvenire, 19 marzo 2011
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