La sentenza della Corte europea sul crocifisso
Una scelta laica per la libertà religiosa
di EMANUELE RIZZARDI
L'Italia non è colpevole di aver leso i diritti umani della signora Lautsi: è ciò che la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha sentenziato venerdì scorso, 18 marzo, ribaltando completamente il precedente pronunciamento della seconda sezione della stessa Corte del novembre 2009.
Si può ben parlare di una sentenza storica, come è stata definita dalla Santa Sede: mai era avvenuto in secondo grado un ribaltamento di una sentenza adottata all'unanimità dal primo grado della Corte. E soprattutto non si era mai visto un sostegno così massiccio alla richiesta d'appello di un Governo firmatario della Cedu da parte di altri Governi aderenti alla Convenzione: in totale 21, molti dei quali di tradizione ortodossa. A cui vanno aggiunti i 33 europarlamentari e numerose Organizzazioni non governative intervenute in qualità di "amici curiae". Un segno tangibile che la "questione del crocefisso" ha unito tradizioni, identità e nazionalità differenti nella difesa di una laica e genuina libertà religiosa.
La sentenza era attesa dal 30 giugno 2010, data in cui l'Italia aveva presentato le sue ragioni per l'appello. Venerdì scorso erano presenti in tantissimi e ha rappresentato un vero successo per tutti coloro che hanno lavorato mesi per elaborare e presentare alla Corte solidi argomenti giuridici e dare il supporto necessario alle delegazioni nazionali nella redazione dei propri interventi a sostegno dell'appello italiano.
La sentenza è molto asciutta e lineare nelle sue argomentazioni: riprendendo il paragrafo uno dell'articolo due (diritto all'educazione) della Convenzione e l'articolo 9 (libertà di pensiero), quelli per i quali era stata sollevata l'accusa da parte della signora Lautsi, la Corte ha ribadito che "gli Stati hanno la responsabilità di assicurare, con neutralità e imparzialità, l'esercizio delle varie religioni, fedi e credo" all'interno della propria giurisdizione. Inoltre, nell'ambito dell'educazione, "devono assicurarsi che [...] i programmi siano trasmessi in modo oggettivo, critico e pluralista", senza alcuna opera di "indottrinamento".
È quanto già succede in Italia, riconosce la Corte: il crocifisso esposto nelle aule è un simbolo, religioso sì, ma "non attivo", che non ha in sé nessuna intenzione "proselitistica" e di "indottrinamento". Soprattutto se il contesto in cui viene utilizzato è quello della scuola pubblica italiana, in cui da sempre diversi provvedimenti hanno garantito libertà di religione e un pluralismo rispettoso delle differenze culturali.
In questo contesto, quindi, la "percezione soggettiva [della signora Lautsi] non è sufficiente a integrare una violazione" della Cedu, argomenta la stessa Corte.
La Corte ha quindi riconosciuto all'Italia "discrezionalità nel conciliare l'esercizio delle funzioni che le competono in materia di educazione e d'insegnamento con il rispetto del diritto dei genitori di garantire tale educazione e insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche".
Questa discrezionalità in Italia viene esplicitata proprio tramite l'esposizione nelle sue scuole pubbliche del crocifisso, simbolo religioso in cui si riconosce la maggioranza della sua popolazione.
Sono così fatte salve le tradizioni, le identità e le culture europee: "Un'Europa che non ha più un'identità spaventerebbe in qualche maniera, ci interrogherebbe sulla possibilità dei rapporti con gli altri continenti, con le altre culture, davanti ai grandi problemi che l'umanità deve affrontare", ha detto a Radio Vaticana monsignor Aldo Giordano, Segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa.
E aggiunge Gregor Puppinck, direttore dell'European center for law and justice: di fronte ai diversi tentativi di marginalizzazione del cristianesimo a cui assistiamo con sempre maggiore frequenza, "occorre ricordare che il cristianesimo - che si sia credenti o meno - possiede, nei Paesi di tradizione cristiana, una legittimità sociale superiore alle credenze filosofiche e religiose. Questa innegabile legittimità giustifica che un approccio differenziato sia adottato laddove necessario. Questo approccio differenziato può giustificare la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche italiane".
La sentenza della Grande Camera ha inoltre riparato una decisione che poteva costituire un pericoloso precedente e ha riportato la Corte all'interno delle sue competenze specifiche, cioè di garante dell'applicazione della Cedu tra gli Stati firmatari, allontanandola da posizioni che necessariamente sarebbero state considerate come ingerenze non neutrali nella sfera politica degli Stati sovrani. Apprezzamenti alla sentenza sono arrivati anche da oltreoceano.
Il professor Weiler, ebreo osservante, della New York University, che all'appello aveva rappresentato i governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Federazione Russa, Grecia, Lituania, Malta e San Marino, oltre a esprimere la sua personale soddisfazione, ha di nuovo incoraggiato l'Europa a non appiattire le sue tradizioni. Weiler ha sollecitato a continuare a difendere "a livello del privato sia la libertà di religione sia la libertà dalla religione", senza rinnegare nello spazio pubblico "ciò che per molti rappresenta una parte importante della storia e dell'identità dei propri Stati, riconosciuta anche da chi non condivide la stessa religione o non fa parte di nessuna religione".
Ciò che è accaduto a Strasburgo lo scorso venerdì, dunque, ci ricorda che la libertà religiosa è una conquista della cultura europea che va difesa e applicata concretamente in Europa come nel mondo, per il ruolo centrale che gioca all'interno delle libertà fondamentali.
Del resto lo aveva ricordato già Benedetto XVI parlando in gennaio al Corpo diplomatico.
(©L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2011)
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